Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

lunedì 13 luglio 2015

Che cos'è l’uomo? (Contributi 1003)

Ecco un articolo di Emmanuele Silanos dal sito della Fraternità San Carlo

Uno, nessuno, centomila. Così il genio di Pirandello descriveva quello che stava accadendo all’uomo del suo tempo e profetizzava, anticipava la realtà di oggi: nessuno sembra avere più un’identità precisa, chiara, inequivocabile. Non viene più offerto un criterio oggettivo per conoscere se stessi e gli altri, e ciò che io sono – uomo, donna, bambino – cambia a seconda di chi mi guarda, a seconda del mio sentimento, della percezione che ho io di me stesso e degli altri. Questo getta l’individuo nell’incertezza, nell’impossibilità di conoscersi nel profondo e quindi nella paura, nello sgomento. «Ogni uomo è un abisso e vengono le vertigini a guardarci dentro», dice Jean Reno a Roberto Benigni in La tigre e la neve,prima che il suo personaggio decida di togliersi la vita, incapace di sostenerne la mancanza di senso. La sua disperazione è la conseguenza di un mondo in cui gli uomini, ridotti a meri individui, diventano estranei gli uni agli altri.
Che cosa ci può salvare dalla solitudine e dalla disperazione? Che cosa può ridare unità alla nostra vita? La scoperta di essere non individui ma persone. È questa la rivoluzione portata dal cristianesimo: Gesù ci rivela che il nostro essere a immagine di Dio indica che siamo costitutivamente, originariamente fatti per la comunione. Questo è il significato della parola persona: la scoperta di una comune origine, di un punto oggettivo su cui fondare la nostra relazione con gli altri, il nostro essere assieme. Cristo è venuto tra noi per assicurarci che non siamo soli, che abbiamo un Padre che ci ha pensati, amati, voluti, che la nostra dignità è legata a questa paternità. In questo modo svela il nostro vero nome, la nostra identità.
Nei vangeli ogni volta che Gesù incontra una persona, quella diventa per lui, in quel momento, tutto. Come quando, in mezzo alla folla che stringe lui e i suoi discepoli fino quasi a soffocarli, si volta, accorgendosi di una donna malata che aveva toccato il suo mantello per essere guarita. O quando incontrando Natanaele gli rivela, dopo un solo sguardo, tutta la sua grandezza d’animo, che superava di molto il suo scetticismo e la sua incredulità. O ancora, ogni volta che mostra di conoscere e condividere il dolore umano, come con quella vedova che aveva perso il figlio: «Non piangere». O quando abbraccia tutte le nostre miserie: quelle del giovane troppo attaccato ai suoi beni per abbandonare tutto e seguirlo, della donna samaritana che gli mentiva spudoratamente, o dell’amico che lo stava tradendo mentre lui era disposto a donargli la sua vita e il suo perdono.
Con l’avvento di Cristo, quell’abisso che è il cuore dell’uomo smette di essere qualcosa di ignoto, di inconoscibile, di inaccessibile. Attraverso la Chiesa il suo sguardo ci raggiunge oggi, svela a noi stessi chi siamo e ci strappa dalla nostra solitudine. Ogni giorno siamo di fronte a uomini e donne con gli stessi drammi, gli stessi bisogni, le stesse miserie di quelli che Gesù incontrava. Uomini e donne che hanno bisogno di riscoprire se stessi non come individui condannati alla solitudine, ma come persone chiamate alla comunione: redente dal suo sguardo che dà valore infinito a ogni esistenza, dal suo abbraccio che ci raggiunge e ci salva nella concretezza dei sacramenti, e dalla promessa fatta a uno come noi mentre gli stava dando la vita sulla croce: «Oggi sarai con me in Paradiso».
Noi abbiamo fatto esperienza di quello sguardo, di quell’abbraccio e di quella promessa ed è solo questo che può restituire un’identità e una dignità anche a tutte le persone che incontriamo nelle nostre missioni.

La vocazione per cui ci è data la vita (Contributi 1002)

Ecco un articolo di Don Francesco Ferrari, della Fraternità San Carlo:

Particolare del mosaico della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo (Ravenna),
raffigurante l’incontro di Gesù con i discepoli sulla via di Emmaus. 
La missione è un compito che ci è stato affidato nell'incontro con Cristo. La missione cristiana, infatti, nasce con l’inizio stesso del rapporto tra Gesù e i suoi discepoli.Vi farò pescatori di uomini (Mt 4,19). Queste, per Pietro e gli altri, devono essere sembrate parole un po’ oscure. Poi, condividendo la vita con Gesù, hanno scoperto che lui era interamente definito dalla missione. Lui era il mandato dal Padre. Mandato a Pietro, a Giovanni, a Giacomo…, mandato agli uomini per far conoscere loro la vita vera (cfr. Gv 17,3). Anche i discepoli allora, lentamente, sono entrati in questo compito. Hanno iniziato a sperimentare questa vita vera e a condividere con Gesù il desiderio di comunicarla. Gesù stesso li ha mandati, con il compito di portare nel mondo la vita, cioè la Sua stessa presenza. La missione degli apostoli nasce dal desiderio di Cristo di raggiungere ogni uomo.
Negli Atti degli apostoli, li scopriamo interamente definiti dal compito di annunciare Cristo. Li vediamo liberi nel parlare davanti ai potenti, come Pietro e Giovanni davanti al sommo sacerdote. Le minacce e i flagelli non affievoliscono il loro ardore, tutt'altro: se ne andarono lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù (At 5,41). Non vi è in loro nessun calcolo sugli esiti delle loro azioni, sono mossi solo dall'amore alla verità, come vediamo in Stefano, che parla chiaro, seppur certo della morte imminente. Ogni circostanza è usata per annunciare Cristo, che sia il dialogo con un mendicante o la difesa davanti alle accuse degli anziani, per le strade di Gerusalemme o nelle grandi piazze di Atene, davanti ai giudei o davanti ai pagani.
Nel battesimo, ogni cristiano è unito alla missione di Cristo. È una missione urgente ed esaltante, perché tanti uomini non aspettano altro che Lui. Quest’urgenza è a volte frenata dalla nostra paura, perché ci pensiamo sproporzionati. Oppure a fermarci è la nostra mancanza di passione e allora ci rifugiamo in piccole o grandi giustificazioni (si pensi all’idea secondo cui la missione sarebbe un’imposizione violenta, come se non fosse più violento lasciare gli uomini lontani da Cristo!).
La grande arma di cui disponiamo contro la mancanza di ardore missionario è la memoria. Ritornare all'incontro con Cristo, riscoprire tutta la grazia che Egli ha portato nella nostra vita. Riscoprire che Cristo ci chiama oggi, attraverso la Chiesa e la testimonianza dei nostri fratelli martiri. Il nostro volto è la Sua chiamata. «La missione» ha scritto Giussani, «è la vocazione per cui ci è data la vita».

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Domenica 12/7/2015 (Angelus 255)

Viaggio in Ecuador, Bolivia, Paraguay
Ringrazio l’Arcivescovo di Asunción, Mons. Edmundo Ponziano Valenzuela Mellid, e l’Arcivescovo [ortodosso] del Sudamerica, Tarasios, per le cortesi parole.
Al termine di questa celebrazione rivolgiamo il nostro sguardo fiducioso alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Ella è il dono di Gesù al suo popolo. Ce l’ha data come madre nell'ora della croce e della sofferenza. È frutto dell’oblazione di Cristo per noi. E, da allora, è sempre stata e sempre sarà con i suoi figli, specialmente i più piccoli e bisognosi. Lei è entrata nella trama della storia dei nostri popoli e delle loro genti. Come in molti altri Paesi dell’America Latina, la fede dei paraguaiani è impregnata di amore alla Vergine. Andate con fiducia dalla vostra madre, le aprite il vostro cuore, e le confidate le vostre gioie e i vostri dolori, le vostre speranze e le vostre sofferenze. La Vergine vi consola e con la tenerezza del suo amore accende in voi la speranza. Non cessate di invocare Maria e di confidare in lei, madre di misericordia per tutti i suoi figli senza distinzione.
Alla Vergine, che perseverò con gli Apostoli in attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,13-14), chiedo anche che vegli sulla Chiesa e rafforzi i vincoli fraterni tra tutti i suoi membri. Con l’aiuto di Maria, la Chiesa sia casa di tutti, una casa che sappia ospitare, una madre per tutti i popoli.
Cari fratelli, vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me. So molto bene quanto si ama il Papa in Paraguay. Anch’io vi porto nel mio cuore e prego per voi e per il vostro Paese.
Ed ora vi invito a recitare l’Angelus alla Vergine.
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lunedì 6 luglio 2015

Solennità Ss. Pietro e Paolo 29/6/2015 (Angelus 254)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
L’odierna solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo è celebrata, come sapete, dalla Chiesa universale, ma è vissuta con gioia tutta particolare dalla Chiesa di Roma, perché nella loro testimonianza, sigillata col sangue, essa ha le proprie fondamenta. Roma nutre speciale affetto e riconoscenza per questi uomini di Dio, venuti da una terra lontana ad annunciare, a costo della vita, quel Vangelo di Cristo al quale si erano totalmente dedicati. La gloriosa eredità di questi due Apostoli è motivo di spirituale fierezza per Roma e, al tempo stesso, è richiamo a vivere le virtù cristiane, in modo particolare la fede e la carità: la fede in Gesù quale Messia e Figlio di Dio, che Pietro professò per primo e Paolo annunciò alle genti; e la carità, che questa Chiesa è chiamata a servire con orizzonte universale.
Nella preghiera dell’Angelus, al ricordo dei santi Pietro e Paolo associamo anche quello di Maria, immagine vivente della Chiesa, sposa di Cristo, che i due Apostoli «hanno fecondato con il loro sangue» (Antifona d’ingresso della Messa del giorno). Pietro conobbe personalmente Maria e nel colloquio con lei, specialmente nei giorni che precedettero la Pentecoste (cfr At 1,14), poté approfondire la conoscenza del mistero di Cristo. Paolo, nell’annunciare il compimento del disegno salvifico «nella pienezza del tempo», non mancò di ricordare la “donna” da cui il Figlio di Dio era nato nel tempo (cfr Gal 4,4). Nella evangelizzazione dei due Apostoli qui a Roma ci sono anche le radici della profonda e secolare devozione dei romani alla Vergine, invocata specialmente come Salus Populi Romani. Maria, Pietro e Paolo: sono nostri compagni di viaggio nella ricerca di Dio; sono nostre guide nel cammino della fede e della santità; loro ci spingono verso Gesù, per fare tutto ciò che Egli ci chiede. Invochiamo il loro aiuto, affinché il nostro cuore possa sempre essere aperto ai suggerimenti dello Spirito Santo e all’incontro con i fratelli.
Nella celebrazione eucaristica, che si è svolta questa mattina nella Basilica di San Pietro, ho benedetto il Pallio degli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno, provenienti da varie parti del mondo. Rinnovo il mio saluto e il mio augurio a loro, ai familiari e a quanti li accompagnano in questa significativa circostanza, ed auspico che il Pallio, oltre ad accrescere i legami di comunione con la Sede di Pietro, sia di stimolo per un sempre più generoso servizio alle persone affidate al loro zelo pastorale. Nella stessa liturgia ho avuto il piacere di salutare i Membri della Delegazione venuta a Roma a nome del Patriarca Ecumenico, il carissimo fratello Bartolomeo I, per partecipare, come ogni anno, alla festa dei santi Pietro e Paolo. Anche questa presenza è segno dei fraterni legami esistenti tra le nostre Chiese. Preghiamo perché si rafforzi tra di noi il cammino dell’unità.
La nostra preghiera oggi è soprattutto per la città di Roma, per il suo benessere spirituale e materiale: la grazia divina sostenga tutto il popolo romano, perché viva in pienezza la fede cristiana, testimoniata con intrepido ardore dai santi Pietro e Paolo. Interceda per noi la Vergine Santa, Regina degli Apostoli.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
saluto tutti voi, famiglie, parrocchie, associazioni provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo; ma soprattutto oggi saluto i fedeli di Roma, nella festa dei Santi Patroni della Città!
Saluto gli studenti di alcune scuole cattoliche degli Stati Uniti d’America e della Scozia.
Mi congratulo con gli artisti che hanno realizzato una grande e bella infiorata, e ringrazio la “Pro Loco” di Roma per averla promossa. Grazie tante!
Un augurio anche per il tradizionale spettacolo pirotecnico che avrà luogo stasera a Castel Sant’Angelo, il cui ricavato sosterrà una iniziativa caritativa in Terra Santa e nei Paesi del Medio Oriente.
La prossima settimana, dal 5 al 13 luglio, parto per l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Chiedo a tutti voi di accompagnarmi con la preghiera, affinché il Signore benedica questo mio viaggio nel continente dell’America Latina a me tanto caro, come potete immaginare. Esprimo alle care popolazioni dell’Ecuador, della Bolivia, del Paraguay la mia gioia di trovarmi a casa loro, e chiedo a voi, in maniera particolare, di pregare per me e per questo viaggio, affinché la Vergine Maria ci dia la grazia di accompagnarci tutti con la sua materna protezione.
A tutti voi auguro una buona festa. Per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.
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Domenica 28/6/2015 (Angelus 253)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi presenta il racconto della risurrezione di una ragazzina di dodici anni, figlia di uno dei capi della sinagoga, il quale si getta ai piedi di Gesù e lo supplica: «La mia figlioletta sta morendo; vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva» (Mc 5,23). In questa preghiera sentiamo la preoccupazione di ogni padre per la vita e per il bene dei suoi figli. Ma sentiamo anche la grande fede che quell’uomo ha in Gesù. E quando arriva la notizia che la fanciulla è morta, Gesù gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36). Dà coraggio questa parola di Gesù! E la dice anche a noi, tante volte: “Non temere, soltanto abbi fede!”. Entrato nella casa, il Signore manda via tutta la gente che piange e grida e si rivolge alla bambina morta, dicendo: «Fanciulla, io ti dico: alzati!» (v. 41). E subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare. Qui si vede il potere assoluto di Gesù sulla morte, che per Lui è come un sonno dal quale ci può risvegliare.
All’interno di questo racconto, l’Evangelista inserisce un altro episodio: la guarigione di una donna che da dodici anni soffriva di perdite di sangue. A causa di questa malattia che, secondo la cultura del tempo, la rendeva “impura”, ella doveva evitare ogni contatto umano: poverina, era condannata ad una morte civile. Questa donna anonima, in mezzo alla folla che segue Gesù, dice tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata» (v. 28). E così avviene: il bisogno di essere liberata la spinge ad osare e la fede “strappa”, per così dire, al Signore la guarigione. Chi crede “tocca” Gesù e attinge da Lui la Grazia che salva. La fede è questo: toccare Gesù e attingere da Lui la grazia che salva. Ci salva, ci salva la vita spirituale, ci salva da tanti problemi. Gesù se ne accorge e, in mezzo alla gente, cerca il volto di quella donna. Lei si fa avanti tremante e Lui le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (v. 34). E’ la voce del Padre celeste che parla in Gesù: “Figlia, non sei maledetta, non sei esclusa, sei mia figlia!”. E ogni volta che Gesù si avvicina a noi, quando noi andiamo da Lui con la fede, sentiamo questo dal Padre: “Figlio, tu sei mio figlio, tu sei mia figlia! Tu sei guarito, tu sei guarita. Io perdono tutti, tutto. Io guarisco tutti e tutto”.
Questi due episodi – una guarigione e una risurrezione – hanno un unico centro: la fede. Il messaggio è chiaro, e si può riassumere in una domanda: crediamo che Gesù ci può guarire e ci può risvegliare dalla morte? Tutto il Vangelo è scritto nella luce di questa fede: Gesù è risorto, ha vinto la morte, e per questa sua vittoria anche noi risorgeremo. Questa fede, che per i primi cristiani era sicura, può appannarsi e farsi incerta, al punto che alcuni confondono risurrezione con reincarnazione. La Parola di Dio di questa domenica ci invita a vivere nella certezza della risurrezione: Gesù è il Signore, Gesù ha potere sul male e sulla morte, e vuole portarci nella casa del Padre, dove regna la vita. E lì ci incontreremo tutti, tutti noi che siamo qui in piazza oggi, ci incontreremo nella casa del Padre, nella vita che Gesù ci darà.
La Risurrezione di Cristo agisce nella storia come principio di rinnovamento e di speranza. Chiunque è disperato e stanco fino alla morte, se si affida a Gesù e al suo amore può ricominciare a vivere. Anche incominciare una nuova vita, cambiare vita è un modo di risorgere, di risuscitare. La fede è una forza di vita, dà pienezza alla nostra umanità; e chi crede in Cristo si deve riconoscere perché promuove la vita in ogni situazione, per far sperimentare a tutti, specialmente ai più deboli, l’amore di Dio che libera e salva.
Chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, il dono di una fede forte e coraggiosa, che ci spinga ad essere diffusori di speranza e di vita tra i nostri fratelli.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini!
Saluto in particolare i partecipanti alla marcia “Una terra, una famiglia umana”. Incoraggio la collaborazione tra persone e associazioni di diverse religioni per la promozione di una ecologia integrale. Ringrazio FOCSIV, OurVoices e gli altri organizzatori e auguro buon lavoro ai giovani di vari Paesi che in questi giorni si confrontano sulla cura della casa comune.
Vedo tante bandiere boliviane! Saludo cordialmente al grupo de bolivianos residentes en Italia, que han traído hasta aquí algunas de las imágenes de la Virgen más representativas de su país. La Virgen de Urcupiña, la Virgen de Copacabana, y tantas otras. La semana que ven estaré en vuestra Patria! Que nuestra Madre del cielo los proteja. Un saludo también para el grupo de jóvenes de Ibiza que se preparan para recibir la Confirmación. Se lo ruego, recen por mí.
Saluto le Guide, cioè le donne-scout. Sono tanto brave queste donne, tanto brave, e fanno tanto bene! Sono le donne scout che appartengono alla Conferenza Internazionale Cattolica e rinnovo loro il mio incoraggiamento. Merci beaucoup à vous!
Saluto i fedeli di Novoli, la corale polifonica di Augusta, i ragazzi di alcune parrocchie della diocesi di Padova che hanno ricevuto la Cresima; i “Nonni di Sydney”, associazione di anziani emigrati in Australia qui convenuti con i loro nipoti; i bambini di Chernobyl e le famiglie di Este e di Ospedaletto che li ospitano; i ciclisti e i motociclisti provenienti da Cardito e gli amatori di auto storiche.
Auguro a tutti una buona domenica e un buon pranzo. Per favore, non dimenticate di pregate per me. Arrivederci!
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Domenica 21/6/2015 (Angelus 252)

da TORINO
Al termine di questa celebrazione, il nostro pensiero va alla Vergine Maria, madre amorosa e premurosa verso tutti i suoi figli, che Gesù le ha affidato dalla croce, mentre offriva Sé stesso nel gesto di amore più grande. Icona di questo amore è la Sindone, che anche questa volta ha attirato tanta gente qui a Torino. La Sindone attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù e, nello stesso tempo, spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguitata. Ci spinge nella stessa direzione del dono di amore di Gesù. “L’amore di Cristo ci spinge”: questa parola di san Paolo era il motto di san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Richiamando l’ardore apostolico dei tanti sacerdoti santi di questa terra, a partire da Don Bosco, di cui ricordiamo il bicentenario della nascita, saluto con gratitudine voi, sacerdoti e religiosi. Voi vi dedicate con impegno al lavoro pastorale e siete vicini alla gente e ai suoi problemi. Vi incoraggio a portare avanti con gioia il vostro ministero, puntando sempre su ciò che è essenziale nell’annuncio del Vangelo. E mentre ringrazio voi, fratelli Vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta, per la vostra presenza, vi esorto a stare accanto ai vostri preti con affetto paterno e calorosa vicinanza.
Alla Vergine Santa affido questa città e il suo territorio e coloro che vi abitano, perché possano vivere nella giustizia, nella pace e nella fraternità. In particolare affido le famiglie, i giovani, gli anziani, i carcerati e tutti i sofferenti, con un pensiero speciale per i malati di leucemia nell'odierna Giornata Nazionale contro leucemie, linfomi e mieloma. Maria Consolata, regina di Torino e del Piemonte, renda salda la vostra fede, sicura la vostra speranza e feconda la vostra carità, per essere “sale e luce” di questa terra benedetta, della quale io sono nipote.
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Domenica 14/6/2015 (Angelus 251)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi è formato da due parabole molto brevi: quella del seme che germoglia e cresce da solo, e quella del granello di senape (cfr Mc 4,26–34). Attraverso queste immagini tratte dal mondo rurale, Gesù presenta l’efficacia della Parola di Dio e le esigenze del suo Regno, mostrando le ragioni della nostra speranza e del nostro impegno nella storia.
Nella prima parabola l’attenzione è posta sul fatto che il seme, gettato nella terra, attecchisce e si sviluppa da solo, sia che il contadino dorma sia che vegli. Egli è fiducioso nella potenza interna al seme stesso e nella fertilità del terreno. Nel linguaggio evangelico, il seme è simbolo della Parola di Dio, la cui fecondità è richiamata da questa parabola. Come l’umile seme si sviluppa nella terra, così la Parola opera con la potenza di Dio nel cuore di chi la ascolta. Dio ha affidato la sua Parola alla nostra terra, cioè a ciascuno di noi con la nostra concreta umanità. Possiamo essere fiduciosi, perché la Parola di Dio è parola creatrice, destinata a diventare «il chicco pieno nella spiga» (v. 28). Questa Parola, se viene accolta, porta certamente i suoi frutti, perché Dio stesso la fa germogliare e maturare attraverso vie che non sempre possiamo verificare e in un modo che noi non sappiamo (cfr v. 27). Tutto ciò ci fa capire che è sempre Dio, è sempre Dio a far crescere il suo Regno - per questo preghiamo tanto che “venga il tuo Regno” - è Lui che lo fa crescere, l’uomo è suo umile collaboratore, che contempla e gioisce dell’azione creatrice divina e ne attende con pazienza i frutti.
La Parola di Dio fa crescere, dà vita. E qui vorrei ricordarvi un’altra volta l’importanza di avere il Vangelo, la Bibbia, a portata di mano - il Vangelo piccolo nella borsa, in tasca - e di nutrirci ogni giorno con questa Parola viva di Dio: leggere ogni giorno un brano del Vangelo, un brano della Bibbia. Non dimenticare mai questo, per favore. Perché questa è la forza che fa germogliare in noi la vita del Regno di Dio.
La seconda parabola utilizza l’immagine del granello di senape. Pur essendo il più piccolo di tutti i semi, è pieno di vita e cresce fino a diventare «più grande di tutte le piante dell’orto» (Mc 4,32). E così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante. Per entrare a farne parte bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle proprie capacità, ma nella potenza dell’amore di Dio; non agire per essere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che predilige i semplici e gli umili. Quando viviamo così, attraverso di noi irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è piccolo e modesto in una realtà che fa fermentare l’intera massa del mondo e della storia.
Da queste due parabole ci viene un insegnamento importante: il Regno di Dio richiede la nostra collaborazione, ma è soprattutto iniziativa e dono del Signore. La nostra debole opera, apparentemente piccola di fronte alla complessità dei problemi del mondo, se inserita in quella di Dio non ha paura delle difficoltà. La vittoria del Signore è sicura: il suo amore farà spuntare e farà crescere ogni seme di bene presente sulla terra. Questo ci apre alla fiducia e alla speranza, nonostante i drammi, le ingiustizie, le sofferenze che incontriamo. Il seme del bene e della pace germoglia e si sviluppa, perché lo fa maturare l’amore misericordioso di Dio.
La Vergine Santa, che ha accolto come «terra feconda» il seme della divina Parola, ci sostenga in questa speranza che non ci delude mai.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
oggi ricorre la Giornata Mondiale dei Donatori di Sangue, milioni di persone che contribuiscono, in modo silenzioso, ad aiutare i fratelli in difficoltà. A tutti i donatori esprimo apprezzamento e invito specialmente i giovani a seguire il loro esempio.
Saluto tutti voi, cari romani e pellegrini: gruppi parrocchiali, famiglie, associazioni. In particolare saluto i fedeli venuti da Debrecen (Ungheria), da Malta, da Houston (Stati Uniti) e da Panamá; e dall’Italia i fedeli di Altamura, Angri, Treviso e Osimo.
Un pensiero speciale alla comunità dei romeni cattolici che vivono a Roma e ai ragazzi della Cresima di Cerea.
Saluto il gruppo che ricorda tutte le persone scomparse e assicuro la mia preghiera. Come pure sono vicino a tutti i lavoratori che difendono in modo solidale il diritto al lavoro, che è un diritto alla dignità!
Come è stato annunciato, giovedì prossimo sarà pubblicata una Lettera Enciclica sulla cura del creato. Invito ad accompagnare questo avvenimento con una rinnovata attenzione alle situazioni di degrado ambientale, ma anche di recupero, nei propri territori. Questa Enciclica è rivolta a tutti: preghiamo perché tutti possano ricevere il suo messaggio e crescere nella responsabilità verso la casa comune che Dio ci ha affidato a tutti.
A tutti voi auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
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