Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

domenica 30 giugno 2013

Persecuzione (Contributi 864)

Un pensiero di Rino Camilleri dal suo sito.. pensate sia esagerato?


Prepariamoci perché la persecuzione dei cristiani sarà (inizialmente) amministrativa, come quella contro i cattolici inglesi fino al 1828. Adesso in prima fila sono i ginecologi, gli infermieri e i medici che non prescrivono la pillola, più i farmacisti che non la vendono. Poi si passerà ai funzionari e impiegati che si rifiuteranno di celebrare o trascrivere “nozze gay”, nonché ai sessuologi che non assisteranno coppie omo con problemi. Gli affittacamere e i bread and breakfast hanno già i guai loro. 
I librai e gli edicolanti sono avvisati. Scrive Marco Respinti su La Nuova Bussola Quotidiana del 23 maggio 2013 che «a Portadown, in Irlanda del Nord, il tipografo Nick Williamson, cristiano, finirà in tribunale come “omofobo” per essersi rifiutato di stampare un giornaletto di propaganda omosessualista, per di più dalla grafica esplicita». 
L’Osservatorio sull'intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa, diretto a Vienna da Gudrun Kugler, ha già faldoni pieni di roba del genere. 
Finiremo prima rovinati economicamente, poi in galera. Infine, se le carceri scoppieranno, gasati o terminati chimicamente (i nostri organi espiantati costituiranno ricco business). O nei campi di lavoro forzato. E non so cosa sia meglio. 
D’altra parte, il paganesimo non poteva tornare senza i suoi connotati più tipici: la schiavitù, il libero aborto e le persecuzioni contro i cristiani. Naturalmente, i più non reggeranno alla pressione e si adegueranno alle leggi, come nell'antica Roma. 
Solo pochi, come allora, accetteranno di perdere tutto per restare fedeli a Cristo. 
L’unica differenza con l’antica Roma è questa: la tecnologia a disposizione non lascerà scampo ad alcuno.
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Domenica XIII t.ord."C" 30-giu-2013 (Angelus 141)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! 
Il Vangelo di questa domenica (Lc 9,51-62) mostra un passaggio molto importante nella vita di Cristo: il momento in cui – come scrive san Luca – «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (9,51). Gerusalemme è la meta finale, dove Gesù, nella sua ultima Pasqua, deve morire e risorgere, e così portare a compimento la sua missione di salvezza. 
Da quel momento, dopo quella “ferma decisione”, Gesù punta dritto al traguardo, e anche alle persone che incontra e che gli chiedono di seguirlo, dice chiaramente quali sono le condizioni: non avere una dimora stabile; sapersi distaccare dagli affetti umani; non cedere alla nostalgia del passato. 
Ma Gesù dice anche ai suoi discepoli, incaricati di precederlo sulla via verso Gerusalemme per annunciare il suo passaggio, di non imporre nulla: se non troveranno disponibilità ad accoglierlo, si proceda oltre, si vada avanti. Gesù non impone mai, Gesù è umile, Gesù invita. Se tu vuoi, vieni. L’umiltà di Gesù è così: Lui invita sempre, non impone. 
Tutto questo ci fa pensare. Ci dice, ad esempio, l’importanza che, anche per Gesù, ha avuto la coscienza: l’ascoltare nel suo cuore la voce del Padre e seguirla. Gesù, nella sua esistenza terrena, non era, per così dire, “telecomandato”: era il Verbo incarnato, il Figlio di Dio fatto uomo, e a un certo punto ha preso la ferma decisione di salire a Gerusalemme per l’ultima volta; una decisione presa nella sua coscienza, ma non da solo: insieme al Padre, in piena unione con Lui! Ha deciso in obbedienza al Padre, in ascolto profondo, intimo della sua volontà. E per questo la decisione era ferma, perché presa insieme con il Padre. E nel Padre Gesù trovava la forza e la luce per il suo cammino. E Gesù era libero, in quella decisione era libero. Gesù vuole noi cristiani liberi come Lui, con quella libertà che viene da questo dialogo con il Padre, da questo dialogo con Dio. Gesù non vuole né cristiani egoisti, che seguono il proprio io, non parlano con Dio; né cristiani deboli, cristiani, che non hanno volontà, cristiani «telecomandati», incapaci di creatività, che cercano sempre di collegarsi con la volontà di un altro e non sono liberi. Gesù ci vuole liberi e questa libertà dove si fa? Si fa nel dialogo con Dio nella propria coscienza. Se un cristiano non sa parlare con Dio, non sa sentire Dio nella propria coscienza, non è libero, non è libero. 
Per questo dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace... Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele. 
Noi abbiamo avuto un esempio meraviglioso di come è questo rapporto con Dio nella propria coscienza, un recente esempio meraviglioso. Il Papa Benedetto XVI ci ha dato questo grande esempio quando il Signore gli ha fatto capire, nella preghiera, quale era il passo che doveva compiere. Ha seguito, con grande senso di discernimento e coraggio, la sua coscienza, cioè la volontà di Dio che parlava al suo cuore. E questo esempio del nostro Padre fa tanto bene a tutti noi, come un esempio da seguire. 
La Madonna, con grande semplicità, ascoltava e meditava nell'intimo di se stessa la Parola di Dio e ciò che accadeva a Gesù. Seguì il suo Figlio con intima convinzione, con ferma speranza. Ci aiuti Maria a diventare sempre più uomini e donne di coscienza, liberi nella coscienza, perché è nella coscienza che si dà dialogo con Dio; uomini e donne, capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione capaci di ascoltare la voce di Dio e di seguirla con decisione. 
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Dopo l'Angelus 
Cari fratelli e sorelle, oggi in Italia si celebra la Giornata della carità del Papa. Desidero ringraziare i Vescovi e tutte le parrocchie, specialmente le più povere, per le preghiere e le offerte che sostengono tante iniziative pastorali e caritative del Successore di Pietro in ogni parte del mondo. Grazie a tutti! 
Rivolgo di cuore il mio saluto a tutti i pellegrini presenti, in particolare ai numerosi fedeli venuti dalla Germania. Saluto anche i pellegrini di Madrid, Augsburg, Sonnino, Casarano, Lenola, Sambucetole e Montegranaro; il gruppo di laici domenicani, la Fraternità apostolica della Divina Misericordia di Piazza Armerina, gli Amici delle missioni del Preziosissimo Sangue, l’UNITALSI di Ischia di Castro e i ragazzi di Latisana. 
Vi chiedo di pregare per me. A tutti auguro una buona domenica e buon pranzo. 
Arrivedeci!
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Omelia di Papa Francesco nella Messa di imposizione Pallio 29-giu-2013 (Contributi 863)

Signori Cardinali, 
Sua Eminenza Metropolita Ioannis, 
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio, 
cari fratelli e sorelle! 

Celebriamo la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, patroni principali della Chiesa di Roma: una festa resa ancora più gioiosa per la presenza di Vescovi da tutto mondo. Una grande ricchezza che ci fa rivivere, in un certo modo, l’evento di Pentecoste: oggi, come allora, la fede della Chiesa parla in tutte le lingue e vuole unire i popoli in un’unica famiglia. 
Saluto di cuore e con gratitudine la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, guidata dal Metropolita Ioannis. Ringrazio il Patriarca ecumenico Bartolomeo I per questo rinnovato gesto fraterno. Saluto i Signori Ambasciatori e le Autorità civili. Un grazie speciale al Thomanerchor, il Coro della Thomaskirche [Chiesa di San Tommaso] di Lipsia - la chiesa di Bach - che anima la Liturgia e che costituisce un’ulteriore presenza ecumenica. 
Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo “confermare”. In che cosa è chiamato a confermare il Vescovo di Roma? 
1. Anzitutto, confermare nella fede. Il Vangelo parla della confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), una confessione che non nasce da lui, ma dal Padre celeste. Ed è per questa confessione che Gesù dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (v. 18). Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall'alto. Nella seconda parte del Vangelo di oggi vediamo il pericolo di pensare in modo mondano. Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: «si mise a rimproverare il Signore: …questo non ti accadrà mai» (16,22). E Gesù ha una parola dura: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo. La fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa! 
2. Confermare nell'amore. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato le commoventi parole di san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Di quale battaglia si tratta? Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere. E non solo il Vescovo di Roma: tutti voi, nuovi arcivescovi e vescovi, avete lo stesso compito: lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti. Il compito di non risparmiare, uscire di sé al servizio del santo popolo fedele di Dio. 
3. Confermare nell'unità. Qui mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione» (Conc. Ecum Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 18). E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro» (ibid., 19). Confermare nell'unità: il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato. E continua, il Concilio: «questo Collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del Popolo di Dio» (ibid., 22). Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell'armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione. 

Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell'episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen.
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giovedì 27 giugno 2013

I cristiani senza Cristo sono schiavi della superficialità o della rigidità (Contributi 862)

Da Tempi, l'omelia di Papa Francesco a Santa Marta di oggi: 


Papa Francesco nell'omelia della Messa di questa mattina alla Casa Santa Marta ha commentato il brano del Vangelo di Matteo che parla delle case costruite sulla sabbia e sulla roccia. «Nella storia della Chiesa ci sono state due classi di cristiani: i cristiani di parole – quelli “Signore, Signore, Signore” – e i cristiani di azione, in verità», ha detto il Pontefice. «Sempre c’è stata la tentazione di vivere il nostro cristianesimo fuori della roccia che è Cristo. L’unico che ci dà la libertà per dire “Padre” a Dio è Cristo o la roccia». Mentre la tentazione di questi cristiani di parole, ha sottolineato il Papa, è «essere cristiani senza Cristo». 
GNOSTICI E PELAGIANI. Chi sono secondo Papa Francesco questi “cristiani di parole”? Chi sono i “cristiani senza Cristo”? Da una parte c’è il cristiano “gnostico”, ha spiegato il Santo Padre, «che invece di amare la roccia, ama le parole belle». I cristiani gnostici «credono, sì, in Dio, in Cristo», ma il loro è un Dio «troppo “diffuso”: non è Gesù Cristo quello che ti dà fondamento». I cristiani “gnostici” professano «un cristianesimo “liquido”». Dall'altra parte, ha proseguito il Pontefice, ci sono i cristiani “pelagiani”, «quelli che credono che la vita cristiana si debba prendere tanto sul serio che finiscono per confondere solidità, fermezza, con rigidità. Sono i rigidi! Questo pensano che per essere cristiano sia necessario mettersi in lutto, sempre». 
DOV'È LA LIBERTÀ. Di questi cristiani senza Cristo «ce ne sono tanti», ha ammonito Papa Francesco, ma in realtà essi «non sono cristiani, si mascherano da cristiani. Non sanno cosa sia il Signore, non sanno cosa sia la roccia, non hanno la libertà dei cristiani. E, per dirlo un po’ semplicemente, non hanno gioia. I primi hanno una certa “allegria” superficiale. Gli altri vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana. I cristiani senza Cristo «sono schiavi della superficialità, di questa vita diffusa, e questi sono schiavi della rigidità, non sono liberi. Nella loro vita, lo Spirito Santo non trova posto. È lo Spirito che ci dà la libertà». Ciò che permette al cristiano «andare avanti con la gioia, nel suo cammino, nelle sue proposte», ha concluso il Papa, è proprio «costruire la nostra vita cristiana su di Lui, la roccia».
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Ti ha scelto perché ha avuto misericordia di te (Contributi 861)

Dal sito della Fraternità Sacerdotale San Carlo, l'omelia di Mons. Camisasca in occasione dell'ordinazione sacerdotale dello scorso 22 giugno.. 


Carissimi fratelli e amici, questa celebrazione riveste un significato particolare per me e per i giovani che ora riceveranno l’ordine del presbiterato e del diaconato.
Per me si tratta del singolare privilegio che mi è concesso da Cristo di poter ordinare dei fratelli che ho accolto e accompagnato nella Fraternità san Carlo; per loro si tratta di un avvenimento che cambia interamente l’esistenza, in continuità e fioritura del loro battesimo, ma con una richiesta di donazione da parte di Cristo che supera ogni umana progettazione e previsione.
Le letture di questa santa Liturgia, che abbiamo appena ascoltato, sono il portale che ci introduce, con la profondità inesauribile della Parola di Dio, alla comprensione commossa di quanto sta accadendo. Devo limitarmi a riprendere con voi la pagina del Vangelo di Luca. Mentre gli altri Vangeli sinottici collocano il dialogo di Gesù con i discepoli, che abbiamo ascoltato, lungo la strada verso Cesarea di Filippo o arrivati in quel luogo, Luca ci mostra Gesù in preghiera. I discepoli stanno a distanza. Lui si avvicina a loro e pone una domanda. È una domanda che nasce dalla profondità del dialogo col Padre, non dalla vanità che può invece originarla sulle nostre labbra: “Cosa pensano gli altri, la gente, di me?”. Per Gesù si tratta di un itinerario chiaro: dalle opinioni della gente vuol arrivare a suscitare e verificare la fede personale dei discepoli. Dalle loro risposte comprendiamo che la gente che seguiva Gesù non aveva idee strane o fantasiose o irriverenti su di Lui. Sono evidentemente persone che conoscono la Scrittura e hanno seguito le vicende del Battista. Le loro risposte, che ora non possiamo analizzare, sono illuminate e per nulla banali. Ci fanno capire come la gente guardasse a Gesù. E ci riempiono della stessa ammirazione e attesa di quella moltitudine. Eppure tutto ciò non basta. Gesù prosegue: “Ma voi, avete saputo vedere meglio? Avete fatto tesoro delle mie parole e delle mie azioni? Avete penetrato il mistero della mia persona?”.
Luca e gli altri Vangeli non riportano le risposte degli apostoli e dei discepoli. Emerge soltanto la voce di Pietro che sovrasta le altre e le cancella dalla memoria: “Tu sei l’Unto di Dio”.
Fermiamoci un momento. Questa sera il dialogo avviene con voi. È a voi che Gesù chiede, a ciascuno di voi: “E tu, chi dici che io sia?”.
Questa domanda ci interpella nel profondo, ma si rivolge ora soprattutto a voi, cari fratelli che state per essere ordinati. Si può dire con assoluta verità e pertinenza che la vita del sacerdote si spiega e si regge soltanto come strada di una progressiva conoscenza di Cristo. Conoscenza intellettuale, certo, da alimentare con lo studio e la meditazione, ma anche e soprattutto conoscenza affettiva che avviene nella preghiera, nella celebrazione dei sacramenti, nell'accompagnamento e nella guida delle persone che ci sono affidate da Cristo.
La conoscenza di Cristo è la realtà più avvincente del sacerdozio: una conoscenza personale, inesauribile. Ogni volta che una persona vi accosterà aprendo il suo cuore; ogni volta che direte: io ti assolvo, questo è il mio corpo; ogni volta che spiegherete e leggerete la Scrittura; ogni volta che aiuterete un uomo o una donna a leggere la sua vita, le sue gioie e i suoi dolori; … ogni volta sarà una nuova conoscenza di Cristo, un nuovo passo verso la realtà della sua Incarnazione, Passione, Morte e Resurrezione, della sua Presenza tra noi.
Amore di Dio e degli uomini, conoscenza di Dio e degli uomini di fondono nel nostro itinerario sacerdotale, nel nostro cammino verso Cristo.
Ma la domanda di Gesù rivela non solo il nostro cammino verso di Lui, in Lui, come direbbe san Paolo. Essa ci apre innanzitutto al cammino di Gesù verso di noi, verso ciascuno di noi. Il sacramento che ora riceverete, prima ancora di affidarvi delle responsabilità, è un atto di misericordia verso di voi. Miserando atque eligendo, dice il motto di Papa Francesco tratto da Beda, il Venerabile. Ti ha scelto perché ha avuto misericordia di te. Ripensiamo così alla domanda di Cristo: chi dite che io sia? Gesù sa bene chi Lui è. La sua domanda non nasce da curiosità, vanagloria, dubbio, incertezza. Nasce dalla carità. Desidera essere amato dai suoi, perché sa che in questo amore è la loro salvezza. Ed essi, dodici di essi, in questo passaggio che accoglie la carità di Cristo, da discepoli diventano apostoli.
Ha sete di te l’anima mia (Sal 62,2). Questa è la preghiera di ognuno di noi a Cristo. Ma “ho sete” è anche parola di Cristo a noi, parola di Cristo rivolta a ciascuno di noi. Soltanto rispondendo alla sua sete scopriamo la nostra identità. Cari fratelli desidero dunque lasciarvi questo pensiero: in Cristo noi conosciamo noi stessi. “Chi dici che io sia?” è la domanda che ciascuno di noi dice all'amico per ricevere la rivelazione del suo io. Secretum meum mihi (Is 24,16).
Ognuno di noi cerca nell'altro la risoluzione del proprio segreto. “Io, che sono?” diceva Leopardi. La domanda dell’uomo a se stesso trova questa sera una risposta nel dialogo tra Cristo e i suoi: Io sono colui che Cristo ha amato e ama. Per questo ha accettato di “soffrire molto, essere rifiutato… , venire ucciso” ed è risorto il terzo giorno. Perché mi ama.
Cari fratelli, come Pietro ha ricevuto il dono di entrare nel dialogo tra il Padre e Gesù, così ora lo concede anche a voi. Il Padre vi rivela chi sia Gesù e quale sia la sua missione, quel mistero che a Pietro ripugna e vorrebbe in ogni modo allontanare. Eppure non c’è conoscenza di Gesù se non stando dietro a Lui. “Stammi dietro”, dice il Maestro a Pietro.
Questa è la consegna che questa sera vi affido: state dietro a Gesù. Chi perde, cioè dona la sua vita per Lui senza mai misurare, costui la salverà. Amen. 
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I sacerdoti siano padri (Contributi 860)

Riporto da Tempi questo testo


Papa Francesco, questa mattina (26 giugno) nell'omelia alla Messa alla casa Santa Marta, ha detto che i sacerdoti devono essere padri. Il Pontefice, ci si ricorderà, tempo fa aveva rivolto alle suore un medesimo augurio, invitandole a non essere «zitelle», ma «madri». Oggi ha detto che la «voglia di paternità» è iscritta nel cuore dell’uomo. Di ciascun uomo, anche del sacerdote anche se egli è chiamato a vivere questo desiderio secondo una forma e una vocazione particolare. Il sacerdote sia padre, dunque. Anzi, se non ha questa «voglia», significa che gli «manca qualcosa», che «qualcosa non va. Tutti noi, per essere, per diventare pieni, per essere maturi, dobbiamo sentire la gioia della paternità: anche noi celibi. La paternità è dare vita agli altri, dare vita, dare vita… Per noi, sarà la paternità pastorale, la paternità spirituale: ma è dare vita, diventare padri». 
LA GRAZIA DELLA PATERNITA’. Commentando il brano delle scritture in cui si parla di Abramo e del sacrifico che Dio gli chiede, papa Francesco ha detto di «commuoversi» pensando a «questo novantenne con il bastone in mano», che difende «difende la famiglia, i figli. Questa è una grazia che noi preti dobbiamo chiedere: essere padri, essere padri. La grazia della paternità, della paternità pastorale, della paternità spirituale. Peccati ne avremo tanti, ma questo è di commune sanctorum: tutti abbiamo peccati. Ma non avere figli, non diventare padre, è come se la vita non arrivasse alla fine: si ferma a metà cammino. E perciò dobbiamo essere padri. Ma è una grazia che il Signore dà. La gente ci dice così: “Padre, padre, padre…”. Ci vuole così, padri, con la grazia della paternità pastorale».
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Il buon prete fa la buona parrocchia (Contributi 859)

Ecco un articolo di Piero Gheddo da La Bussola: 


Quand'ero giovane, in seminario a Vercelli ci dicevano: “Il buon prete fa la buona parrocchia” e questo detto di sapienza popolare trova conferma quando ne muore uno. Alcuni mesi fa è mancato il caro don Guido (chiamiamolo così) che conoscevo perché sono sessant'anni che visito le parrocchie specialmente della Lombardia, ma non solo. In questi giorni mi telefona una signora amica di quel paese, anzi cittadina, e mi richiama alla mente don Guido. Ecco cosa mi dice: 
“Don Guido è stato nostro viceparroco solo per 18 anni dal 1966 al 1984, poi è andato in altre parrocchie. Ma nella nostra città ha formato schiere di giovani, di ragazze e di buone famiglie, che adesso, trent'anni dopo, sono accorsi in massa anche da lontano, per dargli l’ultimo saluto. Li avesse visti, erano tanti, mariti, mogli e bambini, erano trent'anni che non ci vedevamo e tutti dicevano: “Sono i figli di don Guido” e lì a ricordare “i nostri tempi”, quelli appunto di don Guido. Hanno portato gioia e un’armonia straordinaria nel ricordo di quell'indimenticabile prete morto a 72 anni, che soffriva di asma, aveva difficoltà di respirazione e di parola, infatti era di pochissime parole. Poteva essere un prete chiuso in se stesso, lamentoso e pessimista, invece era un santo e ha dato un’impronta di vita cristiana a molti e al paese stesso”. 
Ricordavo confusamente che quando don Guido era arrivato in quella parrocchia era successa una mezza rivoluzione, ne avevano parlato anche i giornali. Chiedo alla signora cos'era successo: “Don Guido - continua l’amica - è venuto da noi in una situazione molto difficile. il parroco di allora aveva cacciato via malamente il prete dell’oratorio, un sacerdote giovane che capiva che i tempi stavano cambiando e voleva fare qualcosa di nuovo. Il vecchio parroco, che certamente ha fatto molto anche lui, ma era un carattere forte e non facile, non vedeva bene quello che gli altri facevano di diverso da quel che aveva fatto lui. E l’ha mandato via in modo brusco. Per cui, quando don Guido è venuto a sostituirlo, in oratorio si è trovato davanti ad un muro di ragazzi amici del don di prima che non l’hanno accolto bene, anzi, l’hanno rifiutato e gli hanno detto: “Lei qui in oratorio non entra!”. 
“L’oratorio è lontano dalla parrocchia e l’avevano occupato i giovani amici del don che era stato mandato via, com'era di moda a quei tempi. Ci sono stati tafferugli e anche un ferito. Siamo finiti sui giornali. Don Guido ha semplicemente detto: “Mi spiace, però io sono stato mandato dal vescovo come prete dell’oratorio. Se mi volete bene, se non mi volete, aspetto che voi cambiate opinione”. I giovani sono rimasti spiazzati, perché pensavano di “fare la lotta” come succedeva a quei tempi. Invece don Guido è andato ad abitare nell'appartamento del prete dell’oratorio e ha detto: “Io sono qui, aspetto che veniate voi a cercarmi ed a chiamarmi”. 
“L’oratorio è rimasto vuoto per 4-5 mesi, poi a poco a poco sono tornati, perché avevano visto che don Guido era un uomo di Dio. Ma lui ha dovuto ricominciare da capo. Parlava poco, ma sapeva ascoltare. Faceva scuola al mattino e poi lo cercavi e c’era sempre, non sapevi dov'era e lui era in chiesa ad aspettare. Una meraviglia. Oggi i preti sono presi da troppe cose, non possono più dare un formazione profonda, fare direzione spirituale. Per le confessioni lo trovavi sempre là. Celebrava la Messa, faceva scuola e poi si metteva di fianco al suo confessionale e aspettava. In quei tempi di grande confusione, noi giovani avevamo molti problemi. Andavamo da lui, ci lasciava parlare, poi ci faceva leggere una pagina del Vangelo dove Gesù rispondeva alle nostre domande. Si rimaneva spiazzati, perché si pensava di trovare un prete che dicesse: “Avete ragione, questo parroco non capisce niente!” e invece portava il discorso su un piano superiore, che non potevi dargli torto. Quando noi ci lamentavamo del parroco e di altre cose che non ci parevano giuste, lui diceva: “Ma allora voi non capite niente. Per restare nella comunità, nella Chiesa, bisogna imparare a soffrire, a sopportare”. 
“E pensare – continua la cara amica che si commuove raccontando - che quel parroco, che agiva secondo il suo carattere e modo di fare, riteneva don Guido un debole che valeva poco o niente e glie lo diceva davanti a tutti. E lui incassava col suo sorriso, al massimo diceva: “Se lo dice lei…”. Questi atteggiamenti ci hanno fatto crescere nella fede e nella vita cristiana. Ci hanno maturati. Non è che il vecchio parroco valesse poco, anche come prete ha fatto molto e non si può dirgli niente, anzi nel nostro paese ha realizzato molte buone cose. Solo che aveva il suo carattere e agiva secondo quel caratteraccio (“Il parroco sono io!” e basta) e c’erano anche i fedeli che lo apprezzavano. Ma don Guido noi lo preghiamo come un santo ed è morto in concetto di santità, anche perchè negli ultimi due anni ha sofferto molto, non si lamentava mai e aveva sempre il suo sorriso sul volto”.
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mercoledì 26 giugno 2013

Nessuno è cristiano per caso (Contributi 858)

Riporto da Tempi questo articolo

Nessuno è cristiano per puro caso. Lo ha detto questa mattina papa Francesco nell'omelia alla Casa Santa Marta. Commentando la lettura tratta dal Genesi in cui si racconta della discussione tra Abram e Lot per la divisione della terra, il pontefice ha illustrato la missione che Dio affida ad Abramo. Non prima di aver chiosato come spesso, sia allora sia oggi, «la discussioni» in Medio Oriente portano a divisioni. Invece Abramo, chiamato dal Signore, «continua a camminare». «Abramo parte dalla sua terra con una promessa: tutto il suo cammino è andare verso questa promessa. E il suo percorso è anche un modello del nostro percorso. Dio chiama Abramo, una persona, e di questa persona fa un popolo». «Dio ci parla al singolare – ha proseguito -, perché ci ha creato a sua immagine e somiglianza. Ha parlato ad Abramo e gli ha dato una promessa e lo ha invitato ad uscire dalla sua terra. Noi cristiani siamo stati chiamati al singolare: nessuno di noi è cristiano per puro caso! Nessuno!». 
LUI E’ LA FEDELTA’. Dio ci chiama «per nome» e attraverso «una promessa». Non ci abbandona al nostro compito, ma è con noi. È come se ci dicesse: «Vai avanti, Io sono con te! Io cammino affianco a te». Dio si fa compagno nel nostro cammino, in cui ci promette una fecondità, «una discendenza» come fece con Abramo. «E questa è un po’ la sicurezza del cristiano», ha detto papa Francesco. «Non è una casualità, è una chiamata! Una chiamata che ci fa andare avanti. Essere cristiano è una chiamata di amore, di amicizia; una chiamata a diventare figlio di Dio, fratello di Gesù; a diventare fecondo nella trasmissione di questa chiamata agli altri; a diventare strumenti di questa chiamata. Ci sono tanti problemi, tanti problemi; ci sono momenti difficili: Gesù ne ha passati tanti! Ma sempre con quella sicurezza: “Il Signore mi ha chiamato. Il Signore è come me. Il Signore mi ha promesso”». Il nostro è un Dio fedele «perché Lui mai può rinnegare se stesso: Lui è la fedeltà». 
NON CI LASCIA SOLI. E se non ne siamo degni? E se siamo peccatori? Questo non è un problema ha spiegato il Santo Padre. «Tutti siamo peccatori. Il problema è: peccatori, andare avanti col Signore, andare avanti con quella promessa che ci ha fatto, con quella promessa di fecondità e dire agli altri, raccontare agli altri che il Signore è con noi, che il Signore ci ha scelto e che Lui non ci lascia soli, mai! Quella certezza del cristiano ci farà bene. Che il Signore ci dia, a tutti noi, questa voglia di andare avanti, che ha avuto Abramo, in mezzo ai problemi; ma andare avanti, con quella sicurezza che Lui che mi ha chiamato, che mi ha promesso tante cose belle è con me!». 
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lunedì 24 giugno 2013

L'unica ragione per ricordare il passato (Interventi 173)

Da Don Luciano, missionario in Kenya: 


Vado a visitare un amico e finisce che mi mette in mano un vecchio album di foto di famiglia. C'è la foto di lui che da bambino a carnevale è vestito da indiano... i pranzi di famiglia a Natale... scene di anni di vacanze con lui sempre più grande... la foto di classe... quella con i compagni della squadra di calcio... con la fidanzata. Ah, quanti ricordi! Ma l'album di famiglia non mostra tutte le cose che gli sono capitate. C'è stato l'incidente con l'automobile, e poi quando si è rotto il braccio, e non c'è nemmeno la foto di quando è stato ammalato per un bel po' di tempo - in qualche modo questi eventi sono stati estromessi dall'album delle memorie. 
Tutti noi abbiamo il nostro album di ricordi immagazzinati, non solo in un album di carta, ma nei cassetti della nostra memoria. E alcuni di noi ritornano spesso con la mente alle vicende passate, e ne parlano pure in continuazione. Ma di quali cose? Bene, Dio ha qualcosa di importante, persino di liberante, da dirti riguardo alle cose passate, specialmente di quelle su cui continui a rimuginarci sopra. 
Apri la Parola di Dio a Isaia 43, a partire dal versetto 16. Dio sta parlando a un popolo che è passato attraverso un mare di dolore - gente che aveva perso un mucchio di cose e persone a cui tenevano molto. Ci sono alcune cose del passato che Dio chiede loro di ricordare, e altre che devono dimenticare. Ecco cosa dice Dio: - «Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti». Poi Dio dice di ricordare bene queste parole: - «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!» Ossia Dio ti dice di non conservare nell'album delle memorie le foto delle cose negative. 
Poi continua dicendo: - «Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa». In altre parole, Dio ti sta dicendo: "Non voglio che tu ti perda le cose meravigliose che sto per fare per te... solo perché hai gli occhi fissati sulle foto negative del tuo passato!" 
Mi chiedo se il tuo album di memorie è zeppo di foto che inquadrano i momenti dolorosi della tua vita. Mi chiedo se alcune delle persone che ti stanno intorno sono ormai stanche di sentirti raccontare sempre la stessa storia, di quando ti hanno fatto un torto o ti hanno fatto del male. La Parola di Dio è chiara - dimentica quelle cose! Hai mai visto un album fotografico dove ci sono solo le foto delle disgrazie di una famiglia? Sarebbe un album da psicopatici. Se continui a riportare a galla il passato, finisce che vivi NEL passato - e ti perdi le cose meravigliose che Dio sta facendo per te nel presente e nel futuro.
C'è una sola ragione per guardare indietro al passato - per ricordare gli innumerevoli momenti della tua vita per i quali devi LODARE DIO! Ti ha diviso il mare... ha abbattuto gli ostacoli... gli interventi provvidenziali... le liberazioni... strade nel deserto... torrenti che sgorgavano quando la tua acqua finiva. In Isaia 43,20-21 Dio dice: «Fornirò acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me | celebrerà le mie lodi». Decidi: qual è il passato che vuoi ricordare? Quello doloroso? Puoi farlo, ma sappi che manterrà vivo il dolore anche nel tuo futuro. O vuoi ricordare il passato che è FONTE DI LODE a Dio - tutte quelle volte che il tuo Dio misericordioso era lì per te? Allora quei ricordi ti prepareranno per il prossimo meraviglioso episodio della tua vita dove Dio ti mostrerà ancora una volta quanto ti ama. 
I nostri album di famiglia non sono pieni di disgrazie - le foto che ci mettiamo sono quelle delle cose belle che amiamo ricordare. E così deve essere anche l'album dei ricordi del tuo cuore. L'unica ragione che hai per guardare ancora una volta il tuo passato è per sfogliare le memorie di vita di cui lo ha riempito il tuo Signore! 
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto 
don Luciano
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domenica 23 giugno 2013

Domenica XII t.ord."C" 23-giu-2013 (Angelus 140)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo di questa domenica risuona una delle parole più incisive di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24).
Qui c’è una sintesi del messaggio di Cristo, ed è espressa con un paradosso molto efficace, che ci fa conoscere il suo modo di parlare, quasi ci fa sentire la sua voce… Ma che cosa significa “perdere la vita per causa di Gesù”? Questo può avvenire in due modi: esplicitamente confessando la fede o implicitamente difendendo la verità. I martiri sono l’esempio massimo del perdere la vita per Cristo. In duemila anni sono una schiera immensa gli uomini e le donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Gesù Cristo e al suo Vangelo. E oggi, in tante parti del mondo, ci sono tanti, tanti, - più che nei primi secoli – tanti martiri, che danno la propria vita per Cristo, che sono portati alla morte per non rinnegare Gesù Cristo. Questa è la nostra Chiesa. Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli! Ma c’è anche il martirio quotidiano, che non comporta la morte ma anch'esso è un “perdere la vita” per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio. Pensiamo: quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Pensiamo a questi! Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani… Anche questi sono martiri! Martiri quotidiani, martiri della quotidianità!
E poi ci sono tante persone, cristiani e non cristiani, che “perdono la propria vita” per la verità. E Cristo ha detto “io sono la verità”, quindi chi serve la verità serve Cristo. Una di queste persone, che ha dato la vita per la verità, è Giovanni il Battista: proprio domani, 24 giugno, è la sua festa grande, la solennità della sua nascita. Giovanni è stato scelto da Dio per preparare la via davanti a Gesù, e lo ha indicato al popolo d’Israele come il Messia, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Gv 1,29). Giovanni ha consacrato tutto se stesso a Dio e al suo inviato, Gesù. Ma, alla fine, cosa è successo? E’ morto per la causa della verità, quando ha denunciato l’adulterio del re Erode e di Erodiade. Quante persone pagano a caro prezzo l’impegno per la verità! Quanti uomini retti preferiscono andare controcorrente, pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità! Persone rette, che non hanno paura di andare controcorrente! E noi, non dobbiamo avere paura! Fra voi ci sono tanti giovani. A voi giovani dico: Non abbiate paura di andare controcorrente, quando ci vogliono rubare la speranza, quando ci propongono questi valori che sono avariati, valori come il pasto andato a male e quando un pasto è andato a male, ci fa male; questi valori ci fanno male. Dobbiamo andare controcorrente! E voi giovani, siate i primi: Andate controcorrente e abbiate questa fierezza di andare proprio controcorrente. Avanti, siate coraggiosi e andate controcorrente! E siate fieri di farlo!
Cari amici, accogliamo con gioia questa parola di Gesù. E’ una regola di vita proposta a tutti. E san Giovanni Battista ci aiuti a metterla in pratica. Su questa via ci precede, come sempre, la nostra Madre, Maria Santissima: lei ha perduto la sua vita per Gesù, fino alla Croce, e l’ha ricevuta in pienezza, con tutta la luce e la bellezza della Risurrezione. Ci aiuti Maria a fare sempre più nostra la logica del Vangelo.
Dopo l'Angelus
Ricordatevi bene: Non abbiate paura di andare controcorrente! Siate coraggiosi! E così, come noi non vogliamo mangiare un pasto andato a male, non portiamo con noi questi valori che sono avariati e che rovinano la vita, e tolgono la speranza. Avanti!
Vi saluto con affetto: le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni, le scuole. Saluto gli alunni del Liceo diocesano di Vipàva in Slovenia; la comunità polacca di Ascoli Piceno; l’UNITALSI di Ischia di Castro; i ragazzi dell’Oratorio di Urgnano - vedo qui la loro bandiera, Bravi, siete bravi voi! -, i fedeli di Pordenone; le Suore e gli operatori dell’Ospedale “Miulli” di Acquaviva delle Fonti; un gruppo di delegati sindacali dal Veneto.
Auguro a tutti una buona domenica!
Pregate per me e buon pranzo!
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sabato 22 giugno 2013

La dimora di Dio

Maria è tutta relativa a Dio, e io la chiamerei benissimo la relazione di Dio, che non è che in rapporto a Dio, o l'eco di Dio, che non dice e non ripete che Dio. 
Se tu dici Maria, lei dice Dio. Santa Elisabetta lodò Maria e la chiamò beata per aver creduto; Maria, l'eco fedele di Dio, intonò: «L'anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46). 
Ciò che Maria fece in quell'occasione, lo fa tutti i giorni; quando la si loda, la si ama, la si onora o le si dona, Dio è lodato, Dio è amato, Dio è onorato, si dona a Dio per mezzo di Maria e in Maria. 
(San Luigi Maria Grignion de Montfort) 
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10 for Syria

Da Samizdat On Line riporto questo testo:
La guerra civile in Siria sta avendo ripercussioni notevoli sui paesi confinanti, in particolare Libano e Giordania dove migliaia di famiglie in fuga dal conflitto si sono rifugiate e continuano ad arrivare ogni giorno lasciandosi alle spalle case distrutte, violenza e spesso parte della famiglia.
AVSI per rispondere all’emergenza lancia dal 17 giugno al 31 agosto la campagna di raccolta fondi #10forSyria che invita a donare 10 euro per continuare a sostenere le popolazioni rifugiate:
Dona 10 euro e riempi una cisterna di 2.000 litri di acqua.
Dona 10 euro e compra 2 kg di fagioli, 2 di riso, 2 di zucchero e 2 lt di olio.
Dona 10 euro e paga 1 ora di corso di recupero per un bambino siriano.
La campagna viene realizzata sui social network Twitter e Facebook con fotografie e aggiornamenti quotidiani e sul sito www.avsi.org attraverso storie e fotogallery bisettimanali.
CREDITO VALTELLINESE – Sede Milano Stelline, Corso Magenta 59Iban: IT04D0521601614000000005000
c/c intestato AVSI FONDAZIONE   -   Causale: Siria

È lunga la lista della spesa che i colleghi di AVSI in Libano e Giordania fanno a chi li interroga circa i bisogni più urgenti.
 La crisi siriana non sembra ridurre il suo impatto devastante, aumentano i morti e aumentano i profughi. I dati ufficiali fanno venire i brividi: milioni di persone che hanno abbandonato le loro case e il rischio continuo che da un momento all’altro la crisi si armi anche in Libano o in Giordania.
In questo contesto AVSI oramai da diversi mesi sta lavorando per portare un po’ di sollievo alla popolazioni profuga in fuga e sia Marco Perini da Beirut che Simon Sweiss da Amman parlano all’unisono: “Quello che sta succedendo da queste parti sembra interessare pochi, ma abbiamo bisogno di aiuto perché ogni giorno la situazione peggiora e naturalmente colpisce principalmente i più deboli a cominciare dai bambini”. I numeri di quello che AVSI ha fatto fino ad oggi in Libano e Giordania parlano di 17.500 persone aiutate con materiali di prima necessità, 1.063 persone assistite con cibo e medicinali, 600 studenti accompagnati nel loro difficile percorso scolastico con corsi di recupero, 1.250 bambini e giovani supportati con attività psico-sociali e decine di attività fatte sulle singole persone per rispondere a bisogni specifici.
Papa Francesco ai partecipanti all’incontro del 5 giugno di coordinamento tra gli organismi caritativi cattolici che operano nel contesto della crisi in Siria, promosso dal pontificio consiglio “Cor Unum”, ha ricordato:
“La partecipazione di tutta la comunità cristiana a questa grande opera di assistenza e di aiuto è un imperativo nel momento presente. E pensiamo tutti, tutti pensiamo alla Siria.”
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venerdì 21 giugno 2013

Le due sconfitte dei cattolici italiani (Contributi 857)

Propongo all'attenzione dei lettori (che potrebbero con un semplice clik in coda al testo lasciare traccia di una loro condivisione o meno dello stesso) di questo testo di Mons. Negri (Arcivescovo di Ferrara e Comacchio) da La Bussola. Da parte mia penso che la situazione si molto seria e necessiti la presa di posizione e la conversione di ognuno di noi... 


C’è una sensazione che avverto fortissima in questo periodo, che peraltro coincide con i miei primi cento giorni nella diocesi di Ferrara-Comacchio. 
Da una parte c’è una incredibile attesa di una vera autorevolezza cristiana; attesa anche dai laici, perché non sono pochi coloro che, nello sconcerto attuale di una società evidentemente così empia, sentono il bisogno di una prossimità, il bisogno di essere accolti nelle istanze profonde della vita. E’ quella sensibilità che monsignor Giussani chiamava “il cammino al vero”, “la ricerca del volto umano”. 
L’esigenza di questo cammino al vero è fortissima. E il rinnovarsi di una esigenza di verità e di bellezza, di bene e di giustizia supera quotidianamente, anche se in modo molto debole, questo grigiore del consumismo, del relativismo etico, dell'opinionalismo, di questo mass-mediaticamente corretto che inquina la vita della nostra società, dalle famiglie fino alle realtà sociali più impegnate o più impegnative. C’è quindi una grande disponibilità del mondo, dell’uomo verso Cristo, verso la Chiesa. 
Dall'altra parte però quello che mi colpisce dolorosamente, quasi fisicamente, è l’incapacità di essere all'altezza di questa domanda: non della Chiesa come istituzione ma della cristianità intesa come esperienza viva di Chiesa nel mondo. 
Mi trovo spesso a pensare ai 37 anni contrassegnati dal grande Magistero, della grande testimonianza di Giovanni Paolo II, da questo straordinario riposizionamento della Chiesa di fronte al cuore dell’uomo, che ha riaperto il dialogo tra Cristo e il cuore dell’uomo. A questi 37 anni di un Magistero straordinario e di una capacità di dialogo con gli uomini ben prima e ben oltre visioni ideologiche e religiose; e agli anni non meno intensi e suggestivi, appassionati, di Benedetto XVI, nel suo infaticabile riproporre il cristianesimo come evento di compimento della ragione, dell’umanità; con quell'implacabile, dolcissimo insegnamento sul recupero della ragione, intesa in senso largo, compiuto, come apertura al mistero e non come affermazione delle propria capacità di organizzare scientificamente le conoscenze. 
Ebbene, dopo tutto questo è come se la cristianità italiana sia quasi inebetita. Inebetita. 
Così ora si profilano due sconfitte lancinanti per questa cristianità, a cui non avrei mai pensato di dover assistere, e che riempiono la mia vita di vergogna, perché è per affermare la verità della Chiesa e della sua missione contro queste tentazioni, che ho dedicato la mia vita di cristiano, di prete, adesso di vescovo, di ricercatore. 
La prima sconfitta è incredibile ma si è ormai compiuta. Dopo che con Giovanni Paolo II, in perfetta linea con la tradizione magisteriale della Chiesa, si era affermata la fede come condizione di una autentica conoscenza della realtà, della storia e della società; dopo che si era compreso che la fede diventa cultura, per cui - come ha detto tantissime volte – “se la fede non diviene cultura non è stata realmente accolta, pienamente vissuta, umanamente ripensata”; dopo tutto questo sta ridiventando maggioranza quel dualismo fede e cultura per cui la cultura rappresenta una realtà autonoma dalla fede. Così che con la cultura nella migliore delle ipotesi si può accennare a qualche momento di “dialogo” o di “cortile”, espressioni che una adeguata razionalità e una adeguata consapevolezza di fede fanno fatica a definire nella loro obiettività. 
Allora la fede si aggiunge alla cultura, ne rappresenta una introduzione di carattere spirituale, ne corregge o ne correggerebbe le conseguenze negative sul piano etico, aspetto questo assolutamente evidente quando si parla del rapporto fede-economia o fede-politica. 
Che fine ha fatto la grande e spettacolare enciclica Caritas in Veritate, che invece affermava la pertinenza della fede nei confronti delle stesse strutture, delle stesse dinamiche economiche? Ogni tanto la si vede citare, ma giusto il titolo. Anche i cosiddetti economisti cristiani hanno ripiegato su questa posizione, sono tornati velocemente a quella eticità dell’economia, che nell'apparente semplicità dice tutto perché non dice niente. L’economista cristiano e poi il politico cristiano in questa visione dovrebbero così temperare i rigori del capitalismo selvaggio. 
La fede invece forma la realtà; “la fede abilita noi credenti a interpretare, meglio di qualsiasi altro, le istanze più profonde dell’essere umano e ad indicarne con serena e tranquilla sicurezza le vie e i mezzi di un pieno appagamento”, diceva Giovanni Paolo II l’8 dicembre 1978 a docenti e studenti dell’Università Cattolica, tra cui c’ero anch'io, e lo posso dire con un orgoglio che non si è mai andato stemperando. E ho percepito la straordinaria novità di quell'incontro, troppo velocemente archiviato anche nell'ambito dell’Università Cattolica cui pure era stato riferito in maniera privilegiata e preferenziale. 
Non meno penosa dell’insorgere del dualismo fede-cultura, è l’altra grande sconfitta: l’insignificanza della presenza cattolica nell'agone sociale e politico. Oggi il voto dei cattolici è assolutamente insignificante nel panorama della vita italiana, come ebbe a dire giustamente il mio amico Alfredo Mantovano in un suo lucido intervento qualche mese fa. 
Chi sono i cattolici che militano nella varietà di espressioni socio-politiche che esistono? Gente che personalmente la domenica mattina andrà a messa, ci si augura; che è a posto dal punto di vista di una certa devozione alla vita morale, a meno che non si tratti di vita matrimoniale perché lì allora si aprono centinaia e centinaia di eccezioni, più o meno clamorose o più o meno nascoste ma assolutamente maggioritarie anche tra i cattolici in politica. Gente che personalmente e individualmente può avere anche una certa pratica di pietà. 
Ma ciò che caratterizza l’intervento di chi appartiene alla fede, la forma dell’intervento è la Dottrina Sociale della Chiesa. E il cuore della Dottrina Sociale della Chiesa sono i princìpi non negoziabili. Questi dettano le analisi di carattere socio-politico, e questi indicano anche le linee di un’azione che almeno dal punto di vista della cultura dovrebbero avere una certa unità. Dovrebbe esserci una certa unità dei cattolici in politica che poi può preludere a differenze dettate da valutazioni particolari e speriamo non soltanto da interessi particolari. 
Le ultime elezioni invece sono state la sagra dell’individualismo e dell'opinionalismo. I cattolici hanno votato per tutti e a vantaggio di tutti, senza chiedersi se questo loro voto avrebbe poi significato eleggere delle presenze che avrebbero tutelato non gli interessi della Chiesa, ma gli interessi della ragione e della fede, cioè dell’umanità. 
Tutto era avviato, la Provvidenza aveva avviato tutto perché ci fosse un risorgere della presenza cristiana, come presenza di popolo, come presenza culturale, sociale, politica. Che ne è ora della grande sfida della nuova evangelizzazione che abbiamo raccolto dal primo insegnamento di Giovanni Paolo II? 
Tornano i dualismi che si collegano ad alcuni nomi nefasti per la cristianità italiana, passati o presenti, che il pudore e la carità di patria mi impedisce di citare. 
Forse i magisteri paralleli stanno compiendo l’ultima e non meno grave delle loro vittorie. Ma la vittoria dell’individualismo culturale e della frammentazione della presenza politica dei cattolici, senza la custodia e la promozione dei princìpi non negoziabili, non è soltanto la sconfitta dei cristiani, come diceva Marcello Pera nella prefazione al mio volumetto “Per un umanesimo del Terzo Millennio”: “Qui se si perde, si perde tutti; se si vince si vince tutti”. 
Per adesso, salvo che la Provvidenza riscompigli le carte, possiamo veramente dire che stiamo perdendo tutti. 
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mercoledì 19 giugno 2013

Perdonare i nostri nemici è seme di fecondità (Contributi 856)

Da sito di Tempi questo articolo


Possiamo amare i nostri nemici? Papa Francesco, nell'omelia alla Messa alla Casa Santa Marta, ha parlato del perdono. Il pontefice ha fatto alcuni esempi concreti: come si può amare chi «bombarda e ammazza le persone»? Chi, attaccato ai soldi, non lascia che le medicine arrivino agli anziani e li lascia morire»? Chi, per il proprio interesse e potere «fa il male»? Amare il nemico «sembra una cosa difficile da fare», ha detto il Papa, eppure è proprio ciò che Cristo ci chiede, con il discorso delle Beatitudini. «Anche noi – ha osservato il Santo Padre – tante volte diventiamo nemici di altri: non vogliamo loro bene. E Gesù ci dice che noi dobbiamo amare i nemici! E questo non è facile! Pensiamo che Gesù ci chieda troppo! Lasciamo questo per le suore di clausura, che sono sante; lasciamo questo per qualche anima santa, ma per la vita comune questo non va. E questo deve andare! Gesù dice: “No, dobbiamo fare questo! Perché al contrario voi siete come i pubblicani, come i pagani. Non siete cristiani”». 

MA QUESTO ME NE HA FATTA UNA GROSSA. L’esempio ci arriva da Dio stesso, che ama tutti allo stesso modo («fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni», «fa piovere sui giusti e gli ingiusti»), e da Cristo che, per primo, ha «perdonato i suoi nemici». Come possiamo imitarlo e amare i nostri nemici? Innanzitutto pregando. «È quello che Gesù ci consiglia: “Pregate per i vostri nemici! Pregate per quelli che vi perseguitano! Pregate!”. E dire a Dio: “Cambiagli il cuore. Ha un cuore di pietra, ma cambialo, dagli un cuore di carne, che senta bene e che ami”. Soltanto lascio questa domanda e ciascuno di noi risponde nel suo cuore: “Io prego per i mie nemici? Io prego per quelli che non mi vogliono bene?”. Pregare perché il Signore cambi il cuore di quelli. Anche possiamo dire: “Ma questo me ne ha fatta una grossa”, o questi hanno fatto cose cattive e questo impoverisce le persone, impoverisce l’umanità. E con questo argomento vogliamo portare avanti la vendetta o quell'occhio per occhio, dente per dente». 

SEME DI FECONDITA’. Come Gesù si è «abbassato» e fatto povero», umiliandosi e perdonando i suoi nemici, così tocca al cristiano «in quell'abbassamento di Gesù – ha spiegato papa Francesco – c’è la grazia che ci ha giustificati tutti, ci ha fatto ricchi». È il «mistero di salvezza»: «Col perdono, con l’amore al nemico, noi diventiamo più poveri: l’amore ci impoverisce, ma quella povertà è seme di fecondità e di amore per gli altri. Noi che siamo oggi alla Messa, pensiamo ai nostri nemici a quelli che non ci vogliono bene: sarebbe bello che offrissimo la Messa per loro: Gesù, il sacrificio di Gesù, per loro, per loro che non ci amano. E anche per noi, perché il Signore ci insegni questa saggezza tanto difficile, ma tanto bella perché ci fa assomigliare al Padre, al nostro Padre e fa uscire il sole per tutti, buoni e cattivi. E ci fa assomigliare al Figlio, a Gesù, che nel suo abbassamento si è fatto povero per arricchirci, a noi, con la sua povertà». 
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martedì 18 giugno 2013

Abrogare le leggi (Contributi 855)

Da Cultura Cattolica una riflessione di Don Mangiarotti

«Il vostro compito è certamente tecnico e giuridico, e consiste nel proporre leggi, nell'emendarle o anche nell'abrogarle». Questo ha detto Papa Francesco alla Delegazione di Parlamentari francesi del gruppo di amicizia Francia-Santa Sede. E chissà perché sembrano parole cadute nel vuoto, almeno qui da noi in Italia. Perché pare che invece, in Francia, abbiano destato interesse e preoccupazione. Questo mi pare oggi il problema di fronte all'insegnamento della Chiesa: si cita solo ciò che è secondo la propria idea, la propria concezione, i propri interessi, e così quanto viene affermato viene edulcorato (o cancellato) a seconda dell’interprete. 
Nella situazione concreta mi pare che due siano i punti da evidenziare, a proposito di quanto Papa Francesco va dicendo con chiarezza: 

1. Innanzitutto siamo di fronte a un magistero che non si concepisce come isolato, senza una storia. Il fatto stesso di volere pubblicare una enciclica (quella sulla fede) che è frutto di lavoro comune col predecessore sta ad indicare che Papa Francesco ha fatto sua la posizione «cattolica»: ermeneutica della continuità. In questo senso – per quanto riguarda l’impegno dei cristiani nella vita politica – la continuità implica l’assunzione della Dottrina sociale cristiana come riferimento ultimo e normativo. 
2. Il Papa Francesco da un lato conosce la situazione sociale culturale e politica degli interlocutori (in questo caso la Francia di Hollande e Taubira) e dall’altro sa che la responsabilità della presenza politica è dei laici, a cui si rivolge. Ora non credo che le leggi a cui si riferisce siano leggi marginali, sul gioco della lippa, per esempio, o sulle dimensioni dei cartelli stradali. Sappiamo tutti quanti milioni di francesi hanno manifestato contro l’introduzione del cosiddetto «matrimonio per tutti». È così impensabile che il Papa potesse avere in mente, tra le altre, anche questo “mostro” di legge? 

Credo che sia compito dei cattolici, in particolare di chi opera nel campo magnifico della informazione, contribuire a che l’insegnamento integrale del Papa sia conosciuto. Ci pensa già il mondo laico/laicista a stravolgere o censurare quanto il Papa, con la sua dolcezza e insieme chiarezza, ci vuole comunicare. Diamoci una mossa, e scuotiamoci dal torpore della accondiscendenza all'ovvio! Ancora una volta è evidente che il compito che ci è affidato dal Signore, così coinvolgente in questi nostri tempi drammatici, non ha bisogno di disertori, ma di uomini appassionati e creativi. E qui un’ultima recentissima citazione: «Il fine dell’economia e della politica, è proprio il servizio agli uomini, a cominciare dai più poveri e i più deboli, ovunque essi si trovino, fosse anche il grembo della loro madre»
Non è chiaro? 
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Senza Padri nè Madri (Contributi 854)

Leggo e riporto l'ultimo editoriale di Samizdat On Line: 

“Nel nome del Genitore, del Figlio e dello Spirito Santo”, oppure “Genitore nostro, che sei nei cieli”, o ancora “Santa Maria, Genitore di Dio, prega per noi peccatori”. Quanto tempo dovremo aspettare prima di sentirci dire che dovremmo pregare così? Che non si dica che è solo una provocazione. Chi l’avrebbe mai detto, quarant'anni fa, quando andavamo a dormire dopo Carosello e la parola “preservativo” era proibita in TV, che un giorno il matrimonio omosessuale sarebbe stato definito un “diritto civile”, e che l’amore gay ricordato e celebrato per ogni dove, dalle pubblicità ai film, che rappresentanti istituzionali avrebbero partecipato alle parate dell’orgoglio gay, e che insomma l’omosessualità sarebbe stata vissuta come fatto pubblico e politico, celebrata e omaggiata – come vediamo in questi giorni - fino alla noia? Chi avrebbe mai pensato che piazze immense si sarebbero dovute riempire per chiedere, almeno, di non cancellare “mamma” e “papà” da leggi e vocabolario? 
E’ legittimo aspettarsi quindi, un giorno, di ritrovarsi a discutere se è il caso di cambiare anche le preghiere cristiane. Perché no? E non sarà una “costrizione”, un obbligo, ma un adeguarsi del linguaggio a una situazione in cui il cristianesimo, e il cattolicesimo in particolare, conoscerà un problema nuovo, del quale ancora non c’è consapevolezza: la nuova evangelizzazione in un’era post-cristiana, post-rivoluzione antropologica. 
Già, perché nel mondo in cui sono “famiglie” anche quelle con due mamme o due papà, in cui si finge che bambini possano nascere anche da persone dello stesso sesso, grazie a mix di gameti in provetta e uteri in affitto, l’evangelizzazione sarà più complicata.  
L’annuncio cristiano, infatti, è tutto basato su un’antropologia naturale, a partire dall'annuncio centrale: Dio si è fatto uomo, ci ha dato Suo figlio, partorito da una donna. Il mistero dell’incarnazione è totalmente intrecciato con la dinamica della generazione umana, e tutto il cristianesimo si legge, si racconta e si vive in analogia all'amore fecondo fra un uomo e una donna. Le figure del padre e della madre, dello sposo e della sposa ricorrono continuamente nelle scritture, così come quella del Figlio e del fratello. Parole che iniziano a non avere più quel significato universale, conosciuto in ogni angolo della terra, che permetteva di raccontare a tutti, in modo comprensibile, la buona notizia: il Padre nostro che è nei cieli nel suo immenso amore ci ha dato suo Figlio, partorito da una donna. Ma quale Padre? Non tutti ce l’hanno. Maria, Madre di Dio: quale Madre? Non è necessaria. E i figli: di chi? E che dire dei fratelli? Amatevi come fratelli? Quali sarebbero?
Proviamo a sfogliare Vangelo e Bibbia, e a rileggerne i passi e i racconti cancellando le parole e le figure di padre e madre, sfumando figli e fratelli: se i legami della carne e la differenza sessuale non contano più, ma importa solamente dei desideri e dei sentimenti reciproci, madre e padre e figlio e fratello e sorella sono solo parole per rapporti e preferenze personali, che mutano di significato a seconda delle situazioni. Dopo una simile operazione, che cosa rimane delle Sacre Scritture, e del catechismo? Racconti antichi e poco comprensibili non solo lessicalmente, ma nel loro significato più profondo. 
I bambini con due mamme, cresciuti come figli di due donne, come potranno pregare il padre comune “Padre nostro che sei nei cieli”? E quelli con due papà, come potranno rivolgersi a Maria, Madre di Dio e di tutti noi? Sarebbe poi così assurdo in un mondo così pensare di rivolgersi al “genitore” indifferenziato anche nelle preghiere? 
Non so quanto ci si sia riflettuto su. Ma ritenere che la “rivoluzione antropologica” possa arrivare senza travolgere tutto, compresa la quotidianità dell’annuncio cristiano, è pura illusione. Pensiamo alla nuova evangelizzazione - quella rivolta ai Paesi che cristiani sono stati, ma adesso non lo sono più, che vivono una dimenticanza che li fa, se possibile, ancor più pagani di quello che erano quando hanno incontrato i primi cristiani. Ecco, quella nuova evangelizzazione potrà essere tale e parlare davvero a tutti con parole e testimonianze di vita autentiche solo se consapevolmente sfiderà la rivoluzione antropologica, costruendo presìdi di verità, nei quali preservare e difendere e riconoscere pubblicamente e instancabilmente le fondamenta della natura umana. 
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domenica 16 giugno 2013

Domenica XI t.ord. 16-giu-2013 (Angelus 139)

Cari fratelli e sorelle! 
Beato Odoardo Focherini
Al termine di questa Eucaristia dedicata al Vangelo della Vita, sono lieto di ricordare che ieri, a Carpi, è stato proclamato Beato Odoardo Focherini, sposo e padre di sette figli, giornalista. Catturato e incarcerato in odio alla sua fede cattolica, morì nel campo di concentramento di Hersbruck nel 1944, a 37 anni. Salvò numerosi ebrei dalla persecuzione nazista. Insieme con la Chiesa che è in Carpi, rendiamo grazie a Dio per questo testimone del Vangelo della Vita! 
Ringrazio di cuore tutti voi che siete venuti da Roma e da tante parti d’Italia e del mondo, in particolare le famiglie e quanti operano più direttamente per la promozione e la tutela della vita. 
Saluto cordialmente i 150 membri dell’Associazione “Grávida” – Argentina, riuniti nella città di Pilar. Grazie tante per quello che fate! Coraggio, e andate avanti! Infine, saluto i numerosi partecipanti al raduno motociclistico Harley-Davidson e anche a quello del Motoclub Polizia di Stato. 
Ci rivolgiamo ora alla Madonna, affidando ogni vita umana, specialmente quella più fragile, indifesa e minacciata, alla sua materna protezione.
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venerdì 14 giugno 2013

Non dobbiamo nascondere i nostri peccati, perché Cristo ci salva nella carne (Contributi 853)

Da un articolo su Tempi: 

Papa Francesco, nella consueta Messa alla Casa Santa Marta, questa mattina ha dedicato la sua omelia al peccato e alla salvezza. L’unico modo per ricevere realmente il dono della salvezza di Cristo, ha detto il Santo Padre, è riconoscerci con sincerità deboli e peccatori, evitando ogni forma di auto-giustificazione. 

NESSUNA AUTOGIUSTIFICAZIONE. Papa Francesco ha preso spunto dalla Lettera di san Paolo ai cristiani di Corinto in cui l’apostolo scrive che la «straordinaria potenza» della fede è stata riversata in «vasi di creta», cioè negli uomini con tutta la loro fragilità, proprio perché sia chiaro che la salvezza è opera di Dio. «Il dialogo della salvezza», ha osservato il Papa, scaturisce «tra la grazia e la potenza di Gesù Cristo» e l’uomo peccatore. Ma questo non rappresenta un tentativo di «autogiustificazione» per Papa Francesco: «Deve essere come noi siamo». 
SAN PAOLO PERSECUTORE. Ha detto il Santo Padre: «Paolo, tante volte ha parlato – è come un ritornello, no? – dei suoi peccati. “Ma, io vi dico questo: io che sono stato un inseguitore della Chiesa, ho perseguito…”. Torna sempre alla sua memoria di peccato. Si sente peccatore. Ma anche in quel momento non dice: “Sono stato, ma adesso sono santo”, no. Anche adesso, una spina di Satana nella mia carne. Ci fa vedere la propria debolezza. Il proprio peccato. È un peccatore che accoglie Gesù Cristo. Dialoga con Gesù Cristo». 
IL «PRONTUARIO» DELLE COLPE. San Paolo, ha insistito Papa Francesco, squaderna davanti a tutti «il suo curriculum di servizio», tutto ciò che ha compiuto come inviato di Gesù. Ma con grande umiltà non nasconde neanche il «suo prontuario», ovvero le sue colpe nei confronti del Signore: «Anche, questo è il modello dell’umiltà di noi preti, di noi sacerdoti», ha detto il Pontefice. «Se noi ci vantiamo soltanto del nostro curriculum e niente più, finiremo sbagliati. Non possiamo annunziare Gesù Cristo Salvatore perché nel fondo non lo sentiamo. Ma dobbiamo essere umili, ma con un’umiltà reale, con nome e cognome: “Io sono peccatore per questo, per questo, per questo”. Come fa Paolo: “Ho perseguitato la Chiesa”, come fa lui, peccatori concreti. Non peccatori con quella umiltà che sembra più faccia da immaginetta, no? Eh no, l’umiltà forte”». 
GESÙ NON AVEVA UN PROGRAMMA INTELLETTUALE. «L’umiltà del sacerdote, l’umiltà del cristiano è concreta», ha continuato Papa Francesco. Se dunque il credente non riesce «a fare a se stesso e neanche alla Chiesa questa confessione, qualcosa non va». E soprattutto egli non potrà «capire la bellezza della salvezza che ci porta Gesù». Secondo il Santo Padre, «noi abbiamo un tesoro: questo di Gesù Cristo Salvatore. La Croce di Gesù Cristo, questo tesoro del quale noi ci vantiamo. Ma lo abbiamo in un vaso di creta. Vantiamoci anche del nostro prontuario, dei nostri peccati. E così il dialogo è cristiano e cattolico: concreto, perché la salvezza di Gesù Cristo è concreta. Gesù Cristo non ci ha salvati con un’idea, con un programma intellettuale, no. Ci ha salvato con la carne, con la concretezza della carne. Si è abbassato, fatto uomo, fatto carne fino alla fine. Ma solo si può capire, solo si può ricevere, in vasi di creta». 
LA SAMARITANA E MANZONI. Come san Paolo, anche la Samaritana, ha aggiunto il Pontefice in conclusione, confessò ai conterranei i propri peccati mentre raccontava loro l’incontro con Gesù al pozzo. «Io credo che questa donna sia in cielo, sicuro», ha detto Papa Francesco. «Perché, come dice il Manzoni, “mai ho trovato che il Signore abbia incominciato un miracolo senza finirlo bene” e questo miracolo che Lui ha incominciato sicuramente lo ha finito bene in Cielo». Alla Samaritana il Santo Padre si è rivolto infine perché «ci aiuti a essere vasi di creta per poter portare e capire il mistero glorioso di Gesù Cristo». 
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giovedì 13 giugno 2013

Pensa, ti prego

S. Giovanni Eudes
Pensa, ti prego, che Nostro Signore Gesù Cristo è il tuo vero capo, e che fai parte delle sue membra. Egli ti appartiene come il capo al corpo. 
Tutto ciò che è suo, è tuo: il suo Spirito, il suo cuore, il suo corpo, la sua anima, e tutte le sue facoltà. 
Non solamente Egli ti appartiene, ma vuole essere in te, vivendo e dominando in te come il capo vive e regna nelle sue membra. 
Egli vuole che tutto ciò che é in lui viva e domini in te: il suo spirito nel tuo spirito, il suo cuore nel tuo cuore, tutte le facoltà della sua anima nelle facoltà della tua anima, perché anche in te si adempiano queste divine parole: 
«Glorificate Dio nel vostro corpo» (1 Cor 6, 20) e perché la vita di Gesù si manifesti in te. 
(San Giovanni Eudes)
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