Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

mercoledì 31 luglio 2013

La mediazione della Madonna

Ad diem illum - Lettera enciclica di San Pio X (2 febbraio 1904) 
Il tema della mediazione di Maria viene ripreso anche dal successore di Leone XIII, Pio X, in occasione del cinquantenario della definizione dell’Immacolata Concezione. Riprendendo immagini di San Bernardo e di San Bernardino da Siena, il Papa cerca di mostrare come si possa conciliare l’affermazione scritturistica dell’unicità della mediazione di Cristo con l’affermazione della mediazione di Maria. 

(…) Proprio in virtù di questa intima comunione di sofferenza e di volontà tra Maria e Cristo, Ella “meritò ampiamente di divenire, in pienezza di dignità, riparatrice del mondo perduto” (Eadmero, De excellentia Virginia Mariae), e perciò dispensatrice di tutti i doni che Cristo acquistò per noi con la sua morte e con il suo Sangue. Non neghiamo certamente che è di Cristo per diritto proprio e inalienabile, l'elergizione di questi doni, dal momento che sono stati acquisiti con la morte di Lui solo ed Egli stesso, per suo potere, è Mediatore tra Dio e gli uomini. Tuttavia, in virtù di quella condivisione di dolori e sofferenze della Madre col Figlio, di cui abbiamo detto, all'augusta Vergine è stato concesso di essere «la più valida Mediatrice e conciliatrice di tutti gli uomini presso l’Unigenito Figlio suo» (Pio IX, Ineffabilis Deus). La fonte è dunque Cristo «e dalla sua pienezza noi tutti riceviamo» (Gv 1,16); «da Lui tutto il corpo, ben scompaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura… riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,16). Maria invece è «l’acquedotto» (San Bernardo di Chiaravalle), o anche il collo per mezzo del quale il corpo si unisce con il capo (Cfr San Bernardino da Siena). È dunque chiaro che noi siamo ben lontani dall'attribuire alla Madre di Dio il potere di produrre la Grazia soprannaturale, che appartiene soltanto a Dio. Ella, tuttavia, poiché supera ogni creatura in santità e vicinanza con Cristo ed è stata chiamata da Cristo a cooperare per l’umana salvezza, merita per noi, per benevolenza divina (de congruo, come dicono), quello che Cristo ci ha ottenuto per diritto proprio (de condigno); Ella è quindi il principale strumento scelto da Dio per elargire le sue Grazie.
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Omofobia, l'incomprensibile silenzio della Chiesa (Contributi 872)

Leggo e riporto da La Bussola questo articolo di Riccardo Cascioli 


Una questione pare assodata: l’opposizione alla proposta di legge sull'omofobia nasce dalla violazione della libertà di manifestare la propria opinione e della libertà religiosa. Se questo vale per tutti, per la Chiesa le ricadute sarebbero clamorose: a rischio c’è la possibilità di annunciare il proprio insegnamento in fatto di sessualità, che non significa soltanto la morale sessuale, significa anche la dottrina della Creazione, visto che Dio ha creato l’uomo, “maschio e femmina lo creò” e non altro. Peraltro la legge sull'omofobia non è un episodio isolato: essa impedirà di opporsi al riconoscimento dei matrimoni e delle adozioni gay, ed è coerente con la Strategia nazionale per la prevenzione dell’omofobia - di cui questo quotidiano ha già parlato (unico a farlo) – e che è una vera e propria rieducazione in chiave omosessualista che parte dalle scuole elementari.
Proprio per l’enorme posta in gioco il silenzio dei vertici della Chiesa su tutta questa vicenda fa molta impressione, tanto più se la si paragona con la grande campagna lanciata l’anno scorso contro il tentativo del governo Monti di introdurre il pagamento dell'Imu per gli immobili della Chiesa stessa. Allora non passava giorno che il quotidiano della Cei non dedicasse paginate all'argomento e commenti durissimi contro il tentativo di mettere in ginocchio la presenza della Chiesa con tasse improprie. E come non ricordare i titoloni e le inchieste ogni qualvolta da sinistra c’è qualcuno che vuole dare l’assalto ai soldi che la Chiesa italiana raccoglie con l’Otto per Mille. Oggi invece si fa fatica a trovare notizie e commenti sulla legge in discussione, e quando si trovano sembrano più costretti dalle circostanze (vedi la mobilitazione partita dalla rete e di cui La Nuova BQ è protagonista) che non per convinzione, malgrado il patetico tentativo di dimostrare a tempo quasi scaduto che stanno facendo una battaglia. Evidentemente per i vertici della Chiesa italiana la questione non è rilevante. 
Ma il problema è ben più ampio e coinvolge le voci ecclesiali istituzionali più autorevoli, che su un tema di questo genere ci si attenderebbe vedere mobilitate. Ci si riferisce, tanto per fare un esempio, soprattutto al Forum delle Associazioni Familiari, al Movimento per la Vita, all'Unione dei Giuristi Cattolici, tre sigle direttamente legate alla Cei che hanno sempre più la parvenza di scatole vuote, incapaci non solo di coinvolgere i cattolici ma anche di indicare una qualsivoglia strada. 
Eclatante a questo proposito l’esempio dei Giuristi cattolici, guidati dal professore Francesco D’Agostino, che è tra l’altro firma prestigiosa del quotidiano Avvenire. Ebbene, non solo D’Agostino sostiene ormai da mesi la necessità di introdurre il riconoscimento di forme di convivenza che comprendano anche le coppie omosessuali, basandosi su una stravagante interpretazione dell’articolo 2 della Costituzione (in aperto contrasto con quanto spiegato in Assemblea Costituente), ma quanto all'omofobia ritiene necessaria una legge seppure introducendo correttivi all'attuale proposta in modo da salvaguardare la libertà d’espressione. 
Se questa è l’opinione espressa sia su Avvenire sia con un’intervista concessa all'agenzia Sir, ancora più sconcertante è quanto riportato dal portale cattolico Aleteia, secondo cui l’Unione dei Giuristi cattolici «non ha espresso una posizione unitaria sulla legge anche per via della “complessità tecnica della materia”, come fanno sapere proprio dall'Unione». E’ come se un allenatore di calcio ammettesse candidamente di non sapere come schierare in campo i propri giocatori, perché i moduli tra cui scegliere sono difficili da applicare. E’ la “notte” dei tecnici. 
Sul Forum delle Famiglie, basti dire che il Family Day di appena sei anni fa è oggi impensabile se l’iniziativa dovesse partire dal Forum, ormai un esercito di generali senza più le truppe. In Italia con il tormentone delle unioni tra persone dello stesso sesso si sta da mesi cercando di assestare il colpo di grazia alla famiglia naturale e l’unica cosa che il Forum riesce a produrre è qualche “vibrante” comunicato stampa. Come quello dedicato alla legge sull'omofobia, datato 25 luglio, per il quale il Forum deve ringraziare quanti – e noi siamo tra quelli – da settimane si sono mobilitati per evitare una legge che, non ci fosse stata questa levata di scudi, per il 25 luglio sarebbe già stata approvata dalla Camera. Sicuramente il Forum paga a caro prezzo l’essere emanazione diretta della Conferenza episcopale, per cui non gode più di vita propria. Fatto sta che da coordinamento di associazioni per rendere più efficaci le iniziative che partono dal basso, il Forum delle Famiglie si è trasformato in un organismo clericale, una camicia di forza per le associazioni, incapaci ormai di muoversi senza un ordine che arriva dall'alto (o impossibilitate a muoversi per l’ordine che arriva dall'alto). 
Discorso analogo si può fare per il Movimento per la Vita, con l’aggravante che questo ormai da anni è un movimento che ruota attorno a un’unica persona: Carlo Casini (è presidente dal 1990), che pur benemerito nel suo lungo impegno per la vita, ha preteso di assommare su di sé sia l’anima movimentista sia il momento della mediazione politica. Con il risultato che non si ricorda più una battaglia che abbia visto il Movimento per la Vita impegnato a mobilitare l’opinione pubblica su un qualche tema. 
Anche sulla proposta di legge sull'omofobia si è visto soltanto un comunicato stampa di Casini, guarda caso anche questo datato 25 luglio (che si siano messi d’accordo?), poi più niente. Del resto il vuoto che si è creato nel Movimento per la Vita è apparso chiaro in due recenti occasioni: le giornate dedicate all'Evangelium Vitae promosse dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, il fine settimana del 15 e del 16 giugno scorsi: ci si aspettava un’adesione di massa, garantita dal Movimento per la Vita, ma così non è stato né il sabato (con una scarsissima partecipazione che ha suscitato le perplessità di autorevoli esponenti della Curia romana), né la domenica, dove in Piazza San Pietro hanno fatto più notizia i motociclisti in sella alle Harley-Davidson, i quali si sono pure guadagnati il saluto del Papa, ampiamente rilanciato anche dai telegiornali.
La seconda occasione è la tanto strombazzata raccolta di firme “Uno di noi”, per costringere il Parlamento Europeo a discutere la proposta di bloccare i finanziamenti alla ricerca che prevedano la distruzione degli embrioni. Si tratta di raccogliere un milione di firme in tutta Europa entro il 31 ottobre, ma è interessante il caso dell’Italia. Finché la raccolta è stata promossa solo dal Movimento le adesioni sono state una miseria: Casini ha perciò convinto la Cei a mobilitarsi per invitare tutti i cattolici a firmare, appello puntualmente accolto al punto che è stata istituita una giornata nazionale di raccolta delle firme da effettuarsi in tutte le chiese italiane; inoltre tutti i movimenti ecclesiali sono stati invitati a darsi da fare. Ma malgrado i toni trionfalistici, questa iniziativa è un flop clamoroso: in Italia finora – secondo i dati forniti dal Comitato “Uno di Noi” - sono state raccolte 285mila firme, una vera miseria se confrontata con le forze messe in campo. 
La situazione è tale che da tempo si vocifera di pressioni dall'alto per un cambiamento di leadership, ma Casini non sembra intenzionato a uscire di scena rapidamente. Non solo, dalle voci che circolano, sembra che la Cei sia pronta a ripetere lo stesso errore proponendo alla testa del Movimento per la Vita un altro presidente che è al contempo parlamentare. 
Ma a parte le vicende interne ciò che è interessante rilevare è che malgrado l’assenza delle guide, il popolo che crede nella famiglia e nella vita non è restato a guardare. Così sono nate nuove realtà che si muovono in forza di un’esperienza in cui credono: senza aspettare l’ordine dei vescovi, senza gli abbondanti fondi che la Cei garantisce alle sigle ufficiali, queste realtà costituiscono una presenza nella società incomparabilmente più incisiva delle associazioni targate Cei. E’ il caso dei Giuristi per la Vita o delle sigle che organizzano da tre anni la Marcia per la Vita o la costellazione di siti e blog pronti a fare rete colmando il vuoto creato dall'informazione ufficiale della Cei. E lo si sta vedendo in occasione proprio della battaglia contro la legge sull'omofobia.
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La legge sull’omofobia è liberticida (Contributi 871)

Leggo e propongo da Tempi questo articolo

Fare in fretta: è la parola d’ordine per inserire nell'ordinamento italiano le norme liberticide che vengono presentate come di contrasto alle discriminazioni omofobe. Com'è ormai evidente, queste disposizioni – se approvate – impediranno non già violenze, minacce o ingiurie nei confronti delle persone omosessuali: per queste gli articoli del codice penale ci sono già e sono più che sufficienti.

Precluderanno qualsiasi ragionamento pubblico, forse anche privato, e qualsiasi insegnamento, nei seminari, nei corsi prematrimoniali e in università sul fatto che la sessualità non è una scelta, che è un dato di natura, e che taluni disagi personali ed esistenziali, meritevoli di delicatezza e di umana comprensione, possono essere affrontati con strumenti adeguati, mentre non giova esaltarli ed enfatizzarli come espressione del gender. Dopo una lunga iniziale distrazione, che ha portato alle soglie dell’aula della Camera la proposta di legge unificata Scalfarotto-Brunetta-Fiano (dai nomi dei primi firmatari delle proposte originarie), oggi più d’un parlamentare coglie il rischio all'orizzonte: è messo in discussione il rispetto di diritti fondamentali, da quello di manifestare un’opinione a quello della ricerca scientifica.

Il quadro vede pochissimi deputati impegnati nella missione di spiegare – con interventi ed emendamenti – i torti che deriverebbero dalle nuove norme; altri hanno proposto una “moratoria” sui temi eticamente sensibili, per non aggiungere divisioni a quelle già esistenti. Il tutto con scarso esito, se la risposta è stata proseguire nell'accelerazione. 
È il momento di riunire le forze: poiché i numeri in Parlamento paiono ostili in modo schiacciante, non può esservi remora a spiegare fino in fondo la posta in gioco. 
Domani, dentro e fuori il “palazzo”, nessuno potrà dire: è avvenuto a mia insaputa.
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Sette elementi d’incostituzionalità (Contributi 870)

Leggo e propongo da Tempi questo articolo

La legge anti-omofobia, che alcuni, anche tra i parlamentari cosiddetti cattolici, auspicano sia al più presto approvata dal nostro Parlamento, è una legge inutile, perché i mezzi di tutela nei confronti degli eventuali abusi subiti dalle persone omosessuali sono già ampiamente previsti dal nostro ordinamento giuridico. 
Tale legge, però, oltre a essere inutile, evidenzia un chiaro intento ideologico. Il progetto di legge anti-omofobia, anche dopo l’emendamento che è stato effettuato e che ha espunto i riferimenti all'orientamento sessuale e all'identità di genere, non muta lo scopo sostanziale del provvedimento, che è quello di promuovere una funzione pedagogica e se è il caso rieducativa del popolo italiano, affinché giunga a considerare l’omosessualità un modo come un altro di vivere la sessualità e prenda finalmente atto che non esiste una “normalità”, perché non esiste una “natura umana”. 
Questa legge che non ha alcuna urgenza e gravità sociale tale da essere inserita tra i primi provvedimenti all'esame del nuovo Parlamento, invero, è parte integrante di una strategia, che ha come obiettivo finale l’inserimento, in modo articolato, nell'ordinamento giuridico italiano, del matrimonio tra persone omosessuali e l’estensione, a questi, del diritto di adozione di minori. 
L’approvazione di tale legge, come ho sostenuto qualche tempo fa, è il primo step per giungere a tale fine. Per raggiungere più facilmente tale scopo, i promotori hanno ritenuto di innestare il progetto di legge anti omofobia su una legge speciale già esistente: la cd. “legge Mancino” n. 122/1993, modificativa della legge n. 654/1975, che ha recepito nel nostro ordinamento la Convenzione di New York del 1966 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. 
A tale legge – che prevede forti sanzioni penali di tipo detentivo e accessorio a chi diffonde, incita a commettere, o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e che vieta, tra l’altro, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per i motivi suddetti, – si è pensato di aggiungere altre due “categorie protette”: quelle afferenti all'omofobia e alla transofobia. 
Tali due nuove categorie che si intende inserire nella legge Mancino, oltre che evidenziare un vero e proprio pericolo per la libertà di pensiero e di espressione, pongono, tra l’altro, seri elementi di incostituzionalità della proposta di legge, che di seguito esaminiamo. È utile, inizialmente, chiarire che i termini – omofobia e transfobia – hanno un’accezione incerta e comunque non prevista dal nostro ordinamento giuridico, il cui contenuto sarà determinato e non solo interpretato, dall'applicazione giurisprudenziale, con evidenti rischi di pronunce radicalmente difformi, a causa del significato discrezionale che di volta in volta l’autorità giudiziaria darà a tali termini. 

1. Ciò individua una prima questione di costituzionalità e chiama in causa il principio di tassatività, direttamente collegato all'articolo 25 della Carta costituzionale. Viene, infatti, abbandonato un sistema penale fondato, per senso di realtà e garanzia, su dati oggettivi e diventano penalmente rilevanti, con conseguenze non lievi, viste le sanzioni in discussione, categorie non definite – per l’appunto, omofobia e transfobia –, la cui area di applicazione è ad alto rischio di arbitrarietà. Oltre alla violazione del principio di tassatività per incertezza sull'oggetto effettivamente tutelato, le disposizioni progettate rischiano di violare il principio di tassatività anche sotto il profilo dell’idoneità descrittiva della proposizione normativa. I concetti di omofobia e transfobia non hanno precisione descrittiva e quindi risulta non chiaramente delimitato l’ambito dell’intervento punitivo. 

2. Un’estensione così ampia della fattispecie incriminatrice chiama in causa l’articolo 21 della Costituzione, che tutela la manifestazione libera del proprio pensiero. Potrebbe, infatti, essere incriminato discrezionalmente da un giudice, secondo il dettato di tale legge, anche chi manifestasse l’opinione dell’esistenza in natura di maschio e femmina e della necessità che il diritto positivo sia fondato sul diritto naturale e ciò anche se tale opinione fosse esplicitata nell'assoluto rispetto di tutti, senza tradursi in alcuna condotta denigratoria, o comunque intrinsecamente illecita. 

3. Proprio per i contorni incerti dei termini omofobia e transofobia, analogo richiamo va operato riguardo all'articolo 19 della Costituzione, con riferimento alle confessioni religiose, il cui insegnamento si basa sulla distinzione dei sessi derivante dalla natura. Il testo della legge in esame non impedirebbe in alcun modo, che talune azioni di tipo apostolico e catechistico di promozione della famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio, che ponessero riserve nei confronti delle unioni tra persone omosessuali, rischino di tradursi in quella “propaganda” che è sanzionata dalla combinazione fra le nuove disposizioni e quelle delle leggi 122/1993 e 654/1975. 

4. Un altro contrasto della legge è con l’articolo 18 della Costituzione che consente ai cittadini di associarsi liberamente. Il progetto di legge, invero, prevede alcune misure – sequestro, confisca dei beni, fino a giungere allo scioglimento – nei confronti di quelle associazioni i cui componenti siano condannati dalla nuova normativa. 

5. Il testo, ancora, si pone in evidente contrasto anche con l’articolo 33 della Costituzione, che prevede la libertà di insegnamento. L’abnorme dilatazione delle fattispecie penali – esito delle nuove disposizioni che inseriscono i termini omofobia e transfobia, privi di un contenuto certo – pone a rischio la libertà di ricerca e d’insegnamento. Studi e/o terapie psicologiche, ad esempio, che avessero l’intento di risolvere il disagio di chi fosse orientato verso persone del medesimo sesso, finirebbero certamente per rientrare sotto il cono di attenzione della magistratura. Esistono, infatti, studi seri di psicologia, che insegnano che l’orientamento verso le persone del medesimo sesso è qualcosa da affrontare con equilibrio e delicatezza, sapendo che provoca non poco disagio in chi lo vive; ma, anche, che si tratta di una condizione che può essere positivamente risolta, superando situazioni difficili, come in più di un caso è accaduto. 

6. L’inserimento dell’estensione nella “legge Mancino” dell’omofobia e transfobia, confligge con gli articoli 13 e 3 della Costituzione, nel punto in cui prevede, in aggiunta alla sanzione principale, la sanzione accessoria dell’attività in favore di associazioni di volontariato, comunque con finalità sociali, sotto un duplice profilo: 
a) si tratta di lavoro non retribuito, che dunque si traduce in una ingiustificata limitazione della libertà della persona, posto che interviene quando la pena inflitta è già stata espiata (si segnala in proposito che anche il lavoro prestato negli istituti penitenziari è retribuito); b) quell'attività potrebbe essere imposta anche alle dipendenze di associazioni a tutela delle persone omosessuali, come era nella prima stesura del testo base e come non è in alcun modo escluso dalla nuova versione: questa sorta di contrappasso aggiornato è ulteriormente limitativo, oltre che della libertà fisica, anche di quella di opinione. 

7. L’innesto delle nuove disposizioni avviene formalmente sugli articoli della legge n. 654 del 13 ottobre 1975, a sua volta di ratifica e di esecuzione della convenzione contro le discriminazioni razziali, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966. Le disposizioni contenute in una legge di ratifica devono muoversi lungo i binari dell’atto internazionale sottoscritto, cui si dà applicazione nell'ordinamento nazionale. Come per le leggi di conversione dei decreti legge costituisce orientamento consolidato della Corte Costituzionale il principio di congruità fra le modifiche apportate in sede di conversione rispetto all'oggetto originario del decreto legge, con la conseguenza che norme pur costituzionalmente legittime cadono sotto la censura della Consulta perché extra ordinem rispetto alla stesura iniziale del decreto, e come un decreto legislativo non può discostarsi dai principi e dai criteri indicati nella legge di delega, a pena – anche in tal caso – d’incostituzionalità, alla stessa maniera una legge di ratifica di una convenzione internazionale non può estendere la propria sfera di applicazione verso ambiti non presi in considerazione dal provvedimento concordato fra gli Stati firmatari. Nel caso specifico, oggetto della convenzione è la eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale: si tratta di un tema ben diverso dalla discriminazione su base omofoba o transfoba. Vi è pertanto un evidente conflitto con gli articoli 10 e 11 della Costituzione, essendo violato il principio, insito in tali disposizioni, del corretto recepimento delle convenzioni e dei trattati internazionali attraverso gli strumenti normativi dell’ordinamento interno: è evidente nel caso in esame l’impropria estensione della convenzione di New York a un ambito neanche lontanamente immaginato dai sottoscrittori di quell'atto. 

La proposta di legge anti-omofobia proprio perché s’innesta sulla legge Mancino, risente di tutti i rilievi d’incostituzionalità anzidetti, ed è, dunque, inaccettabile. È, pertanto, da contrastare in modo radicale una sua approvazione, non essendo sufficienti a evitare abusi nella sua applicazione, neppure eventuali emendamenti che prevedano clausole di garanzia, poiché proprio l’indeterminatezza dei termini omofobia e transfobia lascerebbe, comunque, ampia discrezionalità ai giudici di riempire di contenuto e di interpretare tali categorie non definite dal nostro ordinamento giuridico, in modo gravemente lesivo della libertà di pensiero e di espressione, esponendo i “buoni” a un costante e defatigante (e costoso) contenzioso. 
Non bisogna, infine, dimenticare che questa proposta di legge liberticida è la prima tappa di un processo di rieducazione del popolo italiano verso una sessualità liquida che mira a cambiare le basi della convivenza sociale depotenziando la famiglia. 
Papa Francesco, però, intervistato dalla radio diocesana di Rio de Janeiro, ha ricordato a tutti che: «La famiglia è importante, è necessaria per la sopravvivenza dell’umanità. Se non c’è la famiglia, è a rischio la sopravvivenza culturale dell’umanità. La famiglia, ci piaccia o no, è la base».
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lunedì 29 luglio 2013

Andate e fate discepoli tutti i popoli

Omelia della S.Messa per la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro 

Cari fratelli e sorelle, cari giovani! 
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Con queste parole, Gesù si rivolge a ognuno di voi, dicendo: “È stato bello partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù, vivere la fede insieme a giovani provenienti dai quattro angoli della terra, ma ora tu devi andare e trasmettere questa esperienza agli altri”. Gesù ti chiama ad essere discepolo in missione! Oggi, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, che cosa ci dice il Signore? Che cosa ci dice il Signore?Tre parole: Andate, senza paura, per servire. 

1. Andate. In questi giorni, qui a Rio, avete potuto fare la bella esperienza di incontrare Gesù e di incontrarlo assieme, avete sentito la gioia della fede. Ma l'esperienza di questo incontro non può rimanere rinchiusa nella vostra vita o nel piccolo gruppo della parrocchia, del movimento, della vostra comunità. Sarebbe come togliere l'ossigeno a una fiamma che arde. La fede è una fiamma che si fa sempre più viva quanto più si condivide, si trasmette, perché tutti possano conoscere, amare e professare Gesù Cristo che è il Signore della vita e della storia (cfr Rm 10,9). 
Attenzione, però! Gesù non ha detto: se volete, se avete tempo, andate, ma ha detto: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Condividere l’esperienza della fede, testimoniare la fede, annunciare il Vangelo è il mandato che il Signore affida a tutta la Chiesa, anche a te; è un comando, che, però, non nasce dalla volontà di dominio, dalla volontà di potere, ma dalla forza dell’amore, dal fatto che Gesù per primo è venuto in mezzo a noi e non ci ha dato qualcosa di Sé, ma ci ha dato tutto Se stesso, Egli ha dato la sua vita per salvarci e mostrarci l’amore e la misericordia di Dio. Gesù non ci tratta da schiavi, ma da persone libere, da amici, da fratelli; e non solo ci invia, ma ci accompagna, è sempre accanto a noi in questa missione d'amore. 
Dove ci invia Gesù? Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. E’ per tutti. Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore. 
In particolare, vorrei che questo mandato di Cristo: “Andate”, risuonasse in voi giovani della Chiesa in America Latina, impegnati nella missione continentale promossa dai Vescovi. Il Brasile, l’America Latina, il mondo ha bisogno di Cristo! San Paolo dice: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Questo Continente ha ricevuto l’annuncio del Vangelo, che ha segnato il suo cammino e ha portato molto frutto. Ora questo annuncio è affidato anche a voi, perché risuoni con forza rinnovata. La Chiesa ha bisogno di voi, dell'entusiasmo, della creatività e della gioia che vi caratterizzano. Un grande apostolo del Brasile, il Beato José de Anchieta, partì in missione quando aveva soltanto diciannove anni. Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane. Questa è la strada da percorrere da parte di tutti voi! 
2. Senza paura. Qualcuno potrebbe pensare: “Non ho nessuna preparazione speciale, come posso andare e annunciare il Vangelo?”. Caro amico, la tua paura non è molto diversa da quella di Geremia, abbiamo appena ascoltato nelle lettura, quando è stato chiamato da Dio a essere profeta. «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Dio dice anche a voi quello che ha detto a Geremia: «Non avere paura [...], perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,7.8). Lui è con noi! 
“Non avere paura!”. Quando andiamo ad annunciare Cristo, è Lui stesso che ci precede e ci guida. Nell’inviare i suoi discepoli in missione, ha promesso: «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20). E questo è vero anche per noi! Gesù non lascia mai solo nessuno! Ci accompagna sempre. 
Gesù poi non ha detto: “Va’” , ma “Andate”: siamo inviati insieme. Cari giovani, sentite la compagnia dell’intera Chiesa e anche la comunione dei Santi in questa missione. Quando affrontiamo insieme le sfide, allora siamo forti, scopriamo risorse che non sapevamo di avere. Gesù non ha chiamato gli Apostoli perché vivessero isolati, li ha chiamati per formare un gruppo, una comunità. Vorrei rivolgermi anche a voi, cari sacerdoti che concelebrate con me quest'Eucaristia: siete venuti ad accompagnare i vostri giovani, e questo è bello, condividere questa esperienza di fede! Certamente vi ha ringiovanito tutti. Il giovane contagia giovinezza. Ma è solo una tappa del cammino. Per favore, continuate ad accompagnarli con generosità e gioia, aiutateli ad impegnarsi attivamente nella Chiesa; non si sentano mai soli! E qui desidero ringraziare di cuore i gruppi di pastorale giovanile ai movimenti e nuove comunità che accompagnano i giovani nella loro esperienza di essere Chiesa, così creativi e così audaci. Andate avanti e non abbiate paura! 
3. L’ultima parola: per servire. All'inizio del Salmo che abbiamo proclamato ci sono queste parole: «Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 95,1). Qual è questo canto nuovo? Non sono parole, non è una melodia, ma è il canto della vostra vita, è lasciare che la nostra vita si identifichi con quella di Gesù, è avere i suoi sentimenti, i suoi pensieri, le sue azioni. E la vita di Gesù è una vita per gli altri, la vita di Gesù è una vita per gli altri. È una vita di servizio. 
San Paolo, nella Lettura che abbiamo ascoltato poco fa, diceva: «Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (1 Cor 9,19). Per annunciare Gesù, Paolo si è fatto “servo di tutti”. Evangelizzare è testimoniare in prima persona l'amore di Dio, è superare i nostri egoismi, è servire chinandoci a lavare i piedi dei nostri fratelli come ha fatto Gesù. 

Tre parole: Andate, senza paura, per servire
Andate, senza paura, per servire. Seguendo queste tre parole sperimenterete che chi evangelizza è evangelizzato, chi trasmette la gioia della fede, riceve più gioia. Cari giovani, nel ritornare alle vostre case non abbiate paura di essere generosi con Cristo, di testimoniare il suo Vangelo. Nella prima Lettura quando Dio invia il profeta Geremia, gli dona il potere di «sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare» (Ger 1,10). Anche per voi è così. Portare il Vangelo è portare la forza di Dio per sradicare e demolire il male e la violenza; per distruggere e abbattere le barriere dell'egoismo, dell'intolleranza e dell’odio; per edificare un mondo nuovo. Cari giovani: Gesù Cristo conta su di voi! La Chiesa conta su di voi! Il Papa conta su di voi! Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, vi accompagni sempre con la sua tenerezza: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Amen.
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Domenica XVII t.ord."C" 28-lug-2013 (Angelus 146)

Cari fratelli e sorelle,
Al termine di questa Celebrazione eucaristica, con la quale abbiamo innalzato a Dio il nostro canto di lode e di gratitudine per ogni grazia ricevuta durante questa Giornata Mondiale della Gioventù, vorrei ancora ringraziare Monsignor Orani Tempesta e il Cardinale Ryłko per le parole che mi hanno rivolto. Ringrazio anche voi, cari giovani, per tutte le gioie che mi avete dato in questi giorni. Grazie! Porto ciascuno di voi nel mio cuore! Adesso rivolgiamo il nostro sguardo alla Madre celeste, la Vergine Maria. In questi giorni, Gesù vi ha ripetuto con insistenza l’invito ad essere suoi discepoli missionari; avete ascoltato la voce del Buon Pastore che vi ha chiamati per nome e voi avete riconosciuto la voce che vi chiamava (cfr Gv 10,4). Non è forse vero che, in questa voce risuonata nei vostri cuori, avete sentito la tenerezza dell’amore di Dio? Avete provato la bellezza di seguire Cristo, insieme, nella Chiesa? Avete capito di più che il Vangelo è la risposta al desiderio di una vita ancora più piena? (cfr Gv 10,10). Vero?
La Vergine Immacolata intercede per noi in Cielo come una buona madre che custodisce i suoi figli. Maria ci insegni con la sua esistenza che cosa significa essere discepolo missionario. Ogni volta che preghiamo l'Angelus, facciamo memoria dell'evento che ha cambiato per sempre la storia degli uomini. Quando l’angelo Gabriele annunciò a Maria che sarebbe diventata la Madre di Gesù, del Salvatore, lei, anche senza capire il pieno significato di quella chiamata, si è fidata di Dio, ha risposto: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Ma immediatamente dopo che cosa ha fatto? Dopo aver ricevuto la grazia di essere la Madre del Verbo incarnato, non ha tenuto per sé quel regalo; si è sentita responsabile ed è partita, è uscita dalla sua casa ed è andata in fretta ad aiutare la parente Elisabetta, che aveva bisogno di aiuto (cfr Lc 1,38-39); ha compiuto un gesto di amore, di carità e di servizio concreto, portando Gesù che aveva in grembo. E questo gesto l’ha fatto in fretta!
Ecco, cari amici, il nostro modello. Colei che ha ricevuto il dono più prezioso da parte di Dio, come primo gesto di risposta si muove per servire e portare Gesù. Chiediamo alla Madonna che aiuti anche noi a donare la gioia di Cristo ai nostri familiari, ai nostri compagni, ai nostri amici, a tutti. Non abbiate mai paura di essere generosi con Cristo. Ne vale la pena! Uscire e andare con coraggio e generosità, perché ogni uomo e ogni donna possa incontrare il Signore.
Cari giovani, abbiamo un appuntamento nella prossima Giornata Mondiale della Gioventù, nel 2016, a Cracovia, in Polonia. Per l’intercessione materna di Maria, chiediamo la luce dello Spirito Santo sul cammino che ci porterà a questa nuova tappa di gioiosa celebrazione della fede e dell’amore di Cristo
Preghiamo ora insieme…
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Rio de Janeiro 26-lug-2013 (Angelus 145)

Cari fratelli e amici, buongiorno! 
Rendo grazie alla Divina Provvidenza per aver guidato i miei passi fin qui, alla Città di São Sebastião do Rio de Janeiro. Ringrazio di vero cuore Mons. Orani e anche voi per la calorosa accoglienza, con cui manifestate il vostro affetto verso il Successore di Pietro. Vorrei che il mio passaggio per questa città di Rio rinnovasse in tutti l'amore per Cristo e per la Chiesa, la gioia di essere uniti a Lui e di appartenere alla Chiesa e l'impegno di vivere e di testimoniare la fede. 
Una bellissima espressione popolare della fede è la preghiera dell’Angelus [in Brasile, l’Ora di Maria]. E’ una preghiera semplice da recitarsi in tre momenti caratteristici della giornata che segnano il ritmo delle nostre attività quotidiane: al mattino, a mezzogiorno e al tramonto. Ma è una preghiera importante; invito tutti a recitarla con l’Ave Maria. Ci ricorda un evento luminoso che ha trasformato la storia: l’Incarnazione, il Figlio di Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth. 
Oggi la Chiesa celebra i genitori della Vergine Maria, i nonni di Gesù: i santi Gioacchino e Anna. Nella loro casa è venuta al mondo Maria, portando con sé quello straordinario mistero dell'Immacolata Concezione; nella loro casa è cresciuta accompagnata dal loro amore e dalla loro fede; nella loro casa ha imparato ad ascoltare il Signore e a seguire la sua volontà. I santi Gioacchino ed Anna fanno parte di una lunga catena che ha trasmesso la fede e l’amore per Dio, nel calore della famiglia, fino a Maria che ha accolto nel suo grembo il Figlio di Dio e lo ha donato al mondo, lo ha donato a noi. Il valore prezioso della famiglia come luogo privilegiato per trasmettere la fede! Guardando all'ambiante familiare vorrei sottolineare una cosa: oggi, in questa festa dei santi Gioacchino ed Anna in Brasile come in altri Paesi, si celebra la festa dei nonni. Quanto sono importanti nella vita della famiglia per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società! E come è importante l'incontro e il dialogo tra le generazioni, soprattutto all'interno della famiglia. Il Documento di Aparecida ce lo ricorda: «I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l'esperienza e la saggezza della loro vita» (n. 447). Questo rapporto, questo dialogo tra le generazioni è un tesoro da conservare e alimentare! In questa Giornata della Gioventù, i giovani vogliono salutare i nonni. Li salutano con tanto affetto. I nonni. Salutiamo i nonni. Loro, i giovani, salutano i propri nonni con tanto affetto e li ringraziano per la testimonianza di saggezza che ci offrono continuamente. 
Ed ora, in questa Piazza, nelle vie adiacenti, nelle case che vivono con noi questo momento di preghiera, sentiamoci come un’unica grande famiglia e rivolgiamoci a Maria perché custodisca le nostre famiglie, le renda focolari di fede e di amore, in cui si senta la presenza del suo Figlio Gesù. 
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domenica 28 luglio 2013

Padre Aldo Treno 25/7/2013

Cari amici, 
educare è proprio riconoscere la libertà dell’altro accettandone la sfida. 
Per questo è vivere sempre come sospesi, ma sospesi nella certezza che se accogli questa sfida vedrai rifiorire, nei tempi stabiliti da Dio, il figlio che ami e che se ne va di casa. E accogliere la sfida significa essere liberi noi, di fronte a quanto accade con i figli. 
E questo è possibile solo se in noi accade l’esperienza della misericordia divina
Gabriele, né lui né noi sappiamo da dove viene, nè chi sono i suoi genitori. Ci è stato consegnato dal tribunale dei minori quando aveva otto anni. Fino ad allora era vissuto in istituzioni pubbliche, covando dentro e manifestandola a tutti, la grande rabbia e violenza che sembravano strutturali in lui. Dal primo giorno che è arrivato nella casetta di Belen, ha da subito manifestato la sua violenza. Affermava se stesso con il NO a tutto e a tutti, ogni parola che gli si diceva diventava per lui motivo di litigio. Scappava da casa, dormiva sui grossi tronchi degli alberi, mi ha fatto “impazzire” più volte. Insomma, una storia di violenza che evidenziava quanto dice Pavese: “Ogni forma di violenza è frutto dell’assenza di tenerezza”
Un giorno se ne andò via, deciso a non tornare più. Aveva dieci anni. Una donna vide il mio, il nostro dolore, e lo accolse a casa sua. Lui, però ha continuato a frequentare la nostra scuola. Finalmente inizia una vita un po’ differente, in una povera casa, in compagnia di questa donna e di suo figlio della sua stessa età. Però anche lì ne fa di cotte e di crude. Tenta anche di farle del male, entrando di notte nella sua camera. Ma questa signora, ragazza madre, continua a perdonarlo e a soffrire. Tuttavia lui lascia anche questa casa, vivendo in giro per le strade. 
Rimane però fedele alla scuola, dove ottiene risultati brillanti grazie alla sua intelligenza. Vive nelle strade, dormendo di notte in un rudere. Non si lava, è magrissimo. Tutti ci preoccupiamo: è nostro figlio. In queste condizioni, dopo anni che non mi parlava e che mi sfuggiva, un giorno si avvicina a me: “Padre, posso venire a vivere con te, nella tua casa?” Non ci potevo credere! Lo guardai con grande tenerezza e gli risposi: “Sì, figlio mio, tu sai da quanto tempo ti stavo aspettando”. E così l’ho preso con me. 
La prima cosa che mi ha chiesto è la benedizione. Gli ho risposto che avrebbe dormito nella stanza con Don Fortunato, un vecchietto di 78 anni, solo, che già da tempo viveva con me, insieme ad un giovane studente di medicina. Così, da quasi un mese, Gabriele fa parte della mia famiglia, rendendo felici anche i due sacerdoti che abitano con me. 
È la parabola del figlio prodigo che accade oggi. 
Appena gli ho mostrato la camera da letto, a fianco della mia, gli ho detto: “Gabriele, tu hai sempre voluto essere libero, o meglio, fare quello che vuoi. Anche qui sei libero, io non ti controllerò, però sappi che ti voglio un bene dell’anima. Ti faccio solo queste due richieste: 1. Mi dici sempre dove vai; 2. C’è un’ora precisa per alzarti e per andare a letto. Noi mangiamo alle 13 e ceniamo alle 21. Chiedi tutto quello di cui hai bisogno”. 
Una sfida alla sua libertà, coscienti del rischio perché ha 14 anni. E lui l’ha preso sul serio percependo che la libertà del fare ciò che vuole non lo avrebbe portato a nulla, perché la vera libertà è riconoscere un’appartenenza. 
Gabriele sta sempre con noi. “Padre, se vuoi, preparo io la colazione alla mattina, per tutti”. “Padre, nel tempo libero desidero lavorare nella pizzeria”, “Padre, vorrei aiutare Giovanni quando porta con l’ambulanza un ammalato in ospedale”. Si preoccupa della mia salute, mi chiede ciò di cui ho bisogno, mi ha scritto bene su un foglio la dieta ordinatami dal dottore, ecc. Quando si alza, mi chiede la benedizione con le mani giunte e lo stesso prima di andare a dormire. Così lui cammina guardando dove io guardo, mentre io, con la coda dell’occhio, lo aiuto a vivere fino in fondo la sua libertà. Un’esperienza educativa unica, tutta giocata nella sfida alla sua libertà. Ed è bello quando, prima di dormire, riuniti tutti e quattro (io, il vecchietto, Gabriele e Paolo) ci troviamo nel mio piccolo appartamento a dialogare fra noi di tutto e su tutto. Un altro esempio di come la sfida alla libertà sia decisiva nell’educazione della persona. 
Abbiamo una fattoria, dove vivono una decina di uomini eterosessuali ammalati di AIDS. Vengono aiutati da una buona signora nel far da mangiare e in alcune faccende domestiche, ecc. Sono soli. Il sabato celebriamo la Messa insieme mentre il lunedì pranziamo insieme anche con suor Sonia. Si auto gestiscono. Anche per loro la vera sfida è sulla libertà. Una sfida con tutti i rischi che comporta. Trattandoli “da uomini” stanno diventando uomini. Gli errori di un tempo sono finiti. Certo, niente è scontato, e per questo la nostra “presenza” è una Presenza. 
Ed è bello vedere che quando arrivo alla fattoria sono tutti lì ad aspettarmi, aiutandomi in tutto con tanta tenerezza, vedendo le mie difficoltà nel camminare e nel parlare. Educare alla libertà è la grande sfida che la realtà mi offre ogni giorno, cosicché più sono libero io più sono liberi loro. Liberi anche di sbagliare, ma soprattutto liberi di riconoscere che c’è una Misericordia Infinita che ci abbraccia ad ogni istante cosi come siamo. Amici, nelle mie condizioni attuali Dio mi sta chiedendo tutto (il pastore dà la vita per le sue pecorelle). Questa libertà piena di pace che porto nel cuore è come una calamita che mette insieme persone a cui nessuno darebbe una briciola di fiducia. Nella mia impotenza fisica è sbocciata una tale potenza di tenerezza capace di rigenerare ciò che per il mondo è un disgraziato o uno scavezzacollo. 
Amici, come vedete è Gesù che agisce
Fino a ieri ero come un trattore, oggi sono una carriola che cigola, eppure è solo in questa esperienza di debolezza, in cui fisicamente sono un po’ imprigionato, che si manifesta potentemente la Sua grazia. Davvero educare significa ESSERCI: significa che l’altro vede in te la vibrazione dell’ESSERE. Il massimo dell’evidenza di questa vibrazione della Presenza la sperimento guardando i miei due figli idrocefali, Aldo e Mario, che da anni giacciono impotenti nel letto. 
Verso sera faccio fatica perfino a muovere il collo, che mi sembra cementato, la voce mi esce a stento, i passi piccoli e fiacchi, eppure, dentro un’irritabilità terribile, la potenza della misericordia di Dio si rende evidente, commuove me e chi mi sta vicino. 
 Anche nell'umiliazione di sentirmi un pezzo di legno scopro con stupore che su questo stesso legno sbocciano fiori che profumano. Mi affido alle vostre preghiere alla Madonna e abbraccio quanti vivono questi doni di Gesù dicendo “Gesù ti offro”. 
P. Aldo
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giovedì 25 luglio 2013

Omofobia / mons.Negri (Contributi 869)

Da Tempi quest'articolo di mons. Negri, arcivescovo di Ferrara.

«Sulla sana laicità del nostro popolo e della nostra società, incombe un pericolo gravissimo», avverte oggi su Libero l’arcivescovo di Ferrara, Luigi Negri: «Lo stato, per difendere una certa opzione e i suoi sostenitori, specificamente coloro che professano teoricamente l’omosessualità e la praticano nella società, penalizza in maniera gravissima e irreversibile le altre opinioni e le altre opzioni»

LEGGE IDEOLOGICA. La legge sull'omofobia, che sarà discussa in Parlamento, per la prima volta «a più di settant'anni dal fascismo» introduce «un reato di opinione che evoca i tempi torbidi delle ideologie statali che sembravano superati per sempre. Tempi in cui lo Stato, scegliendo posizioni ideologiche, le imponeva» e «sacrificava quelle non coincidenti con la sua». «Il nostro popolo – denuncia Negri – rischia di perdere quella libertà di espressione fondamentale, di scelte, di opzioni, di opinioni e di concezioni della vita che costituiscono il nucleo profondo dell’esperienza laicale». 

SACERDOTI PERSEGUIBILI. Spiega l’arcivescovo di Ferrara: «Chi continuerà a fare riferimento alla grande tradizione eterosessuale dell’occidente che ha trovato nel magistero della chiesa cattolica e nella pratica della vita cristiana in questi secoli una grande e significativa testimonianza, rischia di essere inquisito se esprime pubblicamente le proprie convinzioni». «I sacerdoti e i vescovi che nell'ambito delle celebrazioni liturgiche pubbliche citeranno brani di San Paolo inerenti alla scorrettezza delle posizioni omosessuali, o il Catechismo della Chiesa Cattolica o buona parte della Dottrina Sociale della Chiesa, – avverte – potrebbero essere denunciati alle autorità pubbliche». 

DIFENDERE LA LIBERTÀ. La cristianità italiana, dice Negri, non deve dimenticare «l’insegnamento di Giovanni Paolo II nella “centesimus annus”», e continuare a difendere la propria libertà. Perché «tutte le volte che si lavora per la propria libertà si lavora per la libertà di tutti e tutte le volte che si perde o si vede ridotta la propria libertà, la si perde o la si riduce per tutti». «Negli ultimi tre anni sono stati più di centomila i cristiani massacrati in spregio alla libertà di coscienza nella stragrande maggioranza dei Paesi del mondo». Possibile che la «difesa dell’omosessualità» sia prioritaria rispetto a questo «problema concreto» e alla libertà di coscienza?
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l diavolo agisce nella storia, ma Maria è più forte

Un articolo  di Massimo Introvigne da La Bussola 


Il 24 luglio Papa Francesco, proseguendo il suo viaggio apostolico in Brasile, si è recato in pellegrinaggio al santuario mariano di Nostra Signora Aparecida - il cuore cattolico del Brasile e uno dei luoghi di pellegrinaggio più frequentati del mondo -, accolto da oltre duecentomila persone. Ha poi voluto portare la sua parola di conforto ai malati dell'Ospedale San Francesco d'Assisi. Ad Aparecida ha voluto consacrarsi alla Madonna - ricordando che già si era affidato a Lei subito dopo la sua elezione, a Santa Maria Maggiore - con una formula che è il segno di un pontificato profondamente mariano: «Prostrato ai Tuoi piedi, ti consacro la mia mente, perché pensi sempre all'amore che meriti; ti consacro la mia lingua perché sempre Ti lodi e diffonda la Tua devozione; ti consacro il mio cuore perché, dopo Dio, Ti ami sopra ogni cosa»
Nell'omelia il Papa è tornato, come ha già fatto altre volte, sulla V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, che si tenne ad Aparecida nel 2007, un'esperienza che ha spesso citato come esempio dei contenuti e anche dello stile che vorrebbe imprimere al suo pontificato. In quell'evento, ha detto, «è avvenuto un fatto bellissimo di cui ho potuto rendermi conto di persona: vedere come i Vescovi – che hanno lavorato sul tema dell’incontro con Cristo, il discepolato e la missione – si sentivano incoraggiati, accompagnati e, in un certo senso, ispirati dalle migliaia di pellegrini che venivano ogni giorno ad affidare la loro vita alla Madonna». 
Di Aparecida Francesco ha apprezzato «l'intreccio fra i lavori dei Pastori e la fede semplice dei pellegrini, sotto la protezione materna di Maria». I vescovi non si limitarono a parlare dei fedeli: parlarono con i fedeli, non quelli di qualche commissione pastorale ma il popolo quotidiano dei pellegrinaggi. Un popolo che anzitutto andava a trovare la Madonna. «La Chiesa, quando cerca Cristo bussa sempre alla casa della Madre e chiede: “Mostraci Gesù”. È da Lei che si impara il vero discepolato. Ed ecco perché la Chiesa va in missione sempre sulla scia di Maria». 
Maria «ha amato ed educato Gesù», e oggi il Papa le chiede di educare i giovani della GMG, di aiutare «noi, i Pastori del Popolo di Dio, i genitori e gli educatori, a trasmettere ai nostri giovani i valori che li rendano artefici di una Nazione e di un mondo più giusti, solidali e fraterni». Dividendo come fa molto spesso la sua omelia in tre parti, Papa Francesco ha affermato che la GMG educa i giovani proponendo loro tre «atteggiamenti: mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere da Dio e vivere nella gioia». 
Primo atteggiamento: mantenere la speranza. Partendo da una lettura della Messa, il Papa è tornato a parlare - anche questo è un suo tema ricorrente - del diavolo, evocando «una scena drammatica: una donna – figura di Maria e della Chiesa – viene perseguitata da un Drago - il diavolo - che vuole divorarne il figlio». Eppure «la scena non è di morte, ma di vita, perché Dio interviene e mette in salvo il bambino». Il drago alla fine non può prevalere su Maria. Questa è la lezione per noi: le circostanze storiche, e anche il diavolo, ci mettono di fronte a tante difficoltà, ma «per quanto grandi possano apparire, Dio non lascia mai che ne siamo sommersi». Oggi è normale lo «scoraggiamento che potrebbe esserci nella vita, in chi lavora all'evangelizzazione oppure in chi si sforza di vivere la fede come padre e madre di famiglia». Ma allo scoraggiamento non bisogna cedere. «Non perdiamo mai la speranza! Non spegniamola mai nel nostro cuore! Il “drago”, il male, c’è nella nostra storia, ma non è lui il più forte. Il più forte è Dio, e Dio è la nostra speranza!». Perché spesso lo scoraggiamento prevale? Perché, risponde Francesco, «oggi un po’ tutti, e anche i nostri giovani sentono il fascino di tanti idoli che si mettono al posto di Dio e sembrano dare speranza: il denaro, il successo, il potere, il piacere. Spesso un senso di solitudine e di vuoto si fa strada nel cuore di molti e conduce alla ricerca di compensazioni, di questi idoli passeggeri». Gli adulti qualche volta causano o favoriscono la corsa agli idoli dei giovani, ritenendo che abbiamo «bisogno solo di cose». Ma non è così: «hanno bisogno soprattutto che siano loro proposti quei valori immateriali che sono il cuore spirituale di un popolo, la memoria di un popolo», e che in Brasile si possono «quasi leggere» guardando alla storia e al santuario di Aparecida. 
Secondo atteggiamento: lasciarsi sorprendere da Dio. Che «in mezzo alle difficoltà, Dio agisce e ci sorprende» lo dimostra appunto la storia di Aparecida, che il Pontefice ha voluto rievocare. In breve: «tre pescatori, dopo una giornata a vuoto, senza riuscire a prendere pesci, nelle acque del Rio Parnaíba, trovano qualcosa di inaspettato: un'immagine di Nostra Signora della Concezione», malridotta, ma che rimettono a posto con amore. «Chi avrebbe mai immaginato che il luogo di una pesca infruttuosa sarebbe diventato il luogo in cui tutti i brasiliani possono sentirsi figli di una stessa Madre? Dio sempre stupisce, come il vino nuovo nel Vangelo». Anche oggi Dio continua a stupire, siamo noi che talora abbiamo perso la capacità di stupirci. Ecco allora che da Aparecida Dio «chiede che noi ci lasciamo sorprendere dal suo amore, che accogliamo le sue sorprese»
Terzo atteggiamento: vivere nella gioia. «Il cristiano è gioioso, non è mai triste». Sa che il drago, per quanto potente, è già stato sconfitto, «Il cristiano non può essere pessimista! Non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo. Se siamo davvero innamorati di Cristo e sentiamo quanto ci ama, il nostro cuore si “infiammerà” di una gioia tale che contagerà quanti vivono vicini a noi». Francesco ha reso omaggio a Benedetto XVI, che il 3 maggio 2007 venne a inaugurare la Conferenza di Aparecida, ricordando ai vescovi: «Il discepolo è consapevole che senza Cristo non c'è luce, non c'è speranza, non c'è amore, non c'è futuro». 
Alla fine, decisive sono le parole di Maria, che mostra Gesù e ci chiede: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). «Sì, Madre nostra - risponde Papa Francesco - noi ci impegniamo a fare quello che Gesù ci dirà! E lo faremo con speranza, fiduciosi nelle sorprese di Dio e pieni di gioia». 
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Il più forte è Dio

Dio cammina accanto a voi, in nessun momento vi abbandona! 
Non perdiamo mai la speranza! 
Non spegniamola mai nel nostro cuore! 
Il “drago”, il male, c’è nella nostra storia, ma non è lui il più forte. 
Il più forte è Dio, e Dio è la nostra speranza! 
(Papa Francesco) 

O Maria Santissima, per merito di Nostro Signore Gesù Cristo, nella Tua amata immagine di Aparecida, spargi innumerevoli benefici su tutto il Brasile. 
Io, anche se indegno di far parte dei Tuoi figli e figlie, ma pieno di desiderio di partecipare dei benefici della Tua misericordia, prostrato ai Tuoi piedi, ti consacro la mia mente, perché pensi sempre all’'amore che meriti; ti consacro la mia lingua perché sempre Ti lodi e diffonda la Tua devozione; ti consacro il mio cuore perché, dopo Dio, Ti ami sopra ogni cosa. 
 Accoglimi, o Regina incomparabile, Tu che Cristo Crocifisso ci ha donato per Madre, nel beato numero dei tuoi figli e figlie; accoglimi sotto la tua protezione, soccorrimi in tutte le mie necessità spirituali e temporali, soprattutto nell’'ora della mia morte. 
Benedicimi, o Cooperatrice Celeste, e con tutta la tua potente intercessione, rinfrancami nelle mie debolezze affinché, servendoTi fedelmente in questa vita, io possa lodarTi, amarTi e renderTi grazie in cielo, per l’'eternità. 
E così sia!
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domenica 21 luglio 2013

Domenica XVI t.ord."C" 21-lug-2013 (Angelus 144)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! 
Anche in questa domenica continua la lettura del decimo capitolo dell’evangelista Luca. Il brano di oggi è quello di Marta e Maria. Chi sono queste due donne? Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, sono parenti e fedeli discepole del Signore, che abitavano a Betania. San Luca le descrive in questo modo: Maria, ai piedi di Gesù, «ascoltava la sua parola», mentre Marta era impegnata in molti servizi (cfr Lc 10, 39-40). Entrambe offrono accoglienza al Signore di passaggio, ma lo fanno in modo diverso. Maria si pone ai piedi di Gesù, in ascolto, Marta invece si lascia assorbire dalle cose da preparare, ed è così occupata da rivolgersi a Gesù dicendo: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» (v. 40). E Gesù le risponde rimproverandola con dolcezza: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una … sola c’è bisogno» (v. 41). 
Che cosa vuole dire Gesù? Qual è questa cosa sola di cui abbiamo bisogno? Anzitutto è importante capire che non si tratta della contrapposizione tra due atteggiamenti: l’ascolto della parola del Signore, la contemplazione, e il servizio concreto al prossimo. Non sono due atteggiamenti contrapposti, ma, al contrario, sono due aspetti entrambi essenziali per la nostra vita cristiana; aspetti che non vanno mai separati, ma vissuti in profonda unità e armonia. Ma allora perché Marta riceve il rimprovero, anche se fatto con dolcezza? Perché ha ritenuto essenziale solo quello che stava facendo, era cioè troppo assorbita e preoccupata dalle cose da “fare”. In un cristiano, le opere di servizio e di carità non sono mai staccate dalla fonte principale di ogni nostra azione: cioè l’ascolto della Parola del Signore, lo stare - come Maria - ai piedi di Gesù, nell'atteggiamento del discepolo. E per questo Marta viene rimproverata. 
Anche nella nostra vita cristiana preghiera e azione siano sempre profondamente unite. Una preghiera che non porta all'azione concreta verso il fratello povero, malato, bisognoso di aiuto, il fratello in difficoltà, è una preghiera sterile e incompleta. Ma, allo stesso modo, quando nel servizio ecclesiale si è attenti solo al fare, si dà più peso alle cose, alle funzioni, alle strutture, e ci si dimentica della centralità di Cristo, non si riserva tempo per il dialogo con Lui nella preghiera, si rischia di servire se stessi e non Dio presente nel fratello bisognoso. San Benedetto riassumeva lo stile di vita che indicava ai suoi monaci in due parole: “ora et labora”, prega e opera. E’ dalla contemplazione, da un forte rapporto di amicizia con il Signore che nasce in noi la capacità di vivere e di portare l’amore di Dio, la sua misericordia, la sua tenerezza verso gli altri. E anche il nostro lavoro con il fratello bisognoso, il nostro lavoro di carità nelle opere di misericordia, ci porta al Signore, perché noi vediamo proprio il Signore nel fratello e nella sorella bisognosi. 
Chiediamo alla Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio, che ci insegni a meditare nel nostro cuore la Parola del suo Figlio, a pregare con fedeltà, per essere sempre di più attenti concretamente alle necessità dei fratelli. 

Dopo l'Angelus 
Saluto con affetto tutti i pellegrini presenti: famiglie, parrocchie, associazioni, movimenti e gruppi. In particolare, saluto i fedeli di Firenze, Foggia e Villa Castelli, e i chierichetti di Conselve con i familiari. Io vedo scritto, laggiù: “Buon viaggio!”. Grazie! Grazie! Vi chiedo di accompagnarmi spiritualmente con la preghiera nel Viaggio che compirò a partire da domani. Come sapete, mi recherò a Rio de Janeiro in Brasile, in occasione della 28ª Giornata Mondiale della Gioventù. Ci saranno tanti giovani, laggiù, da tutte le parti del mondo. E penso che questa si possa chiamare la Settimana della Gioventù: ecco, proprio la Settimana della Gioventù! I protagonisti in questa settimana saranno i giovani. Tutti coloro che vengono a Rio vogliono sentire la voce di Gesù, ascoltare Gesù: “Signore, che cosa devo fare della mia vita? Qual è la strada per me?”. Anche voi – non so se ci sono giovani, oggi, qui, in piazza! Ci sono giovani? Ecco: anche voi, giovani che siete in piazza, fate la stessa domanda al Signore: “Signore Gesù, che cosa devo fare della mia vita? Qual è la strada per me?”. Affidiamo all'intercessione della Beata Vergine Maria, tanto amata e venerata in Brasile, queste domande: quella che faranno i giovani laggiù, e questa che farete voi, oggi. E che la Madonna ci aiuti in questa nuova tappa del pellegrinaggio. 
A tutti voi auguro una buona domenica! Buon pranzo. Arrivederci!
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sabato 20 luglio 2013

Se tu mi accechi

Se tu mi accechi, Signore Iddio, ti vedo ancora; 
se mi fai sordo, sento i passi tuoi; 
se mi stronchi le gambe, mi trascino e ti seguo; 
e ti chiamo anche se muto mi rendi; 
se mi spezzi ambo le braccia, posso cingerti sempre col mio cuore; 
e se mi strappi il cuore, i miei pensieri di te s'incendieranno, 
Iddio Signore, come un velo che sfiori un ceppo ardente; 
viva una fiamma balzerà, sgorgando dalle arterie canore del mio sangue.
Rainer Maria Rilke (1875-1926)
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giovedì 18 luglio 2013

Una santa alla porta (Contributi 868)

Dal sito della Fraternità Sacerdotale San Carlo questo articolo-testimonianza di Roberto Amoruso: 

Era il 1979, avevo quindici anni. Non sapevo nulla di Madre Teresa, ma incontrai due delle sue suore a Milano. Cercavano «i più poveri fra i poveri» e questa espressione, che sentivo per la prima volta, mi colpì. Cominciai a chiedermi chi fossero, questi poveri, e dove si trovassero. Il mio compito era solo quello di rimettere in ordine una casa, renderla abitabile per quelle suore, ma ricordo che passai in rassegna, mentalmente, tutti i barboni che conoscevo.
Passarono alcuni anni, entrai in seminario a Roma e iniziai una caritativa alla casa delle suore di Madre Teresa che Giovanni Paolo II aveva voluto proprio in Vaticano. Anche in quell'occasione fui colpito dall'attenzione che queste suore avevano per i bisognosi e per Colui che aveva sete di amore attraverso di loro.
Un giorno, bussando al convento, mi aprì la porta Madre Teresa stessa. Sorpreso, la salutai e parlammo per cinque minuti della vocazione. Così come mi è capitato per don Giussani, sperimentai il fascino immenso dell’incontro con l’origine di un carisma: un dono suscitato dallo Spirito Santo che ripropone una modalità, insieme vecchia e nuova, di essere presente in tante persone. L’incontro può durare cinque minuti o tutta la vita, ma rimane nel cambiamento che opera. L’impressione di quel pomeriggio è ancora vivida oggi: rivedo una donna innamorata di Qualcuno che aveva conquistato il suo cuore, ma che la faceva soffrire sia con la sua assenza sia con la sua presenza.
Andai missionario a Nairobi e anche lì, in una baraccopoli non lontana dalla nostra parrocchia, c’è una casa dove le suore accolgono i bisognosi: malati di Aids, matti, bambini appena nati e lasciati davanti al loro cancello o trovati nella spazzatura ancora vivi. Ci andavo, ogni venerdì, di solito con dei giovani, e ogni volta l’incontro si ripeteva, come un insegnante che decide di accompagnare l’alunno e volergli bene anche attraverso altri studenti.
Madre Teresa mi ha comunicato il profondo desiderio di una Presenza vista e amata nella persona che abbiamo davanti, in qualsiasi condizione si trovi. Mi ha mostrato il significato della povertà e le strade per riconoscere quella materiale e quella spirituale o mentale. Entrando nelle cappelle o chiese dove le suore pregano c’è una scritta, a sinistra del crocifisso: «I thirst», ho sete. Pian piano, guardare Gesù e questa sua frase mi ha educato.
Una delle due suore che avevo incontrato nel ‘79 a Milano, sr. Rio, dopo pochi giorni era partita per il Sudamerica. Sei anni più tardi, venne a stare a Roma per un anno e divenne per me un importante punto di riferimento. Quando ripartì per il Sudamerica, andai all'aeroporto a salutarla e la vidi con il suo sari e la solita borsa blu. Le chiesi dove fosse il resto del bagaglio. Mi rispose che aveva tutto in quella borsa: un altro sari e il breviario. Ci salutammo. Lo stupore e la semplicità di quell'abbandono a Dio mi accompagna ancora oggi.
Più di dieci anni dopo, ero ormai in Africa. Un giorno la superiora della casa mi chiamò e mi fece una sorpresa: sr. Rio era a Nairobi per alcuni giorni, prima di iniziare una nuova missione in Sudan. Le suore si stavano avventurando sulle Nuba Mountains, dove nessuno aveva ancora annunziato il Vangelo.
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martedì 16 luglio 2013

Svuotare lo zainetto (Interventi 176)

Dal Kenya ecco l'intervento di Don Luciano: 

Ho un amico che è la regolarità in persona. Sua moglie lo chiama "abitudinario". Lui preferisce definirsi una "persona strutturata". Magari uno psicologo lo definirebbe un "ossessivo compulsivo" e incolperebbe i suoi genitori di avergli impartito un'educazione rigida. Invece il mio amico non ha niente di strano - ha solo qualche innocente mania. E' uno che per motivi di lavoro viaggia molto, ma anche se arriva a casa alle 2 di mattina e la moglie è a letto, lui deve assolutamente disfare la valigia e mettere le cose al proprio posto. Mi ha detto che il pensiero di una camicia dentro la valigia piuttosto che nell'armadio lo perseguiterebbe per tutta la notte. In passato la moglie ha tentato di iniettargli qualche piccola dose di buon senso, chiedendogli assonnata: - "Caro, perché non la svuoti domattina?" E la sua risposta è stata: - "Perché fino a quando non ho svuotato la valigia non mi sento a casa". 
Lo stesso vale anche per i tuoi figli. Ascolta cosa ti dice Dio nel libro del Deuteronomio, capitolo 11, versetto 18 e seguenti. Si potrebbero intitolare questi versetti: "Come educare i tuoi figli, che sono immersi in una mentalità pagana". Perché questa era la sfida che i genitori ebrei hanno dovuto affrontare quando educavano le prime generazioni di ragazzi nati nella terra di Canaan (la Terra Promessa) - ed è la sfida che anche oggi affrontano ogni Mamma e Papà cristiani. 
Ecco cosa Dio dice: «Porrete dunque nel cuore e nell'anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli». Gliele insegnerete... ho capito, ma come?... dove?... quando? A scuola non lo fanno - e in parrocchia fanno la catechesi per i sacramenti. Allora ascolta come continua Dio: «Le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai; le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, perché i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, nel paese che il Signore ha giurato ai vostri padri di dare loro, siano numerosi come i giorni dei cieli sopra la terra»
Meraviglioso! Dio qui ti ha detto le modalità, i luoghi e i tempi migliori per comunicare i valori importanti ai tuoi figli - i tempi che spendete insieme, quando state andando da qualche parte, alla fine della giornata, all'inizio della giornata, quando tornano a casa, o quando stanno uscendo. E quanto spesso bisogna farlo? Dio dice: «i vostri giorni e i giorni dei vostri figli». Cioè sempre. 
Molto spesso la chiave per educare bene i propri figli in un mondo che respira paganesimo sono i momenti formali (pasti...) e informali che ogni famiglia vive - disfare lo zainetto mentale, spirituale, emotivo con cui tuo figlio o tua figlia arriva a casa ogni giorno. Ogni giorno il ragazzo arriva a casa con nuove esperienze, con dialoghi costruttivi che ha avuto, con frasi devastanti che ha sentito, con nuovi episodi della telenovela che è la vita dei suoi amici e delle loro famiglie, tentazioni, commenti degli insegnanti, confusioni emotive, nuove responsabilità, piccole o grandi ferite. Tuo figlio o tua figlia hanno bisogno, come il mio amico quando ritorna da un viaggio, di svuotare lo zainetto! 
Di solito questo non avviene se si fa un interrogatorio. Avviene durante i momenti nei quali il ragazzo è in qualche modo rilassato. La chiave di tutto è la tua capacità di creare il clima e l'occasione - quell'atmosfera nella quale il ragazzo si sente di condividere il suo mondo, dove non si sente giudicato e condannato per sentimenti o esperienze sbagliate. I nostri figli hanno bisogno di disinfettarsi dalla contaminazione quotidiana - e ti devi lasciarglielo fare. 
E' in questi momenti giornalieri informali che tu come genitore puoi, senza fare prediche, aiutare i tuoi figli a integrare la loro fede con lo sbarramento di paganesimo che devono affrontare ogni giorno. I nostri ragazzi vivono questi giorni, quindi devono parlare della loro GIORNATA, mentre ce l'hanno ancora fresca in mente, prima che venga sepolta e immagazzinata nella loro testa. Non puoi perderti troppi di questi giorni di tuo figlio se vuoi avere un ragazzo stabile in un mondo che oscilla. 
Ricordati che quando tuo figlio o tua figlia tornano a casa dal loro "viaggio" quotidiano, hanno lo zainetto pieno. Prenditi del tempo per aiutarli a svuotarlo! 
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto 
don Luciano 
P.S.: Quanto detto vale per qualsiasi membro della famiglia.
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domenica 14 luglio 2013

Domenica XV t.ord."C" 14-lug-2013 (Angelus 143)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! 
Oggi il nostro appuntamento domenicale dell’Angelus lo viviamo qui a Castel Gandolfo. Saluto gli abitanti di questa bella cittadina! Voglio ringraziarvi soprattutto per le vostre preghiere, e lo stesso faccio con tutti voi pellegrini che siete venuti qui numerosi. 
Il Vangelo di oggi – siamo al capitolo 10 di Luca – è la famosa parabola del buon samaritano. Chi era quest’uomo? Era uno qualunque, che scendeva da Gerusalemme verso Gerico sulla strada che attraversa il deserto della Giudea. Da poco, su quella strada, un uomo era stato assalito dai briganti, derubato, percosso e abbandonato mezzo morto. Prima del samaritano passano un sacerdote e un levita, cioè due persone addette al culto nel Tempio del Signore. Vedono quel poveretto, ma passano oltre senza fermarsi. Invece il samaritano, quando vide quell'uomo, «ne ebbe compassione» (Lc 10,33) dice il Vangelo. Si avvicinò, gli fasciò le ferite, versandovi sopra un po’ di olio e di vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e pagò l’alloggio per lui… Insomma, si prese cura di lui: è l’esempio dell’amore per il prossimo. Ma perché Gesù sceglie un samaritano come protagonista della parabola? Perché i samaritani erano disprezzati dai Giudei, a causa di diverse tradizioni religiose; eppure Gesù fa vedere che il cuore di quel samaritano è buono e generoso e che – a differenza del sacerdote e del levita – lui mette in pratica la volontà di Dio, che vuole la misericordia più che i sacrifici (cfr Mc 12,33). Dio sempre vuole la misericordia e non la condanna verso tutti. Vuole la misericordia del cuore, perché Lui è misericordioso e sa capire bene le nostre miserie, le nostre difficoltà e anche i nostri peccati. Dà a tutti noi questo cuore misericordioso! Il Samaritano fa proprio questo: imita proprio la misericordia di Dio, la misericordia verso chi ha bisogno. 
Un uomo che ha vissuto pienamente questo Vangelo del buon samaritano è il Santo che ricordiamo oggi: san Camillo de Lellis, fondatore dei Ministri degli Infermi, patrono dei malati e degli operatori sanitari. San Camillo morì il 14 luglio 1614: proprio oggi si apre il suo quarto centenario, che culminerà tra un anno. Saluto con grande affetto tutti i figli e le figlie spirituali di san Camillo, che vivono il suo carisma di carità a contatto quotidiano con i malati. Siate come lui buoni samaritani! E anche ai medici, agli infermieri e a coloro che lavorano negli ospedali e nelle case di cura, auguro di essere animati dallo stesso spirito. Affidiamo questa intenzione all'intercessione di Maria Santissima. 
E un’altra intenzione vorrei affidare alla Madonna, insieme a tutti voi. E’ ormai vicina la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. Si vede che ci sono tanti giovani di età, ma tutti siete giovani nel cuore! Io partirò tra otto giorni, ma molti giovani partiranno per il Brasile anche prima. Preghiamo allora per questo grande pellegrinaggio che comincia, perché Nostra Signora de Aparecida, patrona del Brasile, guidi i passi dei partecipanti, e apra i loro cuori ad accogliere la missione che Cristo darà loro. 

Dopo l'Angelus 
Cari fratelli e sorelle, mi unisco in preghiera ai Presuli e ai fedeli della Chiesa in Ucraina radunati nella Cattedrale di Lutsk per la Santa Messa di suffragio, in occasione del 70° anniversario delle stragi di Volinia. Tali atti, provocati dall'ideologia nazionalista nel tragico contesto della IIª Guerra Mondiale, hanno causato decine di migliaia di vittime e hanno ferito la fratellanza di due Popoli, quello polacco e quello ucraino. Affido alla misericordia di Dio le anime delle vittime e, per i loro popoli, chiedo la grazia di una profonda riconciliazione e di un futuro sereno nella speranza e nella sincera collaborazione per la comune edificazione del Regno di Dio. 
Penso anche ai Pastori e ai fedeli partecipanti al pellegrinaggio della Famiglia di Radio Maria a Jasna Góra, Częstochowa. Vi affido alla protezione della Madre di Dio e vi benedico di cuore. 
Saluto con affetto i fedeli della diocesi di Albano! Invoco su di loro la protezione di San Bonaventura, loro patrono, di cui domani la Chiesa celebra la festa. Che sia una bella festa e tanti auguri! Saluto tutti i pellegrini qui presenti: i gruppi parrocchiali, le famiglie, i giovani, specialmente quelli venuti dall’Irlanda; i giovani sordi che stanno vivendo a Roma un incontro internazionale. 
Saluto le Suore di Santa Elisabetta, alle quali auguro un fruttuoso rinnovamento spirituale; le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, con famiglie di diverse nazioni; le Figlie della Divina Carità, impegnate nel Capitolo generale; e le Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice. * A tutti auguro una buona domenica e buon pranzo!
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