Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

martedì 30 novembre 2010

Preghiera sulla vita (Interventi 53)

Volevo portare a conoscenza dei lettori un commento / preghiera al post sulla Veglia per la Vita:

Signore elargisci vita la dove c'e aridità nei cuori e nell'anima. e dove l'egoismo incombe sull'altruismo,d ove il nostro ego supera la carità,dove la speranza viene sostituita dalla superbia, dove le scelte drastiche prendono sopravvento a quelle che ci vengono dal cuore e che non ascoltiamo...
Signore fa sempre che seguiamo quella lampada che Tu tieni accesa per noi, quella lampada vitale che non vogliamo seguire presi dal nostro mondo effimero ed apparente...
Signore fa che questo periodo dell'avvento metta vita dentro di noi e che l'accolga con tutto l'amore che Tu ci hai concesso di vivere..
grazie...
un saluto a tutti
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Asia Bibi è ancora da liberare (Post 114)

Contrariamente a quanto detto nel comunicato di pochi giorni fa di Zenit, Asia Bibi la donna cristiana in prigione in Pakistan per l'accusa di blasfemia (rischia la condanna a morte per impiccagione) non è stata graziata dal presidente a seguito di pesanti proteste da parte dei talebani locali, come si può leggere su questo articolo di CulturaCattolica
Resta quindi più che mai valida la campagna promossa da AsiaNews a suo favore.
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E il lupo disse all’agnello: “Intollerante!” (Contributi 411)

Vi propongo un articolo di Antonio Socci:

“Intolleranti!”. Così – testualmente – giovedì scorso il regime comunista cinese ha definito la Chiesa cattolica che protestava per l’ennesimo abuso di Pechino: il regime ha nominato vescovo un suo burocrate pretendendo di imporlo ai cattolici.
Avete capito bene: i persecutori definiscono “intolleranti” i perseguitati. Non solo. I carnefici comunisti addirittura aggiungono che la vittima, cioè la Chiesa, “limita la libertà religiosa”. Testuale. In queste surreali e sfacciate dichiarazioni c’è tutta l’assurdità del nostro tempo.

I comunisti cinesi hanno massacrato i cattolici costringendoli alle catacombe, hanno rinchiuso nei loro bestiali lager sacerdoti e vescovi, facendoli crepare, hanno torturato in ogni modo i credenti, pure imponendo loro dei burocrati di regime come vescovi, ma quando le vittime protestano i carnefici li definiscono “intolleranti”.
Invece di farsi massacrare e perseguitare in silenzio questi odiosi cattolici osano perfino lamentarsi. Che pretese.
[se non ci credete guardate QUI]
I compagni cinesi fanno come il lupo di Fedro che accusava l’agnello di prepotenza. Ma il lupo di Fedro ha molti emuli anche in Italia, fra i compagni italiani e nella sinistra tv che fa “Vieni via con me”.
L’altro ieri per esempio sull’Unità Gianni Cuperlo, braccio destro di D’Alema e già leader dei giovani comunisti, occupandosi della richiesta del Cda della Rai di far parlare anche i malati che lottano per la vita a “Vieni via con me” (come hanno potuto farlo la Welby ed Englaro) ha testualmente scritto: “considero questo atto un grave errore di metodo e di principio”, addirittura “un precedente inquietante”.
Cuperlo ha bollato questa richiesta di pluralismo e di libertà di parola come una minaccia alla “concezione aperta e laica del servizio pubblico”, una “violazione” di principio con un fondo “autoritario”.
Sì, avete letto bene: autoritario non è chi usa servizio pubblico, pagato da tutti, infischiandosene perfino del consiglio di amministrazione, del presidente e del direttore generale, per imporre il proprio punto di vista come “pensiero unico”, senza tollerare storie e vite diverse.
No, “autoritario” – secondo il comunista Cuperlo – sarebbe la dirigenza della Tv che invita far parlare anche i malati silenziati e soli (sono tremila famiglie che lottano per la vita), che chiedono una volta tanto di poter far sentire il proprio inno alla vita.


Il prepotente sarebbe l’agnello.



Michele Serra
 Un rovesciamento della frittata analogo a quello di Michele Serra anche lui proveniente dalla storia comunista (si è iscritto al Pci nel 1974, quando c’era Breznev, immaginate che scuola di sensibilità umana ha avuto…).
Serra, uno degli autori del programma “Vieni via con me”, l’altro giorno sulla Repubblica è arrivato a scrivere – con tono che parrebbe ironico – che i malati che lottano per vivere, contro gravi malattie, sarebbero coloro che desiderano “rimanere in vita a oltranza” e, insieme ai cattolici che se ne fanno portavoce, li ha bollati come “forti che protestano contro deboli”.
I forti sarebbero quelli oppressi dalla malattia e silenziati dalla Tv.

Mina Welby
 Fra i “deboli” di cui parla Serra ci sarebbe la signora Welby, il cui caso in tv ha avuto da solo più spazio di tutte le tremila famiglie di ammalati che lottano “a oltranza” per la vita.
Ebbene, la signora Welby è intervenuta sulla polemica relativa al pluralismo stabilendo che “non c’è bisogno di alcun contraddittorio” (Corriere della sera, 29/11).
Ha parlato lei. Gli altri devono contentarsi di ascoltarla, ma “non c’è bisogno”, afferma la signora, che dicano la loro e raccontino a loro volta la loro storia, diversa dalla sua (che bell’esempio di tolleranza).
Naturalmente anche “la coppia milionaria Fazio-Saviano”, come li chiama Luca Volonté, fa sapere al consiglio di amministrazione e ai vertici della Rai che loro se ne infischiano della richiesta di pluralismo arrivata appunto dal Cda, perché loro fanno come gli pare e piace e, usando la tv pubblica, si ritengono in diritto di discriminare chi vogliono, a partire dai più deboli e poveri, i malati.
“Concedere” – dicono proprio così: concedere, come se la televisione fosse roba loro – il diritto di parola agli altri ammalati che incitano a lottare per la vita, è – a loro avviso – “inaccettabile”.
Ne fanno addirittura “una ragione di principio”. Sì, perché è noto che loro amano i principi. Hanno perfino chiamato il (post) comunista e il (post) fascista a declamarli: infatti è da comunisti e fascisti che dobbiamo imparare
Il principio che Fazio e Saviano amano di più è quello per cui parlano solo loro e decidono loro chi ha diritto di parlare.
Insieme ai principi amano le regole, ma per gli altri.
Di quelle che richiedono pluralismo nel servizio pubblico televisivo non si danno pensiero.
L’idea che le loro opinioni e i loro proclami senza contraddittorio siano sottoposti a un diritto di replica – affermano testualmente – “ci pare lesiva della libertà autorale, della libertà di scelta del Pubblico, e soprattutto della libertà di espressione”.
Firmato: Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di “Vieniviaconme”


Cioè, traduciamo: voi italiani pagate il canone e noi vi facciamo i nostri comizi a senso unico e se pretendete di dire la vostra o di sentire anche un punto di vista diverso ledete la nostra libertà di espressione. E addirittura “la libertà di scelta del Pubblico”.
In realtà tutti i programmi del servizio pubblico sono tenuti a rispettare sempre il pluralismo, non solo politico, ma culturale. Dopo questi precedenti c’è il rischio che in Rai ognuno cominci a fare come gli pare e piace e ognuno si appropri di un pezzo di palinsesto. Fregandosene dei vertici aziendali.
Pensate cosa accadrebbe se Rai 1 decidesse di portare al festival di Sanremo – davanti a 10 milioni di persone – un rappresentante del Movimento per la vita a fare un discorso in difesa della vita umana nascente…
Dopo il precedente di “Vieni via con me” potrebbe benissimo farlo. E il Pd? E i radicali? E la sinistra tv? E i finiani? Scatenerebbero il finimondo. Perché solo loro possono pontificare e declamare i loro valori senza alcun contraddittorio e senza voci alternative.


Una lettrice mi ha inviato questa divertente lettera:
“Ieri per curiosità sono andata sul sito di ‘Vieni via con me’ ed ho cliccato sulla rubrica ‘i vostri elenchi’.
Ho dato un’occhiata ai messaggi postati e c’era di tutto: elenco delle proprietà benefiche del peperoncino, elenco di quante puzzette in media fa una famiglia italiana all’anno e così via.
Allora ho voluto lasciare anche io il mio contributo ed ho elencato gli otto motivi per cui non val la pena guardare la loro trasmissione.
Alla sera sono andata a riguardarmi gli elenchi (io lo avevo inviato alle 17): c’era persino l’elenco postato due minuti prima ( 21.30), ma del mio nemmeno l’ombra… Eppure non c’era nemmeno una parolaccia! Perché allora censurare?”.

La cosa tragicomica è che questi radical-chic ogni volta si fanno belli con la famosa frase che attribuiscono a Voltaire: “non condivido quello che dici, ma sono pronto a dare la vita perché tu possa continuare a dirlo”.
A parole – per autocertificarsi tolleranti e di ampie vedute – fanno questa dichiarazione d’intenti. Dopodiché si fanno in quattro per occupare tutta la scena e silenziare o squalificare chi è diverso da loro.
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Post scriptum: vorrei informare questi signori (e anche il Corriere della sera che recentemente ha usato la citazione in una campagna pubblicitaria) che quella frase, in realtà, Voltaire non l’ha mai pronunciata.
In effetti risale alla scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall, che la scrisse nel 1906 in “The Friends of Voltaire”.
In compenso Voltaire ne disse un’altra: “écrasez l’infame!”. Che vuol dire “schiacciate l’infame”, laddove “infame” sarebbe il credente.
Ecco, citino questa, che è davvero di Voltaire e che esprime decisamente meglio la cultura radical-chic.
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Metodo Fazio(so) (Contributi 410)

I fatti sono (o dovrebbero essere) noti a tutti, l'inqualificabile comportamento dei signori Fazio e Saviano che prima danno la parola ai sostenitori dell'eutanasia e poi NEGANO e chi sostiene la vita la possibilità di parlare. 
A partire da questo episodio vi presento l'editoriale di Don Gabriele Mangiarotti tratto da Cultura Cattolica che ci propone un'interessante riflessione:
Siamo forse tutti rimasti sorpresi di fronte al diniego di fare parlare in TV quelle persone che, colpite da gravi malattie e disabilità, si erano rivolte alla trasmissione di Fazio e Saviano per un giusto diritto di replica.
È stato detto loro che in trasmissione si facevano parlare i fatti, non le opinioni, come se la testimonianza di uomini vivi, amanti della vita, passati attraverso gravi prove li rendesse, di fronte ai conduttori di quella trasmissione televisiva, vane idee, opinioni senza consistenza… Leggendo la bellissima biografia di Solženicyn, mi è sembrato di scoprire che la storia si ripete, e che le nefandezze del regime sovietico non hanno insegnato niente a nessuno. Il «metodo Fazio(so)» perpetua i (ne)fasti del passato. Peccato però che si serva dei nostri soldi, quelli pubblici, per mantenersi.

Mi sono venute in mente queste amare considerazioni quando un amico mi ha raccontato di un incontro che si è svolto in questi giorni tra insegnanti di religione, sponsorizzato da un sindacato di categoria, che avrebbe preso le distanze, in modo molto critico, da quanto da anni andiamo sostenendo sul sito di CulturaCattolica.it.
Chiunque è libero di pensarla come vuole, e non mi attarderò a ribadire le motivazioni di quanto, proprio da anni, con Nicola Incampo, andiamo sostenendo. Francamente ci piacerebbe però che queste ragioni venissero ascoltate, in un clima costruttivo di dialogo, e mettendo in campo la capacità di difendere l’assoluta originalità della nostra condizione di cristiani.
Tempo fa è uscito un documento della Congregazione per l’Educazione dal titolo sorprendente: «Il laico cattolico testimone della fede nella scuola». E parlava del laico, del docente di qualunque disciplina! E non varrà forse di più per l’insegnante di religione cattolica?
Certo, abbiamo parlato di «mandato», di «Regno di Dio», della responsabilità che rimane ai Vescovi riguardo alle nomine, anche dei docenti di ruolo, e di ciò siamo fieramente convinti. Se vogliamo che il sale non perda il suo sapore, e che la scuola sia luogo per l’uomo, non spazio da occupare (tra l’altro con molta facilità) per avere una professione remunerativa. Parliamone, da amici, francamente.
Soprattutto non facciamo una «guerra tra poveri», pensando che chi ha posizioni «lecitamente» diverse abbia anche l’opportunità di comunicarle.
Non vogliamo che nella Chiesa il «metodo Fazio(so)» prevalga.
Troppo ci sono care la libertà e l’educazione.
E troppo ci è caro questo Papa che sa dare sempre, pacatamente e fermamente, le ragioni della sua (e nostra) speranza.
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lunedì 29 novembre 2010

Veglia per la Vita 2010 (Interventi 52)

Vi trasmetto questa preghiera per la Veglia a difesa della vita nascente (e in riparazione a quella non nata):

Signore Gesù, che fedelmente visiti e colmi con la tua Presenza la Chiesa e la storia degli uomini; che nel mirabile Sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue ci rendi partecipi della Vita divina e ci fai pregustare la gioia della Vita eterna; noi ti adoriamo e ti benediciamo.
Prostrati dinanzi a Te, sorgente e amante della vita realmente presente e vivo in mezzo a noi, ti supplichiamo.
Ridesta in noi il rispetto per ogni vita umana nascente, rendici capaci di scorgere nel frutto del grembo materno la mirabile opera del Creatore, disponi i nostri cuori alla generosa accoglienza di ogni bambino che si affaccia alla vita.
Benedici le famiglie, santifica l’unione degli sposi, rendi fecondo il loro amore.
Accompagna con la luce del tuo Spirito le scelte delle assemblee legislative, perché i popoli e le nazioni riconoscano e rispettino la sacralità della vita, di ogni vita umana.
Guida l’opera degli scienziati e dei medici, perché il progresso contribuisca al bene integrale della persona e nessuno patisca soppressione e ingiustizia.
Dona carità creativa agli amministratori e agli economisti, perché sappiano intuire e promuovere condizioni sufficienti affinché le giovani famiglie possano serenamente aprirsi alla nascita di nuovi figli.
Consola le coppie di sposi che soffrono a causa dell’impossibilità ad avere figli, e nella tua bontà provvedi.
Educa tutti a prendersi cura dei bambini orfani o abbandonati, perché possano sperimentare il calore della tua Carità, la consolazione del tuo Cuore divino.
Con Maria tua Madre, la grande credente, nel cui grembo hai assunto la nostra natura umana, attendiamo da Te, unico nostro vero Bene e Salvatore, la forza di amare e servire la vita, in attesa di vivere sempre in Te, nella Comunione della Trinità Beata.
Amen.
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sabato 27 novembre 2010

Presentate le ragioni della fede (Contributi 409)

ROMA, venerdì, 26 novembre 2010 (ZENIT.org)
Di fronte a una cultura dominante sempre più scettica nei confronti della verità, i giornali di ispirazione cattolica devono presentare con coraggio le “ragioni della fede”. Lo ha ricordato Benedetto XVI ai circa 300 partecipanti all'assemblea della Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici, ricevendoli questo venerdì in Vaticano.

“Noi non ci sentiamo semplici giornalisti” - ha detto all'inizio dell'udienza, a nome degli operatori delle 188 testate delle diocesi italiane, don Giorgio Zucchelli, Presidente della Fisc – ma “missionari, portatori nelle nostre tante parole dell'unica Parola che è Gesù. È solo Lui che vogliamo comunicare”.
“Da Lei – ha aggiunto don Zucchelli – siamo continuamente stimolati nella promozione di una cultura ispirata ai valori cristiani. Lo riteniamo un nostro compito prioritario. Lo facciamo pubblicando commenti, partecipando al dibattito pubblico, ma soprattutto raccontando fatti positivi, dove questi valori sono concretamente vissuti, rendendo bella e coraggiosa la vita delle persone. Nello stesso tempo, la struttura della nostra informazione propone una visione della vita alternativa a quelle imperanti”.
Nel suo discorso Benedetto XVI li ha invitati ad “annunciare la Buona Novella attraverso il racconto dei fatti concreti che vivono le comunità cristiane e delle situazioni reali in cui sono inserite”.
“Come una piccola quantità di lievito, mescolato con la farina, fa fermentare tutto l’impasto, così la Chiesa, presente nella società, fa crescere e maturare ciò che vi è di vero, di buono e di bello – ha detto –; e voi avete il compito di dare conto di questa presenza, che promuove e fortifica ciò che è autenticamente umano e che porta all’uomo d’oggi il messaggio di verità e di speranza del Signore Gesù”.
La cultura dominante, quella più diffusa nell’areopago mediatico – ha proseguito il Pontefice –, si pone, nei confronti della verità, con un atteggiamento scettico e relativista, considerandola alla stregua delle semplici opinioni e ritenendo, di conseguenza, compossibili e legittime molte ‘verità’”.
Per questo le testate cattoliche sono chiamate “a servire con coraggio la verità” davanti all’opinione pubblica e a “presentare le ragioni della fede, che, in quanto tali, vanno al di là di qualsiasi visione ideologica e hanno pieno diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico. Da questa esigenza nasce il vostro impegno costante a dare voce ad un punto di vista che rispecchi il pensiero cattolico in tutte le questioni etiche e sociali”.
“Continuate ad essere giornali della gente, che cercano di favorire un dialogo autentico tra le varie componenti sociali, palestre di confronto e di dibattito leale fra opinioni diverse”, li ha incoraggiati.
“Così facendo – ha poi concluso –, i giornali cattolici, mentre adempiono l’importante compito di informare, svolgono, al tempo stesso, una insostituibile funzione formativa, promuovendo un’intelligenza evangelica della realtà complessa, come pure l’educazione di coscienze critiche e cristiane”.
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giovedì 25 novembre 2010

Sul Papa, preservativi e sciocchi (Articoli 27)

Ritorno sul tema del testo di Introvigne, mitigando l'ultimo termine per riportare il testo integrale e preciso delle parole del Papa che tanto han fatto parlare tante persone (a vanvera). Come si legge (e come si era visto nell'anticipazione) la realtà della parole detta dal Santo Padre è molto diversa da quelle scritte dai giornali:

Dal libro-intervista del Papa, pubblichiamo il testo in­tegrale delle due domande e risposte di Benedetto XVI con­cernenti la lotta contro l’Aids e l’uso del profilattico

LA SUA VISITA IN AFRICA, NEL MARZO 2009, HA DI NUOVO RICHIAMATO L’ATTENZIONE DEI MEDIA SULLA POLITICA DEL VATICANO NEI CONFRONTI DELL’AIDS. IL 25% DEI MALATI DI AIDS IN TUTTO IL MONDO OGGI VIENE SEGUITO DA STRUTTURE CATTOLICHE. IN ALCUNI PAESI, COME PER ESEMPIO NEL LESOTHO, I MALATI DI AIDS RAPPRESENTANO PIÙ DEL 40% DELLA POPOLAZIONE. LEI HA DICHIARATO CHE IN AFRICA LA DOTTRINA TRADIZIONALE DELLA CHIESA SI È RIVELATA L’UNICO MODO SICURO PER ARRESTARE LA DIFFUSIONE DELL’HIV. I CRITICI, ANCHE ALL’INTERNO DELLA CHIESA, SOSTENGONO AL CONTRARIO CHE È UNA FOLLIA VIETARE A UNA POPOLAZIONE MINACCIATA DALL’AIDS L’UTILIZZO DI PROFILATTICI.

Dal punto di vista giornalistico il viaggio in Africa è stato del tutto oscurato da un’unica mia frase. Mi è stato chiesto perché la Chiesa cattolica, relativamente all’Aids, assumesse una posizione irrealistica ed inefficace. Così mi sono sentito come sfidato perché la Chiesa fa più di tutti gli altri. E continuo a sostenerlo; perché la Chiesa è l’unica istituzione veramente vicina alle persone, molto concretamente: nel prevenire, nell’educare, nell’aiutare, nel consigliare e nello stare a fianco; e perché come nessun altro si cura di tanti malati di Aids e in particolare di tantissimi bambini colpiti da questa malattia. Ho potuto visitare una di queste strutture per i malati di Aids e ho incontrato i malati, e mi hanno detto questo: la Chiesa fa più degli altri perché non parla solo dai giornali, ma aiuta i fratelli e le sorelle sul luogo. Dicendo questo non avevo preso posizione sul problema dei profilattici in generale, ma ho soltanto detto quello che poi ha suscitato tanto risentimento: che non si può risolvere il problema con la distribuzione di profilattici. Bisogna fare molto di più. Dobbiamo stare vicino alle persone, guidarle, aiutarle e questo anche prima che si ammalino. La verità è che i profilattici sono a disposizione ovunque, chi li vuole li trova subito. Ma solo questo non risolvere la questione. Bisogna fare di più. Nel frattempo, anche in ambito secolare si è sviluppata la cosiddetta teoria Abc, sigla che sta per «Abstinence - Be Faithful - Condom» («Astinenza - Fedeltà - Profilattico »); laddove il profilattico è considerato soltanto come scappatoia, quando mancano gli altri due elementi. Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità.
Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio, quando un prostituto utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole.
Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’Hiv. È veramente necessaria una umanizzazione della sessualità.


QUESTO SIGNIFICA, DUNQUE, CHE LA CHIESA CATTOLICA NON È FONDAMENTALMENTE CONTRARIA ALL’USO DEI PROFILATTICI?
Naturalmente la Chiesa non considera i profilattici come la soluzione autentica e morale.
Nell’uno o nell’altro caso, con l’intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana.
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martedì 23 novembre 2010

Liberata Asia Bibi (Contributi 408)

martedì, 23 novembre 2010 (ZENIT.org)
Asia Bibi, la cristiana pakistana condannata a morte per blasfemia, è stata liberata dal carcere dopo aver ottenuto la grazia dal Presidente Asif Ali Zardari.

Lo hanno confermato a ZENIT International Christian Concern (ICC) e altre istituzioni di difesa della libertà religiosa, così come l'agenzia del Kuwait Kuna.
La Bibi, di 37 anni, è stata in carcere per molti mesi senza processo e questo lunedì è stata dichiarata “innocente” dal Ministro delle Minoranze del Pakistan, Shahbaz Bhatti, anch'egli cristiano.
Bhatti aveva chiesto al Presidente Zardari che la donna venisse liberata per “non aver commesso atti blasfemi”.
Questo sabato, Asia Bibi aveva firmato un appello per chiedere la grazia al Presidente. Il testo è stato consegnato a Zardari dal Governatore di Punja, Salman Taseer.
Per salvare la donna si è mobilitato anche Benedetto XVI, unito a buona parte della comunità internazionale.
La Bibi era stata condannata a morte da un giudice del distretto pakistano di Nankana, nella provincia centrale del Punjab. La condanna è stata dettata da fatti risalenti al giugno 2009, quando la donna era stata denunciata con l'accusa di aver offeso il profeta Maometto durante una discussione con alcune compagne di lavoro musulmane.
Secondo fonti locali, Asia Bibi è stata portata in una località che non è stata rivelata per motivi di sicurezza, perché in passato persone che erano state dichiarate innocenti dopo le accuse di blasfemia sono state assassinate dalla popolazione.
La donna viveva con suo marito, Ashiq Masih, nel quartiere “Chak 3” del villaggio di Ittanwali, non lontano dalla città di Nankhana Sahib, a est di Lahore, nella provincia del Punjab. Nel quartiere, a stragrande maggioranza musulmana, vivono solo tre famiglie cristiane.
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Quanto vale la felicità? (Contributi 407)

Questo l'editoriale odierno de Il Sussidiario a firma di Pigi Colognesi:

Una recente ricerca, condotta da psicologi dell’Università di Harvard, ha concluso che, per ottenere un minimo di serenità nella vita, bisogna «vivere il presente». Il quotidiano italiano che ne ha riportato i risultati titolava: «La felicità è adesso».
Non è necessario addentarsi nei particolari dello studio. Basti dire che alla fin fine gli psicologi americani hanno rispolverato l’interpretazione più ovviamente corrente dell’oraziano «carpe diem», cogli l’attimo. Ognuno di noi, in sintesi, sarebbe più felice quando si dedica a quello che sta facendo, senza rimuginare sul passato né immaginare il futuro, quando, appunto, «vive il presente».
Ma bisogna intendersi.
Faccio un esempio banale. Stamattina avevo la periodica seduta per l’igiene orale; ho paura dei dentisti fin da quand’ero piccolo e un’operazione pur tanto semplice mi procura sempre un po’ di agitazione. Per distrarmi, cercavo di concentrarmi proprio sulla ricerca americana e sul commento che avrei voluto fare; a un certo punto l’addetto all’aspirazione ha fatto una manovra maldestra e quasi mi ha infilato in gola il tubicino. Ho pensato: ecco, se il presente fosse solo questo attimo, soffocherei.
Per sopportare il piccolo disagio devo pensare al futuro: devo avere una prospettiva positiva.
Ed è ragionevole aspettarsela perché ho, nel passato, l’esperienza che il mio dentista e i suoi collaboratori non sono dei macellai.


Dunque «vivere il presente» non è tagliare i ponti con le altre due dimensioni del tempo che al presente stesso danno la compiuta prospettiva. Anche i maestri cristiani dello spirito invitano ad attenersi al momento presente. «Age quod agis» suggeriscono: fa quello che stai facendo. E fallo bene, senza attardarti sul passato e senza disperderti nell’immaginazione del futuro. Ma senza dimenticarli.
Il passato esiste e pesa inesorabilmente sul presente. La scespiriana lady Macbeth appare a un certo punto in scena in uno stato quasi ipnotico e si sfrega continuamente le mani; vorrebbe lavare il sangue dei delitti di cui si è macchiata, sangue che, nonostante le sue mani siano pulite, lei continua a vedere. «Quello che è fatto è fatto» si dice disperata. Ed è posizione realistica; nessuno può far sì che il nostro passato non sia stato quello che è stato. Esso ci inchioda.
A meno che una potenza a noi nascosta ci dimostri che tutto il passato appartiene a un disegno che conduce a un presente in cui trova il suo significato; a meno che il perdono sia in grado di illuminare anche il passato cattivo, fino a poter dire, come fa l’abate di Milosz a Miguel Mañara che continua a pensare ai suoi peccati: «Tutto questo non è mai esistito».
Quanto al futuro, se l’immaginazione - come dicevano i monaci medievali - è sorgente di distrazione e inciampo, l’alternativa non è appiattirsi sull’effimera reazione emotiva dell’istante. Ogni gesto ha delle conseguenze. Scordarselo non è «vivere il presente», ma condannarsi all’insignificanza.
È curioso che la citata ricerca concluda che al primo posto della lista delle “attività” che più ci rendono felici ci sarebbe il sesso, perché lì massimamente succederebbe di «vivere il presente».
Ma si parla di un atto da cui è stata eliminata ogni dimensione di passato - la storia di rapporto affettivo che vi ha condotto - e di futuro - l’apertura alla generazione.
Ma così appiattito nella soddisfazione istantanea si può ancora, descrivendolo, parlare di felicità?
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lunedì 22 novembre 2010

Il Papa, il preservativo e gli imbecilli (Interventi 51)

Che i giornali e chi li scrive spesso e volentieri prendano abbagli e leggano poco (e male) le notizie riportandole male lo sappiamo da tempo tutti. Nel caso in questione, che tanto ha fatto discutere (e gioire) molte persone, è utilissima questa precisazione di Massimo Introvigne che riporta i giusti termini delle dichiarazioni di Benedetto XVI:

In settimana, quando esce il libro-intervista del Papa, ne parleremo come merita. Oggi invece parliamo di imbecilli.
Dalle associazioni gay a qualche cosiddetto tradizionalista, tutti a dire che il Papa ha cambiato la tradizionale dottrina cattolica sugli anticoncezionali. Titoli a nove colonne sulle prime pagine. Esultanza dell’ONU. Commentatori che ci spiegano come il Papa abbia ammesso che è meglio che le prostitute si proteggano con il preservativo da gravidanze indesiderate: e però, se si comincia con le prostitute, come non estendere il principio ad altre donne povere e non in grado di allevare figli, e poi via via a tutti?

Peccato, però, che – come spesso capita – i commentatori si siano lasciati andare a commentare sulla base di lanci d’agenzia, senza leggere la pagina integrale sul tema dell’intervista di Benedetto XVI, che pure fa parte delle anticipazioni trasmesse ai giornalisti.
Il Papa, in tema di lotta all’AIDS, afferma che la «fissazione assoluta sul preservativo implica una banalizzazione della sessualità», e che «la lotta contro la banalizzazione della sessualità è anche parte della lotta per garantire che la sessualità sia considerata come un valore positivo».
Nel paragrafo successivo – traducendo correttamente dall’originale tedesco – Benedetto XVI continua: «Ci può essere un fondamento nel caso di alcuni individui, come quando un prostituto usi il preservativo (wenn etwa ein Prostituierter ein Kondom verwendet), e questo può essere un primo passo nella direzione di una moralizzazione, una prima assunzione di responsabilità, sulla strada del recupero della consapevolezza che non tutto è consentito e che non si può fare ciò che si vuole. Ma non è davvero il modo di affrontare il male dell'infezione da HIV. Questo può basarsi solo su di una umanizzazione della sessualità».
Non so se il testo italiano che uscirà tradurrà correttamente «un prostituto», come da originale tedesco, o riporterà – come in alcune anticipazioni giornalistiche italiane - «una prostituta». «Prostituto», al maschile, è cattivo italiano ma è l’unica traduzione di «Prostituierter», e se si mette la parola al femminile l’intera frase del Papa non ha più senso. Infatti le prostitute donne ovviamente non «usano» il preservativo: al massimo lo fanno usare ai loro clienti. Il Papa ha in mente proprio la prostituzione maschile, dove spesso – come riporta la letteratura scientifica in materia – i clienti insistono perché i «prostituti» non usino il preservativo, e dove molti «prostituti» - clamoroso il caso di Haiti, a lungo un paradiso del turismo omosessuale – soffrono di AIDS e infettano centinaia di clienti, molti dei quali muoiono. Qualcuno potrebbe dire che «prostituto» si applica anche al gigolò eterosessuale che si accompagna a pagamento con donne: ma l’argomento sarebbe capzioso perché è tra i «prostituti» omosessuali che l’AIDS è notoriamente epidemico.
Stabilito dunque che le gravidanze non c’entrano, perché dalla prostituzione omosessuale è un po’ difficile che nascano bambini, il Papa non dice nulla di rivoluzionario. Un «prostituto» che ha un rapporto mercenario con un omosessuale – per la verità, chiunque abbia un rapporto sessuale con una persona dello stesso sesso – commette dal punto di vista cattolico un peccato mortale. Se però, consapevole di avere l’AIDS, infetta il suo cliente sapendo d’infettarlo, oltre al peccato mortale contro il sesto comandamento ne commette anche uno contro il quinto, perché si tratta di omicidio, almeno tentato. Commettere un peccato mortale o due non è la stessa cosa, e anche nei peccati mortali. c’è una gradazione. L’immoralità è un peccato grave, ma l’immoralità unita all’omicidio lo è di più.
Un «prostituto» omosessuale affetto da AIDS che infetta sistematicamente i suoi clienti è un peccatore insieme immorale e omicida. Se colto da scrupoli decide di fare quello che – a torto o a ragione (il problema dell’efficacia del preservativo nel rapporto omosessuale non è più morale ma scientifico) – gli sembra possa ridurre il rischio di commettere un omicidio non è improvvisamente diventato una brava persona, ma ha compiuto «un primo passo» - certo insufficiente e parzialissimo – verso la resipicenza.
Di Barbablù (Gilles de Rais, 1404-1440) si dice che attirasse i bambini, avesse rapporti sessuali con loro e poi li uccidesse. Se a un certo punto avesse deciso di continuare a fare brutte cose con i bambini ma poi, anziché ucciderli, li avesse lasciati andare, questo «primo passo» non sarebbe stato assolutamente sufficiente a farlo diventare una persona morale.
Ma possiamo dire che sarebbe stato assolutamente irrilevante? Certamente i genitori di quei bambini avrebbero preferito riaverli indietro vivi.
Dunque se un «prostituto» assassino a un certo punto, restando «prostituto», decide di non essere più assassino, questo «può essere un primo passo». «Ma – come dice il Papa - questo non è davvero il modo di affrontare il male dell'infezione da HIV». Bisognerebbe piuttosto smettere di fare i «prostituti», e di trovare clienti. Dove stanno la novità e lo scandalo se non nella malizia di qualche commentatore? Al proposito, vince il premio per il titolo più imbecille il primo lancio della Associated Press, versione in lingua inglese (poi per fortuna corretto, ma lo trovate ancora indicizzato su Yahoo con questo titolo): «Il Papa: la prostituzione maschile è ammissibile, purché si usi il preservativo».
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La vera fede è quella che accetta la Croce di Cristo (Contributi 406)

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 21 novembre 2010 (ZENIT.org).
La vera fede è quella che sa accettare la Croce di Cristo, che non diminuisce in alcun modo la sua regalità, e questa fede è l'elemento fondante del ministero del Papa e dei Cardinali.

Benedetto XVI lo ha spiegato questa domenica, Solennità di Nostro Gesù Cristo Re dell’Universo, presiedendo nella Basilica Vaticana la concelebrazione eucaristica con i 24 Cardinali creati nel Concistoro di questo sabato, ai quali ha consegnato in questa occasione l’Anello cardinalizio.
Nella sua omelia, il Pontefice ha sottolineato che nel Vangelo della Solennità (Lc 23, 35-42) tutti chiedono a Gesù di scendere dalla croce.
“Lo deridono, ma è anche un modo per discolparsi, come dire: non è colpa nostra se tu sei lì sulla croce; è solo colpa tua, perché se tu fossi veramente il Figlio di Dio, il Re dei Giudei, tu non staresti lì, ma ti salveresti scendendo da quel patibolo infame. Dunque, se rimani lì, vuol dire che tu hai torto e noi abbiamo ragione”.
In Gesù crocifisso, ha commentato il Vescovo di Roma, “la divinità è sfigurata, spogliata di ogni gloria visibile, ma è presente e reale”.
“Solo la fede sa riconoscerla”: “la fede di Maria”, e anche quella “appena abbozzata” del buon ladrone, che “è sulla croce come Gesù, ma soprattutto è sulla croce con Gesù”, e a differenza dell’altro malfattore e di tutti gli altri che li scherniscono non chiede a Gesù di scendere dalla croce né di farlo scendere”, ma di ricordarsi di lui quando entrerà nel suo regno.
“Lo vede in croce, sfigurato, irriconoscibile, eppure si affida a Lui come ad un re, anzi, come al Re”. “Per questo è già, subito, nell’'oggi' di Dio, in paradiso, perché il paradiso è questo: essere con Gesù, essere con Dio”.
“Il primo e fondamentale messaggio” di questo brano della Parola di Dio, quindi, è l'esortazione “a stare con Gesù, come Maria, e non chiedergli di scendere dalla croce, ma rimanere lì con Lui”, in una vera dimostrazione di fede. Proprio la fede, ha proseguito il Papa, rappresenta “il primo servizio del Successore di Pietro”.
Il ministero dell'Apostolo, infatti, “consiste tutto nella sua fede, una fede che Gesù riconosce subito, fin dall’inizio, come genuina, come dono del Padre celeste”, ma che “deve passare attraverso lo scandalo della croce, per diventare autentica, davvero 'cristiana', per diventare 'roccia' su cui Gesù possa costruire la sua Chiesa”.
“La partecipazione alla signoria di Cristo si verifica in concreto solo nella condivisione con il suo abbassamento, con la Croce”.
“Anche il mio ministero, cari Fratelli, e di conseguenza anche il vostro, consiste tutto nella fede – ha confessato Benedetto XVI rivolgendosi ai Cardinali –. Gesù può costruire su di noi la sua Chiesa tanto quanto trova in noi di quella fede vera, pasquale, quella fede che non vuole far scendere Gesù dalla Croce, ma si affida a Lui sulla Croce”.
“In questo senso – ha aggiunto – il luogo autentico del Vicario di Cristo è la Croce, persistere nell’obbedienza della Croce”.
Si tratta sicuramente di un ministero “difficile”, ha riconosciuto, “perché non si allinea al modo di pensare degli uomini”, ma “è e rimane sempre il nostro primo servizio, il servizio della fede, che trasforma tutta la vita: credere che Gesù è Dio, che è il Re proprio perché è arrivato fino a quel punto, perché ci ha amati fino all’estremo”.
Venerati Fratelli Cardinali, ecco qual è la nostra gioia: quella di partecipare, nella Chiesa, alla pienezza di Cristo attraverso l’obbedienza della Croce, di partecipare alla sorte dei santi nella luce, di essere stati trasferiti nel regno del Figlio di Dio”.
“Per questo – ha concluso il Papa – noi viviamo in perenne rendimento di grazie, e anche attraverso le prove non vengono meno la gioia e la pace che Cristo ci ha lasciato, quale caparra del suo Regno, che è già in mezzo a noi, che attendiamo con fede e speranza, e pregustiamo nella carità”.
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sabato 20 novembre 2010

Cristo, re dell'universo (Interventi 50)

Un commento alla festività di domenica prossima di Don Ermes Ronchi:

Cristo re dell'universo, proclama la liturgia. Ma dov'è il suo regno, dov'è mai la terra come Lui la sogna, la nuova architettura del mondo e dei rapporti umani?
Lui, venuto come se non fosse venuto...Il Vangelo di oggi ci aiuta a delineare alcuni tratti del Regno.
Il primo è rivelato dalle parole dei capi del popolo: ha salvato gli altri, salvi se stesso.
Riconoscono in Gesù una storia di uomini e donne salvati, guariti, rimessi in piedi, trasfigurati. Riconoscono che Gesù salva altri e non pensa a salvare se stesso.
Qui è posta l'immagine nuova di Dio, l'assoluta novità cristiana: un Dio che non chiede sacrifici all'uomo, ma che si sacrifica lui per l'uomo.
Che al centro dell'universo non pone se stesso, ma l'uomo salvato e guarito; che come obiettivo della storia non mette la propria gloria o l'adorazione, ma la vita piena dell'uomo.
Regale è davvero questo amore che si inabissa, dimenticandosi, nell'amato. Il secondo tratto del volto del re è rivelato dalle parole del malfattore appeso alla croce: egli invece non ha fatto nulla di male. Una frase sola, di semplicità sublime: non ha fatto nulla di male. In queste parole è racchiuso il segreto della regalità vera: niente di male, in quell'uomo; innocenza mai vista ancora, nessun seme di odio, il solo che non ha nulla a che fare con la violenza e con l'inganno.
Questo è bastato ad aprirgli il cuore: il ladro intravede in quell'uomo non solo buono, ma esclusivamente buono, un possibile futuro diverso, l'inizio di una umanità nuova. Intuisce che quel cuore pulito è il primo passo di una storia diversa, l'annuncio di un regno di bontà e di perdono, di giustizia e di pace.
Ed è in questo regno che domanda di entrare. Ricordati di me - prega il ladro morente. Sarai con me risponde l'Amore. Sintesi ultima di tutte le possibili preghiere. Ricordati - prega la paura. Ti terrò con me - risponde l'Amore. Solo ricordati e mi basta - prega l'ultimo respiro di vita. Sarai con me, risponde l'immortale. Non solo nel ricordo, ma in un abbraccio forte.
Ecco il nostro Re: uno che ha la forza regale e divina di dimenticare se stesso dentro la paura e la speranza dell'altro; il cuore di chi rivolge le sue ultime parole per gli uomini a un assassino e, in lui, a tutti noi che nascondiamo in fondo all'anima la tentazione o la capacità di una cultura di morte. È lì, nel ladro ucciso, la consacrazione suprema della dignità dell'uomo: nel suo limite più basso l'uomo è sempre e ancora amabile per Dio, basta solo la sincerità del cuore.
Non c'è nulla e nessuno di definitivamente perduto, nessuno che non possa sperare, per oggi e per domani.
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Siamo solo noi a poterci e volerci perdere, DIo sempre a desiderarci salvi.
Buona solennità di Cristo Re
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venerdì 19 novembre 2010

Il Bel Paese (Post 113)

Viviamo decisamente in un Bel Paese: un Paese dove si può essere uccisi a pugni mentre si fa la fila per la metropolitana, oppure perchè, senza volere, abbiamo investito un cane, o infine strangolati da un parente (cugina o zio, non saprei) per un motivo ignoto ma certamente incapace di giustificare un delitto. Segni tutti dell'aver smarrito, per molti, la coscienza del proprio essere uomini, del nostro essere creature che acquistano bellezza e ragionevolezza solo in rapporto con il nostro Creatore.
Viviamo in un paese dove in modo subdolo e strisciante si sta cercando di far passare come cosa buona e diritto assoluto l'eutanasia.
Lo spot di si è parlato in un contributo precedente, è il primo passo a cui Rai3 ha pensato bene di dare subito un seguito.
Ma in realtà il Bel Paese c'è, un po' infagottato dalla spirale del silenzio , in certi casi vittima del "politicamente corretto" (cosa da cui liberarsi quanto prima), forse rintronato dalla molta spazzatura televisiva, ma comunque c'è un piccolo resto di un popolo.

Quello che ha espresso commenti al post sullo spot pro eutanasia che vi segnalo
1) Lo trovo orrendo! Possibile che dobbiamo promuovere la morte! La vita è un dono e dobbiamo averne cura e non possiamo non abbiamo il diritto di toglierla!

2) Noi non abbiamo scelto di venire al mondo, noi non abbiamo scelto di morire, ma siam vivi per AMORE e quest'amore va difeso, va apprezzato! Quest'amore si chiama regalo di Dio a noi cioé la nostra VITA! Ma come un regalo non possiamo buttarlo o distruggerlo!

3) io trovo l'eutanasia un vero orrore, orrore che viene eseguito, noi malgrado anche a nostra insaputa, magari sui nostri malati,i nostri anziani che tribolano la fine in letti malsani e inadeguati ai loro bisogni...ma la cosa più che mi rattrista e vedere come certi genitori accettano così inconsapevolemente forse, la fine della vita di un figlio,la accettano perche si chiedono quanto possa soffrire il figlio in quella situazione, attaccato ad un respiratore,ma questo scusatemi a noi quanto e concesso saperlo? non è Dio con la Sua gloria che può contemplare tutto questo? Chi siamo noi per poter appropriarci del diritto di far terminare quella vita? Si e dico e ripeto vita! Perché finchè c'è il soffio di Dio, in quella sofferenza, nessuno puo metterci le mani.. L'uomo si crede onnipotente di fronte alla certezza della sofferenza, si crede al centro dell'universo anche per le scelte che non gli competono, lasciamo fare a Dio!! Non mi stancherò mai di dirlo, la vita a tutti i costi,l'amore di Dio a tutti i costi e per qualsiasi situazione, amiamo la nostra vita, guardate che a volte ci sono situazioni che sembrano inesorabilmente gia definite, ma la speranza supera ogni barriera,anche quella più impervia, Dio accoglie la nostra supplica, quando meno ce lo aspettiamo...

Sono questi segni che esiste, al di là di quanto dicono giornali o altri mezzi di (dis)informazione i segni di una coscienza, di un pensiero cristiano. Di un amore a Gesù malgrado tutto il male presente in noi stessi e negli altri.
Questo piccolo blog vuole essere strumento e aiuto di questo popolo che cerca, fra i venefici gas della società odierna, di mantenere lo sguardo su Gesù Cristo cosciente che è Lui l'unico salvatore.
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mercoledì 17 novembre 2010

Lettera da Baghad (Interventi 49)

Le “Piccole sorelle di Gesù” di Baghdad hanno raccolto le testimonianze dei sopravvissuti al massacro compiuto il 31 ottobre nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, e le hanno riportate in una lettera che pubblichiamo nella sua integralità.


Baghad (AsiaNews) - Il 31 ottobre un commando di Al Qaeda ha fatto irruzione nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad. I terroristi, che si sono fatti esplodere nella chiesa, hanno provocato una strage: 52 morti e decine di feriti. Di seguito pubblichiamo la lettera di alcune religiose, testimoni dell'eccidio.

Cari fratelli e sorelle ovunque,

Vogliamo cominciare questa lettera ringraziandovi tutti per tutti i messaggi di comunione e di solidarietà che abbiamo ricevuto. Ci sono molte catastrofi naturali in questo momento nel mondo che fanno molte più vittime che da noi, ma la causa non è l’odio, e questo fa tutta la differenza. La nostra chiesa è abituata ai colpi duri, ma è la prima volta che ne riceve di così violenti e selvaggi e soprattutto è la prima volta che questo accade all’interno della chiesa, di norma fanno esplodere delle bombe nei cortili delle chiese. La chiesa di Nostra Signora dell Perpetuo Soccorso è una delle tre chiese siro-cattoliche di Baghdad; la maggior parte di quelli che la frequentano sono dei cristiani di rito siriaco originari di Mossul o di tre villaggi cristiano-siriaci vicini a Mossul: Qaragosh, di cui sono originari le nostre sorelle Virgin Hanan e Rajah Nour; Bartolla e Bashiqa di cui è originaria Mariam Farah. Grazie a Dio nessuna di loro ha avuto parenti prossimi uccisi o feriti gravemente.
La chiesa è stata presa d’assalto domenica 31 ottobre dopo mezzogiorno, proprio dopo l’omelia di padre Tha’er ch celebrava la messa. Padre Wasim, che è il figlio di una cugina di sorella Lamia, confessava al fondo della chiesa; padre Raphael era nel coro.
Gli attaccanti erano persone molto giovani (14-15 anni) non mascherati, armati di mitra e di granate e portavano una cintura esplosiva.
Hanno aperto subito il fuoco, uccidendo padre Wasim che cercava di chiudere la porta della chiesa, poi hanno sparato alla cieca, dopo aver ordinato alle persone di gettarsi a terra, di non muoversi e di non gridare. Qualcuno è riuscito a mandare messaggi con il cellulare, ma dopo gli attaccanti sparavano su chiunque vedevano usare il telefonino. Il padre Tha’er che continuava a celebrare è stato ucciso all’altare nei suoi paramenti liturgici, suo fratello e sua madre sono stati uccisi anch’essi. Dopo è stato il massacro, non possiamo raccontare tutto ciò che le persone ci hanno detto, anche i bambini che piangevano sono stati uccisi. Alcune persone si erano rifugiate nella sacrestia e hanno barricato la porta, ma gli attaccanti sono saliti sulla terrazza della chiesa e hanno gettato delle bombe a mano attraverso le finestre della sacrestia che sono in alto.
Tutto ciò fa pensare che si trattasse di un attacco ben preparato, e che hanno avuto dell’aiuto dall’esterno; come hanno potuto forzare lo sbarramento della polizia (nella strada che va alla chiesa) e conoscere la via per arrivare alla terrazza, ecc.? Hanno mitragliato anche gli apparecchi dell’aria condizionate in modo che il gas, uscendo, asfissiasse quelli che erano vicini.
Hanno mitragliato la croce, ridendo e dicendo alle persone: “Ditegli di salvarvi”. Poi hanno lanciato l’appello alla preghiera: “Allau akbar, la ilah illa allahu…”, e alla fine, quando l’esercito era sul punto di entrare si sono fatti esplodere. L’esercito e gli aiuti ci hanno messo circa due ore ad arrivare, così come gli americani che sorvolavano in elicottero, ma l’esercito non è addestrato a gestire queste situazioni, e non sapevano bene che cosa fare. Perché ci hanno messo tanto tempo ad arrivare? Tutto è finito verso le 10h30 – 11h di sera, è durato molto e pensiamo che molte persone siano morte in seguito alla perdita di sangue e alle ferite. Dopo i feriti sono stati condotti nei diversi ospedali e i morti in obitorio.
Le persone hanno cominciato ad arrivare per sapere che cosa era successo e avere notizie dei parenti, ma l’accesso alla chiesa era proibito e le persone hanno cominciato a peregrinare di ospedale in ospedale alla ricerca dei loro cari. Abbiamo visto persone che hanno cercato qualcuno fino alle 4h del mattino per scoprirlo infine all’obitorio. All’indomani ci sono state le esequie nella chiesa caldea vicina, la chiesa era piena, era impressionante, c’erano quindici bare allineate nel coro, le altre vittime sono state sepolte nei loro villaggi o separatamente, secondo i casi. C’erano rappresentanti di tutte le comunità cristiane come del governo, il nostro patriarca ha parlato così come il portavoce del governo e un religioso, capo di un partito islamico, Moammar el Hakim.
La preghiera ha avuto luogo con grande dignità e senza manifestazioni rumorose.
Padre Saad, responsabile di questa chiesa ha aiutato le persone a pregare man mano che arrivavano, prima che cominciasse la cerimonia.
I due giovani sacerdoti sono stati sepolti nella loro chiesa devastata. C’è un cimitero sotto la chiesa, e prima di seppellirli hanno fatto passare le bare nella chiesa in modo che potessimo dire loro addio.
All’inizio non sapevamo niente delle vittime, non conoscevamo nessuno direttamente, salvo padre Raphael, un sacerdote molto anziano; siamo andate all’ospedale per visitarlo e visitare i feriti che erano là. Erano le famiglie che ci accompagnavano di stanza in stanza, così come la gente dell’ospedale ci indicava i feriti. Per caso erano tutte donne o ragazze, ferite da proiettili, non era come un’esplosione in cui può accadere di perdere un braccio o una gamba. Siamo rimaste al loro fianco senza parlare molto, erano loro che parlavano o le loro famiglie, ciascuno riviveva la sua storia e la raccontava. Dal momento che l’attacco ha avuto luogo di domenica alla messa, membri di una stessa famiglia sono stati feriti o uccisi, alcuni proteggendo i loro bambini.
Siamo stati colpiti dalla loro calma e dalla loro fede quando raccontavano, sentivamo che erano persone venute da un altro mondo e che in quel momento là nulla contava più se non l’incontro vicino con il Signore non pensavano più a nulla e pregavano solo, e questo è durato cinque ore.
Il venerdì dopo pranzo i giovani di molte parrocchie sono venuti ad aiutare a spazzare i detriti e a pulire un po’, e la domenica seguente, 7 novembre, tutti i preti siriaci e caldei di Baghdad che erano liberi hanno celebrato la messa nella chiesa vuota e devastata su un altare di fortuna; c’erano poche persone perché questa messa non era stata annunciata. Non ci siamo andate perché non l’abbiamo saputo. Era molto commovente. C’è stato un soprassalto di fede e di determinazione soprattutto nei preti che restano a Baghdad che dicono: vogliono cacciarci e sterminarci ma noi siamo qui e ci resteremo, dopo 14 secoli non potrete finirla con noi.
La storia dei cristiani d’Iraq è una lunga storia di persecuzione, di martiri, di cristiani cacciati e mandati via. Pensiamo alla frase del salmo 69: “Più numerosi dei capello della testa coloro che mi odiano senza causa” e noi pensiamo soprattutto a Gesù, odiato senza ragione, mentre passava e faceva del bene. Terminiamo questa lettera con il grido di un bambino di tre anni che ha visto uccidere suo padre e che gridava “basta, basta” prima di essere ucciso anche lui. Sì, veramente con il nostro popolo gridiamo anche noi: basta.
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Le vostre piccole sorelle di Baghdad, Alice e Martina.
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Ecco perché il premier Al Maliki non protegge i cristiani iracheni (Contributi 405)

Un articolo di Souad Sbai trattoda Il Sussidiario



I recenti fatti di sangue che hanno visto protagonisti la minoranza cristiana in Iraq non sembrano fermarsi. Da settimane, si susseguono attacchi a edifici di culto e abitazioni provocando diverse decine di morti e centinaia di feriti. Stiamo dunque assistendo ad un massacro senza soluzione di continuità in cui uomini, donne, vecchi, bambini, vengono intimoriti, intimiditi, colpiti, uccisi, con il chiaro obiettivo di spargere terrore per costringerli ad abbandonare il loro Paese. Vengono portati al punto di doversi nascondere e fuggire. La religione diviene allora il grimaldello per istillare l'odio e lo scontro per obiettivi tutti politici.

Quest'utilizzo distorto della religione, che abbraccia il potere in una morsa micidiale, costituisce la vera ragione di un conflitto che certi poteri forti intendono legittimare come obbligo dettato dalla propria fede.
Si tratta di quella manipolazione semantica del termine 'jihad' che perde il proprio significato originario, quello legato al concetto di sforzo interiore per migliorare se stessi, per essere schiacciato invece dall'interpretazione che inquadra il 'jihad' come conquista dello spazio vitale da parte dei musulmani, per proseguire il cammino verso la realizzazione del Dar Al Islam.
Non a caso gli ultimi attacchi si sono verificati dopo le minacce giunte da Al Qaeda contro i cristiani d'Egitto. Fatto duramente condannato anche dal consigliere dello sheykh dell'Università di Al Azhar de Il Cairo per il dialogo interreligioso, Mahmoud Azab, che ha espresso solidarietà agli arabi cristiani e ferma condanna agli attacchi alle chiese in Iraq e altrove. Ha così ribadito quanto era già stato affermato dall'imam Mohammed Rifai al Tahtawi lo scorso 28 ottobre a margine dell'ultimo Sinodo, secondo il quale "i cristiani in Medio Oriente sono una ricchezza culturale e civile per la nostra società. Noi siamo attenti a preservare il ruolo delle comunità cristiane nei paesi musulmani perché l'Islam ci invita a rispettare l'altro e a osservare quanto di buono può portare lo scambio tra culture e civiltà diverse".
La questione della presenza cristiana in Medio Oriente tocca inoltre il delicato tema della cittadinanza. In un suo recente intervento Padre Samir Kahil Samir ha ricordato che le conclusioni dell'ultimo Sinodo sono giunte alla necessità di collaborare insieme - cristiani, musulmani ed ebrei - per fermare l’estremismo e garantire piena cittadinanza ai cristiani nelle società mediorientali, laddove essi sono considerati cittadini di serie B e hanno uno statuto giuridico di seconda classe. Come ricorda Padre Samir, quando, nell'XI secolo, il sistema giuridico musulmano si strutturò, cristiani ed ebrei vennero considerati come protetti dal potere musulmano, in cambio della sottomissione: ciò conferiva loro lo statuto di 'dhimmi'.
Il concetto di cittadinanza per come lo intendiamo oggi, figlio del progresso del diritto positivo europeo, non viene riconosciuto nel sistema giuridico islamico che si basa su una certa dicotomia operata seguendo il criterio del credo religioso, attraverso la Shari'a. Ciò ha prodotto la gemmazione di società di stampo teocratico per le quali i diritti umani passano spesso in secondo piano e dove spesso la legge per alcuni appare più uguale...
Non è errato allora considerare che venga operata una discriminazione che, partendo dalla sfera religiosa, si rifletta in tutti gli ambiti della vita pubblica e sociale.
Per i Paesi del Medio Oriente, riconoscere pari dignità a tutti i propri cittadini, compresi cristiani ed ebrei, significa non solo allinearsi alla società dei diritti - e, aggiungerei, dei doveri - universali, ma imboccare la via di quel principio di laicità positiva che auspichiamo per favorire lo sviluppo umano, intellettuali e civile dei Paesi Arabo-musulmani e che il Marocco, nelle ultime dichiarazioni del Re Mohammed VI in visita a Londra, ha già fatto proprio. Ed è assolutamente paradossale il fatto che sotto il regime di Saddam Hussein, i cristiani fossero salvaguardati, mentre con lo sciita Maliki stiano insorgendo questi gravi disordini. Chiediamoci: come mai?
Si badi bene: ciò non vuol dire dovere rinunciare al proprio sistema etico-morale, ma riconoscere l'essenziale principio di pluralismo che contraddistingue il vero spirito della democrazia su cui tutti moderni Stati Nazione si fondano. Ammettere l'esistenza e la legittimità del diverso, dell'altro da sé, può allora, sì, risultare elemento di insostituibile ricchezza e partecipazione civile. In Occidente, come in Medio Oriente. Affinché i musulmani comprendano che alla richiesta di diritti debba corrispondere non solo l'adempimento di speculari doveri, ma la concessione degli stessi diritti anche a chi è diverso da loro.
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Imbellettatori del crimine (Interventi 48)

Da un blog amico traggo questo testo di Olavo de Carvalho che propongo per la vostra riflessione:

Lenin diceva che quando riesci a togliere all’avversario la volontà di lottare, hai già vinto lo scontro. Ma, nelle moderne condizioni di “guerra asimmetrica”, controllare l’opinione pubblica è diventato ancora più decisivo che vincere in campo militare. La regola leninista si converte quindi in modo automatico nella tecnica della “spirale del silenzio”: si tratta di estinguere, nell’anima del nemico, non solo la sua disposizione guerriera, ma perfino la sua volontà di argomentare in propria difesa, di annullare perfino il suo mero impulso di dire qualche timida parolina contro il suo aggressore.

Il modo per raggiungere questo obiettivo è laborioso e caro, però semplice nella sua essenza: si tratta di attaccare l’onore del poveretto da così tanti lati, per tanti mezzi di comunicazione così diversi e con una tale varietà di accuse contraddittorie, con frequenza di proposito assurda e farsesca, che il poveretto, sentendo impossibile un dibattito pulito, finisce per preferire raccogliersi in silenzio. In questo medesimo istante diventa politicamente defunto. Il male ha vinto una battaglia in più.
La tecnica fu sperimentata per la prima volta nel secolo XVIII. Fu così pesante la carica di invenzioni, prese in giro, leggende urbane e imitazioni di ricerche storico-filologiche che si buttò contro la Chiesa Cattolica, che i sacerdoti e teologi finirono per ritenere che non valeva la pena difendere una istituzione venerabile contro accuse così basse e maliziose. Risultato: persero lo scontro.
Il contrasto tra la virulenza, la bassezza, l’ubiquità della propaganda anti-cattolica e la scarsezza, la timidezza dei discorsi di difesa e di contrattacco, segnò l’immagine dell’epoca, fino a oggi, con la fisionomia trionfante degli illuministi e rivoluzionari. Peggio: li ricoprì con un’aurea di una superiorità intellettuale che, alla fine dei conti, non possedevano affatto.
La Chiesa continuò a insegnare, a curare le anime, aiutando i poveri, soccorrendo i malati, producendo santi e martiri, ma fu come se nulla di tutto questo fosse successo. Per avere un’idea del potere di torporificazione della “spirale del silenzio”, basta notare che, durante quel periodo, una sola organizzazione cattolica, la Compagnia di Gesù, dette più contributi alla scienza che tutti i suoi detrattori materialisti messi insieme, ma furono quest’ultimi a passare alla Storia – e là restano ancora oggi – come paladini della ragione scientifica in lotta contro l’oscurantismo. (Se questa mia affermazione vi pare strana e – come si dice in Brasile – “polemica”, è perché continuate a credere a professori semi-analfabeti e giornalisti semi-alfabetizzati. Invece di questo, dovreste levarvi ogni dubbio leggendo John W. O’Malley, (org)., The Jesuits: Cultures, Sciences, and The Arts, 1540-1773, 2 voll., University of Toronto Press, 1999, e Mordecai Feingold, (org)., Jesuit Science and the Republic of Letters, MIT Press, 2003).
Solo quasi un secolo dopo di questi fatti che Alexis de Tocqueville scoprì perché la Chiesa aveva perso una guerra che invece aveva tutto per vincerla. Si deve a lui la prima formulazione della teoria della “spirale del silenzio”, che, in una estesa ricerca sul comportamento della opinione pubblica in Germania, Elizabeth Noëlle-Neumann confermò integralmente nel suo The Spiral of Silence: Public Opinion, Our Social Skin (2ª. ed., The University of Chicago Press, 1993).
Zittirsi davanti all’attaccante disonesto è un comportamento ugualmente suicida quanto tentare di ribattere le sue accuse in termini “elevati”, conferendo a quel disonesto una dignità che non possiede. Le due cose precipitano direttamente nella voragine della “spirale del silenzio”. La Chiesa del XVIII secolo commise questi due errori, come la Chiesa di oggi sta di nuovo commettendo.
Il sudiciume, la viltà stessa di certi attacchi sono pianificati per mettere in imbarazzo la vittima, instillandole il rifiuto di coinvolgersi in discussioni che le suonano degradanti e forzandola così, sia al silenzio, sia a una ostentazione di fredda eleganza superiore che non può non apparire come un camuffamento improvvisato di un dolore insopportabile e, quindi, una confessione di sconfitta. Non si può parare un assalto rifiutandosi di avvicinare un dito alla persona dell’assaltante o dimostrandogli, in modo educato, che il Codice Penale proibirebbe quello che sta facendo.
Le lezioni di Tocqueville e Noëlle-Newman non sono utili soltanto alla Chiesa Cattolica. Insieme con ella le comunità più diffamate dell’universo sono gli americani e gli ebrei. I primi preferiscono piuttosto pagare per crimini che non hanno mai commesso piuttosto che incorrere in una mancanza di educazione contro i propri più perversi detrattori. I secondi sanno difendersi un poco meglio, ma si sentono inibiti quando gli attaccanti sono oriundi delle proprie file – cosa che accade con frequenza allarmante. Nessuna entità sulla faccia della terra possiede tanti nemici interni quanto la Chiesa Cattolica, gli USA e la nazione giudaica. È che hanno vissuto nella “spirale del silenzio” per così tanto tempo che non sanno ormai più come uscirne – e perfino la alimentano di propria iniziativa, precorrendo in ciò gli stessi nemici.
L’unica reazione efficace alla spirale del silenzio è romperla – e non si può farlo senza rompere, insieme ad essa, l’immagine di rispettabilità di coloro che l’hanno fabbricata.
Ma come smascherare una falsa rispettabilità in modo rispettabile? Come denunciare la malizia, l’inganno, la menzogna, il crimine, senza andare oltre le frontiere del mero “dibattito di idee”? Chi commette crimini non sono le idee, sono le persone.
Nulla favorisce di più l’impero del male della paura di partire per “l’attacco personale” quando questo è assolutamente necessario.
Aristotele insegnava che non si può dibattere con chi non riconosce – o non segue – le regole della ricerca della verità. Coloro che vogliono mantenere un “dialogo elevato” con criminali diventano imbelletta tori del crimine. Sono questi i primi che, nell’impossibilità di un dibattito onesto, e con la paura di cadere nel peccato dell’ “attacco personale”, si rifugiano in quello che credono un onorato silenzio, consegnando il terreno al nemico.
La tecnica della spirale del silenzio consiste nell' indurre esattamente a questo.
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