Ecco un articolo di Emmanuele Silanos dal sito della Fraternità San Carlo
Uno, nessuno, centomila. Così il genio di Pirandello descriveva quello che stava accadendo all’uomo del suo tempo e profetizzava, anticipava la realtà di oggi: nessuno sembra avere più un’identità precisa, chiara, inequivocabile. Non viene più offerto un criterio oggettivo per conoscere se stessi e gli altri, e ciò che io sono – uomo, donna, bambino – cambia a seconda di chi mi guarda, a seconda del mio sentimento, della percezione che ho io di me stesso e degli altri. Questo getta l’individuo nell’incertezza, nell’impossibilità di conoscersi nel profondo e quindi nella paura, nello sgomento. «Ogni uomo è un abisso e vengono le vertigini a guardarci dentro», dice Jean Reno a Roberto Benigni in La tigre e la neve,prima che il suo personaggio decida di togliersi la vita, incapace di sostenerne la mancanza di senso. La sua disperazione è la conseguenza di un mondo in cui gli uomini, ridotti a meri individui, diventano estranei gli uni agli altri.
Che cosa ci può salvare dalla solitudine e dalla disperazione? Che cosa può ridare unità alla nostra vita? La scoperta di essere non individui ma persone. È questa la rivoluzione portata dal cristianesimo: Gesù ci rivela che il nostro essere a immagine di Dio indica che siamo costitutivamente, originariamente fatti per la comunione. Questo è il significato della parola persona: la scoperta di una comune origine, di un punto oggettivo su cui fondare la nostra relazione con gli altri, il nostro essere assieme. Cristo è venuto tra noi per assicurarci che non siamo soli, che abbiamo un Padre che ci ha pensati, amati, voluti, che la nostra dignità è legata a questa paternità. In questo modo svela il nostro vero nome, la nostra identità.
Nei vangeli ogni volta che Gesù incontra una persona, quella diventa per lui, in quel momento, tutto. Come quando, in mezzo alla folla che stringe lui e i suoi discepoli fino quasi a soffocarli, si volta, accorgendosi di una donna malata che aveva toccato il suo mantello per essere guarita. O quando incontrando Natanaele gli rivela, dopo un solo sguardo, tutta la sua grandezza d’animo, che superava di molto il suo scetticismo e la sua incredulità. O ancora, ogni volta che mostra di conoscere e condividere il dolore umano, come con quella vedova che aveva perso il figlio: «Non piangere». O quando abbraccia tutte le nostre miserie: quelle del giovane troppo attaccato ai suoi beni per abbandonare tutto e seguirlo, della donna samaritana che gli mentiva spudoratamente, o dell’amico che lo stava tradendo mentre lui era disposto a donargli la sua vita e il suo perdono.
Con l’avvento di Cristo, quell’abisso che è il cuore dell’uomo smette di essere qualcosa di ignoto, di inconoscibile, di inaccessibile. Attraverso la Chiesa il suo sguardo ci raggiunge oggi, svela a noi stessi chi siamo e ci strappa dalla nostra solitudine. Ogni giorno siamo di fronte a uomini e donne con gli stessi drammi, gli stessi bisogni, le stesse miserie di quelli che Gesù incontrava. Uomini e donne che hanno bisogno di riscoprire se stessi non come individui condannati alla solitudine, ma come persone chiamate alla comunione: redente dal suo sguardo che dà valore infinito a ogni esistenza, dal suo abbraccio che ci raggiunge e ci salva nella concretezza dei sacramenti, e dalla promessa fatta a uno come noi mentre gli stava dando la vita sulla croce: «Oggi sarai con me in Paradiso».
Noi abbiamo fatto esperienza di quello sguardo, di quell’abbraccio e di quella promessa ed è solo questo che può restituire un’identità e una dignità anche a tutte le persone che incontriamo nelle nostre missioni.
Tra le braccia di Molly Malone
3 mesi fa
Bellissimo! Lo sguardo di Cristo è lo specchio nel quale ogni essere umano si può guardare ed ammirare, quale creatura fatta a Sua immagine e somiglianza e capire che solo questo sguardo è Verità, Via e Vita che dà un senso al reale ed al quotidiano.
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