Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

martedì 23 novembre 2010

Quanto vale la felicità? (Contributi 407)

Questo l'editoriale odierno de Il Sussidiario a firma di Pigi Colognesi:

Una recente ricerca, condotta da psicologi dell’Università di Harvard, ha concluso che, per ottenere un minimo di serenità nella vita, bisogna «vivere il presente». Il quotidiano italiano che ne ha riportato i risultati titolava: «La felicità è adesso».
Non è necessario addentarsi nei particolari dello studio. Basti dire che alla fin fine gli psicologi americani hanno rispolverato l’interpretazione più ovviamente corrente dell’oraziano «carpe diem», cogli l’attimo. Ognuno di noi, in sintesi, sarebbe più felice quando si dedica a quello che sta facendo, senza rimuginare sul passato né immaginare il futuro, quando, appunto, «vive il presente».
Ma bisogna intendersi.
Faccio un esempio banale. Stamattina avevo la periodica seduta per l’igiene orale; ho paura dei dentisti fin da quand’ero piccolo e un’operazione pur tanto semplice mi procura sempre un po’ di agitazione. Per distrarmi, cercavo di concentrarmi proprio sulla ricerca americana e sul commento che avrei voluto fare; a un certo punto l’addetto all’aspirazione ha fatto una manovra maldestra e quasi mi ha infilato in gola il tubicino. Ho pensato: ecco, se il presente fosse solo questo attimo, soffocherei.
Per sopportare il piccolo disagio devo pensare al futuro: devo avere una prospettiva positiva.
Ed è ragionevole aspettarsela perché ho, nel passato, l’esperienza che il mio dentista e i suoi collaboratori non sono dei macellai.


Dunque «vivere il presente» non è tagliare i ponti con le altre due dimensioni del tempo che al presente stesso danno la compiuta prospettiva. Anche i maestri cristiani dello spirito invitano ad attenersi al momento presente. «Age quod agis» suggeriscono: fa quello che stai facendo. E fallo bene, senza attardarti sul passato e senza disperderti nell’immaginazione del futuro. Ma senza dimenticarli.
Il passato esiste e pesa inesorabilmente sul presente. La scespiriana lady Macbeth appare a un certo punto in scena in uno stato quasi ipnotico e si sfrega continuamente le mani; vorrebbe lavare il sangue dei delitti di cui si è macchiata, sangue che, nonostante le sue mani siano pulite, lei continua a vedere. «Quello che è fatto è fatto» si dice disperata. Ed è posizione realistica; nessuno può far sì che il nostro passato non sia stato quello che è stato. Esso ci inchioda.
A meno che una potenza a noi nascosta ci dimostri che tutto il passato appartiene a un disegno che conduce a un presente in cui trova il suo significato; a meno che il perdono sia in grado di illuminare anche il passato cattivo, fino a poter dire, come fa l’abate di Milosz a Miguel Mañara che continua a pensare ai suoi peccati: «Tutto questo non è mai esistito».
Quanto al futuro, se l’immaginazione - come dicevano i monaci medievali - è sorgente di distrazione e inciampo, l’alternativa non è appiattirsi sull’effimera reazione emotiva dell’istante. Ogni gesto ha delle conseguenze. Scordarselo non è «vivere il presente», ma condannarsi all’insignificanza.
È curioso che la citata ricerca concluda che al primo posto della lista delle “attività” che più ci rendono felici ci sarebbe il sesso, perché lì massimamente succederebbe di «vivere il presente».
Ma si parla di un atto da cui è stata eliminata ogni dimensione di passato - la storia di rapporto affettivo che vi ha condotto - e di futuro - l’apertura alla generazione.
Ma così appiattito nella soddisfazione istantanea si può ancora, descrivendolo, parlare di felicità?
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