Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

giovedì 11 giugno 2015

Corpus Domini 7/6/2015 (Angelus 250)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Si celebra oggi in molti Paesi, tra i quali l’Italia, la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, o, secondo la più nota espressione latina, la solennità del Corpus Domini.
Il Vangelo presenta il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, compiuta da Gesù durante l’Ultima Cena, nel cenacolo di Gerusalemme. La vigilia della sua morte redentrice sulla croce, Egli ha realizzato ciò che aveva predetto: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo…Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,51.56). Gesù prende tra le mani il pane e dice «Prendete, questo è il mio corpo» (Mc 14,22). Con questo gesto e con queste parole, Egli assegna al pane una funzione che non è più quella di semplice nutrimento fisico, ma quella di rendere presente la sua Persona in mezzo alla comunità dei credenti.
L’Ultima Cena rappresenta il punto di arrivo di tutta la vita di Cristo. Non è soltanto anticipazione del suo sacrificio che si compirà sulla croce, ma anche sintesi di un’esistenza offerta per la salvezza dell’intera umanità. Pertanto, non basta affermare che nell’Eucaristia è presente Gesù, ma occorre vedere in essa la presenza di una vita donata e prendervi parte. Quando prendiamo e mangiamo quel Pane, noi veniamo associati alla vita di Gesù, entriamo in comunione con Lui, ci impegniamo a realizzare la comunione tra di noi, a trasformare la nostra vita in dono, soprattutto ai più poveri.
L’odierna festa evoca questo messaggio solidale e ci spinge ad accoglierne l’intimo invito alla conversione e al servizio, all’amore e al perdono. Ci stimola a diventare, con la vita, imitatori di ciò che celebriamo nella liturgia. Il Cristo, che ci nutre sotto le specie consacrate del pane e del vino, è lo stesso che ci viene incontro negli avvenimenti quotidiani; è nel povero che tende la mano, è nel sofferente che implora aiuto, è nel fratello che domanda la nostra disponibilità e aspetta la nostra accoglienza. È nel bambino che non sa niente di Gesù, della salvezza, che non ha la fede. È in ogni essere umano, anche il più piccolo e indifeso.
L’Eucaristia, sorgente di amore per la vita della Chiesa, è scuola di carità e di solidarietà. Chi si nutre del Pane di Cristo non può restare indifferente dinanzi a quanti non hanno pane quotidiano. E oggi, sappiamo, è un problema sempre più grave.
La festa del Corpus Domini ispiri ed alimenti sempre più in ciascuno di noi il desiderio e l’impegno per una società accogliente e solidale. Deponiamo questi auspici nel cuore della Vergine Maria, Donna eucaristica. Ella susciti in tutti la gioia di partecipare alla Santa Messa, specialmente nel giorno di domenica, e il coraggio gioioso di testimoniare l’infinita carità di Cristo.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
leggo lì: Bentornato! Grazie, perché ieri mi sono recato a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, come pellegrino di pace e di speranza. Sarajevo è una città-simbolo. Per secoli è stata luogo di convivenza tra popoli e religioni, tanto da essere chiamata “Gerusalemme d’occidente”. Nel recente passato è diventata simbolo delle distruzioni della guerra. Adesso è in corso un bel processo di riconciliazione, e soprattutto per questo sono andato: per incoraggiare questo cammino di convivenza pacifica tra popolazioni diverse; un cammino faticoso, difficile, ma possibile! E lo stanno facendo bene. Rinnovo la mia riconoscenza alle Autorità e all’intera cittadinanza per l’accoglienza calorosa. Ringrazio la cara comunità cattolica, alla quale ho voluto portare l’affetto della Chiesa universale e ringrazio in particolare anche tutti i fedeli: ortodossi, mussulmani, ebrei e quelli di altre minoranze religiose. Ho apprezzato l’impegno di collaborazione e di solidarietà tra queste persone che appartengono a religioni diverse, spronando tutti a portare avanti l’opera di ricostruzione spirituale e morale della società. Lavorano insieme come veri fratelli. Il Signore benedica Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina.
Venerdì prossimo nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù pensiamo all’amore  di Gesù, a come ci ha amato; nel suo cuore è tutto questo amore. Venerdì prossimo si celebra anche la Giornata Mondiale contro il lavoro minorile. Tanti bambini nel mondo non hanno la libertà di giocare, di andare a scuola, e finiscono per essere sfruttati come manodopera. Auspico l’impegno sollecito e costante della Comunità internazionale per la promozione del riconoscimento fattivo dei diritti dell’infanzia.
E ora saluto tutti voi, cari pellegrini provenienti dall’Italia e da diversi Paesi. Vedo bandiere di diversi Paesi. In particolare saluto i fedeli di Madrid, Brasilia e Curitiba; e quelli di Chiavari, Catania e Gottolengo (Brescia). A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
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venerdì 5 giugno 2015

Dedicato a quei cattolici che disertano (Contributi 1001)

Dedico l'inizio del "secondo millennio" di post a quest'articolo di Antonio Socci (che cui confesso ultimamente non condivido le argomentazioni) che sottoscrivo in toto. Possano le nostre coscienze risvegliarsi e il nostro amore a Cristo maturare...
Ecco nel mio blog (www.antoniosocci.com) la foto indimenticabile dello studente cinese che, col suo stesso corpo, per qualche minuto riuscì a fermare i carri armati che andavano a schiacciare nel sangue la grande manifestazione per la libertà a Piazza Tien an men, nel giugno 1989, a Pechino (e quelle riportate sull'immagine sono le sue parole).

...la verità è più importante del pane...
Noi ci siamo dimenticati l’oceano di vittime fatto dal comunismo. Ma soprattutto ci siamo dimenticati che la verità è la nostra dignità di esseri umani. La Verità è più importante del pane e – come ci mostrano i martiri cristiani – è perfino più importante della vita stessa.
Noi, sotto i baffi, magari senza nemmeno rendercene conto, ci facciamo beffe dei martiri (che fanatici!). A parole talora li omaggiamo, ma dentro di noi c’è il nostro risolino di scherno quando diciamo che rifiutiamo “lo scontro”, “la battaglia”, “le crociate” ec ec… e assumiamo l’espressione dei saggi (come se costoro avessero cercato le persecuzioni).
La verità è che noi non siamo disposti a rischiare niente per Colui che ha dato la vita per noi e per il bene dell’umanità…
A noi basta stare comodi, a pancia piena, rinchiusi nelle nostre sacrestie mentali, senza esporci, per carità, senza scomodare il Potere… E crediamo perfino di essere cristiani e di poter impartire lezioni…

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martedì 2 giugno 2015

Santissima Trinità 31/5/2015 (Angelus 249)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona domenica!
Oggi celebriamo la festa della Santissima Trinità, che ci ricorda il mistero dell’unico Dio in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La Trinità è comunione di Persone divine le quali sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra: questa comunione è la vita di Dio, il mistero d’amore del Dio Vivente. E Gesù ci ha rivelato questo mistero. Lui ci ha parlato di Dio come Padre; ci ha parlato dello Spirito; e ci ha parlato di Sé stesso come Figlio di Dio. E così ci ha rivelato questo mistero. E quando, risorto, ha inviato i discepoli ad evangelizzare le genti, disse loro di battezzarle «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt28,19). Questo comando, Cristo lo affida in ogni tempo alla Chiesa, che ha ereditato dagli Apostoli il mandato missionario. Lo rivolge anche a ciascuno di noi che, in forza del Battesimo, facciamo parte della sua Comunità.
Dunque, la solennità liturgica di oggi, mentre ci fa contemplare il mistero stupendo da cui proveniamo e verso il quale andiamo, ci rinnova la missione di vivere la comunione con Dio e vivere la comunione tra noi sul modello della comunione divina. Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri. Questo significa accogliere e testimoniare concordi la bellezza del Vangelo; vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell’amore di Dio che abita in noi.
La Trinità, come accennavo, è anche il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno. Il cammino della vita cristiana è infatti un cammino essenzialmente “trinitario”: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, e ci ricorda anche quello che Gesù ci ha insegnato; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui. Tutto, nella vita cristiana, ruota attorno al mistero trinitario e viene compiuto in ordine a questo infinito mistero. Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fineper quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati. Questo mistero abbraccia tutta la nostra vita e tutto il nostre essere cristiano. Ce lo ricordiamo, ad esempio, ogni volta che facciamo il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E adesso vi invito a fare tutti insieme, e con voce forte, questo segno della croce: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!”
In questo ultimo giorno del mese di maggio, il mese mariano, ci affidiamo alla Vergine Maria. Lei, che più di ogni altra creatura ha conosciuto, adorato, amato il mistero della Santissima Trinità, ci guidi per mano; ci aiuti a cogliere negli eventi del mondo i segni della presenza di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo; ci ottenga di amare il Signore Gesù con tutto il cuore, per camminare verso la visione della Trinità, traguardo meraviglioso a cui tende la nostra vita. Le chiediamo anche di aiutare la Chiesa ad essere mistero di comunione e comunità ospitale, dove ogni persona, specialmente povera ed emarginata, possa trovare accoglienza e sentirsi figlia da Dio, voluta e amata.

Dopo l'Angelus:
Oggi a Bayonne, in Francia, viene proclamato Beato il sacerdote Louis-Edouard Cestac, fondatore delle Suore Serve di Maria; la sua testimonianza di amore a Dio e al prossimo è per la Chiesa un nuovo stimolo a vivere con gioia il Vangelo della carità.
Saluto tutti voi, cari romani e pellegrini: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni, le scuole. In particolare, saluto i fedeli di La Valletta (Malta), Cáceres (Spagna) Michoacán (Messico); quelli provenienti da Caltanissetta, Soave, Como, Malonno e Persico Dosimo; il gruppo di Bovino, con i “Cavalieri di Valleverde”. Saluto i ragazzi che hanno ricevuto o si preparano a ricevere la Cresima, incoraggiandoli ad essere gioiosi testimoni di Gesù.
Al termine del mese di maggio, mi unisco spiritualmente alle tante espressioni di devozione a Maria Santissima; in particolare menziono il grande pellegrinaggio degli uomini al Santuario di Piekary, in Polonia, che ha per tema: “La famiglia: casa accogliente”. Ci sono tanti polacchi in Piazza oggi: fatevi vedere! La Madonna aiuti ogni famiglia ad essere “casa accogliente”.
Giovedì prossimo a Roma vivremo la tradizionale processione del Corpus Domini. Alle 19 in Piazza San Giovanni in Laterano celebrerò la Santa Messa, e quindi adoreremo il Santissimo Sacramento camminando fino alla piazza di Santa Maria Maggiore. Vi invito fin d’ora a partecipare a questo solenne atto pubblico di fede e di amore a Gesù Eucaristia, presente in mezzo al suo popolo. Prima di finire, facciamo ancora una volta il segno della croce, a voce alta, tutti! “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, ricordando il mistero della Santa Trinità.
A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.
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La sofferenza unisce cielo e terra (Contributi 1000)

Una bella testimonianza di Gerard McCarthy datata 27 maggio 2015 dal sito della Fraternità Sacerdotale San Carlo


Alcune settimane fa, ad un matrimonio, una bambina molto vivace mi prende per mano e mi dice: «Hai una bella pancia, don Gerry!». La mamma stava già pensando a come scusarsi ma la bimba, tenendomi la mano, continua: «Perché tremi?». Le rispondo: «Perché non sto tanto bene». «Perché?». «Perché Gesù vuole così». E lei: «Allora va bene».
Allora va bene. Questa è la verità: accettare la malattia diventa una liberazione, e la scelta è nostra. La prima volta che mi è stato diagnosticato un tumore maligno è stata una cosa strana. Avevo appena visto Giovanni Paolo II. Con lui c’era un’amicizia. Ogni volta che lo incontravo, mi chiamava per nome: «Don Gerry!». Si ricordava sempre di me. Quella volta era venuto in parrocchia ed era molto sofferente a causa del Parkinson. Era davvero giù e sembrava che non potesse respirare. Durante l’incontro ho pensato: «Come potrei essere vicino al Papa?». Mi si spezzava il cuore a vederlo così e mi sono detto che l’unico modo era quello di mandargli il mio angelo custode perché lo aiutasse. Ho detto, dentro di me, al mio angelo: «Ti mando da Sua Santità. Aiutalo, dagli un bacio e fallo stare bene». Finito l’incontro, siamo passati a baciargli la mano, e quando sono arrivato io si è alzato, mi ha messo la mano destra sulla testa e mi ha detto: «Eccoti!». Poi mi ha fatto un segno di croce. Ero davvero commosso.
L’aiuto più grande
Dopo pochi giorni vado a fare una visita medica perché stavo ingrassando troppo. Sapevo che certamente il problema era, come dicono i romani, che mi piace magnà. Però era veramente troppo. In ospedale mi hanno detto: «Facciamo un esame e vediamo cos’è». Quando sono tornato per ritirare l’esito, mi hanno dato un foglio: «Portalo al tuo medico». Al semaforo, come avrebbero fatto tutti, l’ho aperto: «Carcinoma maligno. Da operare subito». Quando il dottore l’ha visto si è alzato, mi ha abbracciato e mi ha detto: «Ma tu sei forte, e ce la fai». In quel momento sono entrato un po’ in crisi.
La cosa più difficile della malattia non è accettarla, ma è dirlo alle persone che ami, perché sai che il tuo male farà soffrire anche loro. Per questo, l’aiuto più grande che possiamo offrire ad una persona cara, nel momento in cui si ammala, è farle capire che la sofferenza ha la stessa origine dell’amore: soffriamo per quella persona perché la amiamo, come lei soffre perché ci ama. Non dobbiamo mai perdere di vista questa grande positività.
Il giorno della Domenica delle Palme, ho detto a tutta la mia parrocchia durante la messa: «Ho un tumore maligno, ma per favore non crediate mai, mai, che Dio punisce. Dio non punisce attraverso la malattia. Non è una punizione, è una benedizione». Volevo che tutti vivessero con me questo momento. All’uscita, un ragazzo giovane mi è venuto incontro e mi ha detto: «Anch’io ho un tumore e pensavo che Dio mi odiasse. Oggi ho capito che mi vuole bene».
Un’offerta che porta frutto
Dopo l’operazione sono tornato dai dottori e mi hanno detto che dovevo fare le radiazioni, in una stanza chiusa, perché non potevo stare vicino alle persone. Sono entrati coperti, hanno aperto una scatola con il segno delle radiazioni sopra e mi hanno detto di prendere in mano la pasticca e mandarla giù. Era una cosa enorme e io ho chiesto: «Posso masticarla?». «Assolutamente no!». Guardando la scatola, ho detto: «Io ho paura, io ho paura». Non ho mai avuto problemi a dire che ho paura. Quando uno dice che ha paura lo dice a qualcuno e facendo così dà la possibilità a Dio di entrare nella sua vita. Se Gesù nel Getsemani lo ha detto, perché noi non possiamo dirlo? In quel momento mi è venuta un’intuizione e ho pensato: «Questa non è la medicina, questo è l’amore di Dio per me. Accetto questo Tuo amore». Sono rimasto lì per più di sette giorni, ho vissuto tutto con tranquillità, pur avendo tante domande: «Peggiorerò? Morirò? Che cosa dovrò fare?».
Tornato in parrocchia, incontro di nuovo quel ragazzo che mi aveva parlato. Mi dice: «Don Gerry, sono peggiorato, non mi lasciare solo». Da quel giorno, quando aveva momenti di panico io partivo di notte, a qualsiasi ora: avevo detto ai suoi genitori di chiamarmi. Non devi mai trattare una persona malata come se fosse vittima di una maledizione, come una cosa difficile: devi amarla. La persona non è la malattia, la persona è sempre la stessa persona, c’è qualcosa di diverso e avrà bisogno di qualcosa di diverso. Quando andavo da lui e mi diceva di avere paura, io gli rispondevo: «Ci sono io, e se ci sono io c’è Gesù. Non avere paura, ti tengo per mano». Lo tenevo per mano, e ho fatto il cammino con lui, tutte le ore, tutti i giorni, finché ci ha lasciato. Aveva ventidue anni. Io sono crollato perché non sono solo un prete, sono un uomo, un uomo di Dio – questo vuol dire essere prete. Suo padre, che non era credente, mi ha detto: «Vedo che sei un uomo. Hai voluto bene a mio figlio». E io: «Tuo figlio è stato un dono di Dio per la mia vita e per quella di tante altre persone». Dopo quel fatto, il gruppo giovanile in parrocchia ha iniziato a guardare alla malattia con una nuova positività. Era l’anno 2001.
Una nuova prova
Gli anni passano, finché arriva il giorno in cui scopro di avere il morbo di Parkinson. Durante la messa la mano tremava, ballava troppo, poi avevo dei momenti in cui pensavo ad una parola e stavo per dirla, ma passava un certo tempo prima di poter fare il collegamento con il cervello. Sono andato dal dottore, che mi ha sottoposto ad una Tac e ad altri esami, fino alla diagnosi del morbo.
Quasi due anni fa, ho cominciato a camminare con difficoltà. Allora ho avuto una crisi fortissima. Sono andato dal mio superiore, don Massimo Camisasca, e gli ho detto: «Ormai per il Parkinson non riesco quasi più a camminare, non riesco a ragionare bene, ho bisogno di un aiuto».
Mi ha commosso in quel momento che don Massimo mi ha preso la mano, l’ha baciata e mi ha detto: «Gerry, in questo momento la tua sofferenza collega il cielo con la terra: soffri per tanti tuoi fratelli, offri tutto». Poi ha chiamato un medico che poteva aiutarmi e ha aggiunto: «Vai a Milano, al Niguarda, ti curiamo là per un periodo».
La prima sera in ospedale è stata tremenda, ho cominciato a piangere pensando che non ce l’avrei fatta a so-stenere questa nuova prova. Percorrendo il corridoio della Fondazione Moscati, dove ero ospite, sulla parete ho visto un quadro con la foto di don Giussani in ginocchio davanti a san Giovanni Paolo II. Davanti a loro ho pregato: «Don Giussani, tu hai avuto il Parkinson; papa Giovanni Paolo II, tu hai avuto il Parkinson; io ho il Parkinson: non chiedo di guarirmi, ma fatemi vivere come voi avete vissuto la malattia». Guardando a loro, mi sono sentito in pace e ho capito che il Signore mi è sempre vicino, sta facendo Lui il cammino.
Non mi abbandona mai
A Milano dovevo prendere la metropolitana, la linea gial­la dalla clinica Moscati fino a Niguarda, dovevo andare da solo e non camminavo bene, sembravo ubriaco e avevo tanta paura. Ho detto: «Signore, non farmi mai stare solo. Io credo che tu sia sempre vicino». E Lui mi ha risposto. Durante tutto l’anno che ho trascorso a Milano, ogni giorno, quando andavo a prendere la metropolitana, incontravo sempre qualcuno che mi conosceva. Una mattina una signora mi ha chiesto dove si trovava la stazione e io le stavo dando indicazioni, quando sento: «Don Gerry! Io sono stato tuo studente in Irlanda venti anni fa. Cosa fai qui?». Ecco, tutti incontri di questo genere. Un giorno non ho incontrato nessuno, ma c’era un posto libero vicino a me. Entra una mamma con un bambino il quale subito corre a sedersi vicino a me. Mi guarda e mi fa un sorriso. Per fede, ho detto: «Questo è Dio».
Io credo fermamente, infatti, che Dio è presente in tutto: Cristo è venuto a salvarci, a farci compagnia. Se non crediamo alla sua presenza nelle cose piccole della vita, allora non crediamo più in niente. Sono arrivato a dire e a credere che non sia don Gerry ad avere il Parkinson; Gesù ha il Parkinson e lo porta nel mio corpo. La malattia non è mai una condanna, ma è l’inizio di una novità. Ho pianto tanto, ho avuto momenti di grande desolazione. Se a un certo punto, però, non ti sei spogliato di tutto, non puoi riconoscere che tutto quello che hai è dato dal Signore. Quando sei ammalato e non ti alzi più, qualunque gesto semplice tu voglia fare, deve compierlo un altro per te. Allora capisci che cosa significhi quel «Io sono Tu che mi fai» che ci ha insegnato don Giussani. Quel “Tu” è la persona che nel cammino ti è vicina e ti fa andare avanti.
Il segreto della grazia è che Cristo stesso soffre in noi perché è venuto a redimere il mondo. Questa è la storia della nostra vita ed io come sacerdote lo comprendo ancora di più quando alzo il Santissimo, guardo Gesù che ha sofferto e capisco che tutto ciò che sto portando è pochissimo rispetto a quanto Lui mi ha dato.
Dio parla con i silenzi, con le parole e con i fatti. A volte, il silenzio è più efficace. Nel film Francesco di Liliana Cavani, verso la fine, il poverello di Assisi entra in una crisi profonda e grida: «Chi sono io? Chi sei Tu?». Nella malattia facciamo lo stesso cammino: chi sono io? Chi sei Tu, Cristo? Imparo che io sono più della malattia, più del mio corpo, e riconosco Colui che viene, l’Amore, Colui che mi ama, che mi crea in ogni momento. Colui che mi crea nell'Infinito.


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