Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

lunedì 31 maggio 2010

37 professori di diritto scrivono alla Corte Europea in difesa del crocifisso (Articoli 8)

Riporto dal sito UCCR:

Altre buone notizie per la presenza del crocifisso nelle scuole.
Da Catholic News Agency si apprende che 37 professori di diritto da undici Paesi di tutto il mondo hanno scritto alla Corte europea dei diritti dell’uomo, esortando a ribaltare la sentenza che vietava crocifissi dalle aule italiane. Nelle loro osservazioni hanno affermato che “non ha molto senso tentare di creare un comune denominatore laicista”. La Corte dovrebbe piuttosto “lasciare agli Stati libertà d’azione per strutturare le relazioni Chiesa-Stato in armonia con le rispettive tradizioni, storia e cultura”. Inoltre hanno sottolineato che “il tentativo di esilio dei simboli religiosi dalla pubblica piazza sarebbe avventato, poiche essi e le idee religiose sono parte integrante della tessitura della civiltà europea”.
Ha partecipato alla stesura del documento anche Eric Rassbach, direttore del Becket Fund for Religious Liberty, l’organizzazione non profit che protegge la libera espressione di tutte le tradizioni religiose, il quale ha detto: la sentenza della Corte Europea “è una messa al bando di tutti i simboli religiosi. Anziché annunciare una crociata di Stato contro la religione, la Corte dovrebbe riconoscere che religione e governo possono porsi l’un l’altro in armonioso dialogo”. La grande camera della Corte terrà l’audizione del caso il 30 giugno.
La notizia è apparsa anche sull’agenzia SIR
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domenica 30 maggio 2010

Ancora attacchi al Papa (Interventi 28)

Solo per aiutarci a capire meglio la situazione che stiamo vivendo e da che parte schierarci ecco un breve trafiletto che ci segnala che...:

Richard Dawkins, ateo convinto e militante , insieme a Cristopher Hitchens giornalista stanno progettando un iniziativa giudiziaria al Santo Padre con l'accusa di crimini contro l'umanità.

Non è uno scherzo le la cosa non va presa con leggerezza, anche se ad oggi non hanno i mezzi per poterlo fare non è da escludere che ne avranno, se riescono a dimostrare la sua colpevolezza potrebbe addirittura scattare un mandato di cattura internazionale come hanno fatto con Augusto Pinochet nel 1998, quando l’ex dittatore cileno andò in visita a Londra.
Vi lascio immaginare le conseguenze....
Cerchiamo di fare qualche piccolo fioretto e preghiamo in questi tempi duri.
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Dio aiuti il Papa a convertire i vescovi (Contributi 309)

Riporto dal suo blog l'ultimo articolo di Antonio Socci:

La Chiesa è una cosa troppo importante (e troppo preziosa) per essere lasciata a preti, vescovi e prelati. Ci pensavo partecipando a una recente puntata di “Annozero” dove si parlava degli scandali della pedofilia (del clero) e un vescovo, mandato dalla Cei, ha fatto, poveretto, una figura desolante.

Non ha saputo rispondere alle domande più ovvie, appariva palesemente impreparato quando si trattava di difendere il papa e la Chiesa da accuse ingiuste, e non ha saputo dire parole cristiane a chi è stato vittima di abusi. Eppure gli bastava ripetere sinceramente le cose grandi e umili che ha detto Benedetto XVI.
Ma non voglio colpevolizzare il povero monsignore di Palestrina, fin troppo biasimato in questi giorni dai suoi confratelli che lo hanno mandato allo sbaraglio e che lì, nella fossa dei leoni, ha pensato di cavarsela distribuendo maldestre risate.
Non sono abituati, molti di loro, a esporre la faccia alle cannonate. Hanno vissuto sempre in sacrestia e non hanno mai rischiato qualche sprangata per annunciare Gesù Cristo. Non sanno dare ragioni.
Ma quel che è peggio pochi – fra i prelati – sembrano voler capire quello che il Papa sta dicendo, sta facendo e sta chiedendo. Molti sembrano intenzionati a far finta di nulla. Ignorando questa sua rivoluzione pericolosa per le loro poltrone e le loro ambizioni.
Dunque (lo dico da cattolico, da militante cattolico che è pronto a dare anche la vita per Gesù Cristo e per la Chiesa) non lasciamo la Chiesa nelle mani di una gerarchia oggi largamente inadeguata al momento grande e drammatico che viviamo.
Non è un caso che Benedetto XVI abbia messo la Chiesa nelle mani della Madonna a Fatima e che in un precedente viaggio in Australia abbia chiesto ai laici, al popolo cristiano, di aiutarlo a estirpare dalla Chiesa il cancro marcio della pedofilia del clero e degli abusi sessuali.
Che non sono un dramma a sé, ma sono la punta dell’iceberg di uno smarrimento generale, di un peccato che comprende tante altre cose. Come quell’ “abuso di autorità” e quel “carrierismo” che il Papa ha denunciato il 26 maggio scorso e che storicamente (anche nei nostri tempi) ha caratterizzato notevole parte della gerarchia.


Rivoluzione
E’ una vera rivoluzione quella che Ratzinger sta cercando di fare. Una declericalizzazione che vuole far risplendere la bellezza del volto di Gesù.
Oggi più che mai perciò è necessario aiutare il Papa che quasi ogni giorno tuona, chiedendo ai prelati e ai preti “penitenza e purificazione”, sottolineando la necessità di sradicare il “carrierismo” e ripetendo “la necessità della giustizia” per le vittime che hanno subito violenze da preti.
Si tratta di aiutare il Papa perché nella Curia romana e fra i vescovi non sembra di vedere schiere di penitenti vestiti di sacco con la cenere sulla testa. O almeno disposti a mettere in discussione seriamente se stessi e le proprie “ambizioni”.
Fra le poche eccezioni c’è il cardinale Bagnasco che nella sua prolusione alla Cei di tre giorni fa ha avuto il coraggio di mettere il dito nella piaga.
E ieri (28/5, ndr) , dopo l’ennesimo richiamo del Santo Padre, ha osato affermare che in Italia vi è “la possibilità” che ci siano state coperture anche di qualche vescovo su casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti. “Si tratta – ha detto – di una cosa sbagliata, che va corretta e superata”.
Il linguaggio ovattato e curiale può dar fastidio. Ma la prudenza stessa di questo inedito pronunciamento fa capire quanto forte sia la resistenza a questo umile riconoscimento.
E a questa sacrosanta necessità di fare giustizia. Che, fra l’altro, è il solo atteggiamento che rende poi credibili nel difendere altri preti che magari sono stati calunniati ingiustamente.
Ovviamente adesso si aspettano i fatti. Dovranno essere i vescovi a mostrare cosa significa seguire il papa e a chi si riferisce Bagnasco. Nell’attesa – che ci si augura breve – ci si può cimentare però con i casi già noti. Come quello di Firenze su cui un pronunciamento – e durissimo – della Santa Sede, che ha ridotto allo stato laicale quel personaggio, don Cantini, c’è già.


Scandalo fiorentino
Pronunciamento, arrivato nel 2008, che è anche un pesante giudizio su come ha agito la Curia fiorentina almeno dal 2004.
Eppure non risulta che vi sia mai stato – anche dopo la sentenza di Roma – un umile riconoscimento della propria inadeguatezza (per così dire, con un eufemismo) da parte del cardinale Antonelli che se n’è andato per limiti di età, mentre il vescovo ausiliario Maniago è ancora – incredibilmente – al suo posto.
Non risulta che la Curia di Firenze – le cui gerarchie hanno ripetutamente solidarizzato con se stesse – abbia mai chiesto ufficialmente e solennemente “perdono” alle vittime per quello che hanno subito da un prete.
Vittime che peraltro mostrano una coscienza cristiana commovente: per la loro sconvolgente capacità di perdono e per aver continuato a chiedere provvedimenti seri alla Chiesa come si fa con una madre, senza mai intentare cause civili miliardarie, come è stato fatto in altri Paesi.
Dobbiamo forse sospettare che sia proprio questa loro bontà ad aver provocato la sordità di coloro che dovevano intervenire subito? Si aspettano risposte serie.
Ma ora occorre dar seguito a ciò che Roma ha decretato, chiedendo oltretutto di aver cura materna delle vittime, che invece sembrano ancora essere considerate “nemiche”.
Occorre un grande atto di umiltà. Vorremmo vedere vescovi e cardinali capaci di gesti che la cristianità dei secoli passati sapeva fare (magari anche facendosi da parte: andando a servire in un lebbrosario del Terzo Mondo).
Vorremmo vederli piangere con chi piange, come il Papa a Malta, e inginocchiarsi davanti a coloro che, da bambini, subirono un orrore che portano ancora addosso e che vanno riconosciuti finalmente come il vero volto di Cristo crocifisso e non come nemici.
E’ stato il papa stesso, a Fatima, a dire che le loro sofferenze rappresentano la peggior persecuzione subita dalla Chiesa.


Il Re in ginocchio
Sarebbe bello che questa purificazione penitenziale cominciasse proprio da Firenze, una città di cui Gesù Cristo è stato dichiarato Re, dal Comune, molti secoli fa.
Perché lui, Gesù, il Nazareno, espresse la sua “regalità” proprio così: inginocchiandosi davanti a quei dodici esseri umani che aveva davanti, cioè davanti a ognuno di noi, indegnissimi peccatori. Inginocchiandosi – Lui, il Re dell’universo – davanti a ognuno di noi e lavando a ciascuno i piedi, come – a quel tempo – facevano gli schiavi.
Gesù comandò di essere come il Figlio di Dio “che non è venuto per farsi servire, ma per servire”.
Non è un’esagerazione evocare questo sconvolgente passo del Vangelo perché è stato il Papa stesso, nel discorso del 26 maggio, a citarlo per ribaltare il concetto di “gerarchia” e per rivoluzionare la Chiesa purificandola e rinnovandola.
“Gerarchia”, ha detto il Papa, in genere viene inteso in senso giuridico, come potere e questo – ha detto – è stato “storicamente causato da abusi di autorità e da carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall’essere stesso dell’autorità gerarchica”.
Il suo significato vero sta proprio in quel gesto di Gesù, nel “servire”. Preti, vescovi, cardinali dovrebbero cominciare a concepirsi come “servi”, non come padroni della fede e della Chiesa.
Il Papa e noi, popolo cristiano, li vorremmo finalmente umili, distaccati da ambizioni, soldi e potere.
Capaci di riconoscere i propri errori e di chiedere perdono. Uomini che puntano alla santità – come ha ripetuto il Papa – non a conservare o conquistare una miserabile poltrona, la cui sciocca gloria dura un attimo e poi è divorata dalle tarme.
Come diceva il grande Tommaso Moro: “è già un pessimo affare dare la propria anima per il mondo intero, figurarsi per la Cornovaglia…”
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sabato 29 maggio 2010

Per indicare la strada verso la felicità (Contributi 308)

Un articolo di Marina Corradi da Avvenire:

Educare, cos’è? È suscitare la passione dell’io per ciò che lo circonda: per l’altro, dunque, per il "tu"; per gli uomini, per Dio – dice il Papa. Educare, è un coltivare il desiderio che ci spinge verso il reale. È, in fondo, un contagio di passione per l’uomo. Quella passione, dice il Papa, che dobbiamo risvegliare fra noi.

Nell’Aula del Sinodo Benedetto XVI parla ai vescovi italiani in assemblea generale. Due anni sono passati da quando denunciò la profondità della "emergenza educativa". Oggi la Cei mette al centro della pastorale della Chiesa italiana dei prossimi dieci anni l’educazione. (Come chi, davanti a una casa che sembra instabile, decida di mettere mano alle fondamenta; a ciò che sta sotto, a ciò che viene prima).
E simmetricamente Benedetto, in un discorso che è lezione magistrale e augurio, va alle radici di quella difficoltà opaca, che però chi ha dei figli conosce. Quella strana resistenza a trasmettere ciò che abbiamo di buono, e prima di tutto il senso del vivere; come se qualcosa confusamente ci remasse contro, come se l’anello fra generazioni fosse incrinato. Che cosa è stato, a infrangere una trasmissione, di padre in figlio, antica, così che i padri balbettano, e i figli sembrano spesso incapaci di continuarne la storia? Per Benedetto XVI – ma ci verrebbe da dire per il professor Ratzinger, tale è la lucidità dell’analisi pure in poche righe – le radici di questo male oscuro sono due. Primo, «una falsa idea di autonomia dell’uomo», come di un «io completo in se stesso»; secondo, «la esclusione delle due fonti che da sempre orientano il cammino umano»: natura e Rivelazione. Se la natura non è più creazione di Dio, e la Rivelazione è soltanto figura di un remoto passato, vacillano gli architravi su cui poggia l’Occidente. E non c’è da stupirsi se, in questo humus ereditato, i figli disorientati cercano, senza trovarli, una direzione, e degli argini, come un fiume smarritosi sulla strada del mare.
Ma qui il professor Ratzinger passa la mano al padre: e sollecita a ritrovare la passione dell’educare. A liberare l’io dalla gabbia della fasulla autonomia in cui la modernità l’ha chiuso, e a spingerlo di nuovo al suo destino. Che è altro da sé: è la faccia, per prima, della madre, e poi i mille volti dell’altro, e quel Dio che sta dietro quei volti, e domanda di essere liberamente riconosciuto. E no, «non è una didattica, o una tecnica», educare: è abitare famiglie, scuole, parrocchie dove si incontrino facce credibili nell’annunciare che c’è un destino per ognuno, ed è buono.
Poi, la lezione di Benedetto si fa ancora più audace. Torniamo, dice, «a proporre ai figli la misura alta e trascendente della vita, intesa come vocazione».
Vocazione al matrimonio come al sacerdozio; "vocazione", comunque, a significare che la vita è risposta a una chiamata, è adesione a un disegno non nostro. E certo, questa è l’antica visione della Chiesa; ma provate, oggi, in un crocchio di ragazzi fuori da una scuola, ad affermare che la vita non è «autorealizzazione» ma vocazione, adesione al disegno di Dio su ciascuno. Tanti vi guarderebbero come dei poveri folli; perché, cresciuti nella idea dell’uomo «come un io completo in se stesso», sono magari generosi, entusiasti, altruisti; e però in un espandersi, comunque, di un io che si concepisce come origine e orizzonte di ogni gesto. Poche cose sono lontane da noi, gente del terzo millennio, come la parola "vocazione"; come l’idea che la felicità possa essere nell’adesione ai piani di un Altro.
Eppure, non è forse proprio questo il nodo più profondo della opaca fatica di educare? Siamo "nostri", o apparteniamo a un Padre? Siamo monadi proprietarie di sé, o figli, e fratelli, chiamati insieme a un destino? La sfida accolta dalla Chiesa italiana nel mettere davanti a tutto, per dieci anni, l’educazione, è grande. A questa Chiesa il Papa indica un orizzonte radicale. Educare cristianamente è testimoniare ai figli, nella dittatura dell’io, nel trionfo orgoglioso dell’umana scienza e potenza: bambino, tu sei di Dio, e quella felicità che fin dai primi passi insegui e cerchi – come a tentoni, ostinatamente – abita, davvero, solo in Lui.
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Il papa alla CEI. Che cosa ha aggiunto di suo e che cosa ha omesso (Articoli 7)

dal blog di Sandro Magister:

La mattina di giovedì 27 maggio, incontrando in Vaticano nell’aula del sinodo gli oltre duecento vescovi italiani riuniti in assemblea generale, Benedetto XVI, arrivato a parlare della “emergenza educativa” quale tema centrale del programma della CEI dei prossimi dieci anni, ha interrotto la lettura del suo discorso, ha girato il foglio, sul cui retro aveva scritto a mano degli appunti, e così ha proseguito a braccio:

*
Mi sembra necessario andare fino alle radici profonde di questa emergenza per trovare anche le risposte adeguate a questa sfida. Io ne vedo soprattutto due.
Una radice essenziale consiste – mi sembra – in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo.
In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’”io” diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’”io” a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo “tu” e “noi” nel quale si apre l’”io” a se stesso.
Quindi un primo punto mi sembra questo: superare questa falsa idea di autonomia dell’uomo, come un “io” completo in se stesso, mentre diventa “io” anche nell’incontro collettivo con il “tu” e con il “noi”.

L’altra radice dell’emergenza educativa io la vedo nello scetticismo e nel relativismo o, con parole più semplici e chiare, nell’esclusione delle due fonti che orientano il cammino umano. La prima fonte dovrebbe essere la natura, e la seconda la Rivelazione.
Ma la natura viene considerata oggi come una cosa puramente meccanica, quindi che non contiene in sé alcun imperativo morale, alcun orientamento valoriale: è una cosa puramente meccanica, e quindi non viene alcun orientamento dall’essere stesso. La Rivelazione viene considerata o come un momento dello sviluppo storico, quindi relativo come tutto lo sviluppo storico e culturale, o – si dice – forse c’è rivelazione, ma non comprende contenuti, solo motivazioni. E se tacciono queste due fonti, la natura e la Rivelazione, anche la terza fonte, la storia, non parla più, perché anche la storia diventa solo un agglomerato di decisioni culturali, occasionali, arbitrarie, che non valgono per il presente e per il futuro.
Fondamentale è quindi ritrovare un concetto vero della natura come creazione di Dio che parla a noi; il Creatore, tramite il libro della creazione, parla a noi e ci mostra i valori veri. E poi così anche ritrovare la Rivelazione: riconoscere che il libro della creazione, nel quale Dio ci dà gli orientamenti fondamentali, è decifrato nella Rivelazione, è applicato e fatto proprio nella storia culturale e religiosa, non senza errori, ma in una maniera sostanzialmente valida, sempre di nuovo da sviluppare e da purificare. Così, in questo “concerto” – per così dire – tra creazione decifrata nella Rivelazione, concretizzata nella storia culturale che sempre va avanti e nella quale noi ritroviamo sempre più il linguaggio di Dio, si aprono anche le indicazioni per un’educazione che non è imposizione, ma realmente apertura dell’”io” al “tu”, al “noi” e al “Tu” di Dio.

*
Detto questo, Benedetto XVI ha ripreso la lettura del discorso, con piccole aggiunte qua e là in cui di nuovo ha sottolineato sia la “passione dell’io per il tu, per il noi, per Dio”, sia il “linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione”.
La trascrizione integrale del discorso effettivamente tenuto dal papa è ora nel sito del Vaticano.
Mentre questo è il brano che Benedetto XVI ha omesso di leggere, quando ha parlato a braccio:

“La domanda educativa esige di farsi carico delle nuove generazioni con un’opera di testimonianza unitaria, integrale e sinergica, che aiuti a pensare, a proporre e a vivere la verità, la bellezza e la bontà dell’esperienza cristiana. Non viene certo dallo Spirito Santo la tentazione che, a volte, induce genitori, insegnanti, catechisti e sacerdoti ad affievolire l’impegno educativo. Sono i momenti in cui sembrano prevalere la stanchezza, il senso di inadeguatezza e di inefficacia, l’affanno di fronte a ritmi di vita sempre più incalzanti. Un simile contesto culturale mette spesso in dubbio anche la dignità della persona, la bontà della vita, il significato stesso della verità e del bene. In effetti, quando al di là dell’individuo nulla è riconosciuto come definitivo, il criterio ultimo di giudizio diventa l’io e la soddisfazione dei suoi bisogni immediati. Si fa, allora, ardua e improbabile la proposta alle nuove generazioni del “pane” della verità, per il quale valga la pena spendere la vita, accettando, quando necessario, il rigore della disciplina e la fatica dell’impegno”.


In una immaginaria partita tra le cose dette e le cose omesse è fin troppo chiaro che stravincono le prime.
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venerdì 28 maggio 2010

Sull'orgoglio di essere sacerdoti (Interventi 27)

ovvero ciò che conta sono i testimoni

Volevo rendere pubblici i commenti che mi sono pervenuti per la testimonianza del sacerdote missionario in Angola:

in primo luogo Fiorella che dice:
Anch'io penso che i sacerdoti siano un dono prezioso del cuore di Cristo... Li stimo, li amo, li  desidero santi... E guardo a chi onora la veste talare, a chi fa vedere Gesù', a chi soffre in silenzio per essere fedele alla sua chiamata, così' facendo mi ricordo solo dei peccatori quando prego,per raccomandarli alla Misericordia di Dio...

Marina invece dice:
E' riasaputo che il male fa più notizia del bene! Probabilmente fa più comodo mettere in luce gli errori di tanti religiosi piuttosto che far conoscere l'opera di chi dedica tutta la sua vita a servire il Signore. Io credo che si stia cercando in tutti i modi di giustificare un certo tipo di mentalità che mira a rinnegare l'insegnamento del Vangelo: della serie se anche i preti sbagliano così gravemente, a maggior ragione possiamo sbagliare noi...ma ci si dimentica di una cosa essenziale: il rapporto con il Signore è PERSONALE ed ognuno di noi sarà chiamato davanti a Dio a rispondere del proprio vissuto. In ogni modo è giusto fare del tutto per mettere in luce l'opera di sacerdoti come Martín Lasarte, e credo che ce ne siano tantissimi. Ringraziamo e lodiamo il Signore per questo!!!

infine Maria ha scritto:
A quello che ha scritto Marina, aggiungo solo questo: credo che il punto non sia semplicemente quello del "I preti sbagliano, possiamo anche noi", che in un certo modo, significherebbe comunque, ancora, un dover "guardare" almeno a quello che "predicano".

Ma che sia anche (e ben peggiore), un motto de "I preti sbagliano, quindi, che li seguite a fare? Fate come vi pare senza sforzarvi"!
La dissoluzione della Verità... un tentativo (subdolo), per evitare che qualcuno agisca (almeno) secondo il dettato di Gesù "Fate quello che dicono, non fate quello che fanno".
Nel senso che, fintanto che comunque rimane in piedi il rispetto per l'istituzione, un minimo di sforzo nella gente permane, ma se viene distrutta anche quella, insieme all'azione "negativa" di alcuni preti, viene meno anche quello che di buono predicano o dovrebbero predicare (ovvio, incoerentemente quando poi coi fatti dimostrano altro).
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Personalmente penso che sia in atto una grossa battaglia contro la Chiesa e la fede in Cristo. Una volontà cattiva che vuole imporre come unico criterio dell'agire il proprio personale io. Un voler delegittimare tutto ciò che è connesso a Cristo. Per questo ritengo utili ed importanti testimonianze come quella presentata.
L'umanità di oggi ha bisogno di uomini (sacerdoti e laici) e donne (consacrate o meno) che vivano con passione la loro fede e la sappiano testimoniare in modo affascinante.
Malgrado tutto il peso della distrazione che possa affliggere una persona, questa è comunque sempre attratta dal vero e dal bello.
Ringrazio per gli interventi che mi aiutano ad essere più vero e attento, e mi affido alle preghiere di tutti voi.

mercoledì 26 maggio 2010

Una piccola luce, invincibile (Contributi 307)

Propongo l'ultimo editoriale di SamizdatOn Line:

Cent'anni fa lo scritore russo Soloviev, nel suo Racconto dell'Anticristo, poneva nel tempo della fine del mondo la riunione tra Ortodossi e Cattolici. E' proprio un ortodosso a fare la confessione che tutti accomuna davanti all'Imperatore, l'Anticristo stesso:

Allora simile a un cero candido si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: «Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità." (Soloviev, Racconto dell'Anticristo)
Probabilmente non siamo all'Apocalisse. Però, dopo mille anni di separazione, dopo i tempi della persecuzione comunista che vide imprigionati e morire fianco a fianco i membri di una e dell'altra confessione sembrano inaspettatamente arrivati tempi migliori. E se non è ancora la sospirata unità, qualcosa al termine di questa lunghissima notte comincia ad apparire. SamizdatOnLine

UNA PICCOLA LUCE INVINCIBILE (ovvero pace tra i capponi di Renzo?!)
I Il led della batteria di alcuni netbook è incredibile. Per quanto sia piccolina, la sua luce azzurra è straordinaria. Quando la stanza è al buio sembra che vi sia un sole azzurro. Così piccola e così potente! Così è la luce della speranza. La sua forza la vediamo solo quando le tenebre paiono vincere definitivamente. Allora essa si mostra e le vince.


Non va sottovalutato come piccola luce di speranza un indirizzo di saluto al Pontefice fatto dal Metropolita Hilarion di Volokolamsk in occasione del concerto che c'è stato in Vaticano, offerto dal Patriarca Kirill al Papa. Perché sono importanti le parole di Hilarion ?

Perché esse, al di là del loro contenuto esplicito, dicono anche “altro”; e lo dicono in una maniera che non si udiva ormai da molti anni, nei quali i rapporti tra il Patriarcato di Mosca e il Vaticano avevano raggiunto dei minimi storici. Lo stesso dialogo ecumenico si era interrotto bruscamente e solo negli ultimi tempi era ripartito.


Cosa è questo "altro" che si è sentito? La presa di coscienza russa che l’attacco scristianizzante al quale è sottoposto l’occidente è qualcosa che riguarda tutti i cristiani e non è solo la prova di un fantomatico “fallimento” degli “eretici” cattolici. Si capisce che l’attacco alla Chiesa di Roma non è “colpa sua”, ma è un attacco che va al cuore dello stesso cristianesimo e che coinvolge tutti.

Dice Hilarion:
"Personalmente sono convinto che noi ortodossi e cattolici, per agire comunemente, non dobbiamo aspettare il momento in cui spariranno tutte le differenze teologiche tra noi; non possiamo infatti illuderci che questo avverrà presto. Tuttavia, anche prima che questo avvenga, dobbiamo già agire non come concorrenti ma come alleati, soprattutto nella nostra Europa. Santità, noi sosteniamo appieno il suo appello alla rievangelizzazione del nostro continente. Riteniamo però che nessuna Chiesa, neanche una Chiesa così numerosa e forte come la Chiesa cattolica, possa fare questo da sola. Dobbiamo essere insieme. Abbiamo uno stesso campo di missione: l’Europa scristianizzata di oggi, che ha perso le sue radici religiose, morali, culturali. Davanti al secolarismo, al consumismo, al relativismo morale, solo insieme noi ortodossi e cattolici possiamo trovare le forze per riproporre ai nostri contemporanei, con la nostra stessa vita, il nostro umanesimo cristiano, i valori morali della famiglia, della fedeltà coniugale, il valore della vita dal suo concepimento alla sua fine naturale, e tutti gli altri. Così facendo, non soltanto aiuteremo gli europei a trovare un contenuto spirituale e un cardine morale per la propria vita individuale, ma aiuteremo il nostro continente, che attraversa una serissima crisi di identità, a riscoprire le proprie radici spirituali e culturali."


Queste parole sono state certamente possibili grazie all’elezione del nuovo Patriarca, Kirill. Quando fu eletto, tra le persone "dentro" le questioni ecumeniche con gli Ortodossi, si era diffuso un cauto ma fermo ottimismo. Tra tutti i "patriarcabili" Kirill era quello più vicino a posizioni di dialogo con la Chiesa Cattolica. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli ha fatto il suo dottorato al Pontificio Istituto Orientale a Roma, conosce da vicino i cattolici. È un momento bello, questo, in cui alla testa delle Chiese più importanti in Europa ci sono persone che parlano di Cristo sulla stessa frequenza. Non è un caso, quindi, che sia stata una Chiesa così profondamente radicata nell'interiorità e nutrita ininterrottamente dalle sue radici liturgiche e monastiche come quella Ortodossa a capire ed entrare in profonda sintonia con il programma di vera riforma del cristianesimo e di rievangelizzazione, portato avanti da Benedetto XVI: programma che si basa non su chissà quali strategie studiate in qualche “master in pastorale”, ma sulla conversione personale, preghiera e penitenza.
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martedì 25 maggio 2010

Mi sento felice e orgoglioso della mia vocazione sacerdotale (Contributi 306)

Lettera al New York Times di un missionario dall'Angola

di Nieves San Martín


LUANDA, maggio 2010 (ZENIT.org).
“Sono un semplice sacerdote cattolico. Mi sento felice e orgoglioso della mia vocazione. Vivo da vent'anni in Angola come missionario”. Inizia così una lettera che il missionario salesiano uruguayano Martín Lasarte ha inviato al New York Times senza ottenere risposta.
Nel testo, spiega l'opera silenziosa a favore dei più sfortunati svolta dalla maggior parte dei sacerdoti della Chiesa cattolica, che però “non fa notizia”.
Nella lettera, che ha girato a ZENIT, padre Lasarte esprime i suoi sentimenti di fronte all'ondata mediatica sollevata dagli abusi di alcuni sacerdoti, mentre sorprende lo scarso interesse che suscita nei media il lavoro quotidiano di migliaia e migliaia di presbiteri.
“Mi provoca un grande dolore il fatto che persone che dovrebbero essere segni dell'amore di Dio siano stati un pugnale nella vita di persone innocenti. Non ci sono parole che possano giustificare atti di questo tipo. La Chiesa non può che stare dalla parte dei deboli, dei più indifesi. Tutte le misure prese per la protezione della dignità dei bambini, quindi, saranno sempre una priorità assoluta”, afferma nella sua lettera.
Ad ogni modo, aggiunge, “è curioso constatare quanto poco facciano notizia e il disinteresse per migliaia e migliaia di sacerdoti che si consumano per milioni di bambini, per gli adolescenti e i più sfortunati nei quattro angoli del mondo”.
“Penso che al vostro mezzo informativo non interessi il fatto che io abbia dovuto trasportare su percorsi minati nel 2002 molti bambini denutriti da Cangumbe a Lwena (Angola), perché il Governo non si rendeva disponibile e le ONG non erano autorizzate; che abbia dovuto seppellire decine di piccole vittime tra gli sfollati della guerra e i ritornati; che abbiamo salvato la vita a migliaia di persone a Moxico con l'unico posto medico in 90.000 chilometri quadrati, o che abbia distribuito alimenti e sementi; o che in questi 10 anni abbiamo dato un'opportunità di istruzione e scuole a più di 110.000 bambini”, sottolinea.
Non interessa che con altri sacerdoti abbiamo dovuto far fronte alla crisi umanitaria di circa 15.000 persone negli alloggi della guerriglia, dopo la loro resa, perché gli alimenti del Governo e dell'ONU non arrivavano”, aggiunge.
Il sacerdote cita poi una serie di azioni compiute da suoi compagni, spesso rischiando la vita, che vengono ignorate dai media.
Non fa notizia che un sacerdote di 75 anni, padre Roberto, di notte percorra le vie di Luanda curando i bambini di strada, portandoli in una casa di accoglienza perché si disintossichino dalla benzina, che alfabetizzi centinaia di detenuti; che altri sacerdoti, come padre Stefano, abbiano case in cui i bambini picchiati, maltrattati e violentati cercano un rifugio, e nemmeno che fr. Maiato, con i suoi 80 anni, vada casa per casa per confortare i malati e i disperati”.
“Non fa notizia che più di 60.000 dei 400.000 sacerdoti e religiosi abbiano abbandonato la propria terra e la propria famiglia per servire i fratelli in lebbrosari, ospedali, campi di rifugiati, orfanotrofi per bambini accusati di stregoneria o orfani di genitori morti di Aids, in scuole per i più poveri, in centri di formazione professionale, in centri di assistenza ai sieropositivi... e soprattutto in parrocchie e missioni, motivando la gente a vivere e amare”.
Non fa notizia che il mio amico padre Marcos Aurelio, per salvare alcuni giovani durante la guerra in Angola, li abbia portati da Kalulo a Dondo e tornando alla sua missione sia stato ucciso a colpi di mitragliatrice; che fr. Francisco e cinque catechiste siano morti in un incidente mentre andavano ad aiutare nelle zone rurali più sperdute; che decine di missionari in Angola siano morte per mancanza di assistenza sanitaria, per una semplice malaria; che altri siano saltati in aria a causa di una mina, mentre facevano visita alla loro gente – prosegue padre Lasarte –.
Nel cimitero di Kalulo ci sono le tombe dei primi sacerdoti che giunsero nella regione... Nessuno aveva più di 40 anni”.
“Non fa notizia accompagnare la vita di un sacerdote ‘normale’ nella sua quotidianità, nelle sue difficoltà e nelle sue gioie, mentre consuma senza rumore la sua vita a favore della comunità che serve”.
La verità è che non cerchiamo di fare notizia, ma semplicemente di portare la Buona Novella, quella notizia iniziata senza rumore la notte di Pasqua. Fa più rumore un albero che cade che un bosco che cresce”, sottolinea.
“Non pretendo di fare un'apologia della Chiesa e dei sacerdoti – aggiunge padre Lasarte –. Il sacerdote non è né un eroe né un nevrotico. E' un semplice uomo, che con la sua umanità cerca di seguire Gesù e di servire i fratelli. Ci sono miserie, povertà e fragilità come in ogni essere umano; e anche bellezza e bontà come in ogni creatura...”.
Insistere in modo ossessivo e persecutorio su un tema perdendo la visione d'insieme crea davvero caricature offensive del sacerdozio cattolico in cui mi sento oltraggiato”, afferma.
“Amico giornalista, le chiedo solo di cercare la Verità, il Bene e la Bellezza. Ciò la renderà nobile nella sua professione”, conclude.


[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]
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Il compito (Post 91)

Ho dato il via da un paio di giorni ad un gruppo su Facebook collegato direttamente a questo blog.
Lo scopo è sia farlo conoscere e anche avere più contributi e commenti.
Come si può vedere la parte predominante dei post sul blog (circa due terzi) è data da articoli e interventi non del sottoscritto ma di terzi. Questo sia perchè sono consapevole dei miei limiti che per portare a conoscenza di altri testi che mi hanno colpito ad aiutato.
Ho invitato a questo gruppo quasi tutti i miei contatti di FB (ho escluso solo quelli che non sono italiani per motivi linguistici) e per ora hanno aderito poco meno di un terzo.
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Ho iniziato il lavoro per questo blog per me stesso, per "obbligarmi" a essere attento ai segni e alle testimonianze di vita e pensiero cristiani che si trovano in giro.
E' cresciuta quindi in me la coscienza e la consapevolezza che la nostra società è quanto mai anti-cristiana, ho usato più di una volta il termine cristofobica, e che il pensiero cristiano è spesso impopolare anche fra chi si definisce cattolico.
Il compito che mi sono prefisso (ma che in realtà è di ogni cattolico, di ogni battezzato) è di testimoniare (o più spesso far parlare i testimoni) il pensiero cristiano sulla realtà.
Il compito è di ricordare sempre che solo e soltanto seguendo Cristo si trova salvezza, solo pregando si diventa uomini, solo chiedendo il suo sguardo sull'uomo non si costruiscono società che vorrebbero portare alla felicità ma conducono invece alla disperazione.
Se anche solo una persona grazie a un qualcosa che casualmente ha letto su questo piccolo lavoretto artigianale ha trovato spunto per ripensare alla sua esistenza e a modificarla in senso cristiano, il mio impegno ha avuto un senso.
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lunedì 24 maggio 2010

Chiamiamola "genomica", ma per una vera cellula ci vuol ben altro... (Contributi 305)

Riprendo il tema del post precedente con questa articolo tratta da Il Sussidiario per aiutarci a capire meglio i termini della questione. Non si è ancora riusciti a produrre la vita, nè mai,a parere del sottoscritto, ci si riuscirà, questa è prerogativa esclusiva di Dio.

Ci vuol altro per inneggiare alla vita artificiale: «Si può solo parlare di "genomica artificiale", nel senso che, con un impressionante dispiego di mezzi e fondi, è stato risintetizzato chimicamente un intero genoma». Questa la reazione di chi si occupa quotidianamente di biochimica alla notizia, rimbalzata venerdì scorso su tutti i media con titoli del tipo: “Ecco l’inizio della vita artificiale: costruita la prima cellula sintetica”. Il fatto è che di singoli geni sintetici si avvalgono spesso anche i ricercatori che operano in laboratori ben più modesti di quelli guidati da Craig Venter. Cosa significa allora la cellula sintetica annunciata dallo scienziato -imprenditore americano?
Dal punto di vista tecnico è stato sostituito il DNA del microrganismo Mycoplasma mycoides con un DNA completamente “costruito” in laboratorio. Una costruzione, altamente dispendiosa in termini economici e di tempo, ma che viene già fatta da tempo da aziende specializzate nel settore della produzione di geni artificiali.
Come sottolinea Giorgio Dieci, biochimico dell’Università di Pavia, «Il genoma sintetico non è nuovo concettualmente: è nuova solo la scala (miliardaria) dell'operazione. Si tratta solo di una applicazione su vastissima scala di ciò che già avviene in tantissimi laboratori al mondo grazie alla tecnologia creata da Frederick Sanger diversi anni fa: nessuno si stupisce di questo, è routine”.
Vero è che l’enfasi con la quale la notizia è stata diffusa, almeno inizialmente, può facilmente indurre nell’errore di pensare che la cellula creata da Venter sia totalmente artificiale. Ciò che la stampa non ha enfatizzato è che la cellula ricevente non è stata progettata in laboratorio, ma era una preesistente cellula naturale. Si è così creata un’immagine meccanicistica, che vede Venter mettere insieme pezzo per pezzo i componenti della cellula sino ad ottenerne una uguale identica a quelle “naturali”.
La realtà è completamente diversa. Come ci spiega il professor Dieci: «Una cella sintetica dovrebbe essere una cellula assemblata a partire da tutti i suoi componenti (tutti i suoi lipidi, metaboliti, proteine, acidi nucleici, ioni, polisaccaridi, acqua ecc.). Uso il condizionale perché questo obiettivo è lontanissimo anche per coloro che ci lavorano da sempre. Quella usata dagli uomini di Venter è una cellula fatta e finita, non costruita da loro, a cui hanno fatto un trapianto totale di DNA».
Il concetto fondamentale da avere ben chiaro è che ogni cellula esistente in questo mondo nasce da un'altra cellula: lo stampo per ogni nuova cellula è la cellula madre, da cui deriva nella sua integralità. Nessuno mai è riuscito a costruire ex novo una cellula solo a partire dal suo DNA.
Come sottolinea Paolo Tortora, biochimico dell’Università Bicocca di Milano, «tutte le componenti della cellula interagiscono tra di loro in modo estremamente sottile e sofisticato. A tutt’oggi noi comprendiamo ben poco di tale rete di interazioni, che è in ultima analisi uno degli aspetti essenziali della vita, anche nelle forme più elementari. Non basterebbe quindi sintetizzare tutte le componenti chimiche citate per produrre una cellula, ma bisognerebbe assemblarle in modo tale che potessero interagire nel modo appropriato. E così, di pari passo che le nostre conoscenze sui sistemi biologici progrediscono, è come se l’aspetto essenziale del fenomeno vita arretrasse di pari passo, restando a tutt’oggi inafferrabile».

Ci vuol altro quindi per parlare di creazione e per consacrare il lavoro di Venter come spartiacque nella definizione del concetto di vita. Non siamo quindi di fronte a una pietra miliare della storia della biologia: scoperte di molto minore risonanza mediatica l'hanno cambiata molto più profondamente. Qui, a rigore, non si dovrebbe neppure scomodare l’espressione “scoperta scientifica”: si è trattato del successo di un poderoso progetto tecnoscientifico, raggiunto dalla Synthetic Genomics grazie all’impiego massiccio di potenti computer e strumentazione di elevate prestazioni.
Siamo però a una tappa importante in ambito biotecnologico, soprattutto per le applicazioni che si prospettano; anche se su tempi molto lunghi e con tante altri traguardi da superare.
Venter - con la sua abilità di business man che sa inserirsi nei trend più gettonati - ha dichiarato che la sua nuova tecnologia potrà portare a progettare batteri salva ambiente da utilizzare come fabbriche viventi di biocarburanti o per liberare acque e terreni da sostanze inquinanti (a proposito, la Synthetic Genomics ha già siglato accordi con la BP, quella del petrolio nel Golfo del Messico), o realizzare alghe che assorbono anidride carbonica.
In realtà l’esperimento di Venter rappresenta un progresso importante in termini di potenzialità applicative. Come ricorda Tortora, «già da tempo si modifica il genoma di microrganismi secondo un progetto predeterminato, portandoli a produrre molecole di vario tipo o a modificarne di altre presenti nell’ambiente. Si producono così antibiotici, proteine terapeutiche, biocarburanti; oppure si creano microrganismi capaci di degradare composti inquinanti». La performance di Venter pone dunque le basi per un potenziamento sempre più grande di queste applicazioni biotecnologiche esistenti e già in atto in molti laboratori.
Tuttavia, la presunzione di aver messo le mani sul mistero della vita riducendolo alla sola componente biochimica e la spregiudicatezza nel trascurare tanti fattori implicati nelle nuove tecnologie, non saranno certo i migliori compagni di viaggio in questa avventura.
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domenica 23 maggio 2010

Hanno fatto un puzzle e lo chiamano nuova vita (Contributi 304)

L'ultimo editoriale di SamizdatOnLine porta la firma di Assuntina Morresi:

Non è una sfida a Dio l’ultimo risultato ottenuto da Craig Venter e dalla sua équipe, ma una sofisticata operazione tecnologica, un “copia, incolla e metti la firma”: non è una creazione dal nulla, piuttosto sono state sapientemente assemblate sequenze di Dna già esistenti in natura, e riprodotte in laboratorio, insieme a qualche sequenza disegnata per “marcare” il genoma ottenuto e distinguerlo dall’originale naturale, una specie di “firma” degli scienziati inserita nel Dna stesso. Il Dna così prodotto in laboratorio è stato poi sostituito a quello di una cellula naturale, che è stata in grado di replicarsi grazie al nuovo patrimonio genetico, cioè seguendo gli “ordini” del Dna sintetico.

Per produrre il genoma in laboratorio non sono stati utilizzati nuovi aminoacidi. I “mattoni” con cui è stato costruito questo Dna sono quelli di sempre, e quindi parlare di «creazione di una nuova vita artificiale» è quanto meno ambiguo, visto che il cromosoma è copiato da quello naturale, e che anche la cellula che ha ospitato il Dna è naturale. D’altra parte ogni organismo geneticamente modificato può essere considerato una «nuova vita artificiale» che si affaccia sul pianeta, con un patrimonio genetico diverso da quelli già esistenti.
In altre parole, i ricercatori del gruppo di Venter hanno composto con grande abilità un enorme puzzle, utilizzando i pezzi già messi a disposizione dalla natura, per realizzare un disegno pressoché identico a quello già tracciato naturalmente. Non sappiamo ancora a quali risultati porterà la nuova procedura tecnica messa a punto: la produzione di biocarburanti piuttosto che importanti applicazioni biomediche. Lo vedremo nel tempo. Per ora, i problemi che pone sono analoghi a quelli di ogni ogm: la valutazione dell’eventuale impatto con l’ambiente naturale, le possibili ripercussioni sulla regolamentazione dei brevetti e sul mercato biotecnologico.
Nell’articolo scientifico pubblicato è evidente la profonda capacità manipolatoria raggiunta dagli scienziati, che li fa parlare addirittura di “design” di cromosomi sintetici, e che indica la necessità di una vigilanza molto attenta per il futuro. La stessa richiesta del capo della Casa Bianca Barack Obama alla Commissione bioetica presidenziale di approfondire le questioni sollevate dall’esperimento è un segnale in tal senso.
Ma ad inquietare per ora non è tanto l’esperimento in sé, quanto i toni con cui se ne parla.
È ben noto che Craig Venter è innanzitutto un bravissimo imprenditore di se stesso: sono già stati annunciati per i prossimi giorni documentari in anteprima mondiale su questo studio, a dimostrazione dell’accuratissima preparazione mediatica del lancio della notizia, organizzata su scala planetaria. Una sapiente e spregiudicata strategia di marketing industriale per un mercato enorme come quello che gira intorno alle biotecnologie, nel quale troppo spesso ad annunci trionfali non seguono i risultati promessi.
Fa riflettere, poi, l’enfasi con cui la notizia è rimbalzata sulle prime pagine di tutti i giornali, con evocazioni di immagini bibliche, tipo «assaggiare il frutto dell’albero della vita», o «l’uomo ha creato la vita», o con affermazioni come «progettare una biologia che faccia quel che vogliamo noi», e potremmo continuare con le citazioni.
Che la sfida della conoscenza debba sempre essere presentata come mettersi in arrogante gara con Dio, non rende ragione alla scienza stessa.
Il mestiere dello scienziato è quello di cercare di comprendere sempre più a fondo la struttura intima della materia e della vita, ed è frutto di intelligenza – quella stessa che ieri il cardinal Bagnasco ci ha ricordato essere «dono di Dio» – , curiosità e, soprattutto, di umiltà.
Significa essere consapevoli di stare di fronte ad un mistero che mentre si fa esplorare ci suggerisce nuove domande, altre questioni da affrontare e conoscenze da mettere a fuoco.
Un mistero che svelandosi si mostra infinito
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Educare: una responsabilità, un compito, una gioia (Contributi 303)

ROMA, sabato, 22 maggio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'intervento pronunciato dal Cardinale Carlo Caffarra ad Imola il 3 maggio scorso in occasione di un convegno organizzato dalla locale sezione della Federazione Italiana Scuole Materne (FISM).

* * *
Il Vs. Ecc.mo Vescovo mi ha chiesto di sottoporre alla vostra riflessione alcune considerazioni che prendono spunto dalla Carta formativa della Scuola cattolica dell’Infanzia, un documento che ho pubblicato nel settembre scorso.


1. Essenzialmente il rapporto educativo è un rapporto fra un’autorità ed una libertà
Il contenuto di questo rapporto è costituito dall’offerta di una proposta di vita fatta dalla persona autorevole alla persona in formazione.
Che cosa si intende per «proposta di vita»? Se paragoniamo la vita alla costruzione di un edificio, ciò che è il progetto per l’edificio è la «proposta di vita» [che costituisce il contenuto del rapporto educativo] per la persona educanda.
In queste semplici osservazioni è racchiuso tutto: il compito, la responsabilità, la gioia di educare. Ma anche i gravi problemi.


2. Esistono alcuni presupposti che implicitamente o esplicitamente devono essere ammessi dall’educatore, altrimenti la relazione educativa non può neppure essere istituita, o rischia comunque di isterilirsi
→ La libertà ed il suo esercizio non è un assoluto al di sopra del quale e prima del quale non esiste nulla. Mi spiego con un esempio molto semplice. Hitler e Madre Teresa hanno vissuto secondo un progetto esistenziale liberamente scelto e realizzato. Sono sicuro che nessuno di voi però pensa che sia la vita di Hitler che la vita di Madre Teresa meritano lo stesso giudizio, dal momento che ambedue erano liberamente vissute.
L’esempio ci fa capire una cosa di fondamentale importanza. Esistono progetti di vita buoni e progetti di vita cattivi. O – il che equivale – esiste una verità circa ciò che è bene e ciò che è male, che precede l’esercizio della nostra libertà e in base alla quale esso è giudicato.
Perché una persona si assume il compito e la responsabilità di fare ad un’altra una precisa proposta di vita? Perché ritiene che questa proposta sia vera: dica cioè la verità circa ciò che è il bene e il male della persona. Ed anche perché ritiene che l’altro possa sbagliarsi nel progettare la sua vita: siamo al secondo presupposto.


La persona umana nasce avendo nel cuore un desiderio illimitato di beatitudine, e in questo desiderio di beatitudine la mano creatrice di Dio ha seminato una inestinguibile sete di verità e di bontà. La persona umana, quando giunge nel mondo, è come una grande promessa che può essere realizzata e può essere delusa. Non può essere lasciata a se stessa: ha bisogno di essere, e chiede di essere aiutata a realizzarsi nella verità e nel bene. L’atto educativo nasce dalla condivisione del destino dell’altro. Non una condivisione qualsiasi, ma che si concretizza precisamente nell’indicazione della via che porta alla beatitudine.


→ Tutto questo comporta da parte dell’educatore una visione della persona umana; l’educatore deve saper rispondere alla domanda: chi è l’uomo? Il rapporto educativo si radica sempre in un’antropologia.


3. A questo punto abbiamo tutti gli elementi per definire il rapporto educativo dal punto di vista della fede cristiana
Esso si istituisce quando l’educatore fa alla persona educanda la proposta cristiana della vita. È fondamentale capire che cosa significa «proposta cristiana della vita».
Gli storici dell’arte cristiana ci dicono che sui più antichi sarcofagi Cristo era spesso raffigurato sotto la figura del filosofo e del pastore. Tralasciamo la considerazione della seconda raffigurazione, e riflettiamo sulla prima.
Nell’antichità, filosofo era colui che insegnava «l’arte di essere uomo in modo retto – l’arte di vivere e morire». Raffigurando Cristo come filosofo, i nostri fratelli di fede volevano dirci: «Egli ci dice chi in realtà è l’uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo. Egli ci indica la via e questa via è la verità» [Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe salvi 6].
La proposta cristiana della vita è l’indicazione di come realizzare la nostra umanità secondo la via indicataci da Cristo e sempre presente nella Tradizione della Chiesa.


Due precisazioni importanti. La proposta cristiana non si aggiunge estrinsecamente alla realizzazione della nostra umanità, ma è la modalità della perfetta realizzazione della medesima. Quando poi si parla di “vita umana” si intende tutto ciò che concretamente costituisce la trama della nostra vita quotidiana. L’educazione dunque cristiana si definisce in riferimento alla proposta di vita propria della visione cristiana [cfr. art. 2 della Carta formativa].
Possono sorgere dentro di noi a questo punto due difficoltà nei confronti della definizione cristiana di educazione.
La prima: in un contesto sempre più pluralistico, anche dal punto di vista religioso, non è contrario ad una pacifica convivenza sociale educare la persona ad una forte identità? Questa difficoltà fa parte oggi del comune sentire, e sembra essere come una specie di dogma indiscutibile. In realtà è profondamente disumana e disumanizzante. Per varie ragioni. Ne accenno alcune.
Essa parte da una visione astratta della persona umana, cioè falsa. Ogni persona umana nasce all’interno di una cultura e di una tradizione. Realizza cioè la comune umanità nella molteplice diversità delle culture. La convivenza fra varie persone non si ottiene azzerando le diversità, credendo in questo modo di raggiungere la natura umana “pulita” da ogni incrostazione storica. Sarebbe come se, partendo dal fatto che di ogni uomo è proprio il linguaggio, si ritenesse che esista una sola lingua uguale per tutti.
Poiché è questa una visione astratta, non reale, ideologica, c’è un solo modo per proporla: imporla per legge. [cfr. il tentativo di una Costituzione Europea]. Pensare di creare comunione interpersonale, vera convivenza mediante le regole, è un’illusione. Se non altro perché non esiste regola capace di far rispettare le regole.

La seconda difficoltà: educare nel modo suddetto non è contro la libertà della persona? Anche questa idea che vede l’educazione e la libertà come due grandezze confliggenti è oggi comune, ma va rifiutata.
La libertà umana non è della stessa natura della spontaneità animale. La libertà umana è un auto-determinarsi, e quindi un scegliere in base alla conoscenza di ciò che scelgo. È la verità circa il bene e il male la radice della libertà. Il pensare che la libertà della persona possa nascere come per generazione spontanea da un terreno incolto, e che pertanto vada evitata ogni coltivazione della persona, è ignorare completamente i grandi dinamismi dello spirito.


4. Che cosa muove una persona ad interessarsi del bene di un’altra nel modo proprio dell’educazione? Nulla, se non volere il bene del persona bisognosa di educazione. Cioè: l’amore per essa. L’atto educativo è sempre frutto di amore: “un affare del cuore”, diceva S. Giovanni Bosco.


Esiste in natura una condivisione originaria del destino, del bene dell’altro: la relazione genitori-figlio. È questa la ragione profonda per cui educare la persona è il compito e la responsabilità dei genitori. Altri possono avere compiti e responsabilità educative, ma solamente su delega dei genitori. E pertanto sono da considerarsi non sostituti, ma cooperatori dei genitori medesimi.


Esiste anche una condivisione del destino della persona che è propria della Chiesa. Gesù dice, prima di lasciare visibilmente questo mondo: «Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» [Mt 28,19-20a]. È mediante la Chiesa che Cristo realizza la sua opera redentiva. In questa prospettiva anche la Chiesa ha un compito ed una responsabilità educativa propria ed originaria. Ma essa è di natura diversa di quella della famiglia.


Solo se il genitore intende educare nella fede cristiana il proprio figlio, deve chiedere alla Chiesa – non ad altri – di collaborare e di aiutarlo. La Chiesa, infatti, da quando esiste ha educato; ha pensato e vissuto la propria missione come missione educativa. Ed uno degli strumenti fondamentali di cui si è ben presto dotata, è stata la scuola. Impedire alla Chiesa di educare è impedire alla Chiesa di esistere.


Anche lo Stato ha una responsabilità. Ma è di natura completamente diversa. Esso non ha, non deve e non può avere un compito ed una responsabilità educativa: sarebbe la dittatura. È accaduto storicamente. Lo Stato ha solo un ruolo sussidiario: favorire l’esercizio della libertà educativa dei genitori, e la libera proposta educativa. Esso deve intervenire in “prima persona” solo quando e solo dove diventa necessario per tutelare il diritto delle giovani generazioni ad essere educate.

5. Da che cosa oggi l’opera educativa è insidiata, e quindi su che cosa chi ha responsabilità educativa deve vigilare?
In primo luogo deve vigilare che non entri nei luoghi dell’educazione la falsa visione della persona umana che confonde libertà e spontaneità: la spontaneità può essere solo regolamentata; la libertà può essere educata.


In secondo luogo deve vigilare che non sia distrutto il principio di autorità, senza del quale ogni opera educativa è destinata al fallimento. Il rapporto educativo non è fra uguali. L’educatore ha una sua propria autorità che consiste: a) nel fare una precisa proposta di vita; b) nel documentarne la verità e la bontà mediante la testimonianza della vita. Si potrebbe anche dire che l’autorità propria dell’educatore ha la caratteristica propria della testimonianza.

In terzo luogo deve vigilare sul non ridurre l’educazione alla formazione, al know-how come di dice oggi. È una modalità di vita che è trasmessa dall’educatore.


Termino con un riferimento a ciò che accadde nella Chiesa antica, ma che resta paradigmatico per noi anche oggi. Essa [soprattutto con Origene] ha avuto la grande intuizione che la proposta cristiana era l’adempimento e il grado più alto della “paideia” dell’uomo. «Riprendendo questa idea fondamentale e dandone una propria interpretazione, la religione cristiana si mostrò capace di offrire al mondo più di qualsiasi altra setta religiosa» [W. Jaeger, Cristianesimo primitivo e paideia greca, La Nuova Italia ed., Firenze 1966, pag. 93]. L’annuncio del Vangelo aveva individuato la struttura umana in cui radicarsi: l’uomo è un essere che raggiunge la pienezza della sua umanità solo mediante l’educazione. Ed è nella luce di una tale verità antropologica che la Chiesa si prende cura dell’uomo.
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venerdì 21 maggio 2010

Per chi sopravvive al 2012 (Post 90)

Manie e paure millenariste, testimoni di Geova a parte, ci sono sempre state. Di gente che, in base a non facilmente comprensibili criteri, si dice conoscitore della data della fine di questo nostro pianeta, salvo poi essere tristemente smentita dai fatti, ne abbiamo vista parecchia.
Ora è di moda il 2012 come data di fine in base alla nota (ma a chi ?) profezia maya (o era azteca?), ma qualora il nostro pianeta dovesse superare anche quest'anno bisestile, già un'altra data si prepara a prendere il suo posto; il 2036.
Per quell'anno infatti, a detta degli esperti, un asteroide si abbaetterà sul nostro pianeta causandone la distruzione.
A parte istintivi gesti scaramantici che notizie del genere mi provocano (e che dopo rinnego tornando ad essere raziocinante) mi sorge una considerazione: il punto non è quando finisce il mondo, ma quando (e soprattutto come) finisco io.
Il punto non è sapere se il mondo finisce fra 2, 26 o 1000 anni, ma sapere che la mia vita (che può durare ancora 1 minuto o 100 anni) è lo spazio di tempo che ho a disposizione per camminare verso Dio.
Ogni istante si gioca per me la possibilità di dire il mi sì o il mio no al progetto di Dio sulla mia vita, l'istante è il varco di cui la mia libertà dispone per abbracciare o meno il Mistero.
Non ho la certezza di poter verificare se questo mondo finisce il 21/12/2012 oppure no, ma ho la possibilità di dire il mio fragile ma importantissimo alla proposta che Dio ora, in questo preciso momento fa a me, alla mia vita.
Prima di pensare alla fine prossima ventura di questo nostro pianeta è, a mio avviso, più saggio e utile, pensare a vivere bene il presente, a non lasciarci distrarre dalle varie lucine che il mondo ci accende di continuo davanti, forse anche carine da vedere, ma assolutamente irrilevanti, in quanto utilità, dal punto di vista della nostra personale salvezza eterna.
Non conta nulla sapere la data precisa della fine del pianeta se si arriva a quella data senza avere mai vissuto veramente tesi al regno dei cieli. Molto meglio vivere il momento presente come occasione per aderire al Mistero, a Dio.
Ora, adesso, si gioca il mio rapporto con l'Infinito. Il dopo è comunque una variabile incerta.
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giovedì 20 maggio 2010

Ripartendo da Fatima (Post 89)

Torno, dopo qualche giorno di pausa a parlare di Fatima e del suo ultimo segreto. Non uso volutamente un numero sul segreto perchè penso non ci sia stato raccontato tutto su di esso. Ma è mia opinione cui nessuno è tenuto ad aderire.
Inizio con un ricordo della mia infanzia che ogni tanto mi si riaffaccia alla mente, roba di quando ero bambino, età pre-scolare, oltre quarant'anni fa.. c'era stata evidentemente una conversazione su Fatima e i suoi due segreti noti e su quello (allora) ignoto. Come tutti i bambini vivevo nella profonda convinzione che non ci fosse quesito al mondo di cui mi padre non conoscesse l'esatta risposta e quindi chiesi a lui il contenuto del terzo segreto e lui mi disse che si trattava del diavolo che voleva arrivare al vertice della Chiesa e che questo avrebbe causato la fine del mondo. Per dirla tutta e sminuire un po' la "profezia" lui legava la cosa all'elezione di un Papa negro di nome Pietro II. Con il senno di poi (di molto poi) forse aveva sparato a caso ma in parte aveva indovinato.
All'epoca del ricordo Medjugorje non era segnato neanche sulle cartine più dettagliate, la Yugoslavia era tutta bella unita, la cortina di ferro impenetrabile e invincibile, e da noi divorzio e aborto non permessi.
Poi l'attacco a tutto ciò che era valore da difendere ha preso piede e dentro la Chiesa stessa si sono diffuse idee e persone un po' anomale.
La domanda inquietante di Gesù "il Figlio dell'uomo, quando tornerà, troverà la fede sulla terra?" sembra molto attuale: chi si definisce credente è una minoranza e anche fra chi si dice tale alcuni sono non praticanti, altri "cattolici adulti" che pensano secondo la loro testa (e quindi secondo il mondo) e solo una piccola fetta è fedele al Papa.
Anche molti vescovi dissentono in modo più o meno discreto dal Santo Padre.
Il segreto non svelato è forse quanto vediamo davanti ai nostri occhi, la Chiesa e la fede in Cristo osteggiati e combattuti in modo più o meno palese, il peccato esaltato e la virtù derisa, Dio abbandonato (per dirla con Eliot) non per seguire altri dei, ma per non seguirne nessuno. Se non lussuria, usura e potere.
Ma se la situazione è tremendamente seria, Maria, la nostra mamma celeste e avvocata nostra ci richiama continuamente con i suoi messaggi.
La preghiera, la conversione del cuore sono gli inviti che continuamente ci ripete.
E ci sono due punti fermi nella battaglia che stiamo vivendo:
- il Cuore Immacolato di Maria trionferà
- riguardo alla Chiesa le porte degli inferi non prevarranno su di essa
Ma se l'esito finale è sicuro, non lo è quello personale nostro, in quanto affidato alla nostra libertà che può scegliere la via larga a spaziosa che porta a perdersi o quella stretta che porta alla salvezza.
Dobbiamo seriamente decidere da che parte stare e chiedere insistentemente con la preghiera la grazia della conversione e della perseveranza.
Armi importanti per questa guerra: la preghiera (rosario, meditazione scritture, liturgia delle ore..), la confessione (si, quella tanto bistrattata attraverso la quale uno riceve il perdono per i peccati di cui si è serimente pentito e può ricominciare a camminare come figlio di Dio), la partecipazione alla Santa Messa e l'Eucarestia (il dono più grande che Dio fà all'uomo).

C'è una battaglia in corso, sullo schieramento non ci dovrebbero essere dubbi, sulle armi da utilizzare neanche, quindi cosa stiamo aspettando ?
O siamo fra coloro che, in fondo, pensano siano tutte stupidità e che satana non c'è?
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P.S. ringrazio Angel per il commento al post 87 (che vi invito a leggere) e anche Ismael che, tutto sommato negando afferma le stesse cose.
Ora aspetto i commenti a questo post. Un caro saluto a tutti.
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