Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

venerdì 31 dicembre 2010

Dallo sfacelo attuale la riscoperta della Grazia (Contributi 425)

Ad un soffio dal nuovo anno questo editoriale di Samizdat On Line per chiudere quest'anno e iniziare l'altro con l'augurio di fare parte di una minnoranza. Ringrazio tutti coloro che sono passasti dal blog nel 2010 e mi auguro che possano essere ancora di più nel 2011. Intanto chiedo a ognuno di pregare per le intenzioni di tutti i frequentatori del blog in modo da diventare una comunità in preghiera e di preghiera. (vedi commenti al post precedente):

Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro 30-12-2010

Ho riletto in questi giorni di festività natalizie i sermoni del grande papa Leone Magno sul periodo del Natale e mi ha stupito che nell’esegesi del brano del profeta in cui si dice che è “un popolo che camminava nelle tenebre”, san Leone appunta così: «Altro che tenebre, il nostro mondo è in sfacelo. E a questo mondo in sfacelo soltanto il Signore Gesù Cristo può portare l’inizio della novità».
Credo che la parola sfacelo serva benissimo a dire il giudizio su questo anno che finisce e - dal puro punto di vista naturale e umano - su quello che inizia. Io vorrei trovare una sola persona sensata, che abbia un minimo uso della sua ragione, che sia attenta al suo cuore, che possa affrontare l’inizio di questo anno con un minimo di positività.
Siamo assediati quotidianamente dalla barbarie: la barbarie di chi rapisce ragazzine e le fa sparire nel nulla.
La barbarie di questi delitti familiari, che dilagano nella vita della società e sono oggi il punto di maggiore incremento della cosiddetta criminalità.
La barbarie dell’attacco alla vita, di mancanza di rispetto della vita in tutte le sue stagioni, dall’inizio fino al momento della riconsegna della propria vita al mistero di Dio.
La barbarie della violenza sui bambini: io penso a tutti i bambini che quest’anno – non solo in Italia, ma certamente anche in Italia – non sono venuti al mondo, non sono stati ammessi alla vita, per affermare il principio totalmente irragionevole della violenza individuale dei loro genitori; penso a tutti i bambini che vengono violati nella loro innocenza e al terribile – e incredibile per la mia mentalità, per la mia generazione – commercio sessuale con i bambini.
E poi che dire? La miseria della vita politica ha raggiunto livelli di assoluta incredibilità. Viene la voglia di non vedere più queste facce da qualsiasi parte siano, perché il proprio istinto diventa l’unica ragione ammantata di bene comune; ma poi non hanno neanche più il coraggio di parlare di bene comune. Sono mesi che gli uomini politici non usano più questa espressione, forse con l’unica eccezione del presidente del Consiglio nella sua lettera di auguri al Santo Padre.
E il mondo culturale? Che litiga sulle prebende delle varie case editrici e sull’appalto dei treni? Che fa consistere il valore artistico di un’opera nella sua capacità di mettere in crisi questo presunto regime?
Della magistratura non dico niente, perché con il clima pesante che c’è, anche se vescovo, posso finire persino in galera solo perché osare dare un giudizio viene subito equiparato all’insulto, come è accaduto a personaggi politici ben più autorevoli di me.
Io vorrei che andassimo a cercare un punto di positività. E’ qui che emerge con chiarezza anche quest’anno l’assoluta inconsistenza dei sentimenti di benevolenza, di positività, di ottimismo che uno chissà perché in queste ore dovrebbe andare a trovare chissà dove. Anche perché cercando di penetrare nel profondo di quello che io chiamo coscienza e cuore, la maggior parte dei nostri fratelli uomini ci trova il vuoto.
La coscienza e il cuore sono stati estirpati, al loro posto c’è una struttura di reazione alla mentalità massmediatica che viene sostanzialmente imposta come l’unica novità di vita possibile, Grande Fratello docet.
Allora, amici miei, converrà che noi ritorniamo alla grande saggezza della Chiesa che non ha mai festeggiato il primo dell’anno, il primo giorno dell’anno civile. Festeggia invece l’ottavo giorno della Nascita del Signore, che significa dunque che è l’Eterno diventato parte della nostra vita e della nostra storia che dà senso a questo scorrere del tempo mettendo dentro il mondo una minoranza.
Una minoranza di persone però che credono nel mistero di Cristo e che dal Mistero di Cristo traggono la chiarezza dei loro giudizi, l’energia della loro azione, il senso dell’utilità della loro vita, la capacità di leggere le prove – anche quelle difficili – come strumento pedagogico – misterioso ma reale – per un cammino di verità, di bellezza, di bene, di giustizia.
Noi non festeggiamo il primo dell’anno, noi ci accingiamo ad affrontare questo primo giorno dell’anno civile con la consapevolezza che la positività viene prima di questo.
E’ data dal mistero del nostro essere popolo di Dio, che proprio perché è popolo di Dio – e non nasce dalla carne e dal sangue, ma da Dio è generato – può mangiare e bere, vegliare e dormire, vivere e – ahimé – un giorno morire nella consapevolezza però che ha vissuto e vive una vita straordinariamente positiva perché abitata dal Mistero che fa buone tutte le cose.
Dico raramente Buon Anno, perché preferisco dire “A Dio”, cioè preferisco consegnare le mie giornate e le giornate di quelli che mi stanno accanto all’unico che può dare senso, significato e bellezza al nostro tempo. «Il tempo non produce nulla di buono»: non è l’agostinismo deteriore, è il realismo. Mai come in questi tempi si stanno avverando le più terribili profezie dei più pessimisti fra i profeti d’Israele. Ma forse questa terribile realtà in cui viviamo ci fa capire la Grazia della fede. Diceva il nostro grande Sant’Ambrogio, quello cui pur da lontano, da lontanissimo, cerco di ispirare la mia vita di vescovo: «Non sarebbe valsa la pena di nascere se Cristo non ci avesse poi salvati».
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Canterò eternamente la Tua misericordia, oh Signore (Interventi 64)

Una lettera di Padre Aldo Trento, una testimonianza bellissima:

Canterò eternamente la Tua misericordia, oh Signore

Guardando quest’anno che mi è stato donato, come tutti i 64 anni che appartengono già alla mia storia, una storia piena di miserie, di fragilità e di grazia, queste parole del salmista escono, quasi come un singhiozzo di allegria, dal mio cuore.
Quando mi ordinarono sacerdote, guardando la mia debolezza, la mia disubbidienza, la mia incapacità intellettuale, misi nel santino, ricordo, la frase di San Francesco di Assisi: "Accettami come sono e fammi come vuoi."
Quando compii i 25 anni di sacerdozio quasi 15 anni fa, lasciai agli amici come ricordo: "Canterò eternamente la Tua misericordia, Signore"
Che cosa c’è di più commovente, di più umano, alla fine di ogni anno, come di ogni giorno, riconoscere che la misericordia del Signore non solo è eterna, ma forma la ragione stessa del mio essere, del mio esistere!
Che cosa ci può essere di più bello alla fine di questo anno, pieno di fragilità, di miserie, che il poter riconoscere come San Paolo "Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia!" Che grazia, Dio mio, riconoscere che sono peccatore, riconoscere che ti facesti, Dio mio, uomo grazie ai miei peccati; riconoscere che se io fossi stato un essere coerente, perfetto, onesto, buono, carico di valori, Tu, oh Dio mio, non ti saresti fatto carne per me e per i miei fratelli peccatori!
Che stupore, Signore, vederti scendere dal cielo e prendere la mia carne, il mio sangue, i miei peccati, per mostrarmi quanto io sia peccatore ai tuoi occhi, quanto grande è la Tua stima per me, perché io sono Tuo, come ci ricorda il profeta Isaia!
Che dolore Oh Gesù, mi provocano quegli uomini che per eliminarti della propria storia, si affannano a costruire sistemi perfetti per annullare la Tua presenza nel mondo dei peccatori!
Che angoscia, oh Gesù, provo giorno dopo giorno, quando i miei fratelli, perfino sacerdoti come me, preoccupati di proporre una morale, un'etica, un compromesso sociale, convinti che questo è il cristianesimo, dimenticano che il cristianesimo sei Tu, oh Gesù, presente oggi tra e con noi!
Perché, oh Gesù, abbiamo vergogna di Te, la Chiesa ha vergogna di Te? Perché, oh Gesù, non prendiamo sul serio le reiterate parole del Santo Padre che invitano alla conversione, conversione che significa dire “Tu oh Cristo mio”?
Perché, come abbiamo ascoltato in questi giorni dalla bocca di chi "governa" questo paese, non riconosciamo che non stiamo ormai nell'Antico Testamento aspettando il Messia, il mondo nuovo, ma che il mondo nuovo è un fatto, un Presente?
Perché non riconoscere la Tua Presenza che agisce oggi nella Chiesa, casta meretrice, nei tratti di migliaia e migliaia di persone che sono il segno vivo della Tua Presenza?
La cristianità non è qualcosa che comincia ora, come ideologicamente afferma una certa teologia della liberazione nel nostro paese perché finalmente ha raggiunto il potere, ma da 2000 anni è un Fatto Presente.
Il bambino non deve nascere, è nato, nasce ogni momento nella santità di chi ti riconosce, oh Cristo, come la ragione ultima della vita, il fine ultimo dell'esistenza.
Per questo motivo in questo fine d’anno il mio cuore e quello di molti amici, gli amici di Gesù, come definisce il Papa i cristiani, vogliamo ringraziarti perché a causa dei nostri peccati ti sei fatto carne per me e per ogni uomo.
Oh Gesù, ti prego affinché finisca in me ed in tutti lo scandalo per le nostre miserie, finisca in noi la mania dei valori, l'orgoglio di essere i primi della classe e di essere i protagonisti, senza Te, dell'utopia di un mondo migliore.
Oh Gesù, ti prego affinché la Tua grazia mi illumini, ci illumini per prendere coscienza che l'ideale per il quale vivere non è la coerenza ma l'appartenenza a Te, come un bambino appartiene ai suoi genitori e in questo modo cresce felice.
Questo anno è stato grande perché grande è stata l'esperienza della Tua infinita misericordia che nella confessione settimanale o più volte nella settimana, diventò palpabile, visibile, riempiendomi di gioia.
Signore "Io non sono degno che Tu entri nella mia casa, ma basta una tua parola e la mia anima sarà guarita."
Per questo motivo le parole che più mi hanno commosso durante quest’anno sono state quelle del sacerdote che spesso tracciando su me il segno della croce mi diceva: "Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Amen."
“Te Deum laudámus: te Dóminum confitémur… In te, Dómine, sperávi: non confúndar in ætérnum”.
P. Aldo
E con questo auguro a voi tutti un santo, sereno e prospero anno nuovo, nel quale continuare insieme il nostro cammino verso Cristo.
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mercoledì 29 dicembre 2010

Caterina e le 7 armi contro il diavolo (Contributi 424)

Un articolo di Massimo Introvigne, tratto da La Bussola, sull'odierna udienza di Benedetto XVI:

Benedetto XVI ha dedicato l’udienza generale del 29 dicembre 2010 a una presentazione particolarmente ampia della vita e degli scritti di santa Caterina da Bologna (1413-1463), che gli ha offerto l’occasione di approfondire la realtà dell’azione del demonio.

Caterina de’ Vigri nasce a Bologna nel 1413 in una famiglia patrizia. Il padre è un diplomatico al servizio del marchese di Ferrara Niccolò III d’Este (1383-1441), che – come afferma Benedetto XVI – «benché conduca una vita privata non esemplare, cura molto il bene spirituale, la condotta morale e l’educazione dei sudditi», «trasformando Ferrara in una splendida città», una delle capitali della cultura europea. A dieci anni Caterina si trasferisce a Ferrara e inizia a frequentare la corte, dove, spiega il Papa, «non risente degli aspetti negativi» del mondo che ruota intorno a un principe cui i cronisti dell’epoca attribuiscono, forse esagerando, ottocento amanti, ma acquisisce un grande «patrimonio culturale e artistico» che la farà in seguito riconoscere come una delle donne più colte del suo tempo.
Nei quattro anni trascorsi a corte – dai dieci ai quattordici anni – sviluppa una grande sensibilità con una straordinaria maturità spirituale, che – mentre non le fa rifiutare nulla della grande cultura europea presente a Ferrara – le fa vedere con chiarezza come il male e il demonio siano all’opera dovunque si conducano vite immorali e sregolate. Così, a quattordici anni, con altre giovani di famiglie nobili ferraresi decide di lasciare la corte estense per dare vita a una comunità religiosa.
Qui però il diavolo, che Caterina aveva già imparato a scorgere nella vita di corte, la attende per tormentarla. La sua vita religiosa, ha detto il Papa, è segnata fin da subito dalle «tentazioni del demonio». La piccola suora quattordicenne ne è inizialmente quasi sconfitta: «attraversa una profonda crisi spirituale fino alle soglie della disperazione» e «vive nella notte dello spirito, percossa pure dalla tentazione dell’incredulità verso l’Eucaristia».
Ma Dio è più forte del demonio. «Dopo tanto patire, il Signore la consola: in una visione le dona la chiara conoscenza della presenza reale eucaristica, una conoscenza così luminosa che Caterina non riesce ad esprimere con le parole».
La fede di Caterina è salda, ma il diavolo continua a operare – come fa spesso nelle comunità – seminando divisioni: «sorgono tensioni tra chi vuole seguire la spiritualità agostiniana e chi è più orientata verso la spiritualità francescana». Il gruppo si divide, e la santa segue la frazione che sceglie la regola francescana. Una serie di eccellenti confessori francescani l’aiuta a sostenere le lotte contro il diavolo, che non si arrestano. «Nel 1431 – continua il Papa – ha una visione del giudizio finale.
La terrificante scena dei dannati la spinge a intensificare preghiere e penitenze per la salvezza dei peccatori. Il demonio continua ad assalirla ed ella si affida in modo sempre più totale al Signore e alla Vergine Maria».
Gli scritti che Caterina ci ha lasciato, in particolare il trattato Le sette armi spirituali, sono per noi preziosi, afferma il Papa, perché ci consegnano le «note essenziali di questo misterioso combattimento» fra i cristiani, specialmente (ma non solo) le persone consacrate e il diavolo: «vuole mettere in guardia dalle tentazioni del demonio, che si nasconde spesso sotto sembianze ingannatrici, per poi insinuare dubbi di fede, incertezze vocazionali, sensualità».
Dal momento che il diavolo non ha certo cessato la sua opera di tentatore, né la sua lotta per seminare peccato e divisione tra le anime consacrate a Dio, gli insegnamenti di santa Caterina da Bologna sono di grande attualità ancora oggi.
La santa, spiega Benedetto XVI, «individua sette armi nella lotta contro il male, contro il diavolo:
1. avere cura e sollecitudine nell'operare sempre il bene;
2. credere che da soli non potremo mai fare qualcosa di veramente buono;
3. confidare in Dio e, per amore suo, non temere mai la battaglia contro il male, sia nel mondo, sia in noi stessi;
4. meditare spesso gli eventi e le parole della vita di Gesù, soprattutto la sua passione e morte;
5. ricordarsi che dobbiamo morire;
6. avere fissa nella mente la memoria dei beni del Paradiso;
7. avere familiarità con la Santa Scrittura, portandola sempre nel cuore perché orienti tutti i pensieri e tutte le azioni. Un bel programma di vita spirituale, anche oggi, per ognuno di noi!».
La vita stessa di Caterina spiega come resistere al diavolo e alla sua principale arma di tentazione, l’orgoglio, che induce alla disobbedienza a Dio, alla Chiesa e ai superiori. La santa vede «nella disobbedienza quell’orgoglio spirituale che distrugge ogni altra virtù». Per obbedienza accetta i servizi più umili, e sempre per obbedienza – quando ormai vorrebbe finire i suoi giorni a Ferrara – accoglie nel 1456 la proposta di diventare badessa di un nuovo monastero a Bologna. Continua a guidarlo per sette anni benché provata dalla malattia e dalla sofferenza, e completa anche il manoscritto de Le sette armi spirituali, come le ha chiesto il suo confessore.
Divenuta badessa, è «credibile nell’autorità», come sempre dovrebbe accadere, perché era stata credibile nell’ubbidienza anche a superiore meno colte e sante di lei. A Bologna «spira dolcemente, pronunciando tre volte il nome di Gesù: è il 9 marzo 1463 […]. La città di Bologna, nella cappella del monastero del Corpus Domini, custodisce il suo corpo incorrotto».
Per Benedetto XVI santa Caterina da Bologna «dalla distanza di tanti secoli, è, tuttavia, molto moderna e parla alla nostra vita». Infatti, non vi è nulla di più moderno – tanti indizi lo rivelano oggi – dell’azione del demonio delle sue «tentazioni dell'incredulità, della sensualità», di un «combattimento difficile, spirituale» che non è solo contro le nostre debolezze umane ma è contro le insidie sempre rinnovate del maligno.
Le sette regole di santa Caterina da Bologna sono ancora per noi una guida sicura in questo combattimento. E la vita della santa ci conferma che il cristiano, se deve realisticamente avere presente l’azione del demonio, non deve però cedere alla paura.
Il diavolo si può sconfiggere: anzi, è già sconfitto dal Salvatore, e a noi è affidato il compito – come ha detto il Papa – di «non lasciare la mano del Signore» per partecipare alla Sua vittoria.
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L'Europa ignora le feste cristiane (Contributi 423)

Ecco un altro articolo (di Robi Ronza) tratto dalla Bussola che ci aiuta a copire la gravità della situazione:

Abbandonando lodevolmente per una volta il suo consueto linguaggio diplomatico, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha definito “un’indecenza” il fatto che in un diario scolastico edito in tre milioni di copie a cura della Commissione Europea tra le festività religiose in calendario non ci sia il Natale. Stampato in tutte le lingue dell’Unione, il diario, che contiene l’indicazione delle feste delle più diverse fedi, ignora così una delle due maggiori feste cristiane, quella che appunto ricorda la nascita di Gesù.

Frattini ha chiesto che il diario venga ritirato e che il presidente della Commissione Barroso apra un’inchiesta sull’episodio. Anche in questo ha fatto benissimo: che vi si ponga rimedio infatti è necessario ma non sufficiente. Occorre pure andare a vedere come ciò sia potuto accadere al fine di creare poi le condizioni perché cose del genere non si possano ripetere. Oportet ut scandala eveniant, (è opportuno avvengano scandali) viene da dire citando il Vangelo. Il masochismo anti-cristiano di una parte consistente delle élites europee comincia a suscitare reazioni che da anni si stavano attendendo invano. Un primo segnale che qualcosa stava cambiando era venuto dalle prese di posizione contro il tentativo di imporre tramite una sentenza della Corte Europea di Giustizia che il crocifisso venisse tolto dalle aule scolastiche e dagli uffici pubblici del nostro Paese.
Lo scorso 26 novembre il Parlamento Europeo, su proposta del deputato italiano Mario Mauro, ha votato una risoluzione nella quale si denuncia la persecuzione dei cristiani iracheni, mentre in precedenza una lettera di solidarietà con i cristiani perseguitati nel mondo era stata sottoscritta da 160 deputati, ossia da oltre la metà di essi. Se si pensa che questo stesso Parlamento aveva in passato sottoscritto più risoluzioni critiche contro la Santa Sede che contro le violazioni dei diritti umani in Cina ci si può fare un’idea dell’entità della svolta.
Molto significative sono anche alcune importanti prese di posizione del Cancelliere tedesco Angela Merkel che in recenti discorsi ha sottolineato la rilevanza del fatto cristiano affermando tra l’altro che oggi il problema in Germania “non è che abbiamo troppo islam; è che abbiamo troppo poco cristianesimo”.
Al pensiero di tutte queste cose, in questa notte di Natale in cui sto scrivendo in fretta volendo finire in tempo per la Messa, mi si riaffaccia alla memoria la cruciale domanda che si ritrova ne i Cori della Rocca di T.S. Eliot: “E’ l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità?”. Una domanda che riguarda non solo la Chiesa come istituzione ma anche tutti coloro che, come me, la vedono non come estranea e nemmeno come qualcosa di buono ma di altro da sé, ma invece sono convinti che “la Chiesa siamo noi”.
Oggi più che mai tutti quanti dobbiamo assumerci la responsabilità di rendere apertamente ragione della nostra fede e della nostra speranza, e prima ancora di vivere in un modo che sia ipso facto una testimonianza.
E’ una responsabilità che ha chiunque, e non solo chi riveste un ruolo pubblico.
Ciascuno di noi, anche il meno noto e all’apparenza il meno influente, per pochi o tanti è noto e influente là dove vive e lavora.
E ci sono persone che certe cose le possono ascoltare e sono disposte ad ascoltarle molto più da lui che dallo scrittore noto o dal famoso commentatore radiofonico o televisivo. Teniamone conto.
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In altre parole la diffusione della parola di Gesù nel luogo dove siamo, viviamo, ci muoviamo è compito nostro, responsabilità nostra. E sarà a noi che verrà chiesto conto di  ogni parola non detta e di ogni tesimonianza non data....
Pensiamoci prima di nasconderci dietro la sindrome di Pietro la notte del giovedì santo (= io non Lo conosco) e se ciò fosse accaduto, continuiamo ad imitare il primo Papa con il sincero pentimento..
Buon anno nuovo a tutti. E che sia anno di vero e sincero cambiamento.
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martedì 28 dicembre 2010

E il Papa spiegò Dickens alla Bbc (Contributi 422)

Vi propongo questo articolo di Massimo Introvigne tratto dalla Bussola:

Al termine del Canto di Natale in prosa di Charles Dickens (1812-1870), riproposto di recente anche da alcune affascinanti versioni cinematografiche, il piccolo Tim – il bambino malato che ha contribuito a redimere il vecchio avaro Scrooge – esclama: «Il Signore vi benedica tutti». Con queste stesse parole notissime a ogni inglese, che ha studiato a scuola almeno una volta il Canto di Natale di Dickens, Benedetto XVI ha concluso, il 24 dicembre, uno dei suoi più singolari messaggi.

C'era una volta la BBC, la radio-televisione inglese che attaccava la Chiesa Cattolica e il Papa a ogni pié sospinto. E c'è ancora. Ma dal viaggio del Papa in Gran Bretagna del settembre 2010, un successo straordinario e del tutto imprevisto, qualcosa è cambiato. Ed ecco l'invito della BBC al Papa per tre minuti di messaggio radiofonico in lingua inglese, il 24 dicembre.
Tre minuti che hanno stupito le decine di milioni di ascoltatori della BBC in tutto il mondo anglofono. Nessuna polemica, ma il messaggio di Gesù Cristo senza sconti per nessuno. Si potrebbe dire che ci sono il Catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio. E che ora ci sono i tre minuti della BBC, il compendio del compendio, la storia della salvezza raccontata in tre battute.


Primo minuto: il mondo, ricorda il Papa, è sempre in attesa di qualcosa. È fatto così. L’attesa, in un certo senso, lo costituisce, almeno dopo il peccato originale. Ma spesso il mondo sbaglia attesa. Succede oggi. E succedeva ai tempi di Gesù, quando «il popolo scelto da Dio, i figli di Israele, vivevano un’attesa intensa. Aspettavano il Messia che Dio aveva promesso di inviare, e lo descrivevano come un grande leader che li avrebbe riscattati dal dominio straniero e avrebbe restaurato la loro libertà». In questa attesa c'era qualche cosa di giusto: la fiducia nelle promesse di Dio, la speranza della libertà. Ma anche qualcosa di sbagliato: l'idea che la liberazione sarebbe arrivata per via materiale e soltanto politica.


Secondo minuto: il Papa spiega che «Dio è sempre fedele alle sue promesse, ma spesso ci sorprende nel modo di compierle». Gli ebrei attendevano la liberazione. L’attesa non è andata delusa. «Il bimbo nato a Betlemme ha portato la liberazione». Ma una liberazione diversa da quella che molti ebrei aspettavano: «la liberazione che egli ha portato non era politica […]: al contrario, Cristo ha distrutto la morte per sempre e rinnovato la vita per mezzo della sua morte obbrobriosa sulla croce. E benché sia nato nella povertà e nel nascondimento, lontano dai centri del potere terreno, egli era lo stesso Figlio di Dio. Per amore nostro egli ha preso su di sé la nostra condizione umana, la nostra fragilità, la nostra vulnerabilità, e ha aperto per noi la via che porta alla pienezza della vita, alla partecipazione alla vita stessa di Dio». Gli ebrei aspettavano la liberazione nel senso di fine del dominio romano. È venuto qualcosa di molto più grande, la redenzione universale ci tutti – non degli ebrei soltanto – per mezzo della povertà e della sofferenza dello stesso Figlio di Dio.


Terzo minuto: Dio ci ha dunque dato molto, più di quanto aspettavamo. in effetti, ci ha dato tutto nel Figlio Suo che ci ha redento. Ma si attende da noi una duplice risposta: che accogliamo con fede il Figlio suo e che annunciamo agli altri la Buona Novella che abbiamo ricevuto. «Mentre meditiamo nei nostri cuori su questo grande mistero in questo Natale, ringraziamo Dio per la sua bontà verso di noi, e annunciamo con gioia a chi è intorno a noi la buona notizia che Dio ci offre la libertà da tutto ciò che ci opprime: ci dona speranza, ci porta vita».
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domenica 26 dicembre 2010

L'uomo non può redimere se stesso (Contributi 421)

ROMA, sabato, 25 dicembre 2010 (ZENIT.org)
Nella messa per la notte di Natale Benedetto XVI ha lanciato una critica contro il falso moralismo secondo cui l'uomo può redimersi da sé ed ha spiegato come Dio nel farsi Bambino abbia mostrato il suo vero volto di Amore.

La celebrazione, svoltasi nella Basilica di San Pietro, in una notte di pioggia, ha avuto inizio con la proclamazione della “Kalenda”, l'antico scritto che annuncia la nascita di Cristo, cantato in latino da un cantore della Cappella Sistina.
Nell'omelia per la celebrazione, anticipata di due ore rispetto alla mezzanotte, il Papa ha spiegato il senso di Natale in cui “l’infinita distanza tra Dio e l’uomo è superata” ed ha composto una preghiera per invocare la fine della tirannia della violenza.


Falso spiritualismo e moralismo
Nello spiegare il mistero del Natale e dell'azione di Dio, il Pontefice ha invitato a superare due estremi nella vita spirituale.
In primo luogo quello di chi riconosce “l’operare esclusivo di Dio, come se Egli non avesse chiamato l’uomo ad una risposta libera di amore”.
Sarebbe sbagliata, però, anche un’interpretazione moralizzante, secondo cui l’uomo con la sua buona volontà potrebbe, per così dire, redimere se stesso”, ha avvertito.
“Ambedue le cose vanno insieme – ha aggiunto –: grazia e libertà; l’amore di Dio, che ci previene e senza il quale non potremmo amarLo, e la nostra risposta, che Egli attende e per la quale, nella nascita del suo Figlio, addirittura ci prega”.
“Dio ci ha prevenuto con il dono del suo Figlio – ha detto il Santo Padre –. Sempre di nuovo Dio ci previene in modo inatteso. Non cessa di cercarci, di sollevarci ogniqualvolta ne abbiamo bisogno. Non abbandona la pecora smarrita nel deserto in cui si è persa. Dio non si lascia confondere dal nostro peccato. Egli ricomincia sempre nuovamente con noi”.
“Tuttavia – ha continuato – aspetta il nostro amare insieme con Lui. Egli ci ama affinché noi possiamo diventare persone che amano insieme con Lui e così possa esservi pace sulla terra”.


Una preghiera di Natale
Il Papa ha poi affermato che è vero che dall'incarnazione del Figlio di Dio sono nate delle “isole di pace” - “ovunque essa viene celebrata si ha un’isola di pace, di quella pace che è propria di Dio” - ma è anche vero, come diceva il profeta Isaia, che “'il bastone dell’aguzzino' non è stato spezzato”.
“Anche oggi marciano rimbombanti i calzari dei soldati e sempre ancora e sempre di nuovo c’è il 'mantello intriso di sangue'”, a cui fa riferimento il profeta dell'Antico Testamento.
Per questo, il Successore di Pietro ha recitato questa preghiera per il Natale: “Signore, realizza totalmente la tua promessa. Spezza i bastoni degli aguzzini. Brucia i calzari rimbombanti. Fa che finisca il tempo dei mantelli intrisi di sangue. Realizza la promessa: 'La pace non avrà fine'” (Is 9,6).
Ed ha concluso: “Ti ringraziamo per la tua bontà, ma ti preghiamo anche: mostra la tua potenza. Erigi nel mondo il dominio della tua verità, del tuo amore – il “regno della giustizia, dell’amore e della pace”.
Al termine della messa, l’immagine di Gesù Bambino, accompagnata da alcuni bambini con un omaggio floreale, è stata portata in processione al Presepio della Basilica, davanti al quale il Santo Padre si è fermato in silenziosa preghiera.
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sabato 25 dicembre 2010

Natale 2010 (Interventi 63)

Ricevo da amici e pubblico (grassetti ed evidenziature sono miei):

Non è una legge universale, in seno alla quale noi svolgiamo poi qualche ruolo, ma è una Persona che si interessa di ogni singola persona: il Figlio del Dio vivo si è fatto uomo a Betlemme. A molti uomini, ed in qualche modo a noi tutti, questo sembra troppo bello per essere vero. In effetti, qui ci viene ribadito: sì, esiste un senso, ed il senso non è una protesta impotente contro l’assurdo. Il Senso ha potere: è Dio.
Un Dio buono, che non va confuso con un qualche essere eccelso e lontano, a cui non sarebbe mai dato di arrivare, ma un Dio che si è fatto nostro prossimo e ci è molto vicino, che ha tempo per ciascuno di noi e che è venuto per rimanere con noi.
E’ allora spontaneo domandarsi: “E’ mai possibile una cosa del genere? E’ cosa degna di Dio farsi bambino?”.
Per cercare di aprire il cuore a questa verità che illumina l’intera esistenza umana, occorre piegare la mente e riconoscere la limitatezza della nostra intelligenza. Nella grotta di Betlemme, Dio si mostra a noi umile “infante” per vincere la nostra superbia.
Forse ci saremmo arresi più facilmente di fronte alla potenza, di fronte alla saggezza; ma Lui non vuole la nostra resa; fa piuttosto appello al nostro cuore e alla nostra libera decisione di accettare il suo amore.
Si è fatto piccolo per liberarci da quell’umana pretesa di grandezza che scaturisce dalla superbia; si è liberamente incarnato per rendere noi veramente liberi, liberi di amarlo.

(Benedetto XVI)
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Messaggio Urbi et Orbi Natale 2010 (Contributi 420)

“Verbum caro factum est”
“Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14)

Cari fratelli e sorelle, che mi ascoltate da Roma e dal mondo intero, con gioia vi annuncio il messaggio del Natale: Dio si è fatto uomo, è venuto ad abitare in mezzo a noi. Dio non è lontano: è vicino, anzi, è l’“Emmanuele”, Dio-con-noi. Non è uno sconosciuto: ha un volto, quello di Gesù.

E’ un messaggio sempre nuovo, sempre sorprendente, perché oltrepassa ogni nostra più audace speranza. Soprattutto perché non è solo un annuncio: è un avvenimento, un accadimento, che testimoni credibili hanno veduto, udito, toccato nella Persona di Gesù di Nazareth! Stando con Lui, osservando i suoi atti e ascoltando le sue parole, hanno riconosciuto in Gesù il Messia; e vedendolo risorto, dopo che era stato crocifisso, hanno avuto la certezza che Lui, vero uomo, era al tempo stesso vero Dio, il Figlio unigenito venuto dal Padre, pieno di grazia e di verità (cfr Gv 1,14).
“Il Verbo si fece carne”. Di fronte a questa rivelazione, riemerge ancora una volta in noi la domanda: come è possibile? Il Verbo e la carne sono realtà tra loro opposte; come può la Parola eterna e onnipotente diventare un uomo fragile e mortale?
Non c’è che una risposta: l’Amore.
Chi ama vuole condividere con l’amato, vuole essere unito a lui, e la Sacra Scrittura ci presenta proprio la grande storia dell’amore di Dio per il suo popolo, culminata in Gesù Cristo.
In realtà, Dio non cambia: Egli è fedele a Se stesso. Colui che ha creato il mondo è lo stesso che ha chiamato Abramo e che ha rivelato il proprio Nome a Mosè: Io sono colui che sono … il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe … Dio misericordioso e pietoso, ricco di amore e di fedeltà (cfr Es 3,14-15; 34,6).
Dio non muta, Egli è Amore da sempre e per sempre.
E’ in Se stesso Comunione, Unità nella Trinità, ed ogni sua opera e parola mira alla comunione. L’incarnazione è il culmine della creazione. Quando nel grembo di Maria, per la volontà del Padre e l’azione dello Spirito Santo, si formò Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, il creato raggiunse il suo vertice. Il principio ordinatore dell’universo, il Logos, incominciava ad esistere nel mondo, in un tempo e in uno spazio.
“Il Verbo si fece carne”. La luce di questa verità si manifesta a chi la accoglie con fede, perché è un mistero d’amore. Solo quanti si aprono all’amore sono avvolti dalla luce del Natale. Così fu nella notte di Betlemme, e così è anche oggi.
L’incarnazione del Figlio di Dio è un avvenimento che è accaduto nella storia, ma nello stesso tempo la oltrepassa. Nella notte del mondo si accende una luce nuova, che si lascia vedere dagli occhi semplici della fede, dal cuore mite e umile di chi attende il Salvatore. Se la verità fosse solo una formula matematica, in un certo senso si imporrebbe da sé. Se invece la Verità è Amore, domanda la fede, il “sì” del nostro cuore.
E che cosa cerca, in effetti, il nostro cuore, se non una Verità che sia Amore? La cerca il bambino, con le sue domande, così disarmanti e stimolanti; la cerca il giovane, bisognoso di trovare il senso profondo della propria vita; la cercano l’uomo e la donna nella loro maturità, per guidare e sostenere l’impegno nella famiglia e nel lavoro; la cerca la persona anziana, per dare compimento all’esistenza terrena.
“Il Verbo si fece carne”. L’annuncio del Natale è luce anche per i popoli, per il cammino collettivo dell’umanità. L’“Emmanuele”, Dio-con-noi, è venuto come Re di giustizia e di pace. Il suo Regno – lo sappiamo – non è di questo mondo, eppure è più importante di tutti i regni di questo mondo. E’ come il lievito dell’umanità: se mancasse, verrebbe meno la forza che manda avanti il vero sviluppo: la spinta a collaborare per il bene comune, al servizio disinteressato del prossimo, alla lotta pacifica per la giustizia. Credere nel Dio che ha voluto condividere la nostra storia è un costante incoraggiamento ad impegnarsi in essa, anche in mezzo alle sue contraddizioni. E’ motivo di speranza per tutti coloro la cui dignità è offesa e violata, perché Colui che è nato a Betlemme è venuto a liberare l’uomo dalla radice di ogni schiavitù.
La luce del Natale risplenda nuovamente in quella Terra dove Gesù è nato e ispiri Israeliani e Palestinesi nel ricercare una convivenza giusta e pacifica. L’annuncio consolante della venuta dell’Emmanuele lenisca il dolore e consoli nelle prove le care comunità cristiane in Iraq e in tutto il Medio Oriente, donando loro conforto e speranza per il futuro ed animando i Responsabili delle Nazioni ad una fattiva solidarietà verso di esse.
Ciò avvenga anche in favore di coloro che ad Haiti soffrono ancora per le conseguenze del devastante terremoto e della recente epidemia di colera.
Così pure non vengano dimenticati coloro che in Colombia ed in Venezuela, ma anche in Guatemala e in Costa Rica, hanno subito le recenti calamità naturali.
La nascita del Salvatore apra prospettive di pace duratura e di autentico progresso alle popolazioni della Somalia, del Darfur e della Costa d’Avorio; promuova la stabilità politica e sociale del Madagascar; porti sicurezza e rispetto dei diritti umani in Afghanistan e in Pakistan; incoraggi il dialogo fra Nicaragua e Costa Rica; favorisca la riconciliazione nella Penisola Coreana.
La celebrazione della nascita del Redentore rafforzi lo spirito di fede, di pazienza e di coraggio nei fedeli della Chiesa nella Cina continentale, affinché non si perdano d’animo per le limitazioni alla loro libertà di religione e di coscienza e, perseverando nella fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, mantengano viva la fiamma della speranza.
L’amore del “Dio con noi” doni perseveranza a tutte le comunità cristiane che soffrono discriminazione e persecuzione, ed ispiri i leader politici e religiosi ad impegnarsi per il pieno rispetto della libertà religiosa di tutti.
Cari fratelli e sorelle, “il Verbo si fece carne”, è venuto ad abitare in mezzo a noi, è l’Emmanuele, il Dio che si è fatto a noi vicino. Contempliamo insieme questo grande mistero di amore, lasciamoci illuminare il cuore dalla luce che brilla nella grotta di Betlemme! Buon Natale a tutti!
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giovedì 23 dicembre 2010

Nel mistero dell’incarnazione (Contributi 419)

Vi rendo partecipi di una lettera che Julian Carron (responsabile di CL) ha inviato all'Osservatore Romano:

L’Osservatore Romano, 23 dicembre 2010

Nel mistero dell’incarnazione l’uomo e la storia Il prodigio che tutti aspettiamo

«Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il Cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto “contro” sarebbe insopportabile» (Luce del mondo, p. 27).
Queste parole di Benedetto XVI ci lanciano una sfida: che cosa significa essere cristiani oggi? Continuare a credere semplicemente per tradizione, devozione o abitudine, ritirandosi nel proprio guscio, non è all’altezza della sfida. Allo stesso modo, reagire con forza e andare contro per recuperare il terreno perduto è insufficiente, il Papa dice addirittura che è «insopportabile». L’una e l’altra strada − ritirarsi dal mondo o essere contro − non sono capaci, in fondo, di suscitare interesse per il cristianesimo, perché nessuna delle due rispetta quello che sarà sempre il canone dell’annuncio cristiano: il Vangelo.
Gesù si è posto nel mondo con una capacità di attrarre che ha affascinato gli uomini del suo tempo. Come dice Péguy: «Egli non perse i suoi anni a gemere e interpellare la cattiveria dei tempi. Egli tagliò corto… Facendo il cristianesimo».
Cristo ha introdotto nella storia una presenza umana così affascinante che chiunque vi si imbatteva doveva prenderla in considerazione. Per rifiutarla o per accettarla. Non ha lasciato indifferente nessuno.

Oggi ci troviamo tutti di fronte a una «crisi dell’umano», che si documenta come stanchezza e disinteresse verso la realtà e che coinvolge tutti gli ambiti che hanno a che fare con la vita della gente.
È una disgrazia per tutti, infatti, che le persone non si mettano in gioco con la loro ragione e la loro libertà.
E proprio in questo momento la Chiesa ha davanti a sé un’avventura affascinante, la stessa delle origini: testimoniare che c’è qualcosa in grado di risvegliare e suscitare un interesse vero. «Anche il mio cuore aspetta, / alla luce guardando ed alla vita, / altro prodigio della primavera». Tutti noi, come il poeta Antonio Machado, aspettiamo il miracolo della primavera, in cui vedere compiersi la nostra vita. E se qualcuno dirà, ancora col poeta, che è un sogno, perché lo aspettiamo?
Perché questa attesa ci costituisce nell’intimo, come scrive Benedetto XVI: «L’uomo aspira ad una gioia senza fine, vuole godere oltre ogni limite, anela all’infinito» (Luce del mondo, p. 95).
Ma l’uomo può decadere, il mondo può cercare di scalzare questo desiderio dell’infinito minimizzandolo; può perfino prenderlo in giro offrendo qualcosa che attira per qualche tempo, ma che non dura, e alla fine lascia solo più insoddisfatti e più scettici. Ora, la prova della verità di ciò che affascina e risveglia un interesse è che deve durare. Ma anche le cose più belle – lo vediamo quando si ama una persona o quando si intraprende un nuovo lavoro – vengono meno.
Il problema della vita, allora, è se esiste qualcosa che dura.
Il cristianesimo ha la pretesa – perché la sua origine non è umana, anche se si può vedere nei volti degli uomini che lo hanno incontrato – di portare l’unica risposta in grado di durare nel tempo e nell’eternità.
Però un cristianesimo ridotto non è in grado di fare questo.
Sappiamo per esperienza che esiste un modo astratto di parlare della fede che non suscita la minima curiosità.
Se il cristianesimo non viene rispettato nella sua natura, così come è comparso nella storia, non può mettere radici nel cuore.
Il cristianesimo è sempre messo alla prova di fronte al desiderio del cuore, e non se ne può liberare: è Cristo stesso che si è sottoposto a questa prova. L’aspetto affascinante è che Dio, spogliandosi del Suo potere, si è fatto uomo per rispettare la dignità e la libertà di ciascuno. Incarnandosi, è come se avesse detto all’uomo: «Guarda un po’ se, vivendo a contatto con me, trovi qualcosa di interessante che rende la tua vita più piena, più grande, più felice. Quello che tu non sei capace di ottenere con i tuoi sforzi, lo puoi ottenere se mi segui».
È stato così fin dall’inizio. Quando i due primi discepoli domandano: «Dove abiti?», Egli risponde: «Venite e vedrete». La sua semplicità è disarmante. Dio si affida al giudizio dei primi due che Lo incontrano.
L’uomo non può evitare di paragonare continuamente ciò che accade con le sue esigenze fondamentali.
Qualcuno potrebbe obiettare che all’epoca di Gesù si vedevano i miracoli, ma oggi non è più tempo di prodigi. Non è così, perché questa esperienza continua ad avere luogo, come il primo giorno: quando incontri persone che risvegliano in te un interesse e un’attrattiva tali che ti obbligano a fare i conti con quello che ti è accaduto.
Come dice il Papa, «Dio non si impone. […] La sua esistenza si manifesta in un incontro, che penetra nella più intima profondità dell’uomo» (Luce del mondo, p. 240).
Alcuni anni fa un mio amico è andato a studiare arabo a Il Cairo. Ha incontrato un professore musulmano. L’incontro si sarebbe potuto svolgere secondo gli stereotipi dell’uno e dell’altro. Ma è accaduta una cosa inattesa: sono diventati amici. Il musulmano ha domandato al mio amico perché era cristiano, e questi lo ha invitato in Italia, dove ha conosciuto il Meeting di Rimini. Trascinato dall’incontro con una realtà umana diversa, ha voluto realizzare il Meeting de Il Cairo, coinvolgendo molti giovani egiziani, musulmani e cristiani.
Di recente, a Mosca, ho conosciuto persone che fino a poco tempo fa non avevano niente a che fare con la fede. L’hanno scoperta incontrando dei cristiani che le avevano incuriosite. Alcune erano battezzate nella Chiesa ortodossa e si sono interessate al cristianesimo – cosa che non avevano mai fatto prima – grazie ad amici che lo vivevano con intensità e pienezza.
Non sono storie del passato, ma qualcosa che accade ora, nel presente.
Nella sua recente visita in Spagna, Benedetto XVI ha invitato a un dialogo tra laicità e fede. E come lo ha fatto? Indicando una presenza, un testimone, Gaudì, che con la Sagrada Familia «è stato capace di creare […] uno spazio di bellezza, di fede e di speranza, che conduce l’uomo all’incontro con colui che è la verità e la bellezza stessa».
Il Papa ha sfidato tutti rendendo contemporaneo lo sguardo di Cristo e indicando l’esperienza nuova che Egli immette nella vita: chiunque può interessarsene o rifiutarla. Quando Benedetto XVI ci chiama alla conversione ci sta dicendo che per testimoniare Cristo, per farci «trasparenza di Cristo per il mondo», dobbiamo percorrere un cammino umano fino a scoprire la pertinenza della fede alle esigenze della nostra vita.
Non so se qualche cattolico si può sentire escluso dalla chiamata del Papa. Io no.
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mercoledì 22 dicembre 2010

Commento di Natale (Interventi 62)

Relativamente al post che riportava il commento di Don massimo Camisasca, una lettrice di nome Ivana ha lasciato un commento che voglio far conoscere a tutti voi:

Bellissima la frase di Sant'Agostino,e come dire se abbiamo un cuore piccolo poco vi entra se lo abbiamo grande tanto ci sta...ma il quesito che mi pongo e questo:
Sono capace io di accogliere tutto questo amore che il Signore mi da di ricevere con la sua venuta?
Sono, come fece la piccola Maria inconsapevole della grandezza che doveva accogliere,pronta a accogliere i bisogni dei miei fratelli?
tutto questo egoismo che investe il mondo spesso ci mette come una benda agli occhi,come un velo che non ci permette di vedere, e di capire che oltre a noi esistono tante realtà, che non sono sempre piacevoli, e spesso andamo avanti così inermi,senza fare nulla...
e perchè poi lo dovremmo fare?
che ci importa di chi non ha nulla che passerà questo Natale da solo, in malattia, con il cuore che piange per la sofferenza o per la solitudne...certo qualcuno potrà pensare e facile scriverle le parole, ma Gesu ci ha insegnato che bisogna mettere in atto la Sua parola con opere, fatti concreti,azioni, ed è giusto bisogna farlo, e si puo partire anche da piccole cose, come andare a trovare qualcuno che sappiamo che è solo,donare un sorriso, una buona parola, Gesu ci ha insegnato che non ci chiede più di quello che non possiamo fare, ci chiede che quello che vogliamo fare per amore dei fratelli con gesti veri,senza ipocrisia,con gesti che anche se a noi sembrano di poca importanza illuminano la giornata di chi in quel momento ne ha bisogno..
voglio sperare di vivere questo Natale non in modo scontato come i ricordi che mi sovvengono di qualche Natale passato nell'apatia e nella banalità, voglio cercare di aprire il mio cuore alle condivisioni con altri fratelli,e voglio sperare per me e per chi come me spera ogni anno in un Natale migliore, vivere il presente con la speranza che, questa nostra contemporaneità, diventi concreta nel donarsi vivamente e pienamente, a tutto quell'amore che Gesu bambino e venuto a portarci, il grande messaggio dell'amore per un mondo migliore,il messaggio del Suo regno come regalo per tutti noi, basta solo saperlo accogliere, cosi senza rumore,ma con umiltà, con semplicita...
un caro saluto a tuti gli amici del blog..Ivana
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Beh, che dire.. dopo queste parole un vero Santo Natale a tutti i lettori del blog..

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L'attesa del Natale (Contributi 418)

Desidero proporvi l'ultimo editoriale di SamizdatOnLine,un bella riflessione di Massimo Camisasca sul Natale:

Stiamo vivendo il tempo di Avvento che ci porta al Natale. L’Avvento è anzitutto un tempo liturgico, ma per sua natura investe tre diverse dimensioni temporali: il presente, il passato e il futuro. Questo tempo tra passato, presente e futuro, che San Bernardo chiama «il triplice Avvento», può avere ancora molto da dire a ciascuno di noi oggi, anche a chi distrattamente si affanna nella frenesia delle luci di Natale.

Trattandosi della storia di una nascita, il riferimento al passato è fondamentale. Non possiamo, infatti, pensare a Gesù che viene e che verrà, se non partendo dalla considerazione del fatto che è già venuto.
Colui che invochiamo e che attendiamo è già presente.
La venuta di Cristo non è un mito o un sogno, ma un evento accaduto e giunto fino a noi nella sua storicità. Per questo la prima dimensione fondamentale che l’Avvento ci invita a vivere è la memoria, la storia passata che si rende presente.
Nel rapporto con il passato si possono percorrere due strade sbagliate. Molti uomini vivono la vita con la nostalgia del passato, sottraendosi al presente, rinunciando di fatto a vivere. Il passato è un evento inefficace, perduto, che non è più capace di cambiare il presente.
Il Natale stesso può diventare un pio ricordo, una bella favola, ultimamente inefficace.
Una seconda negazione della memoria è chiudersi in una visione negativa del passato. La storia si riempie di coloro che non ci hanno amato, che non ci hanno capito, che ci hanno ingannato. Il passato è vissuto come angoscia. Diventa impossibile perdonare. Nel primo caso il cristianesimo rimane una bella fiaba delle origini, nel secondo una dottrina di fratellanza che non riesce a incidere sul rapporto con il nostro vissuto.


L’Avvento ci fa guardare anche al futuro. Vivendo, sorgono in noi molte immagini riguardo il futuro, attraverso le quali vorremmo come prevederlo. È necessario che le nostre immagini e le nostre attese, il nostro desiderio di Cristo, si purifichino. Potremmo, infatti, cadere nell’errore di amare più le immagini che ci facciamo di Dio che Dio stesso.
Noi non sappiamo quando Cristo tornerà, o meglio, quando verrà l’ultima volta. Sappiamo una cosa: che la sua ultima venuta è il compimento delle sue continue venute presenti. Sarà il compimento della storia.
La storia, infatti, si compirà quando Dio sarà tutto in tutti, quando il Figlio consegnerà al Padre il mondo in lui ricapitolato.
Dio non sta ritardando la sua venuta, ma dà all’uomo il tempo per convertirsi a lui. Il tempo ha dunque un peso.
Non solo Dio ha creato il tempo, ma è entrato nel tempo, lo ha assunto come forma del suo rapporto con noi.
Il Mistero non mi raggiunge se non attraverso il tempo. Esso è innanzitutto il sacramento della contemporaneità di Cristo, della sua vicinanza alla mia vita. Per questo è fatto di un’infinità di istanti presenti, attraverso i quali Cristo mi raggiunge continuamente. Egli è l’amato nascosto, che si rivela a noi in mille modi.
In sintesi: il fondamento storico dà a questa nostra attesa, che riguarda il presente e il futuro, una sua veridicità, toglie ogni mitologia, ogni sentimentalismo spiritualistico e ci permette di assumere la posizione vera verso questo tempo.
L’Avvento non è solo una parte del nostro tempo, ma ne è una dimensione permanente.
L’attesa costituisce l’umano nella sua dimensione più profonda e più vera.

Il mio augurio per questo tempo di Avvento e per il vicino Natale è in un pensiero di sant’Agostino: «Se abbiamo un piccolo sacchetto potrà entrarvi poca cosa; se abbiamo un grande sacchetto potrà entrarvi molto».
Dobbiamo dilatare gli spazi del nostro desiderio, in modo che possa entrarvi Cristo stesso e, con lui, tutto ciò che ha preparato per noi.
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Non rendiamo vano questo ennesimo ma sempre nuovo Natale (Contributi 417)

ROMA, martedì, 21 dicembre 2010 (ZENIT.org).
Gustare “l'eterna novità” del Natale e saperne far tesoro è l'invito che fra' Pierbattista Pizzaballa, OFM, custode di Terra Santa, lancia nel suo messaggio natalizio, nel quale invita a non rendere vana questa festa.

Il saluto francescano, “Pace e Bene”, “ci aiuta a gustare l’eterna novità del Natale, accompagnandoci verso la verità, allontanandoci da tutto quello che svilisce e rende ambiguo il significato di questa festa”, afferma nel testo.
“Non rendiamo vano questo ennesimo ma sempre nuovo Natale”, esorta.
Il Natale, spiega, “è una festa che pare avere smarrito il suo senso più intimo e vero, e che quindi ci porta a interrogarci su chi è per noi quel Bambino, a vedere Dio in un bambino, a credere in un Dio che sceglie di racchiudere la sua grandezza nella piccolezza della nostra umanità”.
“Anche quest’anno, come ogni giorno da quel tempo antico, per gli uomini del suo tempo, come per ognuno di noi oggi”, Gesù “attende che gli facciamo posto, attende di nascere nel nostro cuore”.

Attesa
Il Natale, prosegue il Custode, è dunque “impegno di conversione” e “viene a fissare la nostra attenzione sull’attesa di Dio: la sua infinita attesa che l’umanità gli trovi posto nella storia quotidiana, nella vita di tutti i giorni, nella solidarietà spicciola che ci ha chiesto Gesù stesso”.
Natale sia per tutti questo convertire il nostro sguardo, accorgersi che il regno avanza, è presente; che io, noi, tutti, insieme, possiamo renderlo presente”.
“Il Bambino Gesù ci libera dalla paura di stare nel quotidiano scorrere della storia, dalla solitudine di chi non sa farne dono agli altri – sottolinea padre Pizzaballa –. E ci innesta in un movimento corale, dove ci scopriamo portati dall’amore e capaci, per grazia, di portare quel pezzetto di storia, unico e prezioso, che il Signore ci mette fra le mani”.
“Rispondiamo all’attesa di Dio, che si è fatto Bambino perché potessimo andare a lui come se fosse lui ad aver bisogno di noi. Perché il cuore della nostra attesa è nel sapere che Dio ci attende, pazientemente, da lungo tempo”.

Terra Santa
Il Custode sottolinea poi “la necessità di guardare la creazione, guardare il mondo, guardare il Medio Oriente, questa 'nostra' Terra Santa – Terra di Dio e Terra degli Uomini – 'dall’alto', con lo sguardo di Dio”.
A questo proposito, chiede di fare nostre, “con trepidazione e audacia, con umiltà e forza, con il coraggio e la fantasia del sogno che diventa realtà se siamo in molti a sognare”, le parole pronunciate da Benedetto XVI all’inaugurazione del Sinodo dei Vescovi del Medio Oriente: “Guardare quella parte del mondo nella prospettiva di Dio significa riconoscere in essa la culla di un disegno universale di salvezza nell’amore, un mistero di comunione che si attua nella libertà e perciò chiede agli uomini una risposta”.
A ciascuno la responsabilità di accettare la proposta di Colui che ci fa esistere e ci rinnova ogni giorno la sete di essere felici”, scrive padre Pizzaballa.
“Accolti dalla sua attesa, fatti nuovi dal suo perdono e dalla sua grazia, uomini della misericordia e della riconciliazione, della libertà e della giustizia, saremo allora capaci di ascoltare – fra il rumore della nostra confusa realtà – l’annuncio degli Angeli: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini che egli ama”, conclude.
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domenica 19 dicembre 2010

E' Natale (Interventi 61)

E' Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi una mano.

E' Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l'altro.
E' Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società.
E' Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale.
E' Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.
E' Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri.


(Madre Teresa di Calcutta)
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Camminare (Interventi 60)

Una carissima amica mi ha fatto avere un testo di Mons. Giussani che desidero condividere con tutti voi perchè ci ricorda che Dio, tramite la presenza di Cristo è con noi in ogni istante della nostra vita e di ogni giornata.

Tutti camminiamo in un certo modo e, per quanto diverso, è un certo modo, con certi limiti..
Ma c'è un passo un modo di camminare, che fa stupore e indica, rivela, una dignità o una eccezionalità di autocoscienza, di coscienza di sè. Il miracolo è l'incidere del passo divino tra i passi della compagnia umana...
Dio ha scelto come metodo per educare l'uomo a quello che Lui vuole, in modo tale da farlo diventare degno di Lui, la familiarità totale con l'uomo: Dio ha scelto la familiarità totale.
Pensate , Dio che nasce dalle viscere di una ragazza!
Nella vita uno può continuare a fare quel che vuole, ma non potrà mai sottrarsi completamente al giudizio di questa verità: Dio ha scelto di essere familiare.
Se è familiare vuol dire che i suoi passi sono insieme ai miei.
Come diceva Mosè sul monte Oreb " Signore , se tu non cammini con noi, noi non ci muoveremo di qui."  Potrebbe essere l'orazione del mattino più bella per un cristiano.
L'incidere dei passi di Gesù in mezzo a tutti i passi che le nostre gambe fanno durante la giornata, questo è il miracolo: in ogni giornata è più il miracolo, che il non-miracolo!
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lunedì 13 dicembre 2010

Sei tu colui che deve venire? (Contributi 416)

Vi propongo ampi stralci dell'omelia che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica mattina 12/12/10 recandosi in visita pastorale alla parrocchia di S. Massimiliano Kolbe a via Prenestina (Torre Angela), nel settore est della Diocesi di Roma.

Cari fratelli e sorelle della Parrocchia di San Massimiliano Kolbe! Vivete con impegno il cammino personale e comunitario nel seguire il Signore.
L’Avvento è un forte invito per tutti a lasciare entrare sempre di più Dio nella nostra vita, nelle nostre case, nei nostri quartieri, nelle nostre comunità, per avere una luce in mezzo alle tante ombre, alle tante fatiche di ogni giorno.
[....]
Apprezzo molto la scelta di dare spazio all’adorazione eucaristica, e vi ringrazio delle preghiere che mi riservate davanti al Santissimo Sacramento. Vorrei estendere il mio pensiero a tutti gli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo in questa Messa.

Ammiro insieme con voi questa nuova chiesa e gli edifici parrocchiali e con la mia presenza desidero incoraggiarvi a realizzare sempre meglio quella Chiesa di pietre vive che siete voi stessi. Conosco le tante e significative opere di evangelizzazione che state attuando. Esorto tutti i fedeli a dare il proprio contributo per l’edificazione della comunità, in particolare nel campo della catechesi, della liturgia e della carità – pilastri della vita cristiana – in comunione con tutta la Diocesi di Roma.
Nessuna comunità può vivere come una cellula isolata dal contesto diocesano; deve essere invece espressione viva della bellezza della Chiesa che, sotto la guida del Vescovo – e, nella Parrocchia, sotto la guida del Parroco che ne fa le veci –, cammina in comunione verso il Regno di Dio.
Rivolgo uno speciale pensiero alle famiglie, accompagnandolo con l’augurio che esse possano pienamente realizzare la propria vocazione all’amore con generosità e perseveranza. Anche quando dovessero presentarsi difficoltà nella vita coniugale e nel rapporto con i figli, gli sposi non cessino mai di rimanere fedeli a quel fondamentale "sì" che hanno pronunciato davanti a Dio e vicendevolmente nel giorno del matrimonio, ricordando che la fedeltà alla propria vocazione esige coraggio, generosità e sacrificio.
[...]
Qui, come in ogni Parrocchia, occorre partire dai "vicini" per giungere fino ai "lontani", per portare una presenza evangelica negli ambienti di vita e di lavoro. Tutti devono poter trovare in Parrocchia cammini adeguati di formazione e fare esperienza di quella dimensione comunitaria che è una caratteristica fondamentale della vita cristiana. In tal modo saranno incoraggiati a riscoprire la bellezza di seguire Cristo e di fare parte della sua Chiesa.
Sappiate, dunque, fare comunità con tutti, uniti nell’ascolto della Parola di Dio e nella celebrazione dei Sacramenti, in particolare dell’Eucaristia. A questo proposito, la verifica pastorale diocesana in atto, sul tema "Eucaristia domenicale e testimonianza della carità", è un’occasione propizia per approfondire e vivere meglio queste due componenti fondamentali della vita e della missione della Chiesa e di ogni singolo credente, cioè l’Eucaristia della domenica e la pratica della carità.
Riuniti attorno all’Eucaristia, sentiamo più facilmente come la missione di ogni comunità cristiana sia quella di portare il messaggio dell’amore di Dio a tutti gli uomini.
Ecco perché è importante che l’Eucaristia sia sempre il cuore della vita dei fedeli.
Vorrei anche dirigere una speciale parola di affetto e di amicizia a voi, cari ragazzi e giovani che mi ascoltate, e ai vostri coetanei che vivono in questa Parrocchia. La Chiesa si aspetta molto da voi, dal vostro entusiasmo, dalla vostra capacità di guardare avanti e dal vostro desiderio di radicalità nelle scelte di vita. Sentitevi veri protagonisti nella Parrocchia, mettendo le vostre fresche energie e tutta la vostra vita a servizio di Dio e dei fratelli.
Cari fratelli e sorelle, accanto all’invito alla gioia, la liturgia odierna – con le parole di san Giacomo che abbiamo sentito - ci rivolge anche quello ad essere costanti e pazienti nell’attesa del Signore che viene, e ad esserlo insieme, come comunità, evitando lamentele e giudizi (cfr Gc 5,7-10).
Abbiamo sentito nel Vangelo la domanda del Battista che si trova in carcere; il Battista, che aveva annunciato la venuta del Giudice che cambia il mondo, e adesso sente che il mondo rimane lo stesso. Fa chiedere, quindi, a Gesù: "Sei tu quello che deve venire? O dobbiamo aspettare un altro? Sei tu o dobbiamo aspettare un altro?".
Negli ultimi due, tre secoli molti hanno chiesto: "Ma realmente sei tu? O il mondo deve essere cambiato in modo più radicale? Tu non lo fai?". E sono venuti tanti profeti, ideologi e dittatori, che hanno detto: "Non è lui! Non ha cambiato il mondo! Siamo noi!". Ed hanno creato i loro imperi, le loro dittature, il loro totalitarismo che avrebbe cambiato il mondo. E lo ha cambiato, ma in modo distruttivo.
Oggi sappiamo che di queste grandi promesse non è rimasto che un grande vuoto e grande distruzione.
Non erano loro.
E così dobbiamo di nuovo vedere Cristo e chiedere a Cristo: "Sei tu?". Il Signore, nel modo silenzioso che gli è proprio, risponde: "Vedete cosa ho fatto io. Non ho fatto una rivoluzione cruenta, non ho cambiato con forza il mondo, ma ho acceso tante luci che formano, nel frattempo, una grande strada di luce nei millenni".
Cominciamo qui, nella nostra Parrocchia: San Massimiliano Kolbe, che si offre di morire di fame per salvare un padre di famiglia. Che grande luce è divenuto lui! Quanta luce è venuta da questa figura ed ha incoraggiato altri a donarsi, ad essere vicini ai sofferenti, agli oppressi! Pensiamo al padre che era per i lebbrosi Damiano de Veuster, il quale è vissuto ed è morto con e per i lebbrosi, e così ha portato luce in questa comunità. Pensiamo a Madre Teresa, che ha dato tanta luce a persone, che, dopo una vita senza luce, sono morte con un sorriso, perché erano toccate dalla luce dell’amore di Dio.
E così potremmo continuare e vedremmo, come il Signore ha detto nella risposta a Giovanni, che non è la violenta rivoluzione del mondo, non sono le grandi promesse che cambiano il mondo, ma è la silenziosa luce della verità, della bontà di Dio che è il segno della Sua presenza e ci dà la certezza che siamo amati fino in fondo e che non siamo dimenticati, non siamo un prodotto del caso, ma di una volontà di amore.
Così possiamo vivere, possiamo sentire la vicinanza di Dio. "Dio è vicino", dice la Prima Lettura di oggi, è vicino, ma noi siamo spesso lontani. Avviciniamoci, andiamo alla presenza della Sua luce, preghiamo il Signore e nel contatto della preghiera diventiamo noi stessi luce per gli altri.
E questo è proprio anche il senso della Chiesa parrocchiale: entrare qui, entrare in colloquio, in contatto con Gesù, con il Figlio di Dio, così che noi stessi diventiamo una delle più piccole luci che Lui ha acceso e portiamo luce nel mondo che sente di essere redento.
Il nostro spirito deve aprirsi a questo invito e così camminiamo con gioia incontro al Natale, imitando la Vergine Maria, che ha atteso nella preghiera, con intima e gioiosa trepidazione, la nascita del Redentore. Amen!
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