Salendo sulle guglie, mi sembrava proprio di immaginarlo, il vecchio Gaudí, che, passeggiando per le strade di Barcellona, si piega a raccogliere un frammento di piatto decorato, buttato via da chissà chi, o il fondo verde scuro di una bottiglia rotta. Mi avevano detto che poi Gaudí li incastonava sulle pareti esterne dell’immensa cattedrale che stava costruendo. Mettendomi in certe angolature potevo vedere il sole che brillava riflettendosi su quei cocci.
La grande chiesa di Barcellona che Benedetto XVI ha appena consacrato è così famosa - e meritatamente - che non c’è bisogno di dilungarsi in spiegazioni architettoniche o estetiche. La sua mole imponente, le sue guglie vertiginose (e mancano ancora le più alte), il suo interno che sembra una foresta pietrificata eppure vivissima sono veramente cose «straordinarie», cioè fuori di ogni ovvietà e aspettativa. Sono il sigillo del genio di chi le ha immaginate e, con infinita pazienza, iniziato a realizzare.
Anche la storia di questa cattedrale è un unicum per i tempi moderni; è un cantiere aperto da oltre cento anni, vi hanno contribuito la pietà e i soldi di tutto un popolo e una folta schiera di maestranze. La costruzione è stata osteggiata dai diversi poteri che si sono succeduti in Spagna, prima per contrastare il nazionalismo catalano, poi semplicemente per mettere la sordina a un segno tanto inequivocabile di fede cristiana.
Le idee architettoniche di Gaudí sono state studiate a fondo, la sorprendente arditezza delle sue soluzioni fanno scuola, la debordante inventiva delle decorazioni e la ricchissima simbologia che le governa spinge ancora oggi a ricerche e pubblicazioni. E, soprattutto, l’insieme suscita profonda ammirazione.
Eppure, per me, la Sagrada Família è tutta in quel gesto con cui un vecchio ormai prossimo alla morte raccoglie un pezzo di vetro e lo dà al muratore perché lo applichi alla parete di una guglia e lo metta esattamente in quella posizione per cui, cadendo o alzandosi, il sole lo possa far risplendere.
Può capitare a tutti di sentirsi inutili, come una bottiglia rotta, buttati via senza alcuna speranza di poter ancora servire a qualcosa.
Solo una fede grande come quella dei medievali costruttori di cattedrali riesce ancora a piegarsi curiosa su questo vetro tagliente e dimenticato.
Lo guarda e dice: toh che bello!
E lo ficca lassù sulla cattedrale, più in alto, magari, di tante pietre ben tornite e un po’ presuntuose. E da lassù il frammento di vetro darà su tutta la costruzione il riflesso del suo irripetibile colore. Anche se è difficile vederlo da vicino.
Eccolo il fascino segreto del capolavoro di Gaudí: nella grande cattedrale cattolica c’è posto per tutti.
Nessun particolare è identico all’altro, ogni dettaglio è inequivocabilmente se stesso e nel contempo armoniosamente inserito nel corpo vivo del tutto. Un tutto che vive della variegata polifonia delle diversità; che è ben diversa dalla piatta pianificazione di uno schema.
I montaliani «cocci aguzzi di bottiglia» non chiudono più la prospettiva di un invalicabile muro. Ritrovano, invece, il loro bel posto nell’armonia dell’insieme.
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Davvero una bellissima considerazione. Grazie per averla condivisa.
RispondiEliminaUn caro e fraterno saluto.
Splendide riflessioni! mi accodo ai ringraziamento di Mikhael!
RispondiEliminaE' proprio di Cristo saper valorizzare ogni singolo piccolo particolare ed inserirlo dentro l'infinito. Grazie a Mikhael e Maria per i loro interventi.
RispondiEliminaAvvertimento: Il monumento a Paolo VI nella cattedrale di Brescia
RispondiEliminahttp://to-chihiro.blogspot.com/2011/06/diocesis-de-brescia.html
http://www.youtube.com/watch?v=Aff9F8QoJsQ