Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

lunedì 13 luglio 2015

Che cos'è l’uomo? (Contributi 1003)

Ecco un articolo di Emmanuele Silanos dal sito della Fraternità San Carlo

Uno, nessuno, centomila. Così il genio di Pirandello descriveva quello che stava accadendo all’uomo del suo tempo e profetizzava, anticipava la realtà di oggi: nessuno sembra avere più un’identità precisa, chiara, inequivocabile. Non viene più offerto un criterio oggettivo per conoscere se stessi e gli altri, e ciò che io sono – uomo, donna, bambino – cambia a seconda di chi mi guarda, a seconda del mio sentimento, della percezione che ho io di me stesso e degli altri. Questo getta l’individuo nell’incertezza, nell’impossibilità di conoscersi nel profondo e quindi nella paura, nello sgomento. «Ogni uomo è un abisso e vengono le vertigini a guardarci dentro», dice Jean Reno a Roberto Benigni in La tigre e la neve,prima che il suo personaggio decida di togliersi la vita, incapace di sostenerne la mancanza di senso. La sua disperazione è la conseguenza di un mondo in cui gli uomini, ridotti a meri individui, diventano estranei gli uni agli altri.
Che cosa ci può salvare dalla solitudine e dalla disperazione? Che cosa può ridare unità alla nostra vita? La scoperta di essere non individui ma persone. È questa la rivoluzione portata dal cristianesimo: Gesù ci rivela che il nostro essere a immagine di Dio indica che siamo costitutivamente, originariamente fatti per la comunione. Questo è il significato della parola persona: la scoperta di una comune origine, di un punto oggettivo su cui fondare la nostra relazione con gli altri, il nostro essere assieme. Cristo è venuto tra noi per assicurarci che non siamo soli, che abbiamo un Padre che ci ha pensati, amati, voluti, che la nostra dignità è legata a questa paternità. In questo modo svela il nostro vero nome, la nostra identità.
Nei vangeli ogni volta che Gesù incontra una persona, quella diventa per lui, in quel momento, tutto. Come quando, in mezzo alla folla che stringe lui e i suoi discepoli fino quasi a soffocarli, si volta, accorgendosi di una donna malata che aveva toccato il suo mantello per essere guarita. O quando incontrando Natanaele gli rivela, dopo un solo sguardo, tutta la sua grandezza d’animo, che superava di molto il suo scetticismo e la sua incredulità. O ancora, ogni volta che mostra di conoscere e condividere il dolore umano, come con quella vedova che aveva perso il figlio: «Non piangere». O quando abbraccia tutte le nostre miserie: quelle del giovane troppo attaccato ai suoi beni per abbandonare tutto e seguirlo, della donna samaritana che gli mentiva spudoratamente, o dell’amico che lo stava tradendo mentre lui era disposto a donargli la sua vita e il suo perdono.
Con l’avvento di Cristo, quell’abisso che è il cuore dell’uomo smette di essere qualcosa di ignoto, di inconoscibile, di inaccessibile. Attraverso la Chiesa il suo sguardo ci raggiunge oggi, svela a noi stessi chi siamo e ci strappa dalla nostra solitudine. Ogni giorno siamo di fronte a uomini e donne con gli stessi drammi, gli stessi bisogni, le stesse miserie di quelli che Gesù incontrava. Uomini e donne che hanno bisogno di riscoprire se stessi non come individui condannati alla solitudine, ma come persone chiamate alla comunione: redente dal suo sguardo che dà valore infinito a ogni esistenza, dal suo abbraccio che ci raggiunge e ci salva nella concretezza dei sacramenti, e dalla promessa fatta a uno come noi mentre gli stava dando la vita sulla croce: «Oggi sarai con me in Paradiso».
Noi abbiamo fatto esperienza di quello sguardo, di quell’abbraccio e di quella promessa ed è solo questo che può restituire un’identità e una dignità anche a tutte le persone che incontriamo nelle nostre missioni.

La vocazione per cui ci è data la vita (Contributi 1002)

Ecco un articolo di Don Francesco Ferrari, della Fraternità San Carlo:

Particolare del mosaico della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo (Ravenna),
raffigurante l’incontro di Gesù con i discepoli sulla via di Emmaus. 
La missione è un compito che ci è stato affidato nell'incontro con Cristo. La missione cristiana, infatti, nasce con l’inizio stesso del rapporto tra Gesù e i suoi discepoli.Vi farò pescatori di uomini (Mt 4,19). Queste, per Pietro e gli altri, devono essere sembrate parole un po’ oscure. Poi, condividendo la vita con Gesù, hanno scoperto che lui era interamente definito dalla missione. Lui era il mandato dal Padre. Mandato a Pietro, a Giovanni, a Giacomo…, mandato agli uomini per far conoscere loro la vita vera (cfr. Gv 17,3). Anche i discepoli allora, lentamente, sono entrati in questo compito. Hanno iniziato a sperimentare questa vita vera e a condividere con Gesù il desiderio di comunicarla. Gesù stesso li ha mandati, con il compito di portare nel mondo la vita, cioè la Sua stessa presenza. La missione degli apostoli nasce dal desiderio di Cristo di raggiungere ogni uomo.
Negli Atti degli apostoli, li scopriamo interamente definiti dal compito di annunciare Cristo. Li vediamo liberi nel parlare davanti ai potenti, come Pietro e Giovanni davanti al sommo sacerdote. Le minacce e i flagelli non affievoliscono il loro ardore, tutt'altro: se ne andarono lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù (At 5,41). Non vi è in loro nessun calcolo sugli esiti delle loro azioni, sono mossi solo dall'amore alla verità, come vediamo in Stefano, che parla chiaro, seppur certo della morte imminente. Ogni circostanza è usata per annunciare Cristo, che sia il dialogo con un mendicante o la difesa davanti alle accuse degli anziani, per le strade di Gerusalemme o nelle grandi piazze di Atene, davanti ai giudei o davanti ai pagani.
Nel battesimo, ogni cristiano è unito alla missione di Cristo. È una missione urgente ed esaltante, perché tanti uomini non aspettano altro che Lui. Quest’urgenza è a volte frenata dalla nostra paura, perché ci pensiamo sproporzionati. Oppure a fermarci è la nostra mancanza di passione e allora ci rifugiamo in piccole o grandi giustificazioni (si pensi all’idea secondo cui la missione sarebbe un’imposizione violenta, come se non fosse più violento lasciare gli uomini lontani da Cristo!).
La grande arma di cui disponiamo contro la mancanza di ardore missionario è la memoria. Ritornare all'incontro con Cristo, riscoprire tutta la grazia che Egli ha portato nella nostra vita. Riscoprire che Cristo ci chiama oggi, attraverso la Chiesa e la testimonianza dei nostri fratelli martiri. Il nostro volto è la Sua chiamata. «La missione» ha scritto Giussani, «è la vocazione per cui ci è data la vita».

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Domenica 12/7/2015 (Angelus 255)

Viaggio in Ecuador, Bolivia, Paraguay
Ringrazio l’Arcivescovo di Asunción, Mons. Edmundo Ponziano Valenzuela Mellid, e l’Arcivescovo [ortodosso] del Sudamerica, Tarasios, per le cortesi parole.
Al termine di questa celebrazione rivolgiamo il nostro sguardo fiducioso alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Ella è il dono di Gesù al suo popolo. Ce l’ha data come madre nell'ora della croce e della sofferenza. È frutto dell’oblazione di Cristo per noi. E, da allora, è sempre stata e sempre sarà con i suoi figli, specialmente i più piccoli e bisognosi. Lei è entrata nella trama della storia dei nostri popoli e delle loro genti. Come in molti altri Paesi dell’America Latina, la fede dei paraguaiani è impregnata di amore alla Vergine. Andate con fiducia dalla vostra madre, le aprite il vostro cuore, e le confidate le vostre gioie e i vostri dolori, le vostre speranze e le vostre sofferenze. La Vergine vi consola e con la tenerezza del suo amore accende in voi la speranza. Non cessate di invocare Maria e di confidare in lei, madre di misericordia per tutti i suoi figli senza distinzione.
Alla Vergine, che perseverò con gli Apostoli in attesa dello Spirito Santo (cfr At 1,13-14), chiedo anche che vegli sulla Chiesa e rafforzi i vincoli fraterni tra tutti i suoi membri. Con l’aiuto di Maria, la Chiesa sia casa di tutti, una casa che sappia ospitare, una madre per tutti i popoli.
Cari fratelli, vi chiedo per favore di non dimenticarvi di pregare per me. So molto bene quanto si ama il Papa in Paraguay. Anch’io vi porto nel mio cuore e prego per voi e per il vostro Paese.
Ed ora vi invito a recitare l’Angelus alla Vergine.
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lunedì 6 luglio 2015

Solennità Ss. Pietro e Paolo 29/6/2015 (Angelus 254)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
L’odierna solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo è celebrata, come sapete, dalla Chiesa universale, ma è vissuta con gioia tutta particolare dalla Chiesa di Roma, perché nella loro testimonianza, sigillata col sangue, essa ha le proprie fondamenta. Roma nutre speciale affetto e riconoscenza per questi uomini di Dio, venuti da una terra lontana ad annunciare, a costo della vita, quel Vangelo di Cristo al quale si erano totalmente dedicati. La gloriosa eredità di questi due Apostoli è motivo di spirituale fierezza per Roma e, al tempo stesso, è richiamo a vivere le virtù cristiane, in modo particolare la fede e la carità: la fede in Gesù quale Messia e Figlio di Dio, che Pietro professò per primo e Paolo annunciò alle genti; e la carità, che questa Chiesa è chiamata a servire con orizzonte universale.
Nella preghiera dell’Angelus, al ricordo dei santi Pietro e Paolo associamo anche quello di Maria, immagine vivente della Chiesa, sposa di Cristo, che i due Apostoli «hanno fecondato con il loro sangue» (Antifona d’ingresso della Messa del giorno). Pietro conobbe personalmente Maria e nel colloquio con lei, specialmente nei giorni che precedettero la Pentecoste (cfr At 1,14), poté approfondire la conoscenza del mistero di Cristo. Paolo, nell’annunciare il compimento del disegno salvifico «nella pienezza del tempo», non mancò di ricordare la “donna” da cui il Figlio di Dio era nato nel tempo (cfr Gal 4,4). Nella evangelizzazione dei due Apostoli qui a Roma ci sono anche le radici della profonda e secolare devozione dei romani alla Vergine, invocata specialmente come Salus Populi Romani. Maria, Pietro e Paolo: sono nostri compagni di viaggio nella ricerca di Dio; sono nostre guide nel cammino della fede e della santità; loro ci spingono verso Gesù, per fare tutto ciò che Egli ci chiede. Invochiamo il loro aiuto, affinché il nostro cuore possa sempre essere aperto ai suggerimenti dello Spirito Santo e all’incontro con i fratelli.
Nella celebrazione eucaristica, che si è svolta questa mattina nella Basilica di San Pietro, ho benedetto il Pallio degli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno, provenienti da varie parti del mondo. Rinnovo il mio saluto e il mio augurio a loro, ai familiari e a quanti li accompagnano in questa significativa circostanza, ed auspico che il Pallio, oltre ad accrescere i legami di comunione con la Sede di Pietro, sia di stimolo per un sempre più generoso servizio alle persone affidate al loro zelo pastorale. Nella stessa liturgia ho avuto il piacere di salutare i Membri della Delegazione venuta a Roma a nome del Patriarca Ecumenico, il carissimo fratello Bartolomeo I, per partecipare, come ogni anno, alla festa dei santi Pietro e Paolo. Anche questa presenza è segno dei fraterni legami esistenti tra le nostre Chiese. Preghiamo perché si rafforzi tra di noi il cammino dell’unità.
La nostra preghiera oggi è soprattutto per la città di Roma, per il suo benessere spirituale e materiale: la grazia divina sostenga tutto il popolo romano, perché viva in pienezza la fede cristiana, testimoniata con intrepido ardore dai santi Pietro e Paolo. Interceda per noi la Vergine Santa, Regina degli Apostoli.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
saluto tutti voi, famiglie, parrocchie, associazioni provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo; ma soprattutto oggi saluto i fedeli di Roma, nella festa dei Santi Patroni della Città!
Saluto gli studenti di alcune scuole cattoliche degli Stati Uniti d’America e della Scozia.
Mi congratulo con gli artisti che hanno realizzato una grande e bella infiorata, e ringrazio la “Pro Loco” di Roma per averla promossa. Grazie tante!
Un augurio anche per il tradizionale spettacolo pirotecnico che avrà luogo stasera a Castel Sant’Angelo, il cui ricavato sosterrà una iniziativa caritativa in Terra Santa e nei Paesi del Medio Oriente.
La prossima settimana, dal 5 al 13 luglio, parto per l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Chiedo a tutti voi di accompagnarmi con la preghiera, affinché il Signore benedica questo mio viaggio nel continente dell’America Latina a me tanto caro, come potete immaginare. Esprimo alle care popolazioni dell’Ecuador, della Bolivia, del Paraguay la mia gioia di trovarmi a casa loro, e chiedo a voi, in maniera particolare, di pregare per me e per questo viaggio, affinché la Vergine Maria ci dia la grazia di accompagnarci tutti con la sua materna protezione.
A tutti voi auguro una buona festa. Per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.
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Domenica 28/6/2015 (Angelus 253)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi presenta il racconto della risurrezione di una ragazzina di dodici anni, figlia di uno dei capi della sinagoga, il quale si getta ai piedi di Gesù e lo supplica: «La mia figlioletta sta morendo; vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva» (Mc 5,23). In questa preghiera sentiamo la preoccupazione di ogni padre per la vita e per il bene dei suoi figli. Ma sentiamo anche la grande fede che quell’uomo ha in Gesù. E quando arriva la notizia che la fanciulla è morta, Gesù gli dice: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36). Dà coraggio questa parola di Gesù! E la dice anche a noi, tante volte: “Non temere, soltanto abbi fede!”. Entrato nella casa, il Signore manda via tutta la gente che piange e grida e si rivolge alla bambina morta, dicendo: «Fanciulla, io ti dico: alzati!» (v. 41). E subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare. Qui si vede il potere assoluto di Gesù sulla morte, che per Lui è come un sonno dal quale ci può risvegliare.
All’interno di questo racconto, l’Evangelista inserisce un altro episodio: la guarigione di una donna che da dodici anni soffriva di perdite di sangue. A causa di questa malattia che, secondo la cultura del tempo, la rendeva “impura”, ella doveva evitare ogni contatto umano: poverina, era condannata ad una morte civile. Questa donna anonima, in mezzo alla folla che segue Gesù, dice tra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata» (v. 28). E così avviene: il bisogno di essere liberata la spinge ad osare e la fede “strappa”, per così dire, al Signore la guarigione. Chi crede “tocca” Gesù e attinge da Lui la Grazia che salva. La fede è questo: toccare Gesù e attingere da Lui la grazia che salva. Ci salva, ci salva la vita spirituale, ci salva da tanti problemi. Gesù se ne accorge e, in mezzo alla gente, cerca il volto di quella donna. Lei si fa avanti tremante e Lui le dice: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (v. 34). E’ la voce del Padre celeste che parla in Gesù: “Figlia, non sei maledetta, non sei esclusa, sei mia figlia!”. E ogni volta che Gesù si avvicina a noi, quando noi andiamo da Lui con la fede, sentiamo questo dal Padre: “Figlio, tu sei mio figlio, tu sei mia figlia! Tu sei guarito, tu sei guarita. Io perdono tutti, tutto. Io guarisco tutti e tutto”.
Questi due episodi – una guarigione e una risurrezione – hanno un unico centro: la fede. Il messaggio è chiaro, e si può riassumere in una domanda: crediamo che Gesù ci può guarire e ci può risvegliare dalla morte? Tutto il Vangelo è scritto nella luce di questa fede: Gesù è risorto, ha vinto la morte, e per questa sua vittoria anche noi risorgeremo. Questa fede, che per i primi cristiani era sicura, può appannarsi e farsi incerta, al punto che alcuni confondono risurrezione con reincarnazione. La Parola di Dio di questa domenica ci invita a vivere nella certezza della risurrezione: Gesù è il Signore, Gesù ha potere sul male e sulla morte, e vuole portarci nella casa del Padre, dove regna la vita. E lì ci incontreremo tutti, tutti noi che siamo qui in piazza oggi, ci incontreremo nella casa del Padre, nella vita che Gesù ci darà.
La Risurrezione di Cristo agisce nella storia come principio di rinnovamento e di speranza. Chiunque è disperato e stanco fino alla morte, se si affida a Gesù e al suo amore può ricominciare a vivere. Anche incominciare una nuova vita, cambiare vita è un modo di risorgere, di risuscitare. La fede è una forza di vita, dà pienezza alla nostra umanità; e chi crede in Cristo si deve riconoscere perché promuove la vita in ogni situazione, per far sperimentare a tutti, specialmente ai più deboli, l’amore di Dio che libera e salva.
Chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, il dono di una fede forte e coraggiosa, che ci spinga ad essere diffusori di speranza e di vita tra i nostri fratelli.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini!
Saluto in particolare i partecipanti alla marcia “Una terra, una famiglia umana”. Incoraggio la collaborazione tra persone e associazioni di diverse religioni per la promozione di una ecologia integrale. Ringrazio FOCSIV, OurVoices e gli altri organizzatori e auguro buon lavoro ai giovani di vari Paesi che in questi giorni si confrontano sulla cura della casa comune.
Vedo tante bandiere boliviane! Saludo cordialmente al grupo de bolivianos residentes en Italia, que han traído hasta aquí algunas de las imágenes de la Virgen más representativas de su país. La Virgen de Urcupiña, la Virgen de Copacabana, y tantas otras. La semana que ven estaré en vuestra Patria! Que nuestra Madre del cielo los proteja. Un saludo también para el grupo de jóvenes de Ibiza que se preparan para recibir la Confirmación. Se lo ruego, recen por mí.
Saluto le Guide, cioè le donne-scout. Sono tanto brave queste donne, tanto brave, e fanno tanto bene! Sono le donne scout che appartengono alla Conferenza Internazionale Cattolica e rinnovo loro il mio incoraggiamento. Merci beaucoup à vous!
Saluto i fedeli di Novoli, la corale polifonica di Augusta, i ragazzi di alcune parrocchie della diocesi di Padova che hanno ricevuto la Cresima; i “Nonni di Sydney”, associazione di anziani emigrati in Australia qui convenuti con i loro nipoti; i bambini di Chernobyl e le famiglie di Este e di Ospedaletto che li ospitano; i ciclisti e i motociclisti provenienti da Cardito e gli amatori di auto storiche.
Auguro a tutti una buona domenica e un buon pranzo. Per favore, non dimenticate di pregate per me. Arrivederci!
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Domenica 21/6/2015 (Angelus 252)

da TORINO
Al termine di questa celebrazione, il nostro pensiero va alla Vergine Maria, madre amorosa e premurosa verso tutti i suoi figli, che Gesù le ha affidato dalla croce, mentre offriva Sé stesso nel gesto di amore più grande. Icona di questo amore è la Sindone, che anche questa volta ha attirato tanta gente qui a Torino. La Sindone attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù e, nello stesso tempo, spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguitata. Ci spinge nella stessa direzione del dono di amore di Gesù. “L’amore di Cristo ci spinge”: questa parola di san Paolo era il motto di san Giuseppe Benedetto Cottolengo.
Richiamando l’ardore apostolico dei tanti sacerdoti santi di questa terra, a partire da Don Bosco, di cui ricordiamo il bicentenario della nascita, saluto con gratitudine voi, sacerdoti e religiosi. Voi vi dedicate con impegno al lavoro pastorale e siete vicini alla gente e ai suoi problemi. Vi incoraggio a portare avanti con gioia il vostro ministero, puntando sempre su ciò che è essenziale nell’annuncio del Vangelo. E mentre ringrazio voi, fratelli Vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta, per la vostra presenza, vi esorto a stare accanto ai vostri preti con affetto paterno e calorosa vicinanza.
Alla Vergine Santa affido questa città e il suo territorio e coloro che vi abitano, perché possano vivere nella giustizia, nella pace e nella fraternità. In particolare affido le famiglie, i giovani, gli anziani, i carcerati e tutti i sofferenti, con un pensiero speciale per i malati di leucemia nell'odierna Giornata Nazionale contro leucemie, linfomi e mieloma. Maria Consolata, regina di Torino e del Piemonte, renda salda la vostra fede, sicura la vostra speranza e feconda la vostra carità, per essere “sale e luce” di questa terra benedetta, della quale io sono nipote.
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Domenica 14/6/2015 (Angelus 251)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi è formato da due parabole molto brevi: quella del seme che germoglia e cresce da solo, e quella del granello di senape (cfr Mc 4,26–34). Attraverso queste immagini tratte dal mondo rurale, Gesù presenta l’efficacia della Parola di Dio e le esigenze del suo Regno, mostrando le ragioni della nostra speranza e del nostro impegno nella storia.
Nella prima parabola l’attenzione è posta sul fatto che il seme, gettato nella terra, attecchisce e si sviluppa da solo, sia che il contadino dorma sia che vegli. Egli è fiducioso nella potenza interna al seme stesso e nella fertilità del terreno. Nel linguaggio evangelico, il seme è simbolo della Parola di Dio, la cui fecondità è richiamata da questa parabola. Come l’umile seme si sviluppa nella terra, così la Parola opera con la potenza di Dio nel cuore di chi la ascolta. Dio ha affidato la sua Parola alla nostra terra, cioè a ciascuno di noi con la nostra concreta umanità. Possiamo essere fiduciosi, perché la Parola di Dio è parola creatrice, destinata a diventare «il chicco pieno nella spiga» (v. 28). Questa Parola, se viene accolta, porta certamente i suoi frutti, perché Dio stesso la fa germogliare e maturare attraverso vie che non sempre possiamo verificare e in un modo che noi non sappiamo (cfr v. 27). Tutto ciò ci fa capire che è sempre Dio, è sempre Dio a far crescere il suo Regno - per questo preghiamo tanto che “venga il tuo Regno” - è Lui che lo fa crescere, l’uomo è suo umile collaboratore, che contempla e gioisce dell’azione creatrice divina e ne attende con pazienza i frutti.
La Parola di Dio fa crescere, dà vita. E qui vorrei ricordarvi un’altra volta l’importanza di avere il Vangelo, la Bibbia, a portata di mano - il Vangelo piccolo nella borsa, in tasca - e di nutrirci ogni giorno con questa Parola viva di Dio: leggere ogni giorno un brano del Vangelo, un brano della Bibbia. Non dimenticare mai questo, per favore. Perché questa è la forza che fa germogliare in noi la vita del Regno di Dio.
La seconda parabola utilizza l’immagine del granello di senape. Pur essendo il più piccolo di tutti i semi, è pieno di vita e cresce fino a diventare «più grande di tutte le piante dell’orto» (Mc 4,32). E così è il Regno di Dio: una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante. Per entrare a farne parte bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle proprie capacità, ma nella potenza dell’amore di Dio; non agire per essere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che predilige i semplici e gli umili. Quando viviamo così, attraverso di noi irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è piccolo e modesto in una realtà che fa fermentare l’intera massa del mondo e della storia.
Da queste due parabole ci viene un insegnamento importante: il Regno di Dio richiede la nostra collaborazione, ma è soprattutto iniziativa e dono del Signore. La nostra debole opera, apparentemente piccola di fronte alla complessità dei problemi del mondo, se inserita in quella di Dio non ha paura delle difficoltà. La vittoria del Signore è sicura: il suo amore farà spuntare e farà crescere ogni seme di bene presente sulla terra. Questo ci apre alla fiducia e alla speranza, nonostante i drammi, le ingiustizie, le sofferenze che incontriamo. Il seme del bene e della pace germoglia e si sviluppa, perché lo fa maturare l’amore misericordioso di Dio.
La Vergine Santa, che ha accolto come «terra feconda» il seme della divina Parola, ci sostenga in questa speranza che non ci delude mai.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
oggi ricorre la Giornata Mondiale dei Donatori di Sangue, milioni di persone che contribuiscono, in modo silenzioso, ad aiutare i fratelli in difficoltà. A tutti i donatori esprimo apprezzamento e invito specialmente i giovani a seguire il loro esempio.
Saluto tutti voi, cari romani e pellegrini: gruppi parrocchiali, famiglie, associazioni. In particolare saluto i fedeli venuti da Debrecen (Ungheria), da Malta, da Houston (Stati Uniti) e da Panamá; e dall’Italia i fedeli di Altamura, Angri, Treviso e Osimo.
Un pensiero speciale alla comunità dei romeni cattolici che vivono a Roma e ai ragazzi della Cresima di Cerea.
Saluto il gruppo che ricorda tutte le persone scomparse e assicuro la mia preghiera. Come pure sono vicino a tutti i lavoratori che difendono in modo solidale il diritto al lavoro, che è un diritto alla dignità!
Come è stato annunciato, giovedì prossimo sarà pubblicata una Lettera Enciclica sulla cura del creato. Invito ad accompagnare questo avvenimento con una rinnovata attenzione alle situazioni di degrado ambientale, ma anche di recupero, nei propri territori. Questa Enciclica è rivolta a tutti: preghiamo perché tutti possano ricevere il suo messaggio e crescere nella responsabilità verso la casa comune che Dio ci ha affidato a tutti.
A tutti voi auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
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giovedì 11 giugno 2015

Corpus Domini 7/6/2015 (Angelus 250)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Si celebra oggi in molti Paesi, tra i quali l’Italia, la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, o, secondo la più nota espressione latina, la solennità del Corpus Domini.
Il Vangelo presenta il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, compiuta da Gesù durante l’Ultima Cena, nel cenacolo di Gerusalemme. La vigilia della sua morte redentrice sulla croce, Egli ha realizzato ciò che aveva predetto: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo…Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6,51.56). Gesù prende tra le mani il pane e dice «Prendete, questo è il mio corpo» (Mc 14,22). Con questo gesto e con queste parole, Egli assegna al pane una funzione che non è più quella di semplice nutrimento fisico, ma quella di rendere presente la sua Persona in mezzo alla comunità dei credenti.
L’Ultima Cena rappresenta il punto di arrivo di tutta la vita di Cristo. Non è soltanto anticipazione del suo sacrificio che si compirà sulla croce, ma anche sintesi di un’esistenza offerta per la salvezza dell’intera umanità. Pertanto, non basta affermare che nell’Eucaristia è presente Gesù, ma occorre vedere in essa la presenza di una vita donata e prendervi parte. Quando prendiamo e mangiamo quel Pane, noi veniamo associati alla vita di Gesù, entriamo in comunione con Lui, ci impegniamo a realizzare la comunione tra di noi, a trasformare la nostra vita in dono, soprattutto ai più poveri.
L’odierna festa evoca questo messaggio solidale e ci spinge ad accoglierne l’intimo invito alla conversione e al servizio, all’amore e al perdono. Ci stimola a diventare, con la vita, imitatori di ciò che celebriamo nella liturgia. Il Cristo, che ci nutre sotto le specie consacrate del pane e del vino, è lo stesso che ci viene incontro negli avvenimenti quotidiani; è nel povero che tende la mano, è nel sofferente che implora aiuto, è nel fratello che domanda la nostra disponibilità e aspetta la nostra accoglienza. È nel bambino che non sa niente di Gesù, della salvezza, che non ha la fede. È in ogni essere umano, anche il più piccolo e indifeso.
L’Eucaristia, sorgente di amore per la vita della Chiesa, è scuola di carità e di solidarietà. Chi si nutre del Pane di Cristo non può restare indifferente dinanzi a quanti non hanno pane quotidiano. E oggi, sappiamo, è un problema sempre più grave.
La festa del Corpus Domini ispiri ed alimenti sempre più in ciascuno di noi il desiderio e l’impegno per una società accogliente e solidale. Deponiamo questi auspici nel cuore della Vergine Maria, Donna eucaristica. Ella susciti in tutti la gioia di partecipare alla Santa Messa, specialmente nel giorno di domenica, e il coraggio gioioso di testimoniare l’infinita carità di Cristo.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
leggo lì: Bentornato! Grazie, perché ieri mi sono recato a Sarajevo, in Bosnia ed Erzegovina, come pellegrino di pace e di speranza. Sarajevo è una città-simbolo. Per secoli è stata luogo di convivenza tra popoli e religioni, tanto da essere chiamata “Gerusalemme d’occidente”. Nel recente passato è diventata simbolo delle distruzioni della guerra. Adesso è in corso un bel processo di riconciliazione, e soprattutto per questo sono andato: per incoraggiare questo cammino di convivenza pacifica tra popolazioni diverse; un cammino faticoso, difficile, ma possibile! E lo stanno facendo bene. Rinnovo la mia riconoscenza alle Autorità e all’intera cittadinanza per l’accoglienza calorosa. Ringrazio la cara comunità cattolica, alla quale ho voluto portare l’affetto della Chiesa universale e ringrazio in particolare anche tutti i fedeli: ortodossi, mussulmani, ebrei e quelli di altre minoranze religiose. Ho apprezzato l’impegno di collaborazione e di solidarietà tra queste persone che appartengono a religioni diverse, spronando tutti a portare avanti l’opera di ricostruzione spirituale e morale della società. Lavorano insieme come veri fratelli. Il Signore benedica Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina.
Venerdì prossimo nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù pensiamo all’amore  di Gesù, a come ci ha amato; nel suo cuore è tutto questo amore. Venerdì prossimo si celebra anche la Giornata Mondiale contro il lavoro minorile. Tanti bambini nel mondo non hanno la libertà di giocare, di andare a scuola, e finiscono per essere sfruttati come manodopera. Auspico l’impegno sollecito e costante della Comunità internazionale per la promozione del riconoscimento fattivo dei diritti dell’infanzia.
E ora saluto tutti voi, cari pellegrini provenienti dall’Italia e da diversi Paesi. Vedo bandiere di diversi Paesi. In particolare saluto i fedeli di Madrid, Brasilia e Curitiba; e quelli di Chiavari, Catania e Gottolengo (Brescia). A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
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venerdì 5 giugno 2015

Dedicato a quei cattolici che disertano (Contributi 1001)

Dedico l'inizio del "secondo millennio" di post a quest'articolo di Antonio Socci (che cui confesso ultimamente non condivido le argomentazioni) che sottoscrivo in toto. Possano le nostre coscienze risvegliarsi e il nostro amore a Cristo maturare...
Ecco nel mio blog (www.antoniosocci.com) la foto indimenticabile dello studente cinese che, col suo stesso corpo, per qualche minuto riuscì a fermare i carri armati che andavano a schiacciare nel sangue la grande manifestazione per la libertà a Piazza Tien an men, nel giugno 1989, a Pechino (e quelle riportate sull'immagine sono le sue parole).

...la verità è più importante del pane...
Noi ci siamo dimenticati l’oceano di vittime fatto dal comunismo. Ma soprattutto ci siamo dimenticati che la verità è la nostra dignità di esseri umani. La Verità è più importante del pane e – come ci mostrano i martiri cristiani – è perfino più importante della vita stessa.
Noi, sotto i baffi, magari senza nemmeno rendercene conto, ci facciamo beffe dei martiri (che fanatici!). A parole talora li omaggiamo, ma dentro di noi c’è il nostro risolino di scherno quando diciamo che rifiutiamo “lo scontro”, “la battaglia”, “le crociate” ec ec… e assumiamo l’espressione dei saggi (come se costoro avessero cercato le persecuzioni).
La verità è che noi non siamo disposti a rischiare niente per Colui che ha dato la vita per noi e per il bene dell’umanità…
A noi basta stare comodi, a pancia piena, rinchiusi nelle nostre sacrestie mentali, senza esporci, per carità, senza scomodare il Potere… E crediamo perfino di essere cristiani e di poter impartire lezioni…

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martedì 2 giugno 2015

Santissima Trinità 31/5/2015 (Angelus 249)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona domenica!
Oggi celebriamo la festa della Santissima Trinità, che ci ricorda il mistero dell’unico Dio in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La Trinità è comunione di Persone divine le quali sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra: questa comunione è la vita di Dio, il mistero d’amore del Dio Vivente. E Gesù ci ha rivelato questo mistero. Lui ci ha parlato di Dio come Padre; ci ha parlato dello Spirito; e ci ha parlato di Sé stesso come Figlio di Dio. E così ci ha rivelato questo mistero. E quando, risorto, ha inviato i discepoli ad evangelizzare le genti, disse loro di battezzarle «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt28,19). Questo comando, Cristo lo affida in ogni tempo alla Chiesa, che ha ereditato dagli Apostoli il mandato missionario. Lo rivolge anche a ciascuno di noi che, in forza del Battesimo, facciamo parte della sua Comunità.
Dunque, la solennità liturgica di oggi, mentre ci fa contemplare il mistero stupendo da cui proveniamo e verso il quale andiamo, ci rinnova la missione di vivere la comunione con Dio e vivere la comunione tra noi sul modello della comunione divina. Siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri. Questo significa accogliere e testimoniare concordi la bellezza del Vangelo; vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei Pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell’amore di Dio che abita in noi.
La Trinità, come accennavo, è anche il fine ultimo verso cui è orientato il nostro pellegrinaggio terreno. Il cammino della vita cristiana è infatti un cammino essenzialmente “trinitario”: lo Spirito Santo ci guida alla piena conoscenza degli insegnamenti di Cristo, e ci ricorda anche quello che Gesù ci ha insegnato; e Gesù, a sua volta, è venuto nel mondo per farci conoscere il Padre, per guidarci a Lui, per riconciliarci con Lui. Tutto, nella vita cristiana, ruota attorno al mistero trinitario e viene compiuto in ordine a questo infinito mistero. Cerchiamo, pertanto, di tenere sempre alto il “tono” della nostra vita, ricordandoci per quale fineper quale gloria noi esistiamo, lavoriamo, lottiamo, soffriamo; e a quale immenso premio siamo chiamati. Questo mistero abbraccia tutta la nostra vita e tutto il nostre essere cristiano. Ce lo ricordiamo, ad esempio, ogni volta che facciamo il segno della croce: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E adesso vi invito a fare tutti insieme, e con voce forte, questo segno della croce: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!”
In questo ultimo giorno del mese di maggio, il mese mariano, ci affidiamo alla Vergine Maria. Lei, che più di ogni altra creatura ha conosciuto, adorato, amato il mistero della Santissima Trinità, ci guidi per mano; ci aiuti a cogliere negli eventi del mondo i segni della presenza di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo; ci ottenga di amare il Signore Gesù con tutto il cuore, per camminare verso la visione della Trinità, traguardo meraviglioso a cui tende la nostra vita. Le chiediamo anche di aiutare la Chiesa ad essere mistero di comunione e comunità ospitale, dove ogni persona, specialmente povera ed emarginata, possa trovare accoglienza e sentirsi figlia da Dio, voluta e amata.

Dopo l'Angelus:
Oggi a Bayonne, in Francia, viene proclamato Beato il sacerdote Louis-Edouard Cestac, fondatore delle Suore Serve di Maria; la sua testimonianza di amore a Dio e al prossimo è per la Chiesa un nuovo stimolo a vivere con gioia il Vangelo della carità.
Saluto tutti voi, cari romani e pellegrini: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni, le scuole. In particolare, saluto i fedeli di La Valletta (Malta), Cáceres (Spagna) Michoacán (Messico); quelli provenienti da Caltanissetta, Soave, Como, Malonno e Persico Dosimo; il gruppo di Bovino, con i “Cavalieri di Valleverde”. Saluto i ragazzi che hanno ricevuto o si preparano a ricevere la Cresima, incoraggiandoli ad essere gioiosi testimoni di Gesù.
Al termine del mese di maggio, mi unisco spiritualmente alle tante espressioni di devozione a Maria Santissima; in particolare menziono il grande pellegrinaggio degli uomini al Santuario di Piekary, in Polonia, che ha per tema: “La famiglia: casa accogliente”. Ci sono tanti polacchi in Piazza oggi: fatevi vedere! La Madonna aiuti ogni famiglia ad essere “casa accogliente”.
Giovedì prossimo a Roma vivremo la tradizionale processione del Corpus Domini. Alle 19 in Piazza San Giovanni in Laterano celebrerò la Santa Messa, e quindi adoreremo il Santissimo Sacramento camminando fino alla piazza di Santa Maria Maggiore. Vi invito fin d’ora a partecipare a questo solenne atto pubblico di fede e di amore a Gesù Eucaristia, presente in mezzo al suo popolo. Prima di finire, facciamo ancora una volta il segno della croce, a voce alta, tutti! “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, ricordando il mistero della Santa Trinità.
A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.
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La sofferenza unisce cielo e terra (Contributi 1000)

Una bella testimonianza di Gerard McCarthy datata 27 maggio 2015 dal sito della Fraternità Sacerdotale San Carlo


Alcune settimane fa, ad un matrimonio, una bambina molto vivace mi prende per mano e mi dice: «Hai una bella pancia, don Gerry!». La mamma stava già pensando a come scusarsi ma la bimba, tenendomi la mano, continua: «Perché tremi?». Le rispondo: «Perché non sto tanto bene». «Perché?». «Perché Gesù vuole così». E lei: «Allora va bene».
Allora va bene. Questa è la verità: accettare la malattia diventa una liberazione, e la scelta è nostra. La prima volta che mi è stato diagnosticato un tumore maligno è stata una cosa strana. Avevo appena visto Giovanni Paolo II. Con lui c’era un’amicizia. Ogni volta che lo incontravo, mi chiamava per nome: «Don Gerry!». Si ricordava sempre di me. Quella volta era venuto in parrocchia ed era molto sofferente a causa del Parkinson. Era davvero giù e sembrava che non potesse respirare. Durante l’incontro ho pensato: «Come potrei essere vicino al Papa?». Mi si spezzava il cuore a vederlo così e mi sono detto che l’unico modo era quello di mandargli il mio angelo custode perché lo aiutasse. Ho detto, dentro di me, al mio angelo: «Ti mando da Sua Santità. Aiutalo, dagli un bacio e fallo stare bene». Finito l’incontro, siamo passati a baciargli la mano, e quando sono arrivato io si è alzato, mi ha messo la mano destra sulla testa e mi ha detto: «Eccoti!». Poi mi ha fatto un segno di croce. Ero davvero commosso.
L’aiuto più grande
Dopo pochi giorni vado a fare una visita medica perché stavo ingrassando troppo. Sapevo che certamente il problema era, come dicono i romani, che mi piace magnà. Però era veramente troppo. In ospedale mi hanno detto: «Facciamo un esame e vediamo cos’è». Quando sono tornato per ritirare l’esito, mi hanno dato un foglio: «Portalo al tuo medico». Al semaforo, come avrebbero fatto tutti, l’ho aperto: «Carcinoma maligno. Da operare subito». Quando il dottore l’ha visto si è alzato, mi ha abbracciato e mi ha detto: «Ma tu sei forte, e ce la fai». In quel momento sono entrato un po’ in crisi.
La cosa più difficile della malattia non è accettarla, ma è dirlo alle persone che ami, perché sai che il tuo male farà soffrire anche loro. Per questo, l’aiuto più grande che possiamo offrire ad una persona cara, nel momento in cui si ammala, è farle capire che la sofferenza ha la stessa origine dell’amore: soffriamo per quella persona perché la amiamo, come lei soffre perché ci ama. Non dobbiamo mai perdere di vista questa grande positività.
Il giorno della Domenica delle Palme, ho detto a tutta la mia parrocchia durante la messa: «Ho un tumore maligno, ma per favore non crediate mai, mai, che Dio punisce. Dio non punisce attraverso la malattia. Non è una punizione, è una benedizione». Volevo che tutti vivessero con me questo momento. All’uscita, un ragazzo giovane mi è venuto incontro e mi ha detto: «Anch’io ho un tumore e pensavo che Dio mi odiasse. Oggi ho capito che mi vuole bene».
Un’offerta che porta frutto
Dopo l’operazione sono tornato dai dottori e mi hanno detto che dovevo fare le radiazioni, in una stanza chiusa, perché non potevo stare vicino alle persone. Sono entrati coperti, hanno aperto una scatola con il segno delle radiazioni sopra e mi hanno detto di prendere in mano la pasticca e mandarla giù. Era una cosa enorme e io ho chiesto: «Posso masticarla?». «Assolutamente no!». Guardando la scatola, ho detto: «Io ho paura, io ho paura». Non ho mai avuto problemi a dire che ho paura. Quando uno dice che ha paura lo dice a qualcuno e facendo così dà la possibilità a Dio di entrare nella sua vita. Se Gesù nel Getsemani lo ha detto, perché noi non possiamo dirlo? In quel momento mi è venuta un’intuizione e ho pensato: «Questa non è la medicina, questo è l’amore di Dio per me. Accetto questo Tuo amore». Sono rimasto lì per più di sette giorni, ho vissuto tutto con tranquillità, pur avendo tante domande: «Peggiorerò? Morirò? Che cosa dovrò fare?».
Tornato in parrocchia, incontro di nuovo quel ragazzo che mi aveva parlato. Mi dice: «Don Gerry, sono peggiorato, non mi lasciare solo». Da quel giorno, quando aveva momenti di panico io partivo di notte, a qualsiasi ora: avevo detto ai suoi genitori di chiamarmi. Non devi mai trattare una persona malata come se fosse vittima di una maledizione, come una cosa difficile: devi amarla. La persona non è la malattia, la persona è sempre la stessa persona, c’è qualcosa di diverso e avrà bisogno di qualcosa di diverso. Quando andavo da lui e mi diceva di avere paura, io gli rispondevo: «Ci sono io, e se ci sono io c’è Gesù. Non avere paura, ti tengo per mano». Lo tenevo per mano, e ho fatto il cammino con lui, tutte le ore, tutti i giorni, finché ci ha lasciato. Aveva ventidue anni. Io sono crollato perché non sono solo un prete, sono un uomo, un uomo di Dio – questo vuol dire essere prete. Suo padre, che non era credente, mi ha detto: «Vedo che sei un uomo. Hai voluto bene a mio figlio». E io: «Tuo figlio è stato un dono di Dio per la mia vita e per quella di tante altre persone». Dopo quel fatto, il gruppo giovanile in parrocchia ha iniziato a guardare alla malattia con una nuova positività. Era l’anno 2001.
Una nuova prova
Gli anni passano, finché arriva il giorno in cui scopro di avere il morbo di Parkinson. Durante la messa la mano tremava, ballava troppo, poi avevo dei momenti in cui pensavo ad una parola e stavo per dirla, ma passava un certo tempo prima di poter fare il collegamento con il cervello. Sono andato dal dottore, che mi ha sottoposto ad una Tac e ad altri esami, fino alla diagnosi del morbo.
Quasi due anni fa, ho cominciato a camminare con difficoltà. Allora ho avuto una crisi fortissima. Sono andato dal mio superiore, don Massimo Camisasca, e gli ho detto: «Ormai per il Parkinson non riesco quasi più a camminare, non riesco a ragionare bene, ho bisogno di un aiuto».
Mi ha commosso in quel momento che don Massimo mi ha preso la mano, l’ha baciata e mi ha detto: «Gerry, in questo momento la tua sofferenza collega il cielo con la terra: soffri per tanti tuoi fratelli, offri tutto». Poi ha chiamato un medico che poteva aiutarmi e ha aggiunto: «Vai a Milano, al Niguarda, ti curiamo là per un periodo».
La prima sera in ospedale è stata tremenda, ho cominciato a piangere pensando che non ce l’avrei fatta a so-stenere questa nuova prova. Percorrendo il corridoio della Fondazione Moscati, dove ero ospite, sulla parete ho visto un quadro con la foto di don Giussani in ginocchio davanti a san Giovanni Paolo II. Davanti a loro ho pregato: «Don Giussani, tu hai avuto il Parkinson; papa Giovanni Paolo II, tu hai avuto il Parkinson; io ho il Parkinson: non chiedo di guarirmi, ma fatemi vivere come voi avete vissuto la malattia». Guardando a loro, mi sono sentito in pace e ho capito che il Signore mi è sempre vicino, sta facendo Lui il cammino.
Non mi abbandona mai
A Milano dovevo prendere la metropolitana, la linea gial­la dalla clinica Moscati fino a Niguarda, dovevo andare da solo e non camminavo bene, sembravo ubriaco e avevo tanta paura. Ho detto: «Signore, non farmi mai stare solo. Io credo che tu sia sempre vicino». E Lui mi ha risposto. Durante tutto l’anno che ho trascorso a Milano, ogni giorno, quando andavo a prendere la metropolitana, incontravo sempre qualcuno che mi conosceva. Una mattina una signora mi ha chiesto dove si trovava la stazione e io le stavo dando indicazioni, quando sento: «Don Gerry! Io sono stato tuo studente in Irlanda venti anni fa. Cosa fai qui?». Ecco, tutti incontri di questo genere. Un giorno non ho incontrato nessuno, ma c’era un posto libero vicino a me. Entra una mamma con un bambino il quale subito corre a sedersi vicino a me. Mi guarda e mi fa un sorriso. Per fede, ho detto: «Questo è Dio».
Io credo fermamente, infatti, che Dio è presente in tutto: Cristo è venuto a salvarci, a farci compagnia. Se non crediamo alla sua presenza nelle cose piccole della vita, allora non crediamo più in niente. Sono arrivato a dire e a credere che non sia don Gerry ad avere il Parkinson; Gesù ha il Parkinson e lo porta nel mio corpo. La malattia non è mai una condanna, ma è l’inizio di una novità. Ho pianto tanto, ho avuto momenti di grande desolazione. Se a un certo punto, però, non ti sei spogliato di tutto, non puoi riconoscere che tutto quello che hai è dato dal Signore. Quando sei ammalato e non ti alzi più, qualunque gesto semplice tu voglia fare, deve compierlo un altro per te. Allora capisci che cosa significhi quel «Io sono Tu che mi fai» che ci ha insegnato don Giussani. Quel “Tu” è la persona che nel cammino ti è vicina e ti fa andare avanti.
Il segreto della grazia è che Cristo stesso soffre in noi perché è venuto a redimere il mondo. Questa è la storia della nostra vita ed io come sacerdote lo comprendo ancora di più quando alzo il Santissimo, guardo Gesù che ha sofferto e capisco che tutto ciò che sto portando è pochissimo rispetto a quanto Lui mi ha dato.
Dio parla con i silenzi, con le parole e con i fatti. A volte, il silenzio è più efficace. Nel film Francesco di Liliana Cavani, verso la fine, il poverello di Assisi entra in una crisi profonda e grida: «Chi sono io? Chi sei Tu?». Nella malattia facciamo lo stesso cammino: chi sono io? Chi sei Tu, Cristo? Imparo che io sono più della malattia, più del mio corpo, e riconosco Colui che viene, l’Amore, Colui che mi ama, che mi crea in ogni momento. Colui che mi crea nell'Infinito.


lunedì 25 maggio 2015

Pentecoste 24/5/2015 (Angelus 248)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
La festa della Pentecoste ci fa rivivere gli inizi della Chiesa. Il libro degli Atti degli Apostoli narra che, cinquanta giorni dopo la Pasqua, nella casa dove si trovavano i discepoli di Gesù, «venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso …e tutti furono colmati di Spirito Santo» (2,1-2). Da questa effusione i discepoli vengono completamente trasformati: alla paura subentra il coraggio, la chiusura cede il posto all’annuncio e ogni dubbio viene scacciato dalla fede piena d’amore. E’ il “battesimo” della Chiesa, che iniziava così il suo cammino nella storia, guidata dalla forza dello Spirito Santo.
Quell’evento, che cambia il cuore e la vita degli Apostoli e degli altri discepoli, si ripercuote subito al di fuori del Cenacolo. Infatti, quella porta tenuta chiusa per cinquanta giorni finalmente viene spalancata e la prima Comunità cristiana, non più ripiegata su sé stessa, inizia a parlare alle folle di diversa provenienza delle grandi cose che Dio ha fatto (cfr v. 11), cioè della Risurrezione di Gesù, che era stato crocifisso. E ognuno dei presenti sente parlare i discepoli nella propria lingua. Il dono dello Spirito ristabilisce l’armonia delle lingue che era andata perduta a Babele e prefigura la dimensione universale della missione degli Apostoli. La Chiesa non nasce isolata, nasce universale, una, cattolica, con una identità precisa ma aperta a tutti, non chiusa, un’identità che abbraccia il mondo intero, senza escludere nessuno. A nessuno la madre Chiesa chiude la porta in faccia, a nessuno! Neppure al più peccatore, a nessuno! E questo per la forza, per la grazia dello Spirito Santo. La madre Chiesa apre, spalanca le sue porte a tutti perché è madre.
Lo Spirito Santo effuso a Pentecoste nel cuore dei discepoli è l’inizio di una nuova stagione: la stagione della testimonianza e della fraternità. È una stagione che viene dall’alto, viene da Dio, come le fiamme di fuoco che si posarono sul capo di ogni discepolo. Era la fiamma dell’amore che brucia ogni asprezza; era la lingua del Vangelo che varca i confini posti dagli uomini e tocca i cuori della moltitudine, senza distinzione di lingua, razza o nazionalità. Come quel giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo è effuso continuamente anche oggi sulla Chiesa e su ciascuno di noi perché usciamo dalle nostre mediocrità e dalle nostre chiusure e comunichiamo al mondo intero l’amore misericordioso del Signore. Comunicare l’amore misericordioso del Signore: questa è la nostra missione! Anche a noi sono dati in dono la “lingua” del Vangelo e il “fuoco” dello Spirito Santo, perché mentre annunciamo Gesù risorto, vivo e presente in mezzo a noi, scaldiamo il nostro cuore e anche il cuore dei popoli avvicinandoli a Lui, via, verità e vita.
Ci affidiamo alla materna intercessione di Maria Santissima, che era presente come Madre in mezzo ai discepoli nel Cenacolo: è la madre della Chiesa, la madre di Gesù diventata madre della Chiesa. Ci affidiamo a Lei affinché lo Spirito Santo scenda in abbondanza sulla Chiesa del nostro tempo, riempia i cuori di tutti i fedeli e accenda in essi il fuoco del suo amore.

Dopo il Regina Coeli:
Cari fratelli e sorelle,
continuo a seguire con viva preoccupazione e dolore nel cuore le vicende dei numerosi profughi nel Golfo del Bengala e nel mare di Andamane. Esprimo apprezzamento per gli sforzi compiuti da quei Paesi che hanno dato la loro disponibilità ad accogliere queste persone che stanno affrontando gravi sofferenze e pericoli. Incoraggio la Comunità internazionale a fornire loro l’assistenza umanitaria.
Cento anni fa come oggi l’Italia è entrata nella Grande Guerra, quella “strage inutile”: preghiamo per le vittime, chiedendo allo Spirito Santo il dono della pace.
Ieri, nel Salvador e in Kenia, sono stati proclamati Beati un Vescovo e una Suora. Il primo è Mons. Oscar Romero, Arcivescovo di San Salvador, ucciso in odio alla fede mentre stava celebrando l’Eucaristia. Questo zelante pastore, sull’esempio di Gesù, ha scelto di essere in mezzo al suo popolo, specialmente ai poveri e agli oppressi, anche a costo della vita. La Suora è suor Irene Stefani, italiana, delle Missionarie della Consolata, che ha servito la popolazione keniota con gioia, misericordia e tenera compassione. L’esempio eroico di questi Beati susciti in ciascuno di noi il vivo desiderio di testimoniare il Vangelo con coraggio e abnegazione.
Saluto tutti voi, cari romani e pellegrini: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni. In particolare, i fedeli provenienti dalla Bretagna, da Barcellona, e da Freiburg, e il coro dei ragazzi di Herxheim. Saluto la comunità Dominicana di Roma, i fedeli di Cervaro (Frosinone), i militari dell’Aeronautica di stanza a Napoli, la Sacra Corale Jonica e i cresimandi di Pievidizzio (Brescia).
Oggi, nel giorno della festa di Maria Ausiliatrice, saluto la comunità salesiana: che il Signore gli dia la forza per portare avanti lo Spirito di San Giovanni Bosco.
E a tutti voi auguro una buona domenica di Pentecoste. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.
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Lettera di P. Aldo Trento 20.05.2015 (Interventi 209)

Cari amici se non guardiamo a Cristo come potremmo dire che la vita e´bella?
La foto che vi mando e´di uno dei miei bambini. Era il giorno del mio compleanno e stavo celebrando la messa. Arrivati all'offertorio due bambini portano all'altare il pane e il vino e una educatrice mi porta il piccolo Cesare di due anni ammalato. Lo metto sull'altare dove sto celebrando il sacrificio eucaristico e lo offro al Padre con il pane e il vino. In quel momento sentivo vibrare in me il sacrificio di Gesù. Offrivo Cesare al Padre che lo invio al mondo come suo figlio Gesù per redimerci dei nostri peccati. 
In questi giorni Cesare e´tornato al Padre. Il suo sacrificio in espiazione dei miei e tuoi peccati si è compiuto, quel volto cosi tenero d´improvviso si è fatto freddo quei due occhi bellissimi si sono spenti. La sua povera mamma: "Ero tutto quello che avevo...". 
Perche? Una domanda dura come il granito alla quale ognuno deve rispondere e non girare pagina continuando a vivere borghesemente la nostra vita. Cesare se ne è andato e dietro di Lui ci sono ancora tre bambini che aspettano.
E´un grande dolore e vi giuro che non avessi incontrato Gesù non permetterei a nessuno dire che la vita è bella.
Ogni giorno sono immerso nel dolore.
Oggi abbiamo portato urgentemente in ospedale Gustavo, nove anni solo, ammalato di leucemia e di Aids. E' venuto al mondo con questi due terribili regali.
Perche  "Se non fossi tuo O Gesù sarei una creatura finita". 
Pregate per me perché la croce pesa e i miei occhi hanno bisogno di stare sempre fissi in Gesù Crucifisso e Risorto.
Vi affido i miei bambini spesso vittime dei peggiori abusi.
La nostra preghiera per i bambini del medio oriente e´continua.
P.Aldo
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domenica 17 maggio 2015

Ascensione del Signore 17/5/2015 (Angelus 247)

Al termine di questa celebrazione, desidero salutare tutti voi che siete venuti a rendere omaggio alle nuove Sante, in modo particolare le Delegazioni ufficiali di Palestina, Francia, Italia, Israele e Giordania. Saluto con affetto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, come pure le figlie spirituali delle quattro Sante. Per loro intercessione, il Signore conceda un nuovo impulso missionario ai rispettivi Paesi di origine. Ispirandosi al loro esempio di misericordia, di carità e di riconciliazione, i cristiani di queste terre guardino con speranza al futuro, proseguendo nel cammino della solidarietà e della convivenza fraterna.
Estendo il mio saluto alle famiglie, ai gruppi parrocchiali, alle associazioni e alle scuole presenti, in particolare ai cresimandi dell’Arcidiocesi di Genova. Un pensiero speciale rivolgo ai fedeli della Repubblica Ceca, riuniti nel santuario di Svaty Kopećek, presso Olomuc, che oggi ricordano il ventennale della visita di san Giovanni Paolo II.
Ieri, a Venezia è stato proclamato Beato il sacerdote Luigi Caburlotto, parroco, educatore e fondatore delle Figlie di San Giuseppe. Rendiamo grazie a Dio per questo esemplare Pastore, che condusse un’intensa vita spirituale e apostolica, tutto dedito al bene delle anime.
Vorrei anche invitare a pregare per il caro popolo del Burundi, che sta vivendo un momento delicato: il Signore aiuti tutti a fuggire la violenza e ad agire responsabilmente per il bene del Paese.
Con amore filiale ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, Regina dei Santi e modello di tutti i cristiani.
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domenica 10 maggio 2015

Domenica 6^ di Pasqua 10/5/2015 (Angelus 246)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi – Giovanni, capitolo 15 – ci riporta nel Cenacolo, dove ascoltiamo il comandamento nuovo di Gesù. Dice così: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» (v. 12). E, pensando al sacrificio della croce ormai imminente, aggiunge: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando» (vv.13-14). Queste parole, pronunciate durante l’Ultima Cena, riassumono tutto il messaggio di Gesù; anzi, riassumono tutto ciò che Lui ha fatto: Gesù ha dato la vita per i suoi amici. Amici che non lo avevano capito, che nel momento cruciale lo hanno abbandonato, tradito e rinnegato. Questo ci dice che Egli ci ama pur non essendo noi meritevoli del suo amore: così ci ama Gesù!
In questo modo, Gesù ci mostra la strada per seguirlo, la strada dell’amore. Il suo comandamento non è un semplice precetto, che rimane sempre qualcosa di astratto o di esteriore rispetto alla vita. Il comandamento di Cristo è nuovo perché Lui per primo lo ha realizzato, gli ha dato carne, e così la legge dell’amore è scritta una volta per sempre nel cuore dell’uomo (cfr Ger 31,33). E come è scritta? E’ scritta con il fuoco dello Spirito Santo. E con questo stesso Spirito, che Gesù ci dona, possiamo camminare anche noi su questa strada!
E’ una strada concreta, una strada che ci porta ad uscire da noi stessi per andare verso gli altri. Gesù ci ha mostrato che l’amore di Dio si attua nell’amore del prossimo. Tutti e due vanno insieme. Le pagine del Vangelo sono piene di questo amore: adulti e bambini, colti e ignoranti, ricchi e poveri, giusti e peccatori hanno avuto accoglienza nel cuore di Cristo.
Dunque, questa Parola del Signore ci chiama ad amarci gli uni gli altri, anche se non sempre ci capiamo, non sempre andiamo d’accordo… ma è proprio lì che si vede l’amore cristiano. Un amore che si manifesta anche se ci sono differenze di opinione o di carattere, ma l’amore è più grande di queste differenze! E’ questo l’amore che ci ha insegnato Gesù. E’ un amore nuovo perché rinnovato da Gesù e dal suo Spirito. E’ un amore redento, liberato dall’egoismo. Un amore che dona al nostro cuore la gioia, come dice Gesù stesso: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (v.11).
È proprio l’amore di Cristo, che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori, a compiere ogni giorno prodigi nella Chiesa e nel mondo. Sono tanti piccoli e grandi gesti che obbediscono al comandamento del Signore: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (cfrGv 15,12). Gesti piccoli, di tutti i giorni, gesti di vicinanza a un anziano, a un bambino, a un ammalato, a una persona sola e in difficoltà, senza casa, senza lavoro, immigrata, rifugiata… Grazie alla forza di questa Parola di Cristo, ognuno di noi può farsi prossimo verso il fratello e la sorella che incontra. Gesti di vicinanza, di prossimità. In questi gesti si manifesta l’amore che Cristo ci ha insegnato.
Ci aiuti in questo la nostra Madre Santissima, perché nella vita quotidiana di ognuno di noi l’amore di Dio e l’amore del prossimo siano sempre uniti.

Dopo il Regina Coeli:
Cari fratelli e sorelle!
Saluto tutti voi, famiglie, gruppi parrocchiali, associazioni e pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare da Madrid, da Portorico e dalla Croazia. Saluto i fedeli di Guidonia e di Portici; le scolaresche da Carrara, Bitonto e Lecco. Un pensiero speciale ai giovani della diocesi di Orvieto-Todi, accompagnati dal loro Pastore Mons. Tuzia: siate cristiani coraggiosi e testimoni di speranza!
Saluto il Corpo Forestale dello Stato, che organizza la festa nazionale delle Riserve Naturali per la riscoperta e il rispetto delle bellezze del creato; i partecipanti al convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana a sostegno di una scuola di qualità e aperta alle famiglie; la delegazione di donne della “Komen Italia”, associazione per la lotta ai tumori del seno; e quanti hanno preso parte all’iniziativa per la vita svoltasi questa mattina a Roma: è importante collaborare insieme per difendere e promuovere la vita.
E, parlando di vita, oggi in tanti Paesi si celebra la festa della mamma: ricordiamo con gratitudine e affetto tutte le mamme. Ora mi rivolgo alle mamme che stanno qui in Piazza: ce ne sono? Sì? Ce ne sono, mamme? Un applauso per loro, per le mamme che sono in Piazza … E questo applauso abbracci tutte le mamme, tutte le nostre care mamme: quelle che vivono con noi fisicamente, ma anche quelle che vivono con noi spiritualmente. Il Signore le benedica tutte, e la Madonna, alla quale questo mese è dedicato, le custodisca.
A tutti auguro una buona domenica – un po’ calda… -. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
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Domenica 5^ di Pasqua 3/5/2015 (Angelus 245)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù durante l’Ultima Cena, nel momento in cui sa che la morte è ormai vicina. E’ giunta la sua “ora”. Per l’ultima volta Egli sta con i suoi discepoli, e allora vuole imprimere bene nella loro mente una verità fondamentale: anche quando Lui non sarà più fisicamente in mezzo a loro, essi potranno restare ancora uniti a Lui in un modo nuovo, e così portare molto frutto. Tutti possiamo essere uniti a Gesù in un modo nuovo. Se al contrario uno perdesse questa unione con Lui, questa comunione con Lui, diventerebbe sterile, anzi, dannoso per la comunità. E per esprimere questa realtà, questo modo nuovo di essere uniti a Lui, Gesù usa l’immagine della vite e dei tralci e dice così: «Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 4-5). Con questa figura ci insegna come rimanere in Lui, essere uniti a Lui, benché Lui non sia fisicamente presente.
Gesù è la vite, e attraverso di Lui – come la linfa nell’albero – passa ai tralci l’amore stesso di Dio, lo Spirito Santo. Ecco: noi siamo i tralci, e attraverso questa parabola Gesù vuole farci capire l’importanza di rimanere uniti a Lui. I tralci non sono autosufficienti, ma dipendono totalmente dalla vite, in cui si trova la sorgente della loro vita. Così è per noi cristiani. Innestati con il Battesimo in Cristo, abbiamo ricevuto da Lui gratuitamente il dono della vita nuova; e possiamo restare in comunione vitale con Cristo. Occorre mantenersi fedeli al Battesimo, e crescere nell’amicizia con il Signore mediante la preghiera, la preghiera di tutti i giorni, l’ascolto e la docilità alla sua Parola - leggere il Vangelo -, la partecipazione ai Sacramenti, specialmente all’Eucaristia e alla Riconciliazione.
Se uno è intimamente unito a Gesù, gode dei doni dello Spirito Santo, che – come ci dice san Paolo – sono «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Questi sono i doni che ci vengono se noi rimaniamo uniti a Gesù; e di conseguenza una persona che è così unita a Lui fa tanto bene al prossimo e alla società, è una persona cristiana. Da questi atteggiamenti, infatti, si riconosce se uno è un vero cristiano, come dai frutti si riconosce l’albero. I frutti di questa unione profonda con Gesù sono meravigliosi: tutta la nostra persona viene trasformata dalla grazia dello Spirito: anima, intelligenza, volontà, affetti, e anche il corpo, perché noi siamo unità di spirito e corpo. Riceviamo un nuovo modo di essere, la vita di Cristo diventa nostra: possiamo pensare come Lui, agire come Lui, vedere il mondo e le cose con gli occhi di Gesù. Di conseguenza, possiamo amare i nostri fratelli, a partire dai più poveri e sofferenti, come ha fatto Lui, e amarli con il suo cuore e portare così nel mondo frutti di bontà, di carità e di pace.
Ciascuno di noi è un tralcio dell’unica vite; e tutti insieme siamo chiamati a portare i frutti di questa comune appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Affidiamoci all’intercessione della Vergine Maria, affinché possiamo essere tralci vivi nella Chiesa e testimoniare in modo coerente la nostra fede - coerenza proprio di vita e di pensiero, di vita e di fede -, consapevoli che tutti, a seconda delle nostre vocazioni particolari, partecipiamo all’unica missione salvifica di Cristo.

Dopo il Regina Coeli:
Cari fratelli e sorelle,
provenienti dall'Italia e da tante parti del mondo, a tutti e a ciascuno rivolgo un cordiale saluto!
Ieri a Torino è stato proclamato Beato Luigi Bordino, laico consacrato della Congregazione dei Fratelli di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Egli ha dedicato la sua vita alle persone malate e sofferenti, e si è speso senza sosta in favore dei più poveri, medicando e lavando le loro piaghe. Ringraziamo il Signore per questo suo umile e generoso discepolo.
Un saluto speciale va oggi all’Associazione Méter, nella Giornata dei bambini vittime della violenza. Vi ringrazio per l’impegno con cui cercate di prevenire questi crimini. Tutti dobbiamo impegnarci affinché ogni persona umana, e specialmente i bambini, sia sempre difesa e protetta.
Saluto con affetto tutti i pellegrini oggi presenti, davvero troppi per nominare ogni gruppo! Ma almeno spero che il Coro San Biagio canti un po’. Saluto quelli provenienti da Amsterdam, Zagabria, Litija (in Slovenia), Madrid, e Lugo, pure in Spagna. Accolgo con gioia i tantissimi italiani: le parrocchie, le associazioni e le scuole. Un pensiero particolare per i ragazzi e le ragazze che hanno ricevuto o riceveranno la Cresima.
A tutti auguro una buona domenica. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!
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martedì 28 aprile 2015

La gloria di Dio è l’uomo realizzato (Contributi 999)

Con ritardo,ma per fortuna le cose belle non scadono, vi propongo l'omelia tenuta da Mons. Camisasca (vescovo di Reggio Emilia/Guastalla) lo scorso 20 febbraio in occasione del X anniversario della scomparsa di Mons. Luigi Giussani:

Cari fratelli e sorelle,
Cari amici,
nel X anniversario dalla morte di don Giussani desidero ricordarlo assieme a voi per il grande contributo, oggi più che mai attuale, che egli ha dato al rinnovamento della Chiesa. Don Giussani fu certamente un grande riformatore. Anche se egli non usò quasi mai questa parola, in realtà tutto l’intento della sua vita fu di rivelare la freschezza e il fascino originario della vita cristiana. Egli scoprì che il cristianesimo è un avvenimento, cioè l’incontro con una persona presente carica di un’attrattiva misteriosa capace di mutare completamente l’orientamento della vita. Chi incontra Gesù diventa uomo. Riceve un’esistenza cento volte più intensa e più vera: nel campo delle conoscenze, degli affetti, della realizzazione di sé.
Il fondatore di Comunione e Liberazione ha avuto il grande merito di mostrare – in un tempo in cui si moltiplicavano i dibattiti teologici infra ed extra ecclesiali, e intanto si ponevano le premesse della contestazione del ’68 – che il cristianesimo non è innanzitutto una dottrina o una serie di norme da seguire per meritare un premio nell’aldilà. Il cristianesimo è una vita nuova, realizzata, che comincia quaggiù, sulla terra.
La convenienza umana e la pienezza di vita che è possibile sperimentare seguendo Gesù erano continuamente al centro del suo insegnamento e della sua testimonianza. In questo senso possiamo affermare che un primo grande contributo di Giussani alla riforma nella Chiesa sia stata la sua battaglia contro l’intellettualismo, lo spiritualismo e il legalismo allora, come oggi, molto diffusi. Una lotta che egli ha combattuto attraverso l’educazione dei giovani, creando luoghi di comunione vera, dove era possibile sperimentare la stessa vita che gli apostoli avevano vissuto con Gesù, mostrando quindi la bellezza e l’umanità di Cristo e della Chiesa, suo Corpo.
Ascoltandolo commentare il Vangelo, si veniva trasportati in Palestina, sulle rive del Giordano, a Gerusalemme, nell’animo e nella mente di Gesù e degli apostoli, senza peraltro venire mai alienati dalla realtà presente. Anzi: stando accanto a don Giussani si percepiva, in modo quasi naturale, un filo diretto che legava quegli avvenimenti e la realtà presente. Il giudizio sull’attualità o sulle scelte personali o comunitarie da compiere era sempre determinato dall’immedesimazione con l’esperienza originaria del cristianesimo.
«Io non voglio vivere inutilmente: è la mia ossessione. E poi tra due amici profondi cosa si desidera? L’aspirazione dell’amicizia è l’unione, è quella di immedesimarsi, impastarsi, diventare la stessa persona, la stessa fisionomia dell’Amico: …ma Gesù è in croce… la gioia più grande della nostra vita è quella che ad ogni piccola o grande sofferenza ci fa scoprire: “ecco, ora sei più simile”, più “impastato con Lui”. La vita per la felicità degli uomini, per l’amicizia di Gesù»[1]. Sono parole che don Giussani scrive nel 1945 in una lettera ad un suo compagno di seminario. Era stato ordinato sacerdote tre mesi prima e aveva 23 anni. In questa lettera, che egli scrive mentre è costretto a letto da una malattia, si concentra tutto il suo cuore di uomo, di cristiano, di giovane sacerdote. Il desiderio di essere come Gesù, l’ardore missionario perché Egli sia conosciuto e amato, la percezione della comunione come ragione che vale qualsiasi sacrificio. Si può dire che tutta l’opera successiva di don Giussani, lo stesso movimento che da lui è nato, abbia nell’esperienza qui descritta il suo centro propulsore. “Tutto è nato dalla mia devozione al Sacro Cuore di Gesù”, ebbe a confidarmi un giorno.
Fin dagli anni di seminario il futuro sacerdote ambrosiano era stato folgorato dal mistero dell’Incarnazione, centro della storia del mondo, avvenimento che l’uomo, con tutti i suoi sforzi, non avrebbe potuto neppure immaginare. Ad esso tende ogni espressione autentica dello spirito umano, l’arte, la letteratura, la poesia, la musica, le religioni. Ad essa anelano il cuore e la ragione, l’affettività e la laboriosità umane. «Per farsi riconoscere Dio è entrato nella vita dell’uomo come uomo, secondo una forma umana […] che penetra i nostri occhi, che tocca il nostro cuore, che si può afferrare con le nostre braccia»[2]. È Gesù, la sua divino-umanità, che l’uomo cerca quando è acceso da un desiderio di bellezza, di verità, di giustizia, di bene, di libertà.
L’avvenimento del Dio incarnato, morto, risorto e presente oggi nella comunione di coloro che egli sceglie e mette assieme, illumina tutta la vita e conferisce ad essa la sua direzione. Soprattutto Gesù svela all’uomo il suo vero volto, il suo essere fatto ad immagine della Trinità e per questo destinato a compiersi solo in una comunione vissuta.
«Ciò di cui tutto è fatto è diventato uno di noi. Allora uno che lo incontra dovrebbe girare il mondo e gridarlo a tutti. Ma uno può girare il mondo gridandolo a tutti stando nel luogo in cui Cristo lo ha collocato»[3], aderendo cioè con tutto se stesso alla vocazione che Dio gli ha dato. Se dovessimo individuare un’espressione sintetica di tutta l’esperienza umana, cristiana ed ecclesiale di don Giussani, una parola attorno a cui tutto il suo insegnamento si può riassumere, dovremmo scegliere certamente la parola vocazione, vita come vocazione. Questa espressione sulle sue labbra si liberava da ogni incrostazione clericale e tornava ad essere il cuore dell’esperienza umana tout-court. «Dio mi ha chiamato dal nulla, fra miliardi di esseri possibili, Egli ha scelto, e ha chiamato me. La mia vita è costituita da quella chiamata. […] La mia vita è risposta obbligatoria a quella Voce che chiama. […] La vita è vocazione. E il senso delle cose e delle circostanze è quello di essere come parole in cui si articola il suono di quella voce ineffabile»[4]. Vocazione è dunque, innanzitutto, la vita. Ma «perché la gloria di Cristo appaia come la forma e il contenuto di tutte le cose […] c’è, operata da Dio, […] una scelta o elezione»[5].
L’adesione alla vocazione, la scoperta del proprio posto nel mondo, coincide con la propria realizzazione ed è, nello stesso tempo, la testimonianza più grande resa a Dio: gloria Dei vivens homo, la gloria di Dio è l’uomo realizzato[6].
Don Giussani è stato un grande suscitatore di vocazioni laicali, sacerdotali e religiose. Guardando a lui migliaia di giovani hanno scoperto la propria strada e molti di essi hanno letteralmente rifondato o rinvigorito ordini religiosi arrivati ormai al lumicino.
Anche in questo senso don Giussani rimane uno dei più grandi riformatori del Novecento.
Ringraziamo il Signore per il grande dono che ha fatto alla nostra vita e alla Chiesa intera con don Giussani e, soprattutto durante questa Quaresima, chiediamo la grazia di recuperare continuamente, nella conversione del cuore e nella preghiera, la comunione che il Servo di Dio ci ha insegnato a vivere.
[1] L. Giussani, Lettere di fede e di amicizia. Ad Angelo Majo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, 33.
[2] L. Giussani – S. Alberto – J. Prades, Generare tracce nella storia del mondo. Nuove tracce d’esperienza cristiana, Rizzoli, Milano 1998, 24.
[3] L. Giussani, citato in A. Savorana, Vita di don Giussani, 39.
[4] L. Giussani, Vita come vocazione, in «Ora et labora», 14 (1959), 2, 2-4. Ora in L. Giussani, Porta la speranza, Marietti, Genova 1997, 164.
[5] L. Giussani, Il tempo e il tempio, BUR, Milano 1995, 14.
[6] Ireneo di Lione, Adversus Haereses, IV, 20, 7: Sch 100/2, 648-649.
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