Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

martedì 30 giugno 2009

Contributi 128 - CARITAS IN VERITATE/ I punti saldi della nuova enciclica di Benedetto XVI

da il Sussidiario

Flavio Felice

martedì 30 giugno 2009

Ieri, 29 giugno 2009, festa solenne dei santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha firmato la sua terza enciclica, la prima del suo Magistero sociale. Lo scorso 13 giugno, durante l'udienza concessa ai soci e ai corsisti della Fondazione “Centesimus Annus”, il Papa aveva sostenuto la necessità di ripensare i «paradigmi economico-finanziari dominanti negli ultimi anni». Secondo il Pontefice, proprio «la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni».
Il Pontefice, parlando di economia di mercato, cita un passaggio decisivo della Centesimus annus del 1991, ritenendo che «la libertà nel settore dell'economia deve inquadrarsi in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale, una libertà responsabile il cui centro è etico e religioso». A questo punto del discorso il Papa ricorda ai presenti l'imminente pubblicazione dell'Enciclica dedicata all'economia, al lavoro e allo sviluppo: la Caritas in veritate. L’enciclica sociale sullo sviluppo che nelle intenzioni del Pontefice celebra e aggiorna la Populorum progressio di Paolo VI del 1967. È stata proprio l’enciclica di Paolo VI a insistere, oltre che sull’apprezzamento della cultura e della civiltà tecnica che contribuiscono alla liberazione dell’uomo, anche sul «dovere gravissimo», che incombe sulle Nazioni più sviluppate, di «aiutare i Paesi in via di sviluppo».
Con riferimento all’enciclica firmata ieri, Benedetto XVI ha detto ai soci e ai corsisti della Fondazione “Centesimus Annus”: «Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell'economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale». Nell'occasione, Benedetto XVI cita un passaggio della Centesimus Annus: «Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti».
Mercato, proprietà, impresa, profitto, lavoro assumono un significato cristianamente consistente nella misura in cui il centro è Cristo; Cristo redentore che, rivelando Dio all’uomo, rivela l’uomo all’uomo. Il mercato dunque può assumere i caratteri cristiani della “relazionalità”, la proprietà assume la cifra della “responsabilità”, con il lavoro l’uomo - creato ad immagine e somiglianza del Padre-Creatore - “soggettivamente” partecipa in un certo senso all’“opera creatrice” del Padre-Creatore, l’impresa è la “comunità” di lavoro nella quale sperimenta il suo profondo legame con l’umanità intera e il profitto è uno dei tanti (ma indispensabile) “parametri” per misurare la corretta (responsabile) allocazione dei beni della terra.
Al centro della riflessione della Caritas in veritate troveremo la questione dello sviluppo integrale della persona. Ricordiamo quanto riconosciuto e proposto da Giovanni Paolo II e ripreso dallo stesso Benedetto XVI durante l’udienza del 13 giugno: «Un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia».
Il senso di queste affermazioni, confermate e rafforzate da Benedetto XVI, incontra un caposaldo della tradizione dell’“economia sociale di mercato”: le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in un vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono essere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate. In questa prospettiva, una sana “economia di mercato”, “economia d’impresa”, “economia libera” - ovvero un capitalismo rettamente inteso - sono sempre limitate da un ordine giuridico che le regola e da istituzioni morali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi che, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, interagiscono con esse e le influenzano, essendone esse stesse influenzate.
L’economia di mercato è sempre plasmata dalla cultura nella quale essa vive, e a sua volta, è influenzata dalle azioni e dalle abitudini quotidiane di coloro che la pongono in essere, poiché le azioni dei singoli influenzano la qualità della vita all’interno della società. È questo il “personalismo metodologico” che ha pervaso il Magistero sociale di Wojtyla e che continuerà a plasmare la cura pastorale di Benedetto XVI anche in ambito socio-economico.

Contributi 127 - Veri e finti "cattolici adulti"

Benedetto XVI a San Paolo fuori le Mura, 28 giugno 2009

Cari fratelli e sorelle,
rivolgo a ciascuno il mio saluto cordiale. In particolare, saluto il Cardinale Arciprete di questa Basilica e i suoi collaboratori, saluto l’Abate e la comunità monastica benedettina; saluto pure la Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. L’anno commemorativo della nascita di san Paolo si conclude stasera. Siamo raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione. Molte persone hanno, durante questi mesi, seguito le vie dell’Apostolo – quelle esteriori e più ancora quelle interiori, che egli ha percorso durante la sua vita: la via di Damasco verso l’incontro con il Risorto; le vie nel mondo mediterraneo, che egli ha attraversato con la fiaccola del Vangelo, incontrando contraddizione e adesione, fino al martirio, per il quale appartiene per sempre alla Chiesa di Roma. Ad essa ha indirizzato anche la sua Lettera più grande ed importante. L’Anno Paolino si conclude, ma essere in cammino insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venir a conoscenza di Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana.
E sempre, andando oltre l’ambiente dei credenti, egli rimane il “maestro delle genti”, che vuol portare il messaggio del Risorto a tutti gli uomini, perché Cristo li ha conosciuti ed amati tutti; è morto e risorto per tutti loro. Vogliamo quindi ascoltarlo anche in questa ora in cui iniziamo solennemente la festa dei due Apostoli uniti fra loro da uno stretto legame.
Fa parte della struttura delle Lettere di Paolo che esse – sempre in riferimento al luogo ed alla situazione particolare – spieghino innanzitutto il mistero di Cristo, ci insegnino la fede. In una seconda parte, segue l’applicazione alla nostra vita: che cosa consegue a questa fede? Come essa plasma la nostra esistenza giorno per giorno?
Nella Lettera ai Romani, questa seconda parte comincia con il dodicesimo capitolo, nei primi due versetti del quale l’Apostolo riassume subito il nucleo essenziale dell’esistenza cristiana.
Che cosa dice a noi san Paolo in quel passaggio?
Innanzitutto afferma, come cosa fondamentale, che con Cristo è iniziato un nuovo modo di venerare Dio – un nuovo culto.
Esso consiste nel fatto che l’uomo vivente diventa egli stesso adorazione, “sacrificio” fin nel proprio corpo. Non sono più le cose ad essere offerte a Dio. È la nostra stessa esistenza che deve diventare lode di Dio.
Ma come avviene questo?
Nel secondo versetto ci vien data la risposta: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio…” (12, 2). Le due parole decisive di questo versetto sono: “trasformare” e “rinnovare”.
Dobbiamo diventare uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di esistenza. Il mondo è sempre alla ricerca di novità, perché con ragione è sempre scontento della realtà concreta. Paolo ci dice: il mondo non può essere rinnovato senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi, ci sarà anche un mondo nuovo, un mondo rinnovato e migliore. All’inizio sta il rinnovamento dell’uomo. Questo vale poi per ogni singolo. Solo se noi stessi diventiamo nuovi, il mondo diventa nuovo.
Ciò significa anche che non basta adattarsi alla situazione attuale.
L’Apostolo ci esorta ad un non-conformismo.
Nella nostra Lettera si dice: non sottomettersi allo schema dell’epoca attuale. Dovremo tornare su questo punto riflettendo sul secondo testo che stasera voglio meditare con voi. Il “no” dell’Apostolo è chiaro ed anche convincente per chiunque osservi lo “schema” del nostro mondo. Ma diventare nuovi – come lo si può fare? Ne siamo davvero capaci? Con la parola circa il diventare nuovi, Paolo allude alla propria conversione: al suo incontro col Cristo risorto, incontro di cui nella Seconda Lettera a i Corinzi dice: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (5, 17). Era tanto sconvolgente per lui questo incontro con Cristo che dice al riguardo: “Sono morto” (Gal 2, 19; cfr Rm 6). Egli è diventato nuovo, un altro, perché non vive più per se stesso e in virtù di se stesso, ma per Cristo ed in Lui. Nel corso degli anni, però, ha anche visto che questo processo di rinnovamento e di trasformazione continua per tutta la vita.
Diventiamo nuovi, se ci lasciamo afferrare e plasmare dall’Uomo nuovo Gesù Cristo. Egli è l’Uomo nuovo per eccellenza. In Lui la nuova esistenza umana è diventata realtà, e noi possiamo veramente diventare nuovi se ci consegniamo alle sue mani e da Lui ci lasciamo plasmare.Paolo rende ancora più chiaro questo processo di “rifusione"; dicendo che diventiamo nuovi se trasformiamo il nostro modo di pensare. Ciò che qui è stato tradotto con “modo di pensare”, è il termine greco “nous”. È una parola complessa. Può essere tradotta con “spirito”, “sentimenti”, “ragione” e, appunto, anche con “modo di pensare”.
La nostra ragione deve diventare nuova. Questo ci sorprende. Avremmo forse aspettato che riguardasse piuttosto qualche atteggiamento: ciò che nel nostro agire dobbiamo cambiare, un precetto di alterazione. Ma no: il rinnovamento deve andare fino in fondo. Il nostro modo di vedere il mondo, di comprendere la realtà – tutto il nostro pensare deve mutarsi a partire dal suo fondamento.
Il pensiero dell’uomo vecchio, il modo di pensare comune è rivolto in genere verso il possesso, il benessere, l’influenza, il successo, la fama e così via.
Ma in questo modo ha una portata troppo limitata. Così, in ultima analisi, resta il proprio “io” il centro del mondo. Dobbiamo imparare a pensare in maniera più profonda. Che cosa ciò significhi, lo dice san Paolo nella seconda parte della frase: bisogna imparare a comprendere la volontà di Dio, così che questa plasmi la nostra volontà. Affinché noi stessi vogliamo ciò che vuole Dio, perché riconosciamo che ciò che Dio vuole è il bello e il buono. Si tratta dunque di una svolta nel nostro spirituale orientamento di fondo.
Dio deve entrare nell’orizzonte del nostro pensiero: ciò che Egli vuole e il modo secondo cui Egli ha ideato il mondo e me.
Dobbiamo imparare a prendere parte al pensare e al volere di Gesù Cristo. È allora che saremo uomini nuovi nei quali emerge un mondo nuovo.
Lo stesso pensiero di un necessario rinnovamento del nostro essere persona umana, Paolo lo ha illustrato ulteriormente in due brani della Lettera agli Efesini, sui quali pertanto vogliamo ancora riflettere brevemente. Nel quarto capitolo della Lettera l’Apostolo ci dice che con Cristo dobbiamo raggiungere l’età adulta, un’umanità matura. Non possiamo più rimanere “fanciulli in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (4, 14). Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso.
Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia , non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo.
È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi.
Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo. La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo. Tuttavia, anche qui Paolo non si ferma alla negazione, ma ci conduce al grande “sì”. Descrive la fede matura, veramente adulta in maniera positiva con l’espressione: “agire secondo verità nella carità” (cfr Ef 4, 15).
Il nuovo modo di pensare, donatoci dalla fede, si volge prima di tutto verso la verità.
Il potere del male è la menzogna.
Il potere della fede, il potere di Dio è la verità.
La verità sul mondo e su noi stessi si rende visibile quando guardiamo a Dio.
E Dio si rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo.
Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa: verità e carità sono inseparabili.
In Dio, ambedue sono inscindibilmente una cosa sola: è proprio questa l’essenza di Dio. Per questo, per i cristiani verità e carità vanno insieme. La carità è la prova della verità. Sempre di nuovo dovremo essere misurati secondo questo criterio, che la verità diventi carità e la carità ci renda veritieri.Ancora un altro pensiero importante appare nel versetto di san Paolo. L’Apostolo ci dice che, agendo secondo verità nella carità, noi contribuiamo a far sì che il tutto – l’universo – cresca tendendo a Cristo. Paolo, in base alla sua fede, non s’interessa soltanto della nostra personale rettitudine e non soltanto della crescita della Chiesa.
Egli s’interessa dell’universo: ta pánta. Lo scopo ultimo dell’opera di Cristo è l’universo – la trasformazione dell’universo, di tutto il mondo umano, dell’intera creazione. Chi insieme con Cristo serve la verità nella carità, contribuisce al vero progresso de l mondo.
Sì, è qui del tutto chiaro che Paolo conosce l’idea di progresso.
Cristo, il suo vivere, soffrire e risorgere è stato il vero grande salto del progresso per l’umanità, per il mondo.
Ora, però, l’universo deve crescere in vista di Lui. Dove aumenta la presenza di Cristo, là c’è il vero progresso del mondo. Là l’uomo diventa nuovo e così diventa nuovo il mondo.
La stessa cosa Paolo ci rende evidente ancora a partire da un’altra angolatura. Nel terzo capitolo della Lettera agli Efesini egli ci parla della necessità di essere “rafforzati nell’uomo interiore” (3, 16). Con ciò riprende un argomento che prima, in una situazione di tribolazione, aveva trattato nella Seconda Lettera ai Corinzi: “Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno” (4, 16). L’uomo interiore deve rafforzarsi – è un imperativo molto appropriato per il nostro tempo in cui gli uomini così spesso restano interiormente vuoti e pertanto devono aggrapparsi a promesse e narcotici, che poi hanno come conseguenza un ulteriore crescita del senso di vuoto nel loro intimo. Il vuoto interiore – la debolezza dell’uomo interiore – è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Deve essere rafforzata l’interiorità – la percettività del cuore; la capacità di vedere e comprendere il mondo e l’uomo dal di dentro, con il cuore.
Noi abbiamo bisogno di una ragione illuminata dal cuore, per imparare ad agire secondo la verità nella carità.
Questo, tuttavia, non si realizza senza un intimo rapporto con Dio, senza la vita di preghiera. Abbiamo bisogno dell’incontro con Dio, che ci vien dato nei Sacramenti.
E non possiamo parlare a Dio nella preghiera, se non lasciamo che parli prima Egli stesso, se non lo ascoltiamo nella parola, che ci ha donato. Paolo, al riguardo, ci dice: “Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (Ef 3, 17ss).
L’amore vede più lontano della semplice ragione, è ciò che Paolo ci dice con queste parole. E ci dice ancora che solo nella comunione con tutti i santi, cioè nella grande comunità di tutti i credenti – e non contro o senza di essa – possiamo conoscere la vastità del mistero di Cristo. Questa vastità, egli la circoscrive con parole che vogliono esprimere le dimensioni del cosmo: ampiezza, lunghezza, altezza e profondità. Il mistero di Cristo ha una vastità cosm ica: Egli non appartiene soltanto ad un determinato gruppo.
Il Cristo crocifisso abbraccia l’intero universo in tutte le sue dimensioni. Egli prende il mondo nelle sue mani e lo porta in alto verso Dio. A cominciare da sant’ Ireneo di Lione – dunque fin dal II secolo – i Padri hanno visto in questa parola dell’ampiezza, lunghezza, altezza e profondità dell’amore di Cristo un’allusione alla Croce.
L’amore di Cristo ha abbracciato nella Croce la profondità più bassa – la notte della morte, e l’altezza suprema – l’elevatezza di Dio stesso. E ha preso tra le sue braccia l’ampiezza e la vastità dell’umanità e del mondo in tutte le loro distanze. Sempre Egli abbraccia l’universo – tutti noi.
Preghiamo il Signore, affinché ci aiuti a riconoscere qualcosa della vastità del suo amore. PreghiamoLo, affinché il suo amore e la sua verità tocchino il nostro cuore.
Chiediamo che Cristo abiti nei nostri cuori e ci renda uomini nuovi, che agiscono secondo verità nella carità.
Amen !
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lunedì 29 giugno 2009

Contributi 126 - Nell’Anno sacerdotale, imitare san Paolo nella passione per Cristo e per il Vangelo

Papa: Nell’Anno sacerdotale, imitare san Paolo nella passione per Cristo e per il Vangelo Benedetto XVI fa un bilancio positivo per l’Anno Paolino che si conclude stasera. Ma san Paolo è un modello per i sacerdoti anche nell’Anno sacerdotale appena iniziato. Un saluto al parroco e ai fedeli di Lattakia (Siria). Stasera il pontefice presiede i vespri nella basilica di san Paolo Fuori le Mura, insieme ai rappresentanti del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.

Città del Vaticano (AsiaNews) – A conclusione dell’Anno Paolino, con i vespri di stasera nella basilica di san Paolo Fuori le Mura, Benedetto XVI traccia un bilancio di questo anno dedicato alla riscoperta dell’apostolo Paolo e all'Angelus di oggi lo addita come modello anche per l’Anno sacerdotale appena iniziato.
Benedetto XVI presiederà i vespri nella basilica che conserva il corpo dell’apostolo, alla presenza di alcuni rappresentanti del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I.
L’Anno Paolino, voluto dal papa a ricordo del 2 mila anni dalla nascita dell’apostolo di Tarso, "è stato un vero tempo di grazia in cui, mediante i pellegrinaggi, le catechesi, numerose pubblicazioni e diverse iniziative, la figura di san Paolo è stata riproposta in tutta la Chiesa e il suo vibrante messaggio ha ravvivato ovunque, nelle comunità cristiane, la passione per Cristo e per il Vangelo".
Ma l’apostolo Paolo costituisce anche "un modello splendido da imitare" anche durante l’Anno sacerdotale, iniziato lo scorso 19 giugno per rafforzare "l’impegno di interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi".
Paolo di Tarso è da imitare soprattutto "nell’amore per Cristo, nello zelo per l’annuncio del Vangelo, nella dedizione alle comunità, nella elaborazione di efficaci sintesi di teologia pastorale".
"San Paolo – continua il pontefice - è esempio di sacerdote totalmente identificato col suo ministero – come sarà anche il Santo Curato d’Ars –, consapevole di portare un tesoro inestimabile, cioè il messaggio della salvezza, ma di portarlo in un ‘vaso di creta’ (cfr 2 Cor 4,7); perciò egli è forte e umile nello stesso tempo, intimamente persuaso che tutto è merito di Dio, tutto è sua grazia. ‘L’amore del Cristo ci possiede’ – scrive l’Apostolo, e questo può ben essere il motto di ogni sacerdote, che lo Spirito ‘avvince’ (cfr At 20,22) per farne un fedele amministratore dei misteri di Dio (cfr 1 Cor 4,1-2): il presbitero deve essere tutto di Cristo e tutto della Chiesa, alla quale è chiamato a dedicarsi con amore indiviso, come uno sposo fedele verso la sua sposa".
È la quinta volta in pochi giorni che Benedetto XVI ritorna a sottolineare l’importanza dell’Anno sacerdotale e il desiderio che esso rinnovi la vocazione dei presbiteri. Questo periodo, messo sotto la protezione del Santo Curato d’Ars, Giovanni Maria Vianney, "non mancherà di recare tanti benefici al popolo cristiano e specialmente al clero".
Rivolgendosi alle migliaia di pellegrini radunati nella piazza san Pietro, il pontefice ha così concluso la sua riflessione prima dell’Angelus: "Cari amici, insieme con quella dei santi Apostoli Pietro e Paolo, invochiamo ora l’intercessione della Vergine Maria, perché ottenga dal Signore abbondanti benedizioni per i sacerdoti durante questo Anno Sacerdotale da poco iniziato. La Madonna, che san Giovanni Maria Vianney tanto amò e fece amare dai suoi parrocchiani, aiuti ogni sacerdote a ravvivare il dono di Dio che è in lui in virtù della santa Ordinazione, così che egli cresca nella santità e sia pronto a testimoniare, se necessario sino al martirio, la bellezza della sua totale e definitiva consacrazione a Cristo e alla Chiesa".
Fra i pellegrini, erano presenti anche il parroco e i fedeli della comunità dell’Annunciazione dell’Eparchia di Latakia-Siria della Chiesa Siro–Maronita, ai quali il papa ha dedicato un saluto speciale.
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Contributi 125 - San Pietro secondo Auerbach: la forza dirompente di un fatto quotidiano

da Il Sussidiario

Laura Cioni
lunedì 29 giugno 2009

L’apostolo Pietro – che oggi si festeggia insieme a Paolo, quest’anno più alla ribalta per l’anno che gli è stato dedicato - è un uomo affascinante: il pescatore di Galilea, rude e tenero, impulsivo e a tratti quasi infantile, ha spesso spinto gli artisti a illustrarne il carattere, sbozzato in pochi tratti dal Vangelo. Un momento centrale e drammatico della sua vita è costituito dal rinnegamento. Dopo l’arresto di Gesù Pietro lo segue e viene riconosciuto come uno della sua cerchia, ma egli nega di conoscere il Signore.
Erich Auerbach commenta l’episodio in Mimesis, il realismo nella letteratura occidentale, scegliendo la versione dell’evangelo di Marco, composto nella cerchia dei discepoli di Pietro e quasi coevo degli scritti di Petronio e di Tacito, con i quali viene messo in relazione. Il suo metodo critico si basa sul commento e sul confronto di pagine letterarie significative allo scopo di rintracciare le strutture culturali portanti di un’epoca e di una civiltà. Non è superfluo ricordare l’origine ebraica di Auerbach, costretto ad abbandonare la Germania nazista, riparato prima a Istanbul e poi negli Stati Uniti, dove insegnò romanistica all’università di Yale.


Egli ha lasciato il paese e il mestiere, ha seguito il suo maestro a Gerusalemme e per primo l’ha riconosciuto come messia; quando era venuta la catastrofe, egli era stato più coraggioso degli altri, s’era avviato a seguir Cristo anche questa volta. Però questo è soltanto un avvio, un seguirlo a mezzo e con paura, forse determinato dalla confusa speranza che potesse ancora avvenire il miracolo per cui il messia avrebbe annientato i suoi nemici. Perché crede profondamente, ma non abbastanza, a lui accade la cosa peggiore che possa accadere a un credente, pochi momenti prima ancora entusiasta: trema per la sua povera vita.
Una figura tragica che ha tale origine, un eroe di tanta debolezza, che proprio dalla sua debolezza trae la forza maggiore, tali oscillazioni sono inconciliabili con lo stile illustre della letteratura antica. Ma anche il modo e il luogo del conflitto stanno completamente al di fuori della cornice dell’antichità classica. Si tratta, guardando le cose dal di fuori, di una operazione di polizia, la quale si svolge in tutto e per tutto fra persone comuni del popolo; qualche cosa del genere avrebbe fatto pensare agli antichi a una farsa o a una commedia. Perché non fu così? Perché suscita la partecipazione più seria e più commossa? Perché rappresenta quanto non è stato mai rappresentato né dalla poesia né dalla storiografia antica: la nascita d’un movimento spirituale nelle profondità della vita spirituale del popolo, che con ciò acquista un’importanza mai raggiunta nella letteratura antica. Davanti ai nostri occhi si risvegliano un cuore e uno spirito nuovi.
Quanto è detto qui si riferisce a tutti i fatti che sono raccontati nel Nuovo Testamento; in essi si tratta sempre della stessa questione, sempre dello stesso conflitto, che si presenta fondamentale per ogni uomo e che con ciò è aperto e infinito.
Per gli scrittori del Nuovo Testamento questa storia contemporanea che si svolge entro una cornice quotidiana costituisce un avvenimento rivoluzionario nella storia del mondo, e in seguito diventa tale per ciascuno. Si rivela quale moto e forza storica perché in qualsiasi persona vengono esemplificati gli effetti della dottrina, della persona e del destino di Gesù.
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Post 41 - La cultura della morte

Quella che ci circonda e che respiriamo un po' ovunque è decisamente una cultura di morte; ma questo più che spaventarci deve indurci a pregare per una maggiore conversione nostra e del mondo di oggi.
I segnali che riceviamo sono molto tristi (per i dettagli cliccare su **) :
- in Italia si vuole dare il via alla pillola abortiva **
- in Svezia si può abortire se il sesso del nascituro non ci piace **
intanto in Venezuela come in Iran si reprime con violenza ogni tipo di opposizione.
Quella in cui ci troviamo immersi è una cultura che avendo rinnegato Cristo si è voltata verso la propria auto distruzione. Occorre che ci sia un gruppo di persone (anche piccolo, in fondo tutto è cominciato 2000 anni fa con dodici uomini della provincia meno importante dell'impero romano) ma che fondino completamente la loro persona su Cristo e acquistino la consapevolezza di essere la salvezza del mondo, non per una loro bravura ma per il loro amore a Gesù.
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venerdì 26 giugno 2009

Contributi 124 - Il catechismo della carne

tratto da Il Sussidiario

Pigi Colognesi
venerdì 26 giugno 2009

Consiglio vivamente la lettura dell’ultimo saggio di Timothy Verdon, Il catechismo della carne (Cantagalli 2009). Lo studioso di storia dell’arte cristiana, americano di origine ma residente in Italia da quarant’anni, offre in tre densi capitoli notevoli spunti per comprendere non solo le caratteristiche di una espressione artistica che accompagna la civiltà occidentale da due millenni (e senza della quale quella stessa civiltà risulta meno comprensibile), ma anche la natura stessa del fatto cristiano che a quell’espressione artistica ha dato origine. E la natura del cristianesimo è quella di essere «incarnazionale», cioè fondato sull’accadere di un evento compiutamente «fisico»: l’incarnazione, appunto, di Dio in un corpo umano. Pertanto esso è valorizzatore di ogni «carne», quella dell’uomo, e di ogni «materia», quella del cosmo che circonda l’essere umano. Entrambi sono «chiamati a salvezza», cioè destinati ad una definitiva bellezza, pur dovendo ancora nel tempo dibattersi in quelle che san Paolo chiama «le doglie del parto».
Lascio al lettore il gusto e la soddisfazione di ripercorrere con Verdon l’evolversi della carnalissima arte cristiana, dal superamento della corporeità eroica dell’arte greco-romana all’approfondimento teologico e simbolico del medio evo, dalla rivoluzione affettiva di san Francesco alla reinvenzione del modello classico nel rinascimento, dal dramma barocco alle sue degenerazioni, fino alla strana afasia sul corpo di molta arte sacra contemporanea.
Mi voglio, invece, soffermare su una delle opere analizzate nel volume. Si tratta del michelangiolesco Tondo Pitti, conservato al Bergello di Firenze. Scrive Verdon (che anni fa ha dedicato un saggio a Michelangelo teologo): «Il tondo rappresenta Maria, seduta su un blocco di marmo mentre mostra un libro aperto al bambino Gesù, il quale vi appoggia il braccio destro. Alle spalle di Maria, l’altro bambino che guarda verso Cristo è san Giovanni Battista, sovente raffigurato nell’arte fiorentina in quanto patrono cittadino. Ma l’intuizione teologica principale del tondo è comunicata in un altro particolare: il braccio di Gesù poggiante sul grande libro tenuto da Maria, che comunica l’idea di un’antica cultura “incarnata” nel Verbo fattosi bambino». Perché si tratta di una grande intuizione teologica? Appunto perché il cristianesimo non è una «religione del libro», l’incontro con esso non avviene per riflessione su una teoria e il suo mantenersi nella storia non si realizza perché uno stuolo di scribi commenta e chiosa le parole scritte di una dottrina del passato. Quel braccino di un sorridente bambino è «la vittoria della carne umana sulla parola scritta».
Maria è pensosa, dice Verdon, perché rappresenta tutta l’umanità nel suo sforzo, intenso e un po’ triste, di comprendere il mistero dell’esistenza. E come può farlo? Leggendo un libro, cioè paragonandosi con il meglio che il suo lungo cammino e diuturno sforzo ha saputo produrre e tramandare. «Ma, al posto delle parole, Dio le ha dato il suo Verbo come figlio in carne ed ossa».
Maria, però, è anche la Chiesa. Tra i suoi figli non è mai escluso il pericolo di comportarsi come scribi, sottili interpreti di un libro, dotti esegeti di una teoria, ripetitori di un discorso. Ma il braccio un po’ insolente di quel bambino posato sul libro sta a ricordare che «solo lo stupore conosce» e che l’unico «catechismo» convincente è quello «della carne».

giovedì 25 giugno 2009

ALFABETO DELLE ANIME PURGANTI

Quelle Anime benedette:

ADORANO la Triade augustissima, Padre, Figliuolo e Spirito Santo, adorano il Verbo incarnato il divin Redentore, le cui adorabili piaghe furono fonti inesauribili di grazie: adorano i divini decreti e le divine disposizioni che loro non permettono ancora l'ingresso nel Cielo.
AMANO con amore puro ed ardente il loro, Dio: amano il Padre celeste con affetto filiale, amano lo Sposo divino con amore di simpatia e di compiacenza, amano l'Amico vero e fedelissimo con amore sincero d'amicizia. Amano ancora con amore riconoscente chi le aiuta e suffraga nelle loro acerbissime pene.
AMMIRANO le ineffabili perfezioni e gli infiniti attributi di Dio che sono certe di godere eternamente; ammirano l'intreccio stupendo delle grazie copiose e delle mille circostanze onde Iddio le ha guidate al porto della eterna salvezza.
BRAMANO con accesissimo desiderio di vedere Iddio, di possederlo, di goderlo eternamente e bramano ancora che noi andiamo in loro soccorso ed acceleriamo coi nostri suffragi la loro eterna beatitudine.
CANTANO la bontà e la misericordia di Dio che le ha liberate da mille pericoli e le ha poste in luogo di salvazione.
CONFESSANO l'altissima giustizia di Dio riconoscendo che ben troppo hanno meritato le pene che soffrono.
DETESTANO con tutto l'orrore e 1'abominio non solo il peccato grave e mortale che sebbene assolto nel tribunale di penitenza pur le fa gemere nel Purgatorio, ma altresì ogni pur lieve colpa e difetto che là tiene lontane dal loro sommo desideratissimo Bene.
DESIDERANO di possederlo.
ESPIANO Con ardentemente di vedere Dio, amore puro e disinteressato ogni pensiero meno retto, ogni desiderio meno puro, ogni affetto meno santo, ogni parola non cauta ed oziosa, ogni atto non regolato dalla legge santa di Dio.
FISSANO continuamente il loro sguardo in Dio, nel beneplacito suo, nel glorioso suo regno; solo a Dio é rivolta la loro mente, solo per Dio palpita il loro cuore.
FIDANO In Dio solo, nella fedeltà della sua parola e delle sue promesse, fidano nella Onnipotenza del Padre, nella Sapienza del Figlio e nell'Amore dello Spirito Santo.
GEMONO per le pene atroci che soffrono, per il desiderio e le ansie amorose di presto vedere Gesù, di contemplarlo e goderlo in eterno.
GUARDANO e GIUDICANO molto diversamente da quello che facevano sulla terra; guardano le croci, la povertà ed i tollerati disprezzi come una scala per cui Dio misericordiosamente li fe' salire in cielo; giudicano le ricchezze, l'ingegno, la sanità, il tempo, non come motivi di vanto e di vanagloria, ma come talenti da trafficare, come monete per acquistarci il cielo.
INVOCANO la nostra pietà, i nostri suffragi, chiedono a noi una stilla che refrigeri gli ardori di quel fuoco che le brucia. Invocano aiuto, chi dai figli, chi dai genitori, chi dagli amici, invocano una tua preghiera che discenda come un angelo a liberarle da quelle fiamme.
INTERCEDONO per noi e per la nostra salute, sono mediatrici fra noi e Dio per ottenerci da Lui benefici e grazie nell'ordine spirituale e corporale, c'intercedono grazie di vittoria sulle passioni; intercedono lumi per la conversione d'alcuni e forza di perseverare per altri.
LODANO Dio, i suoi ammirabili attributi, le amabili sue perfezioni, Lo lodano con tutto l'impeto della mente e del cuore, desiderando di compensarlo dell'onore di cui lo defraudarono in terra col peccato; lodano Maria sovrana loro benefattrice.
MEDITANO! Meditano sugli attributi di Dio, sul suo amore infinito per le anime, sulla vita di Gesù, sui patimenti atroci da Lui sofferti per loro amore; meditano la terra che lasciarono, il Purgatorio ove soffrono, il Paradiso che le aspetta.
NOBILITANO in quelle fiamme purgatrici, come l'oro nel fuoco; ed abbelliscono l'immagine di Dio che portano in sé scolpita, e che Dio aveva creato candida ed immacolata, ma ch'esse macchiarono col peccato.
OFFRONO con verace amore, con affettuosa riconoscenza offrono a Dio le nostre preghiere, i nostri voti, offrono a Dio gli atti della nostra carità, offrono continuamente l'omaggio di tutto il loro essere, e le pene che soffrono per soddisfare alla divina giustizia.
PREGANO! Qual modello di preghiera umile, amorosa, fidente e continua ci viene dalla santa scuola del Purgatorio! La preghiera di anime che soffrono commuove il Cuore di Dio e sarà certo esaudita.
RIPARANO i falli commessi in vita, riparano l'orgoglio con accettare l'umiliazione del castigo, riparano la disobbedienza conformando perfettamente il loro volere a quello di Dio, riparano l'infedeltà al divino amore, amando ardentemente.
RALLEGRANSI perché hanno evitato l'inferno e sono confermate in grazia, rallegransi perché sanno senza dubbio di dovere entrare in Paradiso per essere eternamente felici; rallegransi perché vedranno quanto prima l'amabilissimo volto di Gesù, e la tenerissima loro madre Maria.
SOFFRONO immensamente per la privazione della vista di Dio, soffrono per la impotenza di affrettare questo beatissimo istante; soffrono nel fuoco che le circonda e le purifica e questa sola pena sorpassa tutte le sofferenze e tutti i dolori del mondo uniti insieme.
UMILIANSI sotto il flagello di Dio che le purifica, sotto la paterna sua mano, che in quelle fiamme purgatrici viene mondandole dalle macchie contratte per il peccato.
VOGLIONO solo quello che Iddio vuole, perché la loro volontà é diventata una cosa sola con quella di Dio.

(Tratto da: "Filotea per i defunti"; IMPRIMATUR: In Curia Archiep., Mediolani, die 18 octobris 1901. S. A. M. MANTEGAZZA, Ep. Famag., Vie. gen.

Post 40 - Giudizio


Solo un breve pensiero relativo al Santo Padre, Benedetto XVI, per affermare che è evidente che ci troviamo di fronte ad un grande Papa e ad un umile servitore del Signore.
L'anno sacerdotale è una ispirazione dello Spirito per aiutare i sacerdoti a ricentrare meglio la loro vocazione.
Ci sono molti di loro che hanno le idee un po' confuse su cosa sia essere sacerdote e un periodo di preghiere ed indulgenze non può che giovare.
La chiamata è dono gratuito di Cristo ma richiede l'adesione della nostra libertà, senza la quale anche la grazia di Dio è inutile.
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Contributi 123 - Due diverse concezioni del sacerdozio

merc.24/6/09 udienza generale di S.S. Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle,venerdì scorso 19 giugno, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù e Giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione dei sacerdoti, ho avuto la gioia d’inaugurare l’Anno Sacerdotale, indetto in occasione del centocinquantesimo anniversario della "nascita al Cielo" del Curato d’Ars, san Giovanni Battista Maria Vianney.
Ed entrando nella Basilica Vaticana per la celebrazione dei Vespri, quasi come primo gesto simbolico, mi sono fermato nella Cappella del Coro per venerare la reliquia di questo santo Pastore d’anime: il suo cuore.
Perché un Anno Sacerdotale?
Perché proprio nel ricordo del santo Curato d’Ars, che apparentemente non ha compiuto nulla di straordinario?
La Provvidenza divina ha fatto sì che la sua figura venisse accostata a quella di san Paolo.
Mentre infatti si va concludendo l’Anno Paolino, dedicato all’Apostolo delle genti, modello di straordinario evangelizzatore che ha compiuto diversi viaggi missionari per diffondere il Vangelo, questo nuovo anno giubilare ci invita a guardare ad un povero contadino diventato umile parroco, che ha consumato il suo servizio pastorale in un piccolo villaggio.
Se i due Santi differiscono molto per i percorsi di vita che li hanno caratterizzati – l’uno è passato di regione in regione per annunciare il Vangelo, l’altro ha accolto migliaia e migliaia di fedeli sempre restando nella sua piccola parrocchia -, c’è però qualcosa di fondamentale che li accomuna: ed è la loro identificazione totale col proprio ministero, la loro comunione con Cristo che faceva dire a san Paolo: "Sono stato crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). E san Giovanni Maria Vianney amava ripetere: "Se avessimo fede, vedremmo Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro il vetro, come il vino mescolato all’acqua".
Scopo di questo Anno Sacerdotale come ho scritto nella lettera inviata ai sacerdoti per tale occasione - è pertanto favorire la tensione di ogni presbitero "verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del suo ministero", e aiutare innanzitutto i sacerdoti, e con essi l’intero Popolo di Dio, a riscoprire e rinvigorire la coscienza dello straordinario ed indispensabile dono di Grazia che il ministero ordinato rappresenta per chi lo ha ricevuto, per la Chiesa intera e per il mondo, che senza la presenza reale di Cristo sarebbe perduto.
Indubbiamente sono mutate le condizioni storiche e sociali nelle quali ebbe a trovarsi il Curato d’Ars ed è giusto domandarsi come possano i sacerdoti imitarlo nella immedesimazione col proprio ministero nelle attuali società globalizzate. In un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale, la "funzionalità" diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale.
Non di rado, sia negli ambienti teologici, come pure nella concreta prassi pastorale e di formazione del clero, si confrontano, e talora si oppongono, due differenti concezioni del sacerdozio.
Rilevavo in proposito alcuni anni or sono che esistono "da una parte una concezione sociale-funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione…
Dall’altra parte, vi è la concezione sacramentale-ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento" (J. Ratzinger, Ministero e vita del Sacerdote, in Elementi di Teologia fondamentale. Saggio su fede e ministero, Brescia 2005, p.165).
Anche lo slittamento terminologico dalla parola "sacerdozio" a quelle di "servizio, ministero, incarico", è segno di tale differente concezione. Alla prima, poi, quella ontologico-sacramentale, è legato il primato dell’Eucaristia, nel binomio "sacerdozio-sacrificio", mentre alla seconda corrisponderebbe il primato della parola e del servizio dell’annuncio.
A ben vedere, non si tratta di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno. Così il Decreto Presbyterorum ordinis del Concilio Vaticano II afferma: "È proprio per mezzo dell'annuncio apostolico del Vangelo che il popolo di Dio viene convocato e adunato, in modo che tutti… possano offrire se stessi come «ostia viva, santa, accettabile da Dio» (Rm 12,1), ed è proprio attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell'unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore. Questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore" (n. 2).
Ci chiediamo allora: "Che cosa significa propriamente, per i sacerdoti, evangelizzare? In che consiste il cosiddetto primato dell’annuncio"?. Gesù parla dell’annuncio del Regno di Dio come del vero scopo della sua venuta nel mondo e il suo annuncio non è solo un "discorso". Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire: i segni e i miracoli che compie indicano che il Regno viene nel mondo come realtà presente, che coincide ultimamente con la sua stessa persona. In questo senso, è doveroso ricordare che, anche nel primato dell’annuncio, parola e segno sono indivisibili. La predicazione cristiana non proclama "parole", ma la Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Cristo, ontologicamente aperta alla relazione con il Padre ed obbediente alla sua volontà. Quindi, un autentico servizio alla Parola richiede da parte del sacerdote che tenda ad una approfondita abnegazione di sé, sino a dire con l’Apostolo: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me".
Il presbitero non può considerarsi "padrone" della parola, ma servo.
Egli non è la parola, ma, come proclamava Giovanni il Battista, del quale celebriamo proprio oggi la Natività, è "voce" della Parola: "Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri" (Mc 1,3).
Ora, essere "voce" della Parola, non costituisce per il sacerdote un mero aspetto funzionale. Al contrario presuppone un sostanziale "perdersi" in Cristo, partecipando al suo mistero di morte e di risurrezione con tutto il proprio io: intelligenza, libertà, volontà e offerta dei propri corpi, come sacrificio vivente (cfr Rm 12,1-2). Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo, alla sua chènosi, rende autentico l’annuncio! E questo è il cammino che deve percorrere con Cristo per giungere a dire al Padre insieme con Lui: si compia "non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi" (Mc 14,36). L’annuncio, allora, comporta sempre anche il sacrificio di sé, condizione perché l’annuncio sia autentico ed efficace.Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso la forma di servo, è divenuto servo (cfr Fil 2,5-11). Il sacerdote é servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente, assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo al servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando, in questa progressiva assunzione della volontà del Cristo, nella preghiera, nello "stare cuore a cuore" con Lui. È questa allora la condizione imprescindibile di ogni annuncio, che comporta la partecipazione all’offerta sacramentale dell’Eucaristia e la docile obbedienza alla Chiesa.
Il santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: "Come è spaventoso essere prete!". Ed aggiungeva: "Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Com’è sventurato un prete senza vita interiore!".
Possa l’Anno sacerdotale condurre tutti i sacerdoti ad immedesimarsi totalmente con Gesù crocifisso e risorto, perché, ad imitazione di san Giovanni Battista, siano pronti a "diminuire" perché Lui cresca; perché, seguendo l’esempio del Curato d’Ars, avvertano in maniera costante e profonda la responsabilità della loro missione, che è segno e presenza dell’infinita misericordia di Dio. Affidiamo alla Madonna, Madre della Chiesa, l’Anno Sacerdotale appena iniziato e tutti i sacerdoti del mondo.

martedì 23 giugno 2009

Le indulgenze dell'anno sacerdotale

Si arricchiscono del dono di Sacre Indulgenze, particolari esercizi di pietà, da svolgersi durante l’Anno Sacerdotale indetto in onore di San Giovanni Maria Vianney


A.- Ai sacerdoti veramente pentiti, che in qualsiasi giorno devotamente reciteranno almeno le Lodi mattutine o i Vespri davanti al SS.mo Sacramento, esposto alla pubblica adorazione o riposto nei tabernacolo, e, sull’esempio di San Giovanni Maria Vianney, si offriranno con animo pronto e generoso alla celebrazione dei sacramenti, soprattutto della Confessione, viene impartita misericordiosamente in Dio l’Indulgenza plenaria, che potranno anche applicare ai confratelli defunti a modo di suffragio, se, in conformità alle disposizioni vigenti, si accosteranno alla confessione sacramentale e al Convivio eucaristico, e se pregheranno secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.Ai sacerdoti viene inoltre concessa l’Indulgenza parziale, anche applicabile ai confratelli defunti, ogni qual volta reciteranno devotamente preghiere debitamente approvate per condurre una vita santa e per adempiere santamente agli uffici a loro affidati.

B.- A tutti i fedeli veramente pentiti che, in chiesa o in oratorio, assisteranno devotamente al divino Sacrificio della Messa e offriranno, per i sacerdoti della Chiesa, preghiere a Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, e qualsiasi opera buona compiuta in quel giorno, affinché li santifichi e li plasmi secondo il Suo Cuore, è concessa l’Indulgenza plenaria, purché abbiano espiato i propri peccati con la penitenza sacramentale ed innalzato preghiere secondo l’intenzione del Sommo Pontefice: nei giorni in cui si apre e si chiude l’Anno Sacerdotale, nel giorno del 150° anniversario del pio transito di San Giovanni Maria Vianney, nel primo giovedì del mese o in qualche altro giorno stabilito dagli Ordinari dei luoghi per l’utilità dei fedeli.Sarà molto opportuno che, nelle chiese cattedrali e parrocchiali, siano gli stessi sacerdoti preposti alla cura pastorale a dirigere pubblicamente questi esercizi di pietà, celebrare la Santa Messa e confessare i fedeli.Agli anziani, ai malati, e a tutti quelli che per legittimi motivi non possano uscire di casa, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato e con l’intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, nella propria casa o là dove l’impedimento li trattiene, verrà ugualmente elargita l’Indulgenza plenaria se, nei giorni sopra determinati, reciteranno preghiere per la santificazione dei sacerdoti, e offriranno con fiducia a Dio per mezzo di Maria, Regina degli Apostoli, le malattie e i disagi della loro vita.

E' concessa, infine, l’Indulgenza parziale a tutti i fedeli ogni qual volta reciteranno devotamente cinque Padre Nostro, Ave Maria e Gloria, o altra preghiera appositamente approvata, in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù, per ottenere che i sacerdoti si conservino in purezza e santità di vita.
Il presente Decreto è valido per tutta la durata dell’Anno Sacerdotale.
Nonostante qualsiasi disposizione contraria.
Dato in Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica,
il 25 aprile, festa di S. Marco Evangelista, anno dell’Incarnazione del Signore 2009.

James Francis Card. Stafford Penitenziere Maggiore
+ Gianfranco Girotti, O. F. M. Conv. Vesc. Tit. di Meta, Reggente

domenica 21 giugno 2009

Contributi 122 - Preghiera per l'anno sacerdotale

Signore Gesù,
Tu hai voluto donare alla Chiesa, attraverso San Giovanni Maria Vianney, un’immagine viva di Te, ed una personificazione della Tua carità pastorale.
Aiutaci, in sua compagnia ed assistiti dal suo esempio, a vivere bene quest’Anno Sacerdotale.
Fa che possiamo imparare dal Santo Curato d’Ars il modo di trovare la nostra gioia restando a lungo in adorazione davanti al Santissimo Sacramento; come la Tua Parola che ci guida sia semplice e quotidiana; con quale tenerezza il Tuo Amore accolga i peccatori pentiti; quanto sia consolante l’abbandono fiducioso alla Tua Santissima Madre Immacolata; quanto sia necessario lottare con vigilanza contro il Maligno.
Fa, o Signore Gesù, che i nostri giovani possano apprendere dall’esempio del Santo Curato d’Ars, quanto sia necessario, umile e glorioso il ministero sacerdotale che Tu vuoi affidare a quelli che si aprono alla Tua chiamata.
Fa che nelle nostre comunità – come ad Ars a quel tempo – ugualmente si realizzino quelle meraviglie di grazia che Tu compi quando un sacerdote sa "mettere l’amore nella sua parrocchia".
Fa che le nostre famiglie cristiane si sentano parte della Chiesa – dove possono sempre ritrovare i Tuoi ministri – e sappiano rendere le loro case belle come una chiesa.
Fa che la carità dei nostri Pastori nutra ed infiammi la carità di tutti i fedeli, affinché tutte le vocazioni e tutti i carismi donati dal Tuo Santo Spirito possano essere accolti e valorizzati.
Ma soprattutto, o Signore Gesù, concedici l’ardore e la verità del cuore perché noi possiamo rivolgerci al Tuo Padre Celeste, facendo nostre le stesse parole che San Giovanni Maria Vianney utilizzava quando si rivolgeva a Lui:
"Vi amo mio Dio, e il mio unico desiderio è di amrVi
fino all’ultimo respiro della mia vita.
Vi amo, o Dio infinitamente amabile, e desidero ardentemente di morire amandovi, piuttosto che vivere un solo istante senza amarVi.
Vi amo Signore, e la sola grazia che Vi chiedo è di amarVi in eterno.
Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere sempre che io Vi amo, desidero che il mio cuore Ve lo ripeta ad ogni mio respiro.
Vi amo, o mio Divin Salvatore, perché siete stato crocifisso per me; e perché Voi mi tenete crocifisso quaggiù per Voi.
Mio Dio, fatemi la grazia di morire nel amando
Vi e sentendo che io Vi amo" .
AMEN

Contributi 121 - La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi


Apertura dell’Anno Sacerdotale. Il Papa: "La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi".

◊ “La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi; di ministri che aiutino i fedeli a sperimentare l’amore misericordioso del Signore e ne siano convinti testimoni”.
E’ uno dei passaggi dell’omelia di Benedetto XVI in occasione della Celebrazione dei secondi Vespri, ieri sera nella Basilica Vaticana, nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Il rito ha segnato l’apertura dell’Anno Sacerdotale, nel 150.mo anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, patrono dei parroci. Il Papa ha anche lanciato un duro monito: “Nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in ‘ladri delle pecore’”. Sacerdoti santi, capaci di aiutare “i fedeli a sperimentare l’amore misericordioso del Signore” e allo stesso tempo in grado di essere testimoni di quell’amore.
E’ qui il cuore dell’omelia di Benedetto XVI che, in occasione dell’apertura dell’Anno Sacerdotale, ha esortato i ministri di Dio a seguire l’esempio del Santo Curato d’Ars e il suo “cuore infiammato di amore divino”:
“’Il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù’ (n. 1589). Come non ricordare con commozione che direttamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacerdotale? Come dimenticare che noi presbiteri siamo stati consacrati per servire, umilmente e autorevolmente, il sacerdozio comune dei fedeli? La nostra è una missione indispensabile per la Chiesa e per il mondo, che domanda fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui; questo rimanere nel suo amore esige cioè che tendiamo costantemente alla santità come ha fatto San Giovanni Maria Vianney.”
Rimanere nel suo amore ma anche “lasciarsi conquistare pienamente da Cristo” è l’esortazione del Papa, “l’obiettivo principale – ha aggiunto – di ognuno di noi”: “Per essere ministri al servizio del Vangelo, è certamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente formazione teologica e pastorale, ma è ancor più necessaria quella ‘scienza dell’amore’ che si apprende solo nel ‘cuore a cuore’ con Cristo. E’ Lui infatti a chiamarci per spezzare il pane del suo amore, per rimettere i peccati e per guidare il gregge in nome suo. Proprio per questo non dobbiamo mai allontanarci dalla sorgente dell’Amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce.”
Proprio al Cuore di Gesù, Benedetto XVI invita a guardare come balsamo per i peccati soprattutto quando il peccatore è vinto dai propri limiti e dalle proprie debolezze e ancora di più questo deve fare il sacerdote: “Nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in ‘ladri delle pecore’ (Gv 10,1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte? Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l’accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare.”Un rischio evidenziato ancora una volta quando il Santo Padre esorta i sacerdoti a coltivare la commozione di San Giovanni Maria Vianney per adempiere al proprio ministero “con generosità e dedizione”, per custodire un vero timore di Dio: “il timore – prosegue il Papa – di poter privare di tanto bene, per nostra negligenza o colpa, le anime che ci sono affidate, o di poterle – Dio non voglia! – danneggiare”.
Benedetto XVI ricorda poi come la Solennità del Sacratissimo Cuore – “il mistero del cuore di un Dio che si commuove e riversa tutto il suo amore sull’umanità” - sia l’occasione offerta alla “nostra contemplazione”. Un amore “misterioso” “rivelato come incommensurabile passione di Dio per l’uomo”: “Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo; in Cristo ci è stata rivelata e donata tutta la novità rivoluzionaria del Vangelo: l’Amore che ci salva e ci fa vivere già nell’eternità di Dio. Scrive l’evangelista Giovanni: ‘Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’ (3,16). Il suo Cuore divino chiama allora il nostro cuore; ci invita ad uscire da noi stessi, ad abbandonare le nostre sicurezze umane per fidarci di Lui e, seguendo il suo esempio, a fare di noi stessi un dono di amore senza riserve.”
A conclusione il Papa si è rivolto a Maria, verso la quale il Santo Curato d’Ars “nutriva filiale devozione”, per “essere guide salde e illuminate” dal cuore infiammato di quella “carità pastorale”- ha sottolineato Benedetto XVI – capaci di assimilare il proprio personale “io” a quello di Gesù sacerdote.
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sabato 20 giugno 2009

Atto di Consacrazione al Sacro Cuore

Il tuo Cuore, o Gesù, è asilo di pace, il soave rifugio nelle prove della vita, il pegno sicuro della mia salvezza.

A Te mi consacro interamente, senza riserve, per sempre. Prendi possesso, o Gesù, del mio cuore, della mia mente, del mio corpo, dell'anima mia, di tutto me stesso. I miei sensi, le mie facoltà, i miei pensieri ed affetti sono tuoi.


Tutto ti dono e ti offro; tutto appartiene a te. Signore, voglio amarti sempre più, voglio vivere e morire di amore.


Fa o Gesù, che ogni mia azione, ogni mia parola, ogni palpito del mio cuore siano una protesta di amore; che l'ultimo respiro sia un atto di ardentissimo e purissimo amore per te.

mercoledì 17 giugno 2009

Contributi 120 - Il bambino di colore e la discriminazione del “clinicamente corretto”

da Il Sussidiario

Carlo Bellieni
mercoledì 17 giugno 2009
In Irlanda una coppia ha concepito in vitro un bimbo, ma per errore l’ospedale avrebbe usato spermatozoi di un donatore africano, determinando la nascita di un bimbo dalla pelle scura.
Il fatto di cronaca dello scambio di spermatozoi in una fecondazione in vitro non è nuovo e sarebbe preoccupante etichettarlo come l’ennesima prova dei limiti della fecondazione in vitro, perché sarebbe considerare “un fallimento” aver avuto un figlio di colore: sarebbe stato un fallimento clinico se la coppia avesse usato il proprio seme e questo fosse stato scambiato con quello di un estraneo, ma qui già si sapeva che il seme non era del padre. Quindi qui l’unico “nocumento” è il colore della pelle, e ci rifiutiamo di pensarlo come tale.
Quello che ci preoccupa allora è che qualcuno si inalberi perché la “richiesta su misura” non sia riuscita. Quello che colpisce è infatti la reazione: si voleva il figlio uguale a sé e ora si è persi, disorientati. Il padre dice che l’errore ha fatto nascere un figlio con la pelle scura che soffrirà perché sarà trattato in maniera discriminatoria dagli altri bambini. Ma ci riesce difficile credere che in Europa oggi qualcuno venga bullizzato per il colore della pelle. In Italia non accade e se accade chi ci prova viene giustamente punito. Nel civile Regno Unito le cose starebbero peggio che da noi?
Altro segnale di disorientamento è sentir dire che «alla madre viene chiesto se ha avuto una relazione con un altro uomo, mentre il padre teme che quando dirà la verità al bambino questi la rifiuterà». Ma oggi è normale vedere coppie con figli di etnia diversa per le possibilità adottive; e non c’è angoscia nello spiegare al figlio – vedi gli adottati – che i suoi genitori non sono precisamente il suo papà e mamma.
Dunque il segnale di disorientamento dei genitori al non veder corrisposte le proprie aspettative emerge chiaro.
In fondo il caso è solo la storia di un bambino “speciale” e dei problemi di suo padre che lo voleva diverso. In realtà dire “solo” è riduttivo: è un film già visto: quanti padri hanno avuto figli “speciali” e quanti sono rimasti delusi… ma pensavamo che avere un figlio “diverso” e viverlo come una delusione fosse un film del secolo scorso.
Insomma, il problema della fecondazione in vitro fa emergere un problema ben più grave: il figlio su misura: si sceglie il sesso, l’incarnato e si eliminano senza ripensamenti quelli che non ci sono venuti bene! O si denuncia. Ma cosa c’è di strano, dato che questo è il criterio con cui, in maniera “meno sottile” si eliminano i figli non voluti o venuti “male” dopo una ricerca al setaccio (screening) prenatale, mentre ormai stanno crescendo nell’utero di mamma? La fecondazione in vitro è solo un segno: il problema vero è più sotto.

Post 39 - Reggio Emilia atea, commenti

Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti con i loro commenti sul post precedente e, come ho fatto altre volte rispondo a mia volta ai loro commenti (che vi invito a leggere tralasciando il mio che è di fatto riprodotto qui di seguito):

x Agapetos - non mi ero accorto che comparisse nella foto un'altra illustre reggiana, la compagna di Togliatti, Leonilde Iotti nei sui anni giovanili, grazie per avermelo fatto notare
x Nicola Commisso - La domanda che mi nasce è un'altra: perchè i ns. amici atei non fanno analoga manifestazione in un Paese islamico? (ma la risposta la sappiamo tutti, credo)
x Marina - è vero la ns. epoca soffre di anoressia spirituale. Preghiamo
x Rita e Terry - la nebbia è di casa in val padana (come anche il lambrusco che sembra vino leggero e frizzante e di conseguenza ti frega perchè ti spinge a berne di più del dovuto) e lo sport locale è la banalizzazione della fede che va spesso di pari passo con la superficialità
x Haya'el - Reggio Emilia è la patria di Dossetti e Prodi, del catto-comunismo, dell'abdicare alla propria fede. L'attuale sindaco Graziano Del Rio ex-DC, ex-PPI, ex-Margherita (non so se ex-credente) punta di diamante dei cattolici progressisti (che si differenziano dai cattolici credenti che sono notoriamente noisi e bigotti) ha se non ricordo male nove figli (di cui quattro adottati) è medico e sicuramente non ha ostacolato l'iniziativa per il famoso rispetto dell'altrui opinione di cui i cattolici progressisti (da non confondere con i cattolici credenti che ne sono quasi privi). E come sempre nell'omertà sinistrorsa le cose si sanno sempre dopo che vengono fatte.
***
Occorre esserci nati in Emilia, averci vissuto anni e per anni respirato l'aria carica di umidità, nebbia, smog e piccoli e grandi soprusi perpetrati dai governanti. Nella campagna per le amministrative del 2004 (le ultime che ho vissuto da reggiano) i vari partiti dell'opposizione affissero manifesti che invitavano al cambiamento (per i più sprovveduti ricordo che il PCI prima il PDS poi, il PD ora ha SEMPRE governato con percentuali che oscillavano dal 60% dei posti più reazionari, all'85% dei più fedeli alla linea). L'allenza PDS-Rifondazione affisse (casualmente sopra alcuni dei cartelli dell'opposizione) manifesti che riportavano i loro simboli e la frase "noi qui governiamo da 60 anni".
Ma la cosa positiva è che i cattolici credenti sono elementi molto coriacei che con le persecuzioni di norma rifioriscono. Dio ci assista sempre e sempre faccia fiorire fra noi suadenti credenti.

martedì 16 giugno 2009

Reggio Emilia capitale dell'ateismo

Mi addolora questa notizia vista che è la città in cui sono nato, ma è purtroppo anche nel regno dello "zoccolo duro" nonchè la patria di Dossetti e Prodi. Per consolarsi del magro bottino elettorale (il PD vince in provincia con "solo" il 52% dei voti contro il 68% della precedente consultazione e in comune con un magro 51% contro il 63%) il sindaco catto-comunista Del Rio permette la propaganda ateista. Per i non pratici di Reggio segnalo che Via Isonzo è molto centrale, Via Francia è una via di comunicazione e passaggio e la bretella passaggio obbligato per chi viene da nord est di Reggio e vuole arrivare in centro (Modena-Carpi-A22-A1). Pubblico quanto segue come esempio di pensiero non cristiano.

A voi la lettura dal sito http://www.reggionelweb.it/

E’ partita anche a Reggio Emilia la campagna dell’UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti) di affissioni dei manifesti con lo slogan rifiutato nella campagna ateobus di Genova. Il manifesto della campagna affisso in viale Isonzo è già stato danneggiato.

ReggioNelWeb.it 16 Giugno 2009

Da lunedì 8 giugno per 14 giorni, l'UAAR propone anche a Reggio Emilia la campagna di affissioni in formato 6x3 riportante lo slogan rifiutato nella campagna ateobus di Genova "La cattiva notizia è che dio non esiste. Quella buona, è che non ne hai bisogno".
I luoghi designati per le affissioni sono viale Isonzo, via Francia e la bretella di congiunzione tra viale del Partigiano e via Melato.
Il manifesto affisso in viale Isonzo è già stato danneggiato, com'è possibile osservare nella fotografia.

domenica 14 giugno 2009

Contributi 119 - il Pane della via verso la libertà, la giustizia e la pace

Meditazione durante l'Angelus nel giorno del Corpus Domini

Cari fratelli e sorelle!
Si celebra oggi in diversi Paesi, tra i quali l'Italia, il Corpus Domini, la festa dell'Eucaristia, in cui il Sacramento del Corpo del Signore viene portato solennemente in processione.
Che cosa significa per noi questa festa?
Essa non fa pensare solo all'aspetto liturgico; in realtà, il Corpus Domini è un giorno che coinvolge la dimensione cosmica, il cielo e la terra.
Evoca prima di tutto - almeno nel nostro emisfero - questa stagione così bella e profumata in cui la primavera volge ormai all'estate, il sole è forte nel cielo e nei campi matura il frumento.
Le feste della Chiesa - come quelle ebraiche - hanno a che fare con il ritmo dell'anno solare, della semina e del raccolto.
In particolare, questo risalta nella solennità odierna, al cui centro sta il segno del pane, frutto della terra e del cielo. Perciò il pane eucaristico è il segno visibile di Colui nel quale cielo e terra, Dio e uomo sono diventati una cosa sola. E questo mostra che il rapporto con le stagioni non è per l'anno liturgico qualche cosa di meramente esteriore.
La solennità del Corpus Domini è intimamente legata alla Pasqua e alla Pentecoste: la morte e risurrezione di Gesù e l'effusione dello Spirito Santo ne sono i presupposti. È inoltre immediatamente collegata alla festa della Trinità, celebrata domenica scorsa.
Solamente perché Dio stesso è relazione, ci può essere rapporto con Lui; e soltanto perché è amore può amare ed essere amato.
Così il Corpus Domini è una manifestazione di Dio, un'attestazione che Dio è amore. In un modo unico e peculiare, questa festa ci parla dell'amore divino, di ciò che è e di ciò che fa. Ci dice, ad esempio, che esso si rigenera nel donarsi, si riceve nel darsi, non viene meno e non si consuma - come canta un inno di san Tommaso d'Aquino: "nec sumptus consumitur".
L'amore trasforma ogni cosa, e dunque si capisce che al centro dell'odierna festa del Corpus Domini ci sia il mistero della transustanziazione, segno di Gesù-Carità che trasforma il mondo. Guardando Lui e adorandoLo, noi diciamo: sì, l'amore esiste, e poiché esiste, le cose possono cambiare in meglio e noi possiamo sperare.
È la speranza che proviene dall'amore di Cristo a darci la forza di vivere e di affrontare le difficoltà. Per questo cantiamo, mentre portiamo in processione il Santissimo Sacramento; cantiamo e lodiamo Dio che si è rivelato nascondendosi nel segno del pane spezzato. Di questo Pane abbiamo tutti bisogno, perché lungo e faticoso è il cammino verso la libertà, la giustizia e la pace.
Possiamo immaginare con quanta fede e amore la Madonna avrà ricevuto e adorato nel suo cuore la santa Eucaristia! Ogni volta era per Lei come rivivere tutto il mistero del suo Figlio Gesù: dal concepimento fino alla risurrezione. "Donna eucaristica" l'ha chiamata il mio venerato e amato predecessore Giovanni Paolo II.
Impariamo da Lei a rinnovare continuamente la nostra comunione con il Corpo di Cristo, per
amarci gli uni gli altri come Lui ha amato noi.
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Eucaristia: mistero di vicinanza e presenza di Cristo


di padre Antonio Rungi


Celebriamo oggi la solennità del Corpus Domini, celebrata in altre parti giovedì scorso, secondo un’antica usanza, rivista in alcune comunità nazionali, anche per adeguarsi alle norme civili che non permettono feste infrasettimanali. Solennità che porta al centro della nostra vita di fede il grande miracolo eucaristico che si rinnova ogni giorno su tutti gli altari del mondo, ove un sacerdote cattolico, in unione alla Chiesa di Cristo, celebra legittimamente la santa messa, memoriale della Pasqua di Morte e Risurrezione di mostro Signore. Attualizzazione dell’evento salvifico, unico ed irripetibile, che è stato celebrato sul Golgota. L’eucaristia in questo senso è il mistero della fede per eccellenza, con il quale annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta. Un mistero di vicinanza, presenza ed attesa. La liturgia nel suo insieme ci porta al grande mistero della fede. I canti, gli inni eucaristici, le preghiere eucaristiche: tutto ci parla del grande amore di Cristo verso l’umanità, che non ha lasciato sola, ma che l’assiste e fortifica con il pane degli angeli, come ci ricorda la sequenza della solennità odierna: Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev’essere gettato. Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell'agnello della Pasqua, nella manna data ai padri. Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi”.
In questo speciale anno sacerdotale indetto da Papa Benedetto XVI, l’eucaristia è e deve essere riscoperta nella vita di ogni ministro della stessa eucaristia. Senza una vita eucaristica sentita, vissuta, approfondita nell’assidua adorazione del santissimo sacramento dell’altare il sacerdote perde molto della sua vocazione e dà poco alla comunità cristiana. Ecco perché che l’annuale solennità del Corpus Domini è un forte richiamo per fedeli e sacerdoti alla centralità dell’eucaristia nella loro vita.
Questo pane degli Angeli che non deve essere buttato, disprezzato, trascurato, fatto deperire, non consumato nel modo migliore. Forte appello alla partecipazione alla mensa eucaristica con cuore puro e rinnovato, purificato da ogni peccato. Non si può, infatti, accostarsi alla mensa eucaristica senza aver messo a posto i conti sospesi a livello morale e spirituale con il Signore e con i fratelli. Fare la comunione significa entrare pienamente in un rapporto sacramentale con Gesù Cristo e con la Chiesa.
Il sacrificio di Cristo sulla Croce ha un senso solo se comprendiamo che egli è morto per i nostri peccati, per risollevarci dalla condizione della nostra personale schiavitù e soggiacenza alle passioni. L’Apostolo Paolo nel brano della lettera agli Ebrei ci richiama all’attenzione il mistero del Crocifisso: “Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa”.L’eucaristia è appello continuo alla purificazione. Cristo ci purifica dalle opere morte e che causano morte nel nostro cuore e nel nostro spirito. Senza questo riferimento continuo al cibo eucaristico, noi diventiamo fragile, debilitati, deboli nell’anima ed incapaci di fare il bene e reagire davanti alle avversità della vita.L’eucaristia è impegno serio nella vita, non ammette compromessi morali, né accomodamenti di sorta. Nel racconto della prima alleanza che Dio stipula con Mosé sul monte Sinai, di cui parla la prima lettura di oggi, tratta dall’Esodo, Israele si impegna ad osservare tutti i comandi del Signore ed accetta di buon grado i dieci comandamenti, frutto dalla carità e dell’amore divino verso l’umanità. “In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!». Mosè scrisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Tutta la liturgia della consacrazione dell’altare che Mosè erige al Signore, della parola di Dio che legge al popolo convocato per il ringraziamento (eucaristia è rendere grazie, è benedire) è finalizzata all’impegno della vita. Quello che ha detto Dio sarà fatto ed eseguito: è questo il nucleo etico del messaggio eucaristico. Come dire, dopo aver reso grazie, celebrata la messa, partecipata alla mensa eucaristica usciamo per le strade della nostra città, dei nostri quartieri, all’interno delle nostre stesse case, abitazioni e famiglie per vivere quanto abbiamo celebrato in Chiesa. La messa non fine con il saluto conclusivo del sacerdote, inizia proprio in quel momento, in quanto dalla celebrazione si passa alla vita vissuta nella fedeltà assoluta al comandamento del Signore. Ecco perché celebrare l’eucaristia significa andare alle origini di questo sacramento istituito nel giovedì santo, alla vigilia della passione e morte in Croce del Signore. Significa riportarsi idealmente e spiritualmente alla sera del cenacolo, alla vigilia della vera e definitiva Pasqua di Dio con l’umanità, come ci rammenta l’evangelista Marco nel brano del Vangelo di oggi attinente la istituzione dell’eucaristia e del sacerdozio cattolico “Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.Nasca anche dentro di noi questa intensissima domanda che possiamo rivolgere a Dio in questo nostro momento: Signore dove e come vuoi che io faccia Pasqua con te e con i fratelli? Semplicemente accostandomi a te nel sacramento dell’altare e poi negare il perdono ai fratelli vivere dissolutamente. C’è il rischio di fare dell’eucaristia un’abitudine o addirittura di non sentirne la necessità ed il bisogno interiore se non in rare circostanze, in quanto questo nostro tempo invece di accostarci sempre più all’Onnipotente ci sta allontanando da Lui non riconoscendolo più presente in corpo, sangue, anima e divinità del SS.Sacramento dell’Altare. Concludiamo questa meditazione con la parte introduttiva della sequenza di oggi, meno conosciuta, ma altrettanta ricca di contenuti e spunti: “Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode. Veramente fu donato agli apostoli riuniti in fraterna e sacra cena. Lode piena e risonante, gioia nobile e serena sgorghi oggi dallo spirito. Cristo lascia in sua memoria ciò che ha fatto nella cena: noi lo rinnoviamo. Obbedienti al suo comando, consacriamo il pane e il vino, ostia di salvezza. È certezza a noi cristiani: si trasforma il pane in carne, si fa sangue il vino. Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi. Mangi carne, bevi sangue; ma rimane Cristo intero in ciascuna specie. Chi ne mangia non lo spezza, né separa, né divide: intatto lo riceve. Siano uno, siano mille, ugualmente lo ricevono: mai è consumato. Vanno i buoni, vanno gli empi; ma diversa ne è la sorte: vita o morte provoca. Vita ai buoni, morte agli empi: nella stessa comunione ben diverso è l’esito!”. Per tutti noi che aneliamo ogni giorno ad accostarci alla mensa del Signore e praticamente lo faccio unico sia l’esito di questo incontro quotidiano: vita, gioia e risurrezione. Amen

Corpus Domini

Satana e i suoi demoni hanno grande timore della SS. Eucarestia. Essa provoca loro più tormenti che a restare nell'Inferno.
Essi temono le anime che ricevono Gesù degnamente (in grazia di Dio e dopo una S. Confessione) e devotamente, che lo adorano e lottano per mantenersi puri.
La sincera adorazione apre gli occhi e i cuori a coloro che vivono sopraffatti dall'oscurità più profonda e dalla cecità, per sollevarli verso la luce divina del cielo. Attraverso l'adorazione della SS. Eucarestia, le visite costanti a Gesù e il ricevimento di Lui, voi acquistate il potere e la capacità di cambiare i cuori, le anime, le famiglie, la Chiesa, il mondo intero.
Allora il mondo vivrà un secondo, rinnovato e ancora più meraviglioso paradiso terrestre. Andate a trovare Gesù nel tabernacolo. Egli vi attende lì, giorno e notte. Incoraggiate anche altri a farlo. Lì confiderete a Lui ogni paura e preoccupazione che non riuscite più a sopportare.
Attraverso la visita, l'adorazione e l'esposizione del SS. Sacramento si verificheranno molte guarigioni negli animi umani.

giovedì 11 giugno 2009

Testimonianze - Anna Nobili da cubista a suora

di Orazio La Rocca

"Prima danzavo per uomini che volevano solo il mio corpo. Stavo gettando via la mia vita nei locali più trasgressivi come il Celebrity di Milano tra esibizioni sui cubi, lap dance, sesso senza amore, cercato come una droga. Ora la mia vita è cambiata, sono come rinata, ma non ho smesso di danzare perché danzo per Dio e i miei passi, le mie coreografie, sono tutte dedicate a Lui". Confessione a cuore aperto di suor Anna Nobili, la religiosa trafitta da una "folgorazione sulla via della danza", quasi come una novella figlia di San Paolo, che sarà la protagonista nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme della serata evento dedicata al libro sulla "Bibbia giorno e notte", tratto dalla lettura integrale trasmessa da RaiUno.


Suor Anna Nobili, lei praticamente ora prega con la danza. Come lo spiega?
"Sì, è vero, ora prego anche con la danza. Pregare col corpo è il mio obiettivo perché entriamo così, attraverso la fisicità, i movimento, le coreografie, in sintonia con la Parola di Dio. Non a caso San Paolo insegna che il corpo è il tempio dello Spirito Santo".
E' stato lungo il cammino che ha percorso che ha percorso per cambiare la sua vita?
Ha sofferto molto?"Ho fatto un lungo cammino, partendo da una situazione di indubbia sofferenza. Fin dai miei primissimi anni. Sono nata in una famiglia in cui è mancato l'amore, il rispetto, l'attenzione. Ho vissuto fra botte, parolacce, insulti. Mamma faceva la sarta, decise di divorziare da papà, che lavorava come cuoco, e così, all'età di 13 anni con due fratelli, Marco e Cristiano, sono andata a vivere a Milano".
E a Milano cosa successe?
"Cercavo la felicità nelle grandi luci del palco o della notte con la danza nei locali trasgressivi. Pensavo di valere niente, di non sapere fare nulla nella vita. Non pensavo di essere bella, ma avevo capito che piacevo. Piacevo agli uomini. La sessualità e il desiderio di possedere l'amore hanno fatto il resto. Ho scoperto la danza ed è stata un mezzo di conquista. Tutte le notti le trascorrevo nelle discoteche più in voga di Milano e a fine settimana facevo la cubista e l'intrattenitrice".
Le piaceva quella vita?
"Si, mi piaceva molto. Ero al centro degli sguardi ed ho gettato via il mio corpo, la mia sessualità. La notte è il buio. Puoi riempirla col male, il sesso, l'alcool. La notte ti può nascondere".
Poi, improvvisamente, la conversione.
"È stato, invece, un cammino lungo e sofferto. Alla vigilia di un Natale mi sono trovata seduta sulla chiesa che mia madre aveva cominciato a frequentare. Non so perché piansi tutta la notte. Dio aveva messo nel mio cuore una scintilla del suo amore. La mia vita, però, non cambiava e chi mi conosceva continuava a reputarmi una prostituta, una donna facile, spregiudicata".
E cosa fece per cambiare vita definitivamente, ma anche per convincere gli altri della sua conversione?
"La prima parola che mi viene è quella di 'illuminazione'. A 22 anni ho dato a Dio un ultimatum. L'ho sfidato. Se ci sei me lo devi dire di persona, senza intermediari. Ad Assisi, davanti alla chiesa di Santa Chiara, sono rimasta sorpresa dal cielo. Dietro le nubi qualcosa di fosforescente, una cascata di colori. Ho sentito la presenza di Dio creatore. E mi sono messa a danzare fra lo stupore della gente. In treno, di ritorno a Milano, ho sentito che Dio era dentro di me. Una emozione interiore fortissima. Allo specchio della toilette non mi sono più riconosciuta. Non ero più io. Una trasfigurazione, un alone di grazia. Ho danzato ancora una notte sul cubo. Gli uomini mi guardavano per rubare il mio corpo, mi volevano solo per portarmi a letto. È stato il mio addio. Ho telefonato ai miei impresari ed ho spiegato che avevo trovato un tesoro pulito e questo era Gesù".
I voti perpetui li ha presi nel settembre del 2008 a Palestrina, percorrendo un cammino di ripensamenti, di angosce, dubbi, turbamenti. Come ricorda quel periodo?
"Mi è capitato di tutto. Mi ero persino avvicinata al buddismo. La battaglia l'ho fatta con me stessa. Vedevo il mondo con gli occhi del mio cuore sporco. Ho tagliato, poco alla volta, tutto. Mi sono riconciliata con mio padre ed ho trovato anche Dio Padre di misericordia. Ed ho trovato la forza di sostenere il peso del mio peccato. Un processo di purificazione. Una guarigione affettiva. Infine, ho trovato la spiritualità della famiglia, quella delle suore operaie della Santa Casa di Nazareth, quella famiglia che mi è mancata. Gesù mi ha ridato la dignità. Mi ha ridato la verginità, quella del cuore. Il dono della castità. Prima danzavo per possedere, ora i miei passi sono tutti di Dio. È lui che danza in me. È lui che è morto ed è risorto anche in me. Volevo dargli tutto, a cominciare dalla danza e lui mi ha restituito ogni cosa, persino mio padre e mia madre. Ora, sì, danzo l'amore".
Suor Anna, il coreografo Stefano Vagnoli vuole fare della sua vita un musical dal titolo "Annina". Ma lei oggi è veramente felice?
"La mia storia è quella di tante ragazze come me, quella di una generazione in bilico. Avrei potuto scegliere la via normale, formarmi una famiglia, avere dei figli. Ma tutto dipende da chi trovi nella tua ricerca e la mia mi ha portato ad abbracciare una scelta di vita più radicale, evangelica. Non c'è nulla di straordinario. Sono sempre Anna, ma è Gesù che ha preso spazio in me. E prego molto per stare accanto a lui, come la sposa innamorata vuole essere accanto al suo sposo. Ho accettato tutto il mio passato impastato di peccato. Dio ha voluto immergermi nella sua luce. Dio, credimi, ti travolge e non ti lascia vie d'uscita".
Non è una ubriacatura, una ulteriore fuga dalla realtà, una bella avventura costruita più per disperazione e forza di volontà che per convinzione?
"No, no. Non sono una miracolata o una visionaria. La redenzione e la purificazione non sono privilegio di pochi, sono un dono messo a disposizione di tutti. Il mio "sì" è stato continuo. Volevo essere un angelo per mortificare il mio corpo e Gesù mi ha insegnato il valore dell'incarnazione. Raggiungi l'armonia interiore se sei tutta te stessa. Nel quotidiano ho scoperto, sulla faccia di un bambino, di un carcerato o di un operaio, il brivido dell'infinito".

lunedì 8 giugno 2009

Post 38 - Europa a rischio estinzione

Quanto sto per scrivere non ha nulla a che vedere con le elezioni appena svolte, come spesso mi capita arrivo in po' in ritardo (ma, come si dice, meglio tardi che mai) per comunicare che i vari interventi che si sono succeduti al Contributo 111 hanno evidenziato fondamentalmente due aspetti:
1) come puntualizza Pokankuni i musulmani che vengono in Europa non sono conquistadores, ma semplicemente persone non ancora cristiane, e che il Signore vuole incontrare attraverso noi. In una prospettiva missionaria (e il cristianesimo è sempre missionario!), l'immigrazione musulmana è una grande benedizione: perchè i musulmani nei loro paesi hanno enormi difficoltà ad incontrare Cristo, mentre qui è - dovrebbe essere, se noi glielo permettessimo - molto più facile. Gesù Cristo ha versato tutto il Suo Sangue anche per ciascuno di loro. Per quella donna velata da capo a piedi, per quell'imam, per quei bambini (tanti!). Ora, attraverso di noi, ha l'occasione di manifestarsi a loro. Ma se nei nostri occhi c'è solo paura, diffidenza, talvolta disprezzo... cosa capiranno, del cristianesimo? Ed avremo sprecato un'occasione meravigliosa, di cui il Signore certamente ci chiederà conto. Condivido sostanzialmente quanto detto dalla nostra amica anche se distinguo fra chi, europeo-africano-asiatico viene da noi per cercare una soluzione ad una situazione drammatica che vive nel suo paese e chi invece viene qui per delinquere.
2) come fanno presente Vandeano e andrea questo Occidente è quello di una società che ha totalmente dimenticato Dio e qualsiasi forma di trascendenza o di ascesa spirituale; una società volta all'edonismo e al materialismo, dove la gente si uccide per una partita di calcio o per un parcheggio, per una fidanzata che ti lascia o per una suocera impicciona. Se continuiamo così, saranno loro a "islamizzare" noi, troppo deboli, ormai sempre e più volutamente meno cristiani. e ancora una Europa che dimentica o addirittura rinnega la sua storia cristiana,abbracciando l'ateismo,l'agnosticismo e l'indifferenza,rinnegando non solo il cristianesimo,ma ogni cosa che faccia riferimendo alla sacralità e alla moralità,dovrà fare i conti con queste nuove situazioni inaspettate. In sintesi l'europa (che significa concretamente NOI) sta perdendo le sue radici e di conseguenza la sua identità e corre seriamente il pericolo di sparire come popolo e come cultura.
Rinnegare Cristo coincide con rinnegare noi stessi e con generare la propria estinzione

venerdì 5 giugno 2009

Contributi 118 - Il Meeting a Washington

Parlando di pensiero cristiano una manifestazione che è sicuramente strumento di diffusione e testimonianza di esso è il Meeting di Rimini che è giunto quest'anno alla trentesima edizione. Qui il resoconto della presentazione che è stata fatta negli USA

La kermesse riminese è arrivata anche negli States. A presentarla, il 3 giugno, c'erano anche il giudice della Corte Suprema Samuel Alito, e Mary Ann Glendon, ex ambasciatrice Usa in Vaticano...
di Marco Bardazzi

(pubblicato su Tracce)

Il giudice Samuel A. Alito è un membro del club più esclusivo del mondo. Insieme agli otto colleghi della Corte Suprema di Washington, tutti eletti a vita, è uno dei custodi della Costituzione degli Stati Uniti e degli altri testi su cui si basa l’idea stessa di America. Un personaggio che con i documenti importanti ha una certa confidenza. Fa per questo una certa impressione vedere la cura e quasi l’affetto con cui il giudice ha conservato negli ultimi due anni un programma del Meeting di Rimini del 2007, uno di quei libriccini che nei saloni della Fiera vengono distribuiti a tonnellate. Alito lo ha portato con sè all’Ambasciata d’Italia nella capitale USA, e ne ha fatto il segno tangibile, il filo conduttore di un intervento con il quale ha provato a raccontare a un selezionato pubblico di un centinaio di americani che cos'è il Meeting al quale ha partecipato come ospite due estati fa.
Impresa non facile, nella quale si sono cimentati insieme al giudice anche Mary Ann Glendon, professoressa di legge di Harvard ed ex ambasciatrice americana presso la Santa Sede, il giurista Joseph Weiler della New York University, l’esperta d’arte Jane Milosch della Smithsonian Institution, e Martha-Ann Alito, moglie del giudice e fan dell’evento riminese.
Washington è stata una nuova tappa della serie di presentazioni internazionali che il Meeting ha lanciato quest’anno in occasione del 30° anniversario, e che hanno visto raccontare i tre decenni di storia e di amicizia anche nella sede dell’Unesco a Parigi e in vari ambiti in Brasile.
Alito ha raccontato di essere arrivato a Rimini preparato, svelando di aver letto prima della partenza sia “Il Senso Religioso” di don Giussani, sia “God at the Ritz” (Attrazione per l’infinito) di monsignor Lorenzo Albacete. “Ma quello che ho trovato ha superato di molto le mie aspettative”, ha spiegato. I temi, i titoli degli incontri e l’elenco dei personaggi coinvolti, “mi hanno colpito molto e mi hanno permesso di capire subito quale importanza un evento del genere abbia per la vita culturale dell’Europa”.
Ma subito dopo, e in particolar modo, a restare impressi nella memoria sono stati i volontari, gli accompagnatori, le guide delle mostre. “Il Meeting incarna in modo visibile quello che avevo letto nei libri prima di andarci – ha raccontato Alito – ed è un luogo soprattutto che mostra un grande senso di unità che siamo in grande pericolo di perdere. Unità di cultura, di verità, di esperienza umana”.
L’America sa ancora poco del Meeting, ma ha molto da guadagnare, secondo la professoressa Glendon, dall’esperienza di un luogo popolato “da gente che non ha paura di farsi domande”, in un appuntamento che è diventato “un luogo privilegiato per riflettere”. O, come ha sintetizzato Jane Milosch, “un posto dove ti scopri a farti interrogativi come: ‘Chi sono io? Sono viva o no’”.
Con l’entusiasmo della studiosa affascinata da una scoperta, l’ex ambasciatrice Glendon ha tra l’altro raccontato al pubblico americano come a Rimini siano riemersi i Cori da La Rocca di T.S.Eliot e quale dirompente attualità presentino per la società odierna.
Il Meeting riesce a essere una proposta viva e una novità continua anche perchè “non ha il problema di preservare qualcosa o di creare una ‘nuova cultura’ cattolica”, ha sottolineato il professor Paolo Carozza, docente di legge della Notre Dame University e presidente uscente della commissione per i diritti umani presso l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Carozza ha guidato il percorso delle testimonianze nel corso della serata all’Ambasciata, organizzata in collaborazione con Crossroads Cultural Center e accompagnata dai saluti di benvenuto dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta e del ministro Sebastiano Cardi. Ciò che alimenta il Meeting, ha affermato il giurista italoamericano di Notre Dame, non è niente di astratto, ma “la passione per qualcosa che hai di fronte agli occhi, un senso di cultura che sgorga dal gusto per la vita”.
Weiler ha indicato alla platea quello che, dopo varie partecipazioni al Meeting, ritiene di aver individuato come vero Dna di “un evento che non ha paragoni al mondo”. A sorreggere tutto “sono lo spirito di don Giussani e la realtà di Cl che da lui è nata: io ho letto don Giussani e ho letto molto su Cl, ma a Rimini uno vive e davvero fa esperienza di Giussani e del movimento”. Da ebreo, Weiler ha spiegato l’importanza, anche per l’America, di una proposta cristiana come questa, “che si basa sulla presenza”.
Come sempre quando si tratta di Meeting, anche a Washington non è stato semplice dire in due parole cosa sia, nè trovare un termine di paragone che possa fornirne un’immagine a chi non lo ha mai vissuto. Marco Aluigi, congress manager del Meeting, ne ha raccontato la storia, i numeri, i protagonisti, con l’aiuto anche di un video dedicato ai 30 anni. E il giudice Alito ha offerto senza dubbio il tentativo di paragone più originale, andando a esumare l’esperienza del movimento Chautauqua, dal nome indiano di un lago nello Stato di New York: una realtà di grande popolarità nell’America a cavallo tra XIX e XX secolo, un mix di cultura, educazione e intrattenimento che portò un’ondata di iniziative in tutti gli Usa e venne lodato dal presidente Theodore Roosevelt come “la cosa più americana che ci sia in America”.
Ma alla fine ciò che probabilmente descrive il Meeting meglio di qualsiasi altro esempio, è “la sensazione di felicità, di vera e propria gioia ogni volta che ci ripenso", confessata da Martha-Ann Alito. “La mia esperienza è stata quella di una continua celebrazione di Dio – ha detto la moglie del giudice alla platea – e il mio augurio è che possiate andarci per sperimentare, come me, la possibilità di spalancare il cuore”.

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