Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

martedì 31 gennaio 2012

Pensieri (Interventi 114)

Chi vi scrive è spesso molto ignorante, ma ha anche la fortuna di saperlo e di avere ogni tanto colpi di fortuna. In particolare ho ricevuto una mail in cui era contenuta una frase di una prete, Salvatore Tumino morto a 43 anni nel 2002. La frase mi è piaciuta e così pescando in internet ne ho trovate altre che vi propongo a chiusura di questo primo mese del 2012:
Don Salvatore Tumino


Se vuoi cercare la felicità, non c’è bisogno di girare tutto il mondo; fermati, entra dentro te stesso, lì c’è Gesù che ti vuol donare una gioia senza fine.
Gesù vorrebbe donare pace, gioia, amore a tutti: ma quanto pochi sono coloro che vanno da Lui a ricevere gratuitamente quello che solo Lui può dare!
Se lotti contro i tuoi vizi e i tuoi difetti con le sole tue forze, sarai uno sconfitto; ma se lotti con le armi di Dio, cioè con la fede, la preghiera, i sacramenti, la Parola di Dio, i sacrifici volontari, sarai vittorioso su tutto.


L'uomo senza Dio è come una barca senza timone: va alla deriva!
L'uomo senza Dio è come un uccello senza ali: non può innalzarsi!
L'uomo senza Dio è un enigma senza soluzione.
L'uomo senza Dio è vuoto e disperato.
Ma l'uomo con Dio è destinato alla gloria.


L'uomo con Dio è guidato in alto, ha trovato la risposta ad ogni perché.
La sua speranza della vita eterna già la vive in primizia come realtà.
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lunedì 30 gennaio 2012

Il Sig. Mendez (Contributi 574)

E' con piacere che propongo questo testo di Antonio Socci che commenta un video che ho già evidenziato in questo blog (vedi QUI) e che definire bello denuncerebbe la nostra avarizia. Vi consiglio di vederlo cliccando sotto la foto che separa la mia introduzione dall'articolo. Il film dura poco più di 20 minuti, è in inglese con sottotitoli ma credo proprio che mi ringrazierete dopo averlo visto/rivisto. E poi leggere il testo di Socci. Per cui buona visione e buona lettura (e l'augurio ad ognuno di voi di incontrare un Signor Mendez nella vostra vita e poi, magari, esserlo per altre persone.. :

C’è da tempo, in rete, un cortometraggio bellissimo The Butterfly Circus (Il circo della farfalla) diretto da Joshua Weigel. Dura 20 minuti ed è sottotitolato in italiano.
E’ struggente. Ve lo consiglio (poi, sotto, vi propongo un’interpretazione).
Penso che si sbaglierebbe a credere che questo stupendo film metta a tema la sofferenza della disabilità o l’emarginazione.
Per me non è un film sui corpi, ma sulle anime e lo suggerisce proprio il “signor Méndez”, direttore del “Circo della farfalla” che presenta alla fine Will come “un’anima coraggiosissima”.


La “deformità” di Will, la sua mutilazione è l’immagine della nostra povera umanità, l’immagine di ciascuno di noi, inchiodato al proprio limite, alla propria incapacità, alla propria disperazione e solitudine, al proprio peccato, ai propri sbagli, al proprio “non essere amato” e quindi vittima impotente di un mondo crudele che trae guadagni dalle sue mostruosità.
La storia infatti si apre proprio sullo spettacolo crudele del mondo, che di questa miseria umana fa spettacolo: “il miglior spettacolo di mostri della città”.
Promesse di soldi, dolore e crudeltà, tristezza. E quei poveretti esposti come animali e crudelmente derisi per le loro deformità…
Il tipaccio che li illustra infine annuncia: “una perversione della natura, un uomo – se così lo si può chiamare – a cui Dio stesso ha voltato le spalle!”.
Ecco, questo è il modo come noi ci vediamo e vediamo gli altri: abbandonati da Dio. E quindi asserviti a chi fa senza scrupoli mercimonio della nostra umanità.
Il pubblico davanti a Will alterna sguardi di orrore, derisione, risolini e crudeltà.
Ma quel giorno, in quel cinico luna park, è arrivato un uomo diverso da tutti.
Il “Signor Méndez” ha uno sguardo diverso su quei poveretti.


Vi fa pensare a Qualcuno?


Ecco la sua compassione, il suo fermare la crudeltà dei ragazzetti, il suo levarsi il cappello davanti a Will, il suo “tu sei magnifico!”, l’immediato perdono per lo sputo del povero disperato che credeva di essere deriso perché lui non si vedeva “magnifico”.
Il “Signor Méndez” è subito pronto a scusarlo e giustificarlo: “non è successo niente. E’ colpa mia. Forse mi sono avvicinato un po’ troppo, giusto amico?”.
Chi è quest’uomo strano, unico? E’ il “signor Méndez”, famoso perché direttore del “Circo della farfalla”, quello che – secondo il mondo – fa “spettacoli stravaganti”.
E’ considerato “strano”, “stravagante”, perché è diverso dal luna park delle mostruosità.
Will decide di andare col “Circo della farfalla”, dove lo accolgono con calore, ma non gli fanno fare quello che faceva prima perché “da noi non c’è nessun fenomeno da baraccone”.
Il “Signor Méndez” gli dice: “non c’è niente di edificante nell’esporre le imperfezioni di un uomo… noi siamo contenti che tu stia qui con noi e puoi restare finché vuoi, ma io dirigo un altro tipo di spettacolo”
È lo spettacolo della bellezza, dell’armonia, dell’audacia, dell’abilità umana. Lo si vede quando in un villaggio triste e decadente arriva la compagnia del “Circo della farfalla”….
Il “Signor Méndez” annuncia: “signori e signore, ragazzi e ragazze, ciò di cui ha bisogno questo mondo è di un po’ di stupore”.
Il “signor Méndez” guarda i suoi artisti incantato e commosso. E sussurra a Will: “splendidi, non è vero? Come si muovono, pieni di forza, colore e grazia. Sono sbalorditivi!”
Poi lo scuote bruscamente. Gli fa capire quanto è crudele e ingiusto ciò che pensa di se stesso e gli dice che anche lui può essere come loro.
Infatti gli svela qual è la vera bellezza dei suoi artisti: sono tutti dei redenti, sono persone che erano state buttate dal mondo come perduti e perdenti. E sono rinate.
Perché il “Circo della farfalla” mostra appunto questo meraviglioso spettacolo: il bruco deforme che diventa bellissima farfalla.
Dice il “Signor Méndez” a Will: “se soltanto tu potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri”.
E’ una possibilità anche per Will. Perché la vera bellezza è quella di chi si lascia amare, di chi accetta la misericordia e “rischia” tutto se stesso in questo amore,
L’obiezione di Will: “Ma sono diversi da me” (tipica obiezione di chi si sente più disgraziato e più incapace di tutti gli altri).
Ma il “Signor Méndez” rovescia totalmente le sue categorie di giudizio:
“Sì. Tu un vantaggio ce l’hai: più grande è la lotta e più è glorioso il trionfo”.
E infatti per Will arriva il trionfo. Così il “Signor Méndez”, felice e commosso può annunciare:
“I vostri occhi saranno testimoni, in questo stesso giorno di un’anima coraggiosissima”.
Non più spettatori di una mostruosità, ma testimoni di una gloriosa rinascita e di un’avventura ardimentosa.


Io penso che il “Circo della farfalla” esista in questo mondo. E’ il Regno di Dio che Gesù è venuto a instaurare. E’ lui che davanti alla mostruosità di ogni uomo gli sussurra: “Tu sei magnifico!”.
E gli diventa amico perché il bruco, il verme, diventi la libera e bella farfalla … Gesù non è venuto a incriminare, a giudicare, a puntare il dito (lo fa già il mondo). No. Gesù è venuto pietosamente a guarirci. A farci rinascere.


E chi siamo noi per dire: no, quello non può farcela, quello è uno abbandonato da Dio?


Ecco una bella pagina del grande Dietrich BonhoefferDio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro, sceglie una creatura umana come suo strumento e compie meraviglie lì dove uno meno se le aspetta.
Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono ‘perduto’, lì Egli dice ‘salvato’; dove gli uomini dicono ‘no!’, lì Egli dice ‘sì’! Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì Egli posa il Suo sguardo pieno di un amore ardente incomparabile. (…).
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, lì Egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il Suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del Suo amore, della Sua vicinanza e della Sua Grazia”.


Questo è il cristianesimo.
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domenica 29 gennaio 2012

Domenica 4^ t.ord. (Angelus 63)

Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di questa domenica (Mc 1,21-28) ci presenta Gesù che, in giorno di sabato, predica nella sinagoga di Cafarnao, la piccola città sul lago di Galilea dove abitavano Pietro e suo fratello Andrea. Al suo insegnamento, che suscita la meraviglia della gente, segue la liberazione di «un uomo posseduto da uno spirito impuro» (v. 23), che riconosce in Gesù il «santo di Dio», cioè il Messia. In poco tempo, la sua fama si diffonde in tutta la regione, che Egli percorre annunciando il Regno di Dio e guarendo i malati di ogni genere: parola e azione. San Giovanni Crisostomo fa osservare come il Signore «alterni il discorso a beneficio degli ascoltatori, procedendo dai prodigi alle parole e passando di nuovo dall’insegnamento della sua dottrina ai miracoli» (Hom. in Matthæum 25, 1: PG 57, 328).
La parola che Gesù rivolge agli uomini apre immediatamente l’accesso al volere del Padre e alla verità di se stessi. Non così, invece, accadeva agli scribi, che dovevano sforzarsi di interpretare le Sacre Scritture con innumerevoli riflessioni. Inoltre, all’efficacia della parola, Gesù univa quella dei segni di liberazione dal male. Sant’Atanasio osserva che «comandare ai demoni e scacciarli non è opera umana ma divina»; infatti, il Signore «allontanava dagli uomini tutte le malattie e ogni infermità. Chi, vedendo il suo potere … avrebbe ancora dubitato che Egli fosse il Figlio, la Sapienza e la Potenza di Dio?» (Oratio de Incarnatione Verbi 18.19: PG 25, 128 BC.129 B). L’autorità divina non è una forza della natura. È il potere dell’amore di Dio che crea l’universo e, incarnandosi nel Figlio Unigenito, scendendo nella nostra umanità, risana il mondo corrotto dal peccato. Scrive Romano Guardini: «L’intera esistenza di Gesù è traduzione della potenza in umiltà… è la sovranità che qui si abbassa alla forma di servo» (Il Potere, Brescia 1999, 141.142).
Spesso per l’uomo l’autorità significa possesso, potere, dominio, successo. Per Dio, invece, l’autorità significa servizio, umiltà, amore; significa entrare nella logica di Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13,5), che cerca il vero bene dell’uomo, che guarisce le ferite, che è capace di un amore così grande da dare la vita, perché è Amore. In una delle sue Lettere, santa Caterina da Siena scrive: «E’ necessario che noi vediamo e conosciamo, in verità, con la luce della fede, che Dio è l’Amore supremo ed eterno, e non può volere altro se non il nostro bene» (Ep. 13 in: Le Lettere, vol. 3, Bologna 1999, 206).
Cari amici, giovedì prossimo 2 febbraio, celebreremo la festa della Presentazione del Signore al tempio, Giornata Mondiale della Vita Consacrata. Invochiamo con fiducia Maria Santissima, affinché guidi i nostri cuori ad attingere sempre dalla misericordia divina, che libera e guarisce la nostra umanità, ricolmandola di ogni grazia e benevolenza, con la potenza dell’amore.
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sabato 28 gennaio 2012

Il Volto di San Leo (Contributi 573)

Ecco un nuovo articolo di Suor Gloria Riva sul Volto di Gesù:

Il volto di Cristo è stato lungo il vessillo di salvezza e di pace. Una sorta di sacramentale che ha accompagnato l’uomo nelle pagine più difficili della sua vita. Già l'orante biblico cantava: sorga Dio e i suoi nemici fuggano lontano! E ancora: fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi. Così, per secoli, da Costantino, che recava sullo stendardo di guerra la scritta «in hoc signo vincit», fino al tempo delle crociate e oltre, il volto di Cristo, la sua croce, accompagnavano tanto le battaglie che le trattative di pace.
Anche Montefeltrino Feltrio di nobile Casato e "illustre per esperienza e maneggio delle armi", come lo dipingono le fonti, issava sul carroccio di battaglia un grande crocifisso ligneo il cui volto, di mirabile bellezza, rimandava inequivocabilmente al volto della Sindone. In tempo di pace, questa preziosa effige veniva custodita nella Cattedrale di San Leo, mentre una lampada, segno della devozione e dell'amore a Cristo del popolo feretrano, ardeva incessantemente davanti a lui. Più che un'immagine, quel Cristo era segno di una Presenza, una compagnia costante per un popolo che viveva l'incertezza dei confini costantemente minacciati e la precarietà delle provvigioni a causa di una natura straordinaria ma imprevedibile, a tratti inclemente.
Fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi! Di quel Crocifisso oggi rimane miracolosamente solo il volto. E indubbiamente non a caso perché il tondo ligneo ove questo è dipinto, leggermente in rilievo rispetto al resto della croce, era solitamente realizzato a parte, proprio per la fedeltà ad antichi canoni aderenti al Keramion (Il Keramion sarebbe una delle tre regole sulle quali, secondo la leggenda, si sarebbe miracolosamente impresso il Santo Volto del Mandylion).
Probabilmente già nel 1644 la croce fu pesantemente restaurata, lasciando fedele all'originale soltanto il viso. Oggi, in modo suggestivo, il recente restauro l'ha riportato alla sua bellezza originaria e, collocandolo dentro una grande croce sagomata e spoglia, il Santo Volto, privato del corpo, risplende di una luce particolare.
Entrando nella sala del Museo dove è collocato si rimane rapiti, attratti dalla vivezza degli occhi. Dio ti guarda. Dio ti ama: è l'unico pensiero che riempie il cuore e la mente nell'istante dell'incontro. Con più ti avvicini, con più velocemente dimentichi l'assenza delle membra. Quel viso prende tutto di te e apre il tuo cuore all'Eterno. Se immaginassimo per un attimo di essere noi a reperire quel tondo di legno con quel volto, magari seminascosto fra zolle di terra, che cosa penseremmo, trovandolo? Non certo al volto di un crocifisso.
Quest'uomo dai grandi occhi aperti, emana una perfetta serenità. Sono lontane da lui le brutture della morte, lontani gli spasmi della crocifissione: è il Cristo triumphans. Colui che, crocifisso, ha riportato vittoria sul male e sulla morte.
Eppure, l'occhio più attento dell'esperto o quello semplice dell'acuto osservatore l'avrebbe intuito. Da questo volto si può pazientemente risalire all'intero corpo.
Già l'aureola trilobata, con finissime decorazioni che rimandano ai tralci della evangelica vite, dice l'identità di quel volto. Esso appartiene a Colui che ha detto, dando il suo corpo e sangue in cibo per una Pasqua eterna, «Io sono la vite e voi i tralci».
Il naso, poi, oblungo e saldamente legato alle arcate sopracciliari disegna chiaramente una lettera tau. Simbolicamente è il corpo stesso del Salvatore affisso al legno. Il sangue che egli ha sparso per la nostra salvezza è significato nelle linee color sanguigna che sottolineano il profilo del naso e il contorno degli occhi. Singolari e forse uniche nel loro genere, sono le due anse nasali evidenziate da due cerchietti rossi che rimandano ai piedi piagati. Conosciamo soltanto un crocifisso munito di tale espediente pittorico, e peraltro noto solo attraverso una riproduzione, quello della Pinacoteca di Montalcino.
Così ricordiamo che il crocifisso di san Leo, come molti crocifissi duecenteschi (si veda ad esempio il celebre crocifisso di san Damiano), aveva i piedi inchiodati separatamente. Aveva perciò, come del resto attestano antichi testimoni, quattro chiodi. Quattro chiodi come i quattro punti cardinali. Quattro chiodi da cui sale il grido del salmista: dai confini della terra io ti invoco! Già il grande Agostino si domandava come possa un uomo solo invocare contemporaneamente da molteplici confini. È la Chiesa che invoca - si rispondeva -, la Chiesa sparsa su tutta la terra. Ma questa Chiesa trova la sorgente del suo esistere, la sua generazione, dentro le piaghe del Salvatore. Per questo, pur sparsa per i quattro confini della terra, può gridare con una sola voce, quella di Colui che ha detto: nelle tue mani affido il mio spirito.
Gli occhi del crocifisso di san Leo, dalle pupille dilatate e lo sguardo profondissimo, non ti abbandonano mai e nello stesso tempo fissano Altro, sono riflesso di Altro: fissano il volto del Padre e sono riflesso stesso del Suo Volto Eterno. È lui, in definitiva, a guardarti.
La bocca sembra accennare a un sorriso e i baffi finemente disegnati rimandano alle ali dello Spirito Santo. Non ci è dato di sapere se il collo possedeva quel rigonfiamento tipico dell'icona bizantina del Cristo Acheropita, segno della ruah-adonai, dello Spirito divino che è Signore e dà la vita. Non ci è dato, ma non è da escludere. Proprio perché trionfante, in questo volto traspare tutta l'Opera della Redenzione, che è del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Da questo volto riconosci la Presenza nella tua vita del Dio Trino ed unico, ma scorgi nel contempo la compagnia perenne della Chiesa, che dai confini della Terra grida anche il tuo dolore, ma ottiene la risposta di quel volto che quando sorge nella vita libera e salva.
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venerdì 27 gennaio 2012

Quei volti di un Dio vivo (Contributi 572)

Un altro articolo/intervista, sempre tratto da La Bussola, ma stavolta di Antonio Giuliano sul tema del Volto di Gesù:

Per secoli gli artisti hanno cercato di ricostruire il volto di Gesù di Nazaret. E se invece Cristo stesso avesse lasciato i tratti del proprio viso impressi in un’immagine? Per la tradizione del cristianesimo orientale è molto più di un’ipotesi suggestiva visto il culto e la devozione per le icone Acheropite. Dal greco, letteralmente, immagini di Gesù «non fatte da mano d’uomo», ma rinvenute e tramandatesi prodigiosamente. La teologa Emanuela Fogliadini ne ha fornito un’indagine certosina nel volume Il volto di Cristo. Gli Acheropiti del Salvatore nell’Oriente cristiano (Jaca Book, pp. 248, euro 24) ripercorrendo le origini di un mistero che continua ad affascinare e a far discutere.


Qual è la genesi di questi volti?
La prima immagine Acheropita di cui si ha notizia tra il 560 e il 574 è quella passata alla storia come Camuliana, da Camulia, il nome di un villaggio della Cappadocia. L’icona venne fuori qui miracolosamente dal desiderio di conversione al Cristianesimo di una pagana chiamata Ipazia: cercava una prova e la ottenne trovando in una piscina il santo volto di Cristo dipinto su un tessuto di lino. Il prodigio fu duplice perché subito si produsse una copia dell’immagine sulla veste usata dalla donna per avvolgerla. È questa un’altra caratteristica degli acheropiti: nascevano e si moltiplicavano per miracolo, ed erano in grado di produrre guarigioni inspiegabili. Il fatto che le icone acheropite siano state ritrovate nel VI secolo non deve però ingannare: secondo la tradizione ortodossa esse sono contemporanee alla vita di Cristo. Frutto o di un intervento indiretto di Cristo appena risorto, come nel caso della Camuliana, o addirittura donate da Gesù stesso mentre era ancora in vita: è il caso del Mandylion…
ulteriori info QUI e QUI
Un altro volto miracoloso?
Sì. Il Mandylion o immagine del Cristo di Edessa è la più celebre icona Acheropita che conosciamo, ne parla già Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica (325). Secondo la tradizione Abgar V Ukama (“il Nero”), re di Edessa in Mesopotamia (4.a.C-7, 13-50), era malato e sapendo che Gesù operava guarigioni gli inviò un messaggero per chiedergli di recarsi alla sua corte. Gesù non andò, ma gli mandò la sua immagine asciugandosi il volto su un telo. Quel panno, chiamato sindon o mandylion, fu consegnato al re, che lo venerò e fu guarito dalla sua malattia.
ulteriori info QUI
Ma perché questi volti tornarono alla ribalta solo secoli dopo la morte di Gesù?
Sono stati occultati in parte per paura delle persecuzioni pagane. E tornarono d'interesse durante il grande dibattito iconoclasta, sulla liceità o meno di raffigurare Dio nelle immagini. Ma non ebbero vita facile. Proprio per le lotte iconoclaste dell’VIII secolo tutti i santi volti furono distrutti. Le icone della Camuliana sparirono, tranne il volto di Edessa la cui presenza è ancora attestata a Costantinopoli durante la Quarta crociata nel 1204.


Chi garantisce che i volti non siano stati inventati ad hoc dalla Chiesa?
Gli occidentali accusano la Chiesa orientale di aver inventato i santi volti con poteri miracolosi e di averli fatti risalire a Gesù stesso in modo che nessuno avrebbe potuto controbattere sull’impossibilità di dipingere i volti di Cristo, dei santi e della madre di Dio. Però di questi volti parlano già due testi del III e IV secolo, la Dottrina di Addai e gli Atti di Taddeo.


Di fatto però oggi non abbiamo originali, ma solo copie.
Ma questo è un problema tutto occidentale. A noi solo interessa sapere se un dipinto è di Raffaello o della scuola di Raffaello. Per la tradizione ortodossa non è così significativo che manchi l’archetipo: importante è che le copie siano conformi. Perché in ogni icona conforme all’originale e benedetta della Chiesa c’è il vero volto di Cristo. Attenzione a non liquidare la questione come marginale. Se non abbiamo presente le icone acheropite non capiremmo secoli di iconografia successiva. Il fatto che Gesù venga dipinto sempre nello stesso modo dipende proprio dalla convinzione che Cristo stesso avrebbe lasciato quel volto. Per questo polemizzarono con gli occidentali, che soprattutto durante il Rinascimento ne cambiarono i connotati.


Quali sono le caratteristiche fisiche dei volti che riproducono gli acheropiti?
Innanzitutto sono tutte immagini del volto di Cristo senza collo, come prevede l’iconografia ortodossa. Raffigurano una persona di trent’anni circa, ancora in vita e in pieno possesso delle sue facoltà. Gli occhi sono neri e sempre identici, grandi e aperti; i capelli perfettamente divisi prima lisci e poi ricci; la barba biforcuta; il naso lungo e stretto che forma con le sopracciglia una figura che fa pensare a una palma; i lobi esterni delle orecchie. Ciascuno di questi particolari ha suggerito delle riflessioni: gli occhi aperti che fissano lo spettatore, tipico delle icone. I lobi delle orecchie per sottolineare l’attenzione di Cristo stesso verso chi lo contempla. I capelli terminano spesso alle estremità in due ciuffi da una parte e tre dell’altra, a simboleggiare la doppia natura di Cristo e della Trinità delle persone.


E’ ragionevole pensare che il volto di Gesù fosse così?
Sì. Anche le testimonianze arrivate in Occidente riportano queste caratteristiche. Come un testo apocrifo, attribuito a Lentulo, funzionario romano contemporaneo di Gesù, che parla di Cristo come un uomo i cui capelli hanno i colori delle noci di Sorrento. Al di là di questa testimonianza, sono verosimili i tratti di una persona mediorientale: capelli lunghi scuri come gli occhi e la carnagione. Certo siamo lontani dal ritratto “modello” che la filmografia ci ha tramandato. Ma se vogliamo anche la patristica all’inizio ha inteso un Cristo non certo bello come intendiamo noi, facendo riferimento al testo di Isaia di uomo rigettato e reietto, l’uomo dei dolori. E le icone non si preoccupano di esprimere canoni di bellezza troppo carnali. Non sei tu che guardi l’icona. Ma è Lui che guarda te, secondo i dettami dell’ortodossia. Non siamo dinanzi alla bellezza del Cristo di Michelangelo, con gli addominali scolpiti. Piuttosto le icone testimoniano sempre un Cristo vivo. Anche nel pieno della sofferenza umana devono comunque dar conto della divinità. Ti puoi anche chiamare Rublëv ed essere un bravissimo pittore, l’iconografo deve esprimere non solo l’umanità del Cristo, ma la sua divinità.


Nel suo studio manca la Sindone.
La Sindone ha molte somiglianze somatiche con i volti acheropiti. Anzi alcuni studiosi ritengono che il telo con l’immagine del Cristo di Edessa sia proprio quello della Sindone di Torino. Ma la Sindone è comunque il telo di Cristo morto. Mentre le immagini acheropite rappresentano un Cristo ancora in vita con gli occhi aperti. Un uomo vivo e sereno, non sofferente come l’uomo della Sindone.


Alla fine però anche l’Occidente è stato contagiato dalla passione per i santi volti.
L’attenzione con cui la Chiesa d’Oriente ha circondato gli Acheropiti ha finito per coinvolgere anche l’Occidente che dal XIII secolo in poi ha importato alcune presunte immagini di Cristo non prodotte da mano d’uomo di chiaro stampo bizantino. Come il Volto Santo «della Veronica», di cui parlano anche Dante e Petrarca, l’immagine che secondo la tradizione apocrifa si stampò sul panno di Veronica da Gerusalemme quando asciugò il volto di Cristo sul Calvario: il panno traslato a Roma fu poi distrutto dai protestanti nel XVI secolo. E poi i Volti Santi di Laon, di Genova e di Manoppello che rivendica di essere l’originale Acheropita perduto di Camuliana. E tuttavia in Occidente nessuno ha mai pensato che Cristo stesso avesse lasciato il suo volto su quelle immagini. Sono state trattate non come attestazione dell’incarnazione del Figlio di Dio ma come reliquie, generando una devozione del tutto priva di implicazioni autenticamente teologiche.


Perché invece è importante considerare la teologia sottesa ai volti tramandati dalla Chiesa orientale?
Se spetta alla fede credere che Gesù stesso sia l’artefice di quei volti, non è irrilevante la differenza di atteggiamento. Nel momento in cui guardo e prego l’icona, guardo e prego la Persona viva che vi è rappresentata. Per noi invece è solo un ricordo. Pensiamo solo alle nostre liturgie, facciamo tranquillamente a meno delle immagini. Tutt’al più sono elemento marginale, a corredo della Parola, così come un tempo si affrescavano le chiese con scene della vita di Gesù per spiegare le Scritture. Mentre nel Cristianesimo orientale non si celebra nulla senza Vangelo e icona, per loro l’immagine è complementare. Per questo durante le lotte iconoclaste i monaci erano pronti a farsi massacrare: distruggere l’icona significava distruggere anche la fede in Cristo vivo e vero.
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Bosch, il Volto silenzioso della Salita al Calvario (Contributi 571)

Continua la pubblicazione delle riflessioni di Suor Gloria Riva sul Volto di Gesù con questo ulteriore articolo da La Bussola:


Nella Salita al Calvario di Hieronymus Bosch, il volto di Cristo emerge silenzioso. Cristo non è il centro dell’attenzione della folla. Chi tra costoro lo guarda veramente? Nessuno sembra aver premura di giungere al Calvario, anzi un soldato, con lo sguardo malizioso, blocca mediante uno scudo l’avanzare del triste corteo: che Cristo non sia crocifisso, che Cristo non muoia! Non si ripeta l’errore di farne un eroe! È necessario infatti che Cristo sia crocifisso perché si conosca il disegno del Padre. Gesù stesso lo aveva proclamato: Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me.
Bosch ritrae profeticamente un mondo beffardo e pieno di sé; un mondo che non sa che farsene della croce perché ne fabbrica molte di continuo a danno dei più deboli e puri. Un mondo che convive mollemente con la brutalità e la sofferenza innocente, purché questa rimanga anonima, scontata, come tutto ciò che di scontato c’è nella vita. Se Cristo sarà innalzato allora la sofferenza avrà un nome, se Cristo sarà crocifisso sarà gettato un ponte sulla morte: il nome del dolore sarà amore-che-si-dona; il ponte sulla morte sarà vita-che-non-muore.
È questo il volto da conculcare, da soffocare dentro l’agitarsi confuso e il vociare petulante di mille volti.
I volti qui sono diciotto e, disposti a gruppi di tre per sei volte, scandiscono il battito dell’ora delle tenebre. Di questi diciotto volti, quattordici sono contratti dall’ira, dallo scherno, da pensieri malvagi: sono le quattordici stazioni della via crucis che, come morsa di dolore, serrano Gesù; quattordici è anche però la somma numerica della generazioni che compongono in Matteo la genealogia di Gesù. Dunque in quei quattordici volti c’è riassunta tutta l’umanità, tutta la miseria dell’umanità.
Vi sono uomini primitivi e volgari, quasi bestiali nel loro urlare. Ricordano i tori di Basan che spalancano la bocca contro il giusto come canta il salmo 22 (o 21).
C’è la religiosità bigotta e piena di sé come quella della guardia del sommo sacerdote, con copricapo rosso, segno della superbia che regna sul suo capo. Impugna un bastone, scettro di un comando iniquo.
Come quella del notabile pensieroso e arcigno che guarda fiero e diritto davanti a sé. O ancora come quella del frate accanto al buon ladrone. Costui che dovrebbe essere il testimone della Parola (i francescani la portano anche nell’abito che ha la forma del Tau) ha il dito puntato e dal suo volto trapela l’assenza di misericordia.
Non tutti si rivolgono verso il Signore Gesù, anzi qui gli uomini sembrano sbranarsi a vicenda, sembrano sciolti da ogni criterio e dominati dalle forze dell’occulto. Ci sono infatti mescolati fra loro fattucchieri, (uno solo è chiaramente visibile proprio davanti a Cristo, ma ce n’è un secondo in alto semi nascosto dall’oscurità e dal notabile). Essi sono riconoscibili dal lungo cappello coi colori dell’acqua, dell’aria e del fuoco e una piccola sfera sulla sommità simbolo della terra. Dalla sfera si dipartono fili luminosi segni del potere occulto. Nel cappello sono simboleggiati perciò i quattro elementi fondamentali dell’universo sopra i quali essi esercitano il potere magico. Costoro sembrano essere i veri responsabili del caos e della follia umana.
Eppure la croce, così accuratamente elusa, così goffamente nascosta, traccia la diagonale dell’intero quadro e sta salda, come perno, come unico punto fisso e sicuro della scena. La croce è la meridiana della storia, è la trave portante del mondo che Cristo è venuto ad edificare. È, infine, l’impalcatura del tempio che Cristo avrebbe ricostruito in tre giorni.
Poi ci sono i quattro volti positivi: quello del Cireneo, del buon Ladrone, della Veronica e quello di Gesù.
Il Cireneo è colui che ha accettato su di sé il giogo della croce e già ne sperimenta gli effetti. Il buon ladrone getta uno sguardo implorante verso Cristo, si ritrae dalla salvezza a buon mercato dello zelante religioso e si volge verso il compagno di viaggio: l’uomo che con lui porta la croce. Cristo è l’icona della pace nel caos, della beltà nella bruttura del mondo. Egli ha gli occhi chiusi, ma è l’unico che vede; il suo capo reclinato riposa già sul legno della croce, pienamente abbandonato alla volontà del Padre, sicuro della volontà d’Amore del Padre anche in quest’ora. (Is 52, 13-14; 53, 3-4). Cristo è al centro della diagonale della croce e di un’altra diagonale che partendo dal buon ladrone giunge alla Veronica. Anche la Veronica ha gli occhi chiusi eppure vede: vede la gloria del Cristo vivente.
Dall’oscurità assoluta che regna sulla scena il volto della Veronica sorge luminoso. Nessuna fonte di luce è presso di lei se non ciò che ella vede, se non ciò a cui è diretto il suo intimo sguardo, la sua beatificante contemplazione: il volto del Cristo che impresso sul telo annuncia già la sua Risurrezione. Clio, come diceva Peguy, la musa della storia cerca vane traccia ed è sempre in ritardo, mentre lei la Veronica del calvario sbaraglia tutti: tira fuori il suo fazzoletto, un fazzoletto da nulla e trova una traccia eterna.
È, infatti, solo a questo punto che Bosch ci rivela il diciannovesimo volto del dipinto. L’unico che guarda verso l’osservatore. L’unico che ci interpella: il volto sereno e divino di Cristo impresso nel telo sindonico. È lui, il Risorto, che dà senso all’esistenza umana. É il Cristo che fissa nel tempo la pace, dentro il susseguirsi di una storia minacciosa ma, alla fin fine, caricaturale. Solo in Cristo l’uomo ritrova il suo volto umano, ritrova impressa in lui, l’immagine del Cielo.
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giovedì 26 gennaio 2012

Quel Volto santo che porta alla Trinità (Contributi 570)

Un bellissimo articolo di Luigi Codemo, tratto da La Bussola, ci parla ancora del Volto di Gesù e descrive cosa dovrebbe fare l'arte (se tale vuole essere) nel mostrare il Volto di Dio:

«Quel tipo di rappresentazione è inappropriato a raffigurare Dio». Era il 1628 quando Urbano VIII condannò il modo di dipingere la Trinità mediante la figura di Cristo con tre teste o mediante una testa con tre volti (vultus trifrons). Questo tipo di immagine, che riutilizzava in età medievale un’iconografia pagana nel tentativo di esprimere il Dio uno e trino, risultava semplicemente mostruosa. A ben guardare, era una raffigurazione basata su un approccio che riscontriamo anche ai nostri giorni: una raffigurazione incapace di entrare nel mistero di Dio e farne risplendere la bellezza perché nata più da un freddo e grossolano ragionamento sul dogma cristiano che non dalla contemplazione della sua verità. Basta guardare uno degli esempi di Trinità tricefala che ci sono rimasti, come quella ritrovata sotto uno strato di intonaco nella chiesa di Armeno, per comprendere il motivo della condanna.
Un'altra tipologia di raffigurazione della Trinità è stata quella definita triandrica o cristiforme. Un esempio noto è quello del Sacro Monte di Ghiffa dove la Trinità è presentata con tre figure distinte e affiancate, poste dietro una mensa e tre calici eucaristici, tutte con il medesimo volto di Cristo.
Questa soluzione iconografica richiama l’episodio di Abramo che con la moglie Sara accoglie tre ospiti presso le querce di Mamre e provvede a nutrirli. Tale brano è stato letto in modo tipologico-allegorico in età patristica interpretando in senso trinitario il testo. S.Agostino sintetizzò questa riflessione nella formula: Tres vidit, unum adoravit.
Pur presentando anche questa raffigurazione dei problemi di carattere teologico, primo tra tutti quello di rappresentare lo Spirito Santo con fattezze umane, ci dice comunque una cosa importante: il volto di Cristo è il volto che conduce nel mistero della Trinità. Gesù è l’icona, il mistero che si è fatto visibile. «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). Cristo è la porta attraverso cui abbiamo accesso al mistero di Dio.
Un terzo modo di rappresentare la Trinità, che a differenza dei due precedenti non ha mai riscontrato riserve, è chiamato Trono della Grazia ed è quello dove Dio Padre regge il Figlio in croce e, tra i due, vi è la colomba a indicare lo Spirito Santo. Probabilmente l’esempio più celebre è quello di Masaccio, nella chiesa di S. Maria Novella, a Firenze [nella foto].
Con questa raffigurazione facciamo un ulteriore passo in avanti nella comprensione del mistero trinitario. Le tre persone sono distinte ma unite. E Cristo, rappresentato nel cuore della Trinità, non dimentica la croce, non abolisce le ferite. Non solo, quindi, possiamo rispecchiarci nel volto umanissimo di Cristo, ma anche nelle sue ferite, nei segni della croce. I limiti del corpo, quelli che tutti noi riscontriamo nella malattia, nella vecchiaia, nella morte, quei limiti che ci offendono non sono estranei a Dio. Dio si è abbassato, si è fatto uomo ed è entrato nella miseria del mondo fino ad assumerla su di sé, fino a morire. Ma Dio non è rimasto invischiato nel mondo. Così come non si è ritirato e nascosto in un cielo asettico. Dio non ha scosso da sé il corpo come se fosse pulviscolo, ma, trasfigurato, lo ha portato dentro la maestà di Dio, nell’intima comunione della Trinità.
Questo destino promette l’annuncio cristiano al mondo. E questo è chiamato a testimoniare l’arte quando mostra il volto di Cristo.
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Il volto di Roualt è l'uomo della Sindone (Contributi 569)

Ecco un ulteriore contributo (è il terzo) di Suor Gloria Riva, tratto sempre da La Bussola,  per aiutarci a comprendere e ad amare il volto di Gesù:

Un percorso sul volto di Cristo non può che partire da quella reliquia, suggestiva e preziosa, che sale dalla memoria del tempo. Nel II Concilio di Nicea dell’anno 787 si parlava già, di un telo doppio piegato in quattro, il Mandylion di Edessa (alcuni studiosi lo identificano con la Sindone di Torino), su cui era visibile l’immagine di Cristo. Se ne parlava e fu come il vessillo della lotta iconoclasta. Cristo si è fatto carne la vita si è resa visibile e noi l’abbiamo toccata, contemplata. Le nostre mani hanno toccato il Verbo della vita. La reliquia del Verbo della vita è qui, in questo telo sindonico, archetipo e calco di tutte le raffigurazioni di Cristo dal Pantocratore di Rublev, al Cristo sfigurato di Arthur Rainer.
(descritti al post precedente)
È sempre lui. Impossibile dimenticarcene, impossibile passare indenni dopo aver incrociato il suo sguardo.
Successe anche a Secondo Pia. Siamo nel 1898, a Torino in occasione dell’ostensione del telo sindonico, questo avvocato appassionato di fotografia scatta, per la prima volta, un’istantanea alla preziosa reliquia e nella camera oscura vive un incontro che segnerà la sua storia e la storia di molti. La lastra fotografica rivela un volto bellissimo pieno di maestà e di gloria. Il telo sindonico era un negativo fotografico. Il negativo della pellicola ha restituito allo sguardo il positivo dell’Uomo ivi impresso.
Un’immagine che imprime l’anima. Già nella Francia di quegli anni era nato un movimento spirituale che aveva come sorgente di devozione il Santo Volto. Nacque l’arciconfraternita del Santo Volto anche probabilmente come risposta a un certo devozionalismo che si andava diffondendo anche grazie alla stampa che produceva infinite immagini di Cristo di tipo, appunto, devozionale. L’intera famiglia di santa Teresa di Gesù Bambino aderirà a tale Confraternita e la stessa Teresa assumerà accanto al titolo di Gesù Bambino quello del Volto Santo.


Il pittore Rouault, nato a Parigi, visse e operò in questo clima. I genitori artigiani con ascendenze bretoni lo battezzarono per tradizione senza impartirgli alcuna formazione religiosa. Ci è ignoto il percorso che lo portò ad aderire alla fede cristiana, ma è certo che s’imbattè nel volto dell’uomo della Sindone e ne rimase affascinato. Il mediatore fu probabilmente il medico Paul Vignon, amico di Rouault e francese. Quest’ultimo, a casa dello stesso Secondo Pia, ebbe modo di vedere le fotografie del Sacro lino.
Il lino della Veronica divenne il leit motiv della pittura di Rouault. Egli dipinse questa tela nel 1953: la parentela con l’uomo della Sindone è evidente. Un Ecce homo nel cui volto traspare soprattutto la serenità densa di Mistero. In questo volto c’è raccolta tutta l’energia del cosmo: il verde delle colline, il giallo dei campi di grano bagnati dal sole, il mare gonfiato dal vento e il rosso delle zolle di terra smosse.
Davanti a questo volto vengono in mente i versi di una poesia di papa Giovanni Paolo II sulla Veronica (la vera Icona), Nacque il tuo nome da ciò che fissavi. Contemplando questo volto, l’uomo ritrova il suo nome la sua identità. La grandezza vasta del suo stato creaturale che ha indotto un Dio a farsi carne, materia, tempo. Dio ha volto e orecchi di uomo, capaci di ascoltare il grido della strada.


È suggestivo raffrontare questo dipinto con quello dell’Urlo di Munch
Nelle due tele corrono gli stessi colori ma in quella di Munch del 1893, il paesaggio assume forme fluttuanti, la pennellata morbida è densa di striature, dove le gamme dei colori si richiamano e si compenetrano quasi dissolvendosi. L’autore ritrae in primo piano un uomo senza età, né identità, la deformazione del volto ne acuisce l’espressività, l’angoscia e la solitudine.
Niente nel panorama è veramente definito, tutto sembra precipitare nel caos e nell’anonimato: acqua, cielo e sentiero si smembrano. Tutto si è svuotato di senso e l’uomo è rimasto solo, solo con il suo grido, appunto. Di preciso, di fisso, c’è solo il punto focale della strada che l’uomo ha percorso, forse correndo disperatamente, neppure quel punto è però un riferimento: due uomini rigidi e compassati ne precludono la vista. Qui è ritratto un uomo che ha perduto il suo volto. Un uomo, direbbe papa Benedetto XVI, caduto nel relativismo assoluto. È proprio su questo orizzonte informe che sorge la bellezza di Cristo.
Nell’opera di Georges Rouault gli stessi colori usati da Munch si addensano, si ricompongono, aumentano di spessore e vigore, rivelando il volto di Cristo. Un volto in cui si raccoglie dunque ogni grido, anche quello dell’uomo di Munch: c’è il respiro immenso della creazione, c’è la terra bagnata dal sangue, il bagliore della speranza e la ferma certezza di essere, comunque, nell’amore del Padre.
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mercoledì 25 gennaio 2012

Il Cristo di Rublev e il Pantocratore del Sinai (Contributi 568)

Un nuovo articolo di Suor Gloria Riva per parlarci del Volto di Cristo:


Ritroviamo la traccia eterna del volto di Cristo, dipinta a fuoco sul legno antico da Andrej Rublev. Un volto maestoso e grave dagli occhi penetranti. Ti fissa in volto e pare capire. La bocca accenna a un sorriso e di fronte a lui tutto s’infrange: affanno, dubbi, dolori, tutto è confinato là, oltre la porta del tempo. Rimani solo con lui e hai la sensazioni che non manchi più nulla.
Nel collo gonfio soffia lo Spirito del Dio vivente. Il volto è costruito entro due centri concentrici. Tutte le icone si scrivono così, dentro una simbologia geometrica che rimanda al Mistero. I due cerchi sono il connubio fra Cielo e terra. Fra eternità e finitudine. Questo volto è una finestra sul mondo a venire.
Questo volto narra una storia antica. In lui c’è il sapore dell’esistenza umana nella sua totalità. Ci sei anche tu, con la tua storia e il tuo dolore. Questa immagine profuma di terra. E nella terra ci è stata, sul serio, per lunghi anni.
Rublev la dipinse tra il 1410 e il 1420 poi se ne perse ogni traccia. Fu ritrovata solo alla fine dell’Ottocento, capovolta, immersa in un terreno umido come asse di passaggio per accedere a una stalla. Un'icona umiliata: nessuno passando avrebbe potuto sospettare che quell’asse, così grezzo, dietro, contenesse un tale splendore. La traccia eterna conculcata.
Si dice che Cristo stesso avesse rivelato a Rublev come dipingerlo. Andrej era rimasto sconvolto, un giorno, di fronte allo spettacolo di un saccheggio. Una banda di Tartari fece irruzione nel suo villaggio, depredarono, abusarono, uccisero. E lui lì, spettatore inerme e sgomento. Non dipinse più per lungo tempo. Era come se lo sguardo dovesse purificarsi dal veduto, dal terribile, dal demoniaco che c’è, sempre, nella violenza dell’uomo sull’uomo. Ma un giorno Cristo gli si rivelò, mostrandogli il volto del Misericordioso. Rublev vide, e non dimenticò mai più. Più forte della memoria delle violenze di cui era stato spettatore, fu la memoria della grazia di cui era stato protagonista.
Forse non a caso il Cristo di Rublev non ha ombre. Tutto il volto è pura luce, porta i segni del fango e dello scherno, ma risplende di una vittoria inaudita: quella dell’amore e del perdono.


Più severo ma avvolto anch’esso nel mistero di una volontà di soppressione è il volto del Cristo Pantocratore del Monastero di Santa Caterina nel Sinai. Ieratico scrutatore. Guardandolo non abbiamo la sensazione di affacciarci al Cielo, come nel caso del Cristo di Rublev, ma qui è piuttosto il Cielo che guarda noi. Gli occhi incantano e sono occhi diversi. Tracciando una linea di demarcazione sul volto si nota la differenza: il lato sinistro, per chi guarda, è quello della misericordia, il lato destro quello della giustizia. Visto nell’insieme il volto resta quello dell’amore che mentre rende palese la verità della nostra esistenza, rivela nel contempo l’amore di Dio per le sue Creature, il desiderio di riscatto e di salvezza.
Questo volto si solleva dal tempo, è come teatro di una storia che ci ha coinvolti tutti, trovandoci ora accusati, ora accusatori. Ora vittime, ora carnefici. Questo volto vide la luce nella terra di Mosè, la terra della Santità di Dio. In questa terra secoli dopo la morte di Cristo la regina Elena, madre di Costantino, volle edificare un Monastero. Eravamo nel IV secolo. Due secoli dopo, in questo stesso luogo, venne sepolto il corpo di santa Caterina d’Alessandria e venne dipinto il Cristo Pantocratore. Il martirio toccato in sorte alla Santa fu anche quello toccato alle Icone nella lotta iconoclasta. Il volto del Bellissimo fu velato.
Solo nel 1961, durante un’operazione di restauro delle icone, si scoprì che sotto la pittura di un'icona del XII secolo ve ne era un’altra, più antica, maestosa. Bellissima. Era l’immagine austera e soave del Cristo del Sinai che oggi contempliamo. In lui, il desiderio di Mosè: «Mostrami il tuo volto», è compiuto e permane nel tempo.
Oggi (almeno in Europa) non ci sono lotte iconoclaste, né rivoluzioni cruente come quella che sconvolse la Russia nell’ottobre del 1917, eppure l’uomo contemporaneo ha voluto e vuole sistematicamente cancellare questo volto dal suo panorama. 


Ne è un esempio significativo e drammatico l’artista austriaco Arthur Rainer. Rainer, come Rouault, del volto di Cristo ne ha fatto la sua ossessione. Egli ha ripreso le antiche icone del Pantocratore le ha riprodotte con tratto appassionato e deciso e poi, con un gesto impulsivo e bizzarro, ha sovrapposto strati di colore e le ha scarabocchiate, tentando così di rendere visiva la volontà di conculcare.
Nel fare questo però, Rainer usa una tecnica particolare che lascia al colore grande trasparenza, cosicché Cristo riappare sempre, indelebile. Quel volto, nonostante la volontà di sopprimerlo, resta incancellabile dalla memoria del cuore.
Di fronte all’evidenza del volto di Cristo che lascia costantemente un sigillo indelebile nel cuore e nella storia dell’uomo, l’artista austriaco ebbe a dire: «Quando, per il fatto di essere ritratto da un artista, un viso morto riceve in un certo senso vita, si può benissimo vedervi una metafora della Risurrezione».


Nella tensione fra il volto dell’uomo che anela alla salvezza e il Volto di Dio che in Gesù Cristo vuole guardare negli occhi la sua creatura, si apre il varco della mendicanza. Una mendicanza che il grande Karol Wojtyla aveva stigmatizzato così:
Sono un viandante sullo stretto marciapiede della terra
e non distolgo il pensiero dal Tuo Volto
che il mondo non mi svela.
Ricordati cuore di quello sguardo
In cui ti attende tutta l’eternità.
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martedì 24 gennaio 2012

Le conversioni (Interventi 113)

Ecco un nuovo testo di Padre Scozzaro sui benefici della recita del Santo Rosario:


Il Beato Alano de la Rupe, i Padri Giovanni Dumont e Thomas, le cronache di San Domenico e altri autori, riportano un gran numero di conversioni eccezionali, ottenute per mezzo di questa mirabile devozione del Rosario: conversione di peccatori e peccatrici ritornati sulla via del bene dopo 20, 30 e anche 40 anni di vita disordinata, non essendo stata efficace nessuna cosa per farli ravvedere. Solo la recita del Rosario ottenne la conversione di innumerevoli persone di cattivo esempio. Dovunque, la recita del Rosario ha ottenuto conversioni, santificazioni di intere masse di popoli, trasformazioni di parrocchie.
“Caro Sacerdote -dice San Luigi Grignon-, se tu pratichi e predichi questa devozione ne saprai più della lettura di qualsiasi libro che tratta dell’argomento, e constaterai felicemente tu stesso l’effetto delle promesse che la Madonna fece a San Domenico, al Beato Alano e a quanti si adoperarono per far fiorire questa devozione a Lei tanto gradita poiché istruisce i cristiani sulle virtù di suo Figlio e sulle sue, dispone all’orazione mentale, all’imitazione di Cristo, alla frequenza dei Sacramenti, alla soda pratica delle virtù e delle opere buone, ed inoltre fa acquistare tante preziose indulgenze che la gente ignora solo perché i predicatori non ne parlano quasi mai, limitandosi tutt’al più ad un discorsetto alla moda sul Rosario.
Discorsi che suscitano alle volte ammirazione, ma non istruiscono affatto”.
San Clemente Maria Hofbauer ripeteva con gioia: “Tutte le volte che ho recitato il Rosario per un peccatore, ne ho ottenuto la conversione”.
L’esperienza dei Santi è chiara, loro hanno dato molta importanza al Rosario, lo hanno eletto come mezzo per ottenere dalla Madonna innumerevoli Grazie. Migliaia di persone andavano da Padre Pio e si convertivano, proprio perché il Santo otteneva fiumi di Grazie dalla Madonna, per la recita continua del Rosario.
L’Ave Maria è l’invocazione di salvezza del peccatore, che sa di potere trovare misericordia solamente presso il Cuore di Maria. Per quanto accanito ed incallito possa essere il peccatore, troverà sempre accogliente e misericordiosa la Madonna.
Alle volte, basta anche una sola Ave Maria ben detta, per ottenere la conversione di un peccatore.
Già agli inizi del 1700, San Luigi Maria di Montfort scriveva: “L’Ave Maria ben detta, secondo i Santi, è il nemico che mette in fuga il diavolo, è il martello che lo schiaccia, la santificazione e fecondità dell’anima, la gioia degli Angeli, la melodia dei predestinati, il Cantico del Nuovo Testamento, la Gloria della SS. Trinità, il piacere di Maria, un bacio casto e amoroso che Le si dà...”. San Giovanni Bosco insegnava ai fanciulli: “Il Rosario è una continuazione di Ave Maria, con le quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell’inferno”.
L’Ave Maria converte anche i più grandi peccatori, anche coloro che vivono costantemente in peccato mortale.
È difficile ma non impossibile la conversione di grandi peccatori, di coloro che vivono già come morti spiritualmente in questa vita. Ma la Madonna è Colei che fa risorgere i morti, che dona vita soprannaturale ed infonde potente spinta interiore per vincere ogni forma di peccato. Anche il più orribile e grandissimo.
Santa Brigida ricevette questa rivelazione: “Se uno vedesse la bruttezza d’un’anima in peccato mortale ne morirebbe di spavento”. L’anima brutta a causa del peccato, potrà diventare bellissima per l’intervento di Maria.
“Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio” (Lc 1,37), quindi, è ugualmente possibile a Maria.
Il Rettore di una Parrocchia in Danimarca raccontava spesso, alla maggior Gloria di Dio e per la gioia della sua anima, d’aver sperimentato nella propria parrocchia tanti frutti della devozione del Rosario. Diceva: “Avevo predicato su tutti i temi più urgenti e più utili, ma senza alcun profitto. Non vedevo nessun miglioramento nella mia parrocchia e allora mi decisi di predicare il Rosario: ne spiegavo l’eccellenza e la pratica. Ebbene: posso dichiarare che dopo aver fatto gustare questa devozione ai miei parrocchiani, in sei mesi ho visto un visibilissimo cambiamento. Veramente, questa preghiera è efficace e di unzione Divina per toccare i cuori e per ispirare l’orrore al peccato e l’amore alla virtù”.
Sul letto di morte, Guglielmo Marconi (+1937), il grande inventore della telegrafia senza fili, teneva tra le mani la Corona del Rosario. Così, colui che aveva scoperto i congegni per parlare a distanza, per collegare un estremo con l’altro della terra, alla fine sentì il bisogno di tenere tra le mani, ciò che collega la terra al Cielo.
Un altro scienziato di fama internazionale, Enrico Medi (figlio spirituale di Padre Pio), ha scritto: “Non vi è nulla, dopo l’Eucaristia e le Sacre Scritture, che noi possiamo stringere fra le nostre mani, comprimere sul nostro cuore, che sia più dolce, soave e riposante, sicuro, sorgente di conforto, di serenità, di abbandono come il Rosario”.
Significativo questo racconto fatto dal Padre Pesce: “Giovanni Carnevali, detto il Piccio, valente pittore (1804-1873), dopo aver percorso molte contrade ed aver avuto la propria residenza prima a Cremona, poi a Milano, infine si stabilì a Bergamo. Insoddisfatto sempre di tutto, nel 1867 fu preso da nostalgia per il suo paese natio (Montegrino), nei pressi del Lago Maggiore. Così un bel giorno, da buon camminatore qual era, se ne partì a piedi e giunse a Montegrino verso le otto di sera.
Tutto era buio; ma egli passando per le strade riconobbe i luoghi più cari alla sua adolescenza. Ad un certo punto si trovò dinanzi a casa sua. Da una finestrella guardò nell’interno e vide che tutti i suoi stavano serenamente recitando il Santo Rosario. Fu così commosso per quella scena, che scoppiò in pianto: quella era la vera pace che egli aveva cercato invano, la vera fede che dava la forza per vivere ancora. Cadde in ginocchio. Quando il Rosario fu terminato, il pittore si alzò e, senza entrare e turbare i familiari con i suoi dolori, se ne tornò via sospirando.
Ma nel cuore s’era riaccesa la speranza della sua gioventù, la confidenza in Dio, l’amore alla Vergine, un grande desiderio di bontà e preghiera. Aveva scoperto il segreto della felicità: il Rosario! E se ne servì per il resto dei suoi giorni. Quando morì annegato a Caltaro sul Po, gli si rinvenne in tasca un Rosario, consumato dall’uso”.
Uno dei più grandi missionari del nostro tempo, Padre Paolo Manna del PIME, apostolo dell’unità dei cristiani, scriveva: “Offriamo preghiere a Dio per l’unione dei cristiani per le mani della Regina di tutti i cristiani. Le nostre preghiere, povere e indegne, non saranno rigettate se offerte al Signore dalla potentissima Madre sua, che è anche Madre nostra”.
Se un tuo familiare, le persone che conosci, le persone che non conosci, o chi ha avuto contrasti con te, sono lontani da Gesù e dalla Madonna, non pregano e vivono come peccatori ostinati, ricorda che è possibile la loro conversione, la loro salvezza eterna: con il Santo Rosario. Quante Grazie di conversione si conoscono, quanti cuori induriti e infedeli hanno abbandonato peccati e vizi per inginocchiarsi dinanzi a Gesù Eucaristia chiedendo perdono ed invocando l’aiuto della Madonna!
Non disperare se qualcuno che conosci vive disordinatamente e continua a commettere molti peccati, perché con la recita del Rosario tutto puoi ottenere dalla Madonna. Abbi solo Fede, perché Gesù è fedele e la Madonna ha il potere di donare le Grazie a chi vuole, come vuole e quando vuole. Sii pieno di fiducia verso la Madonna e Lei non ti lascerà deluso. Non è mai successo, che sia stata chiesta una Grazia veramente giusta e necessaria e la Madonna non abbia risposto con premura, affetto e disponibilità.
Se la tua preghiera è umile, devota, filiale, costante, riceverai quanto chiedi, subito o quando sarai diventato più umile e più spirituale.
Abbiamo una vera Mamma in Cielo, che vuole salvarci tutti, portandoci nel Cuore di Gesù, facendoci fare l’esperienza della rinascita spirituale nel suo Cuore Immacolato.
La consacrazione al Cuore di Maria, accresce in te il fervore di fare quanto piace a Lei, perché in te vive ed opera il suo Spirito. E Lei ti infonderà un grande amore per il Santo Rosario, una grande Fede, che porterà in te una fiducia illimitata nel suo aiuto sicuro e potente.
Non dispererai più nelle tue difficoltà; non temerai nei momenti di abbattimento; non perderai fiducia quando tutto ti sembra essere contrario; non avrai risentimento se sarai avversato.
Perché nel tuo cuore ci sarà l’amore di Maria, la sua pace e la sua fiducia, e tutto assumerà una veste sincera e limpida, sarai sicuramente pieno di speranza dell’immancabile aiuto di Lei, che renderà possibile tutti i tuoi desideri umanamente impossibili e buoni per la tua santificazione.
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Uno sguardo che ci salva (Contributi 567)

Un articolo di Riccardo Cascioli (i link in grassetto sono stati pubblicati anche su questo blog)

Angelo Bagnasco
Il problema della Chiesa è la fede. Ieri lo ha ripetuto il presidente della Conferenza Episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco, citando Benedetto XVI nella prolusione al Consiglio Permanente della Cei. Vale a dire che ogni fatto che accade, ogni aspetto della realtà, è un’occasione per convertirsi, per sollevare lo sguardo verso Dio – “da dove mi verrà l’aiuto” -, per fare esperienza dell’amore di Cristo.
E’ con questo spirito che desideriamo vivere anche questi giorni, in cui sarà rappresentato a Milano lo spettacolo teatrale “Sul concetto di volto del Figlio di Dio”, opera di cui tanto si è parlato nelle ultime settimane per i suoi contenuti blasfemi. Anche noi ne abbiamo parlato: abbiamo dato un giudizio chiaro sul contenuto dello spettacolo («inappellabilmente negativo», come ha scritto monsignor Luigi Negri); abbiamo indicato valore e limiti di una reazione pubblica invitando soprattutto a unirsi a messe e preghiere di riparazione organizzate in diverse parti d’Italia; abbiamo anche spiegato il valore che la Chiesa da sempre ha dato ai gesti di riparazione.
Ma siamo anche coscienti che la nostra conversione, la nostra domanda al Signore perché ci dia «più fede», non può fondarsi su una pur giusta reazione al brutto e al male. 
Per muoverci abbiamo bisogno di vedere una Bellezza, abbiamo bisogno di incontrare persone vere che ci suscitano il desiderio di essere come loro, abbiamo bisogno di incrociare un volto, uno sguardo che ci faccia percepire di essere amati totalmente e gratuitamente.
Per questo motivo ognuno di questi cinque giorni, a partire da oggi, in cui sarà rappresentato lo spettacolo a Milano, proporremo un Volto di Cristo così come l’arte cristiana ce lo ha tramandato nei secoli. A guidarci in questo itinerario sarà suor Maria Gloria Riva, nostra collaboratrice e grande esperta di arte: partiamo oggi dal Volto di Manoppello, che è anche il modello che ha usato Antonello da Messina per dipingere quel Salvator Mundi oggetto di oltraggio nello spettacolo in questione (già pubblicato su questo blog, contributi 566).
Ma da questo momento vogliamo lasciare la polemica, soltanto specchiarci nella Bellezza di questo Volto, perché anche noi possiamo esserne un riflesso per coloro che incontriamo.
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Il Volto Santo, quando Gesù ci guarda (Contributi 566)

Ecco un altro articolo, sempre da La Bussola a firma di Suor Gloria Riva:

Penso alla tristezza di molti uomini soli nella loro presunta laicità. Mi duole il pensiero che nella loro vita Cristo sia una follia, un’idea, una scomoda eredità del passato, l’oppio dei popoli. Vorrei che potessero comprendere cosa significa vivere sotto la maestà di quello sguardo, cosa significa operare dentro la benedicente certezza della Sua Presenza.
Sì, Cristo ci guarda. Come ha guardato Pietro in quel giorno terribile del tradimento. Come ha guardato Giuda. Come ha guardato il giovane ricco nel giorno del suo slancio generoso, come ha guardato Zaccheo, mentre era sul sicomoro. Come ha guardato sua Madre, lungo la via dolorosa. Sì, lui ci guarda e forse ci guarda ancora più profondamente di come possa aver guardato allora. Oggi ci guarda attraverso il velo della morte e la luce straordinaria della risurrezione.
È l’esperienza unica che si fa vedendo per la prima volta il Volto di Manoppello. È lui. E ci guarda. Nella Sindone di Torino e nelle immagini elaborate al computer sul telo sindonico che lo rendono in qualche modo vivo, Cristo rimane come all’esterno. È lui, ma è avvolto ancora nel sonno della morte. Il lenzuolo, si sa (a dispetto di molti), pulsa nella storia come testimonianza viva della risurrezione di Cristo, ma l’immagine che ci rende è quella di un uomo avvolto nella maestà della morte. Trovarsi di fronte al velo di Manoppello è uno shock. Gli occhi sono vivi. E ti guardano. Le labbra sono dischiuse e ti sorridono.
Il Volto di Manoppello: un finissimo telo di bisso marino che reca impressa l’istantanea di Colui che, vivo, vede il Padre. Ha visto il Padre e oggi guarda a noi con quello stesso sguardo.
Chi l’avrebbe detto che quelle parole, dette un giorno ai suoi amici, dovevano raggiungerci così da vicino! Che dovevano risultare per noi così vere, più vere e vive di quanto non lo fossero per quei suoi discepoli: «chi vede me vede il Padre». Cristo ha voluto lasciarci il primo sguardo al Padre, dopo l’avventura dell’Incarnazione.
Così descrive l’evento, Antonio Teseo uno studioso della reliquia abruzzese:
«All'alba del terzo giorno dalla morte di Gesù, un violento terremoto mosse la grossa pietra e nel sepolcro allora entrò la luce del Padre; proprio in quell'istante, la luce di Cristo filtrò i presunti teli sepolcrali (NdR: il telo di bisso marino e il telo sindonico) con i suoi raggi dritti e paralleli e lasciò impresso su di essi le figure riguardanti i segni della Resurrezione: il Volto di Gesù Risorto, i cui occhi avevano guardato il Padre, era stato illuminato dai raggi provenienti da destra così come vediamo nel Volto Santo di Manoppello».
Nel momento della resurrezione di Cristo, dunque, traspariva dal velo una definizione del Santo
Volto in carne ed ossa prima che il corpo si smaterializzasse: questa si era andata ad impressionare sul lino della Sacra Sindone di Torino…
Sovrapporre il bisso di Manoppello col telo Sindonico è un’operazione affascinante. Le parti combaciano. La serenità dell’uomo della Sindone si carica della vivacità e dello sguardo acuto dell’uomo di Manoppello. Ed è lo stesso uomo. Esaminando il volto al Computer si scopre che effettivamente gli occhi del Cristo sono vivi e rivolti verso una fonte luminosa. Infatti la guancia destra più esposta a questa luce è effettivamente più illuminata dell’altra. Questo spiega anche il motivo per cui le tracce di sangue delle ferite, che compaiono sul Volto Santo, sono asciutte e pertanto poco evidenti (A. Teseo).
Il santo volto di Manoppello emerge dal buio del suo percorso storico nel 1506 allorché uno sconosciuto consegna il prezioso telo di bisso marino al fisico Donat’Antonio Leonelli. Da qui comincia il legame profondo di questa reliquia con la cittadina abruzzese. Eppure numerose testimonianze nella storia dell’arte lasciano supporre che il volto fosse già noto e rappresentasse in qualche modo un archetipo, un canone a cui rifarsi. Fra le tante, la più suggestiva per somiglianza è certamente l’opera di Antonello da Messina dal titolo: Salvator mundi. La tavola, dipinta a olio, è datata 1465-1475; forse una delle sue prime opere firmate e datate. 
Antonello non ha avuto tentennamenti nel dipingere il volto del Cristo frontale, con i lineamenti leggermente mongolici e gli occhi penetranti dall’iride luminosa. Ha tentennato invece dipingendo la mano. La mano benedicente (ancora si nota la velatura della prima posizione), pare voler bucare lo spazio e raggiungerci, viene verso di noi. Pare che Antonello abbia voluto dire: Lui è qui, ti benedice e ti guarda, anzi ti tocca.
Sovrapporre a questo volto il volto di Manoppello è impressionante. Cristo davvero ci guarda. Ci ha lasciato accanto al suo Corpo e al suo Sangue, anche quello che l’Eucaristia non ci può dare, il suo sguardo. La luce piena di Cielo di questo sguardo. Il cielo del Padre che si è aperto al Cristo che, morto, ora vive per sempre.
Cristo ti guarda, anzi ti tocca e non per un falso d’autore, ma per quel desiderio d’infinito che resta insopprimibile nell’uomo. Certe mode laiciste e razionaliste sono come la tempesta sul mare. Fanno gran rumore, ma il mare sta. Supera i secoli e i tempi. Il mare rimane nella sua calma abissale dei fondali marini. Questa calma abissale e profonda sale anche dallo sguardo di Cristo, che mentre guarda noi, vede il Padre.
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