Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

lunedì 30 agosto 2010

Umiltà (Post 107)

Il Vangelo della XXII domenica del tempo ordinario parlava di umiltà e il Papa nell'Angelus ha ripreso questo tema.
Credo che il primo a darci un esempio di umiltà sia proprio Gesù Cristo che "non considerando un tesoro geloso la Sua uguaglianza con Dio spogliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce".
Umiltà va a pari passo con la consapevolezza che noi non siamo nulla e che Dio è tutto, che ciò che ci salva è l'abbracciarsi alla Misericordia di Dio.
E' il capire che "da soli non possiamo fare nulla" e che la nostra consistenza, la nostra pienezza di persone viene solo ed esclusivamente dall'aderire a Cristo. Solo con la nostra piena adesione a Lui diventiamo persone vere.
Ogni ipotesi diversa è illusione arrogante destinata a frangersi in una cocente delusione.
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domenica 29 agosto 2010

Le certezze del laicismo (Interventi 38)

Ho ricevuto e propongo a tutti questa interessante riflessione:

Come tutte le persone che appartengono a un credo religioso, lei é convinto di avere la veritá in tasca e di poterla brandire come una clava contro chi la pensa diversamente.

La religione é intrinsecamente intollerante perché prevede l’esistenza di una veritá assoluta che solo i credenti posseggono.
Personalmente preferisco il dubbio, anche il dubbio etico. L’etica laica é l’etica del dubbio e non puó presentarsi come veritá assoluta, perció costringe chi la segue a rimettere costantemente in gioco le proprie convinzioni e ad accettare il confronto, accontentandosi di veritá provvisorie.


L'idea che vi sia una sorta di equivalenza tra religione e intolleranza, e che laicismo sia sinonimo di dubbio e tolleranza, é il piú falso, oltre che il piú radicato, dei pregiudizi della modernitá.
Da Robespierre in poi, il laicismo, nelle sue svariate declinazioni politiche e sociali, non ha mai avuto esitazione a tagliare teste, certissimo della propria missione di promozione del progresso e della pubblica moralitá.
L’ideologia del dubbio, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, come la definí il cardinale Biffi, quando si traduce in azione politica abbandona immancabilmente qualunque incertezza e tentazione relativista.
Basterebbe ricordare quella forma di laicismo, il socialismo reale, che per quasi un secolo ha instaurato in piú della metá del globo un gigantesco sistema carcerario, in cui il livello di intolleranza, di sopruso, di annichilimento dell’essere umano non ha uguali nella Storia.
E’ un vero peccato che i vari carnefici dell’ateismo di stato, come Stalin, Mao o Pol Pot, prima di massacrare decine di milioni di persone, non fossero sfiorati dal dubbio di fare la cosa giusta.
E i loro eredi politici, come Castro o Chavez (personaggi, va ricordato, riveriti e omaggiati dai maitre a penser del laicismo nostrano, come Gianni Vattimo), non si puó certo dire che “rimettano costantemente in gioco le loro convinzioni” o che brillino in fatto di tolleranza e di rispetto dei diritti umani (dei dissidenti politici torturati e uccisi nelle prigioni cubane si é ormai perso il conto).
Se questi riferimenti le sembrano inappropriati, parliamo allora di altre manifestazioni dell’ideologia laicista nell’Occidente democratico, piú innocue almeno all’apparenza, come il pacifismo, l’ambientalismo, il multiculturalismo, il movimento abortista o quello per i diritti degli omosessuali.
Sono le molteplici forme di un moralismo ossessivo che non nutre dubbi di sorta sulla giustezza delle proprie posizioni e che certamente non si distingue per la sua tolleranza nei confronti di coloro che individua come gli avversari da demonizzare e da abbattere con ogni mezzo, fino alla legittimazione della violenza fisica e verbale.
Non trova sia paradossale che chi un attimo dopo averci assicurato che non esiste una veritá assoluta e che é un intollerante chi sostiene il contrario, afferma che un’etica certamente esiste (la sua) e lancia anatemi contro chi non si adegua?
Un paradosso smascherato dal genio di G.K. Chesterton, il quale nel capolavoro Ortodossia scrive che il cristiano non dubita della veritá, ma di se stesso, mentre il materialista dubita della veritá, ma non dubita affatto di se stesso. E soprattutto non dubita mai della propria moralitá, perché aderisce ai canoni morali fittizi che lui stesso si é costruito su misura.
L’ossesione moralistica del laicismo é in fondo una fuga dal proprio vuoto morale. Un vuoto che lei stesso riconosce, senza forse rendersene conto.
Perché credere che una cosa sia bene o male oggettivamente, non solo per me, ma per ogni essere umano, significa credere in una veritá assoluta. Ogni valore morale, inclusa la tolleranza, é una veritá assoluta, o non é.
Quando lei afferma che "l'etica laica é l’etica del dubbio e non puó presentarsi come veritá assoluta" ammette implicitamente che un'etica laica non esiste. “L’etica del dubbio” é un’etica che non c’é.
O se preferisce é una finzione, con cui dissimulare l’insostenibile vuoto morale del laicismo.
Quanto a me, posso assicurarla che non ho la veritá in tasca, per la semplice ragione che per me la veritá é Cristo, cioé Qualcuno che non si puó tenere in tasca.
Semmai é Lui a tenere in tasca me. Di questo non ho alcun dubbio.
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venerdì 27 agosto 2010

L’esempio di Madre Teresa (Articoli 23)

In occasione del primo centenario della nascita di Madre Teresa ecco un articolo di Padre Bernardo Cervellera tratto da Asia News:

Un dono inestimabile per la Chiesa e il mondo: così Benedetto XVI ha definito la vita di Madre Teresa nel suo messaggio di “partecipazione spirituale” all’inizio dell’Anno speciale per il centenario della nascita della beata di Calcutta.

Ad AsiaNews noi temiamo però che questo “dono inestimabile” rischia di non essere valorizzato a pieno né dal mondo, né dalla Chiesa. Già i (pochi) resoconti sul centenario pubblicati dai media tendono a sottolineare in prevalenza l’aspetto sentimentale del ricordo di questa donna, che ha vissuto fra le fogne di Calcutta e i palazzi di principesse e capi di Stato. Agli occhi di molti – forse anche cristiani - la sua generosità appare immotivata, ammirevole, ma impossibile da imitare; i suoi metodi di affronto della povertà e della malattia sorpassati e anzi controindicati.
Insomma il ricordo di Madre Teresa è come quello di nostra nonna, una specie di favola bella, che ci ridà il gusto di un’infanzia perduta, delle speranze degli anni ’80 quando sembrava che il mondo potesse cambiare per il suo eroismo. Ma proprio questo eroismo, a noi emancipati e scientifici del XXI secolo ci sembra ormai sorpassato.
E invece no.
Le proposte vissute da Madre Teresa sono una buona soluzione anche alle crisi del mondo contemporaneo. La madre di Calcutta ha curato malati terminali, lebbrosi, tubercolotici, di Aids (la prima a prenderseli in casa, mentre nel mondo li si isolava). Ciò è avvenuto non per uno slancio irrazionale, ma con un amore che univa scienza e sapienza.
Ancora oggi le missionarie della Carità studiano medicina, infermieristica, gli ultimi ritrovati della medicina, ma sanno offrire tutte queste cure trattando il malato come persona e non come oggetto o un peso.
L’impegno di Madre Teresa a combattere l’aborto con le adozioni gli ha attirato le ire di molti, anche in organismi internazionali che dovrebbero proteggere la madre e l’infanzia. La Madre è stata spesso accusata di “viziare i poveri”, lasciando senza freni (abortivi) la crescita della popolazione. Mi chiedo se non è però più realista la posizione di Madre Teresa, che si affida alle adozioni e ai metodi naturali, senza ammazzare nessuno, piuttosto che la posizione di quei medici che da una parte praticano l’aborto e dall’altra “viziano i ricchi” usando la medicina per maternità in tarda età, o scegliendo per la fecondazione i cromosomi migliori come al mercato.
D’altra parte, ai vari responsabili che si occupavano della povertà “in generale”, dai loro uffici e organizzazioni – anche cattoliche – Madre Teresa ha sempre detto: “Venite a toccare i poveri”. E questa esperienza diretta è il miglior bagaglio per l’uso della scienza e della sociologia.
Vale la pena citare qui anche il suo impegno per la pace vivendo sulle frontiere del Libano, dell’Iraq, dell’Azerbaijan. O la sua speciale “teologia della liberazione” che invece di programmare il bene per il futuro, dava ai poveri subito, oggi, dignità e nutrimento. E ha insegnato a tutti che la persona bisognosa davanti a me è più importante del mio progetto, anche il più intelligente.
È importante citare un ultimo aspetto: quello di fare le cose “per Gesù”. Per noi cattolici che rischiamo di assorbire l’aria “post-cristiana” del mondo, vi è il forte rischio di ridurre la fede a piccoli valori borghesi, ad alleanze politiche, a ricerche di potere (“a fin di bene”, naturalmente!).
Con i suoi rosari, adorazioni e messe, Madre Teresa ci ha insegnato che tutte le attività nascono dalla gratitudine a Gesù Cristo.
E questo amore solo - non un’emozione momentanea - spinge a offrire la vita per sempre nella gioia.
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altri articoli:
Come Madre Teresa amiamo Cristo nei Suoi poveri
2 da Madre Teresa ho imparato a non lamentarmi di nulla
3 la missione “precaria”di Madre Teresa
4 Il Dalai Lama indicava ai buddisti la via di Madre Teresa
5 Madre Teresa: un raggio di speranza per i poveri dell’India
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Anche l’uomo moderno desidera Dio (Contributi 366)

Propongo da Il Sussidiario, un articolo di Salvatore Abbruzzese:

L’Italia secolarizzata, dimentica di Dio e senza nessun legame con la Chiesa, è costantemente attraversata e perturbata da manifestazioni di sensibilità religiosa che, pur non ribaltando il quadro complessivo, non consentono affatto di ridurre l’universo della credenze e delle pratiche religiose ad una semplice persistenza del passato, né a confinarlo ad espressione superficiale e passeggera della cultura diffusa.
Ciò non si deduce solo dalla vivacità dei movimenti e delle associazioni cattoliche, né dalle sole manifestazioni di entusiasmo religioso alle quali i due ultimi pontificati hanno abituato l’opinione pubblica e nemmeno si desume dal semplice rispetto tributato dalle diverse rappresentanze politiche laiche al magistero ecclesiale. Per capire il peso e l’estensione della sensibilità religiosa nella società secolarizzata contemporanea è necessario prendere in esame variabili ancora più estese.
I luoghi religiosi, come santuari ed abbazie, sono meta di un flusso continuo di pellegrini e di turisti. E’ noto come, nell’Italia post-moderna, luoghi come Padova, Assisi, Pietralcina (tanto per citare quelli più conosciuti) non cessino di mobilitare quotidianamente masse consistenti di pellegrini. L’Italia è anche, e forse più di quanto non lo sia stata venti o trent’anni fa, il paese dove i “luoghi dello spirito” hanno il loro posto tra le guide del Touring, mentre abbazie e monasteri si rivelano sempre più disponibili ad ospitare fedeli in ricerca spirituale, ammettendoli ai momenti di preghiera e di mensa.
Lo stesso può essere detto per i tempi delle solennità religiose: le celebrazioni del Natale e della Pasqua raccolgono ancora i due terzi degli italiani, mentre le ricorrenze dei Santi patroni dei singoli comuni continuano ancora, in modo spesso più solenne di quanto non avvenisse venti o trent’anni fa, a mobilitare energie e risorse, suscitando una partecipazione che è ben lontana dal diminuire.
La larga maggioranza dei genitori (oltre l’80%) continua - oggi come quarant’anni fa - ad inviare i propri figli in parrocchia per la formazione religiosa di base e per la catechesi connessa alla prima comunione. Come se non bastasse è in aumento la percentuale di quanti dichiarano necessario celebrare con un rito religioso i principali riti di passaggio, incluso il matrimonio: tra il 1990 ed il 2000 questa sale dal 79 all’82% degli italiani.

Esiste in altri termini una prossimità al messaggio di salvezza della religione cattolica che rivela la persistenza di un legame e di un dialogo personale e privato che si esprime attraverso le frequenze ai luoghi e l’attenzione ai tempi e, senza il quale, tanto le prime quanto la seconda restano inspiegabili in un contesto secolarizzato. Una simile attenzione a luoghi ed ai tempi è tanto più importante quanto più si accompagna ad una mancata scomparsa della stessa pratica religiosa.
Se la percentuale di quanti dichiarano di frequentare regolarmente i riti religiosi supera il 30% occorre non dimenticare come, all’esterno di questa, esista almeno un altro 50% degli italiani che dichiara di frequentare i riti con frequenze alterne. Come a dire che al nucleo solido dei praticanti si affianca un contesto di riconoscimento diffuso che, con la propria pratica saltuaria ed episodica, finisce comunque con il legittimare chi si reca regolarmente in chiesa.
La vera novità è costituita non dalla scomparsa dei praticanti (come ogni buona teoria della secolarizzazione sostiene), ma da quella dei non praticanti: la percentuale di quanti dichiarano di non mettere mai piede in chiesa per assistere ai riti religiosi (indipendentemente da eventi privati) è in costante diminuzione dal 1981 ad oggi: nel 2005 supera di poco il 10% del totale degli italiani, quando all’inizio degli anni ’80 si presentava ancora al 21%.
Tali frequentazioni del sacro non sono senza conseguenze.
Fiducia istituzionale, lavoro, vita di coppia ed educazione dei figli si rivelano profondamente influenzati dalla dimensione della pratica religiosa.
Tutta questa serie di elementi - molti dei quali già noti, ma sempre pervicacemente ignorati - sposta completamente l’asse del problema. Non si tratta di interrogarsi sulla scomparsa della dimensione religiosa, bensì sulla sua invisibilità e la sua trasparenza rispetto alla cornice nella quale si situa. Il nodo dell’analisi è costituito non dall’assenza di Dio, bensì da un desiderio che non si trasforma automaticamente in appartenenza, non sfocia in un legame costante e significativo con la comunità dei credenti comunque intesa, ma resta situato sul piano affettivo, personale e privato.
La dimensione religiosa resta un fiume carsico, pronto a sfociare solo quando qualcosa o qualcuno la sollecita, prospettando proposte concrete di esistenza, rivelando una vera e propria compagnia, capace di costituire legame sociale. Ciò permette di capire perché sia stata la religiosità dei movimenti, cioè quella capace di tramutarsi in relazione significativa, in compagnia, ad avere successo ed a mantenere in piedi le reti associative anche nei periodi di secolarizzazione più profonda, rivelandosi capace di interpretare proprio una tale domanda.
Ma ciò permette di capire anche quanto, sotto la superficie di una società “senza Dio e senza profeti” - come ricordava Max Weber agli inizi del secolo breve - prosegua il fiume di una sensibilità religiosa latente, estesa e diffusa, in attesa di una risposta agli interrogativi di fondo della vita ed al desiderio che li alimenta.
Tra lo scenario di una società dimentica di Dio ed una che ne coltiva la ricerca nel segreto della coscienza di ciascuno la differenza, evidentemente, è radicale.
Ritorna così l’intuizione di Benedetto XVI secondo il quale è il quaerere Deum, la ricerca di Dio, e non la secolarizzazione a costituire la cifra della modernità contemporanea.
Si aprono così domande inedite su come si articoli un tale desiderio sommerso e da quali valori sia orientato. Occorre dirigersi verso la comprensione di una tale religiosità sommersa, delle speranze che si porta con sé, come dei limiti che la caratterizzano e la feriscono, limitandola al foro interiore delle coscienze dei singoli. Occorre chiedersi in che modo una tale prossimità all’annuncio di salvezza dialoghi con i luoghi religiosi, i tempi del sacro, le immagini e le rappresentazioni che lo illustrano. Così come occorre interrogarsi sulle domande che provengono dalla società laica post-secolare, i desideri ai quali si apre e dei quali è in ricerca.
Da qui e non da altre parti conviene situarsi se si vuole interpretare il senso ultimo dell’epoca nella quale ci troviamo a vivere.
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mercoledì 25 agosto 2010

Come incontrare Cristo oggi? (Contributi 365)

Un estratto dell'intervento di Mons. Angelo Scola al Meeting di Rimini tratto da Il Sussidiario:

Fino a quindici anni fa circa si parlava dell’eclissi di Dio, giungendo anche ad affermare che la sfera religiosa sarebbe del tutto sparita dalla società. Oggi, se si eccettuano taluni tentativi di elaborare un “nuovo ateismo”, giudicati dai critici come più stravaganti che oggettivamente pertinenti, siamo di fronte a una grossa sorpresa: Dio è tornato.
Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione.
Oggi la domanda cruciale non è più: “Esiste Dio?”, ma piuttosto: “Come aver notizia di Dio?” E quindi: “Come Dio si comunica a noi così che si possa narrare Dio, e comunicarlo in quanto Dio vivo all’uomo reale che vive nel mondo reale? Come nominare questo Dio perché l’uomo post-moderno - cioè ciascuno di noi - lo percepisca significativo e quindi conveniente?”.
Nell’ottica occidentale, influenzata radicalmente dal giudaismo e dal cristianesimo, Dio è Colui che viene nel mondo. Se viene nel mondo è distinto da esso, ma questo non esclude la possibilità che gli uomini lo colgano come familiare. Allora per parlare di Dio all’uomo post-moderno, «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso che viene nel mondo ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare» (Jungel).
È necessario domandarsi prima se c’è una familiarità tra Dio e l’uomo e interrogarsi su di essa perché Dio possa essere veramente conosciuto. Un problema di sempre, è divenuto particolarmente acuto nella post-modernità che non è interessata ai discorsi sui massimi sistemi, sulle mondovisioni, ma è sempre più presa dai problemi del vivere quotidiano.
Per l’uomo di oggi la questione non è tanto se esiste Dio, ma se esiste cosa ha a che fare con me ogni giorno. Mi è familiare? Ebbene la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare perché si è compromesso con la storia degli uomini è nel DNA della mentalità occidentale.
Se le cose stanno così allora cerchiamo di scoprire come la presenza di Dio ci diventa quotidianamente familiare, giungendo a colmare, in modo del tutto gratuito, il desiderio in senso pieno, sciogliendo l’inquietudine di cui parlava Agostino.
In questo modo la parola desiderio acquista tutto il suo spessore, che non si lascia ridurre, come quasi sempre noi rischiamo di fare, a una pura aspirazione soggettiva, ma vive nella sua pienezza bipolare, come il tendere con tutte le nostre forze al reale, il cui orizzonte ultimo è l’infinito e propriamente parlando Dio stesso.
La possibilità di aver notizia di Dio e di narrare di Lui sta nell’ascolto di quanto Egli ha voluto liberamente comunicarci. E conviene dire subito che la comunicazione gratuita e piena del Dio Invisibile ha un nome proprio, è una persona vivente: Gesù Cristo. In lui, morto e risorto, Dio ci viene incontro in quanto Dio.
Per dire Dio occorre, quindi, approfondire la lingua della creatura che il Verbo incarnato ha voluto liberamente assumere. È necessario comprenderne, per così dire, la grammatica. Quella grammatica che è capace di narrarci il Divino. Così, non solo il cristiano sarà in grado di confessarlo come il suo Signore e Dio, ma ogni uomo, anche colui che si dice non credente, lo potrà riconoscere.
QUI il testo completo
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Marija Judina la pianista immortale (Contributi 364)

lunedì, 23 agosto 2010 (ZENIT.org)

Questo lunedì, al Meeting di Rimini, è stata rappresentata con una piècè teatrale con relativo concerto, la storia di Marija Judina, una delle più grandi pianiste russe del ventesimo secolo.

Le cronache raccontano che nel 1943, in pieno conflitto mondiale, il dittatore sovietico Josef Stalin ascoltò alla radio il Concerto K 488 di Mozart e ne rimase folgorato.
L’esecuzione è magistrale, Stalin ne chiese la registrazione, ma l’esecuzione era stata eseguita in diretta.
I funzionari del Partito fecero in modo che la Judina venisse convocata d’urgenza e passasse la notte a suonare per registrare il Concerto.
In questo caso Stalin si mostrò generoso e fece avere 20.000 rubli alla pianista, una cifra enorme per quei tempi.
Ma Marija Judina non era una semplice esecutrice, e compì un gesto incredibile per coraggio e per fede.
La Judina scrisse a Stalin: “La ringrazio. Pregherò giorno e notte per Lei e chiederò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso la perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della Chiesa in cui vado”.
L’affronto contro il dittatore fu grande, e la Judina era già avversata dal regime, ma Stalin non la punì, ed anzi si racconta che quando fu trovato morto nella sua stanza, nel giradischi c’era proprio il concerto di Mozart eseguito dalla Judina.
Di famiglia ebrea non praticante Marija Judina si convertì al cristianesimo a vent’anni e da quel momento visse coerentemente con la sua fede, raggiungendo anche l’eccellenza in campo musicale.
Si racconta che dopo un concertò scappò precipitosamente per portare i viveri ad una famiglia di poveri.
Padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana al “Meeting Quotidiano” del 23 agosto ha detto che Marija Judina “non è un esempio isolato, è piuttosto una delle espressioni del cristianesimo sopravvissuto al potere sovietico”.
“Era contraria a una sottomissione irragionevole come chiedevano le direttive del partito” e – ha aggiunto padre Scalfi – “uno degli aspetti più affascinanti di questa artista, insieme al suo impegno a non fermarsi solo a sottolineare il male della dittatura, ma a voler lavorare per la positività di un mondo nuovo”.
Per la sua libertà e per la sua fede, la Judina venne avversata dal regime che nel 1930 la cacciò dal Conservatorio dove era docente. Ma il regime dittatoriale non riuscì a impedirle di suonare, e tutti, anche Stalin, la rispettavano per le sue qualità artistiche.
Il pezzo teatrale con concerto “Marija Judina, la pianista che commosse Stalin”, è stato organizzato dalla fondazione Russia Cristiana, con la regia di Andrea Chiodi.
La Judina era interpretata da Angela Demattè, Premio Riccione 2009 per la drammaturgia, mentre l’esecuzione musicale è stata affidata a Victor Derevianko e Marina Drozdova, allievi di Marija Judina.


Suggerisco anche di vedere un'intervista pubblicata su il Sussidiario di cui riporto solo l'introduzione:
«Personalità d’artista inconfondibile e grande. Balzana solo secondo il metro con cui il pacifico borghese giudica colui che batte i sentieri tortuosi invece delle vie maestre e spianate». Chi scrive, in un suo vecchio saggio, è il critico musicale Piero Rattalino, una vita intera dedicata alla storia dell’interpretazione pianistica, del pianoforte e dei più grandi concertisti. Il soggetto in questione però, non ha la stessa fama di Artur Rubistein, Vladimir Horowitz o di Arturo Benedetti Michelangeli. Stiamo parlando di Maria Judina, pianista russa dalle doti straordinarie, nata nel 1899 e scomparsa nel 1970, ma oggi praticamente dimenticata in Occidente.

In occasione del Meeting di Rimini di quest’anno, che dedica a questa figura una mostra e un ambizioso spettacolo teatrale, IlSussidiario.net è tornato a intervistare il M° Rattalino, per cercare di cogliere «quei frutti selvatici che non si trovano sulla via maestra, ma di cui la Judina andava pazza».
Circa trent’anni fa, nel suo libro “Da Clementi a Pollini”, Maria Judina trovava posto in un capitolo chiamato non a caso “Immortali in incognito”.
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La Francia terra privilegiata di Maria (Contributi 363)

Ecco la terza ed ultima parte dell'intervento su Maria

Ma vediamo a questo punto perché la Francia, una volta ritenuta la nazione eletta per aver sempre protetto la Chiesa cattolica e lo Stato Pontificio, ha avuto in modo particolare la presenza della Madonna con le sue apparizioni. Non possiamo qui fare la storia di tutte le significative presenze della Madre di Gesù in terra di Francia, ma ci limitiamo a due eccezionalmente importanti e tra loro collegate:
1) le apparizioni della Madonna a Catherine Labouré presso il convento delle Figlie della Carità, fondato da san Vincenzo de’ Paoli, in Rue du Bac a Parigi nel 1830,
2) le apparizioni avvenute a Lourdes nella grotta di Massabielle a Bernadette Soubirous nel 1858.
Ma certamente non possiamo dimenticare l’apparizione intermedia nel 1846 a La Salette ai due ragazzi: Massimino e Melania Calvat.

Però, prima di parlare di queste grandi manifestazioni terrene della Madre di Cristo, è opportuno tentare di capire perché qui e allora ci furono questi eventi.
Vedete, la Francia dal 1700 in avanti è diventata come una specie di incubatrice dell’odio contro la Chiesa di Roma, contro il Papa, contro la dottrina della Chiesa cattolica.

Qui è nato l’illuminismo che è poi degenerato nelle filosofie contro l’uomo:
•Il giacobinismo della rivoluzione francese,
•Il comunismo marxista di Lenin, di Stalin, di Mao, di Pol Pot, ecc.,
•Il nichilismo di Nietzsche,
•Il nazionalsocialismo di Hitler.


Tutte filosofie politiche degenerate in ideologie contro l’uomo. Nessuna delle realizzazioni concrete di quelle filosofie ha portato la felicità agli uomini. Anzi, hanno provocato centinaia di milioni di morti, e continuano a provocarli.
Il sogno di tutte queste ideologie è “Cacciare Cristo per poter schiacciare i popoli”, proprio come aveva urlato Voltaire: “schiacciate l’infame”, cioè Cristo.
Ecco perché è importante mettere in evidenza la insistenza con la quale la Madonna è apparsa in terra di Francia, e sempre con messaggi di Madre molto preoccupata per la determinazione con la quale gli uomini seguono Satana invece di Cristo.
Il vero rivoluzionario è Cristo, perché proclama che tutti gli uomini sono fratelli e quindi uguali dinanzi al Padre celeste. In questo modo Cristo elimina gli steccati della diversità umana, posti sin dai primordi della storia fra nobili e plebei, fra forti, sani e belli, e malformati ed emarginati. Con la sua rivelazione Gesù dà a ciascuno la certezza che il Padre ama tutti i figli allo stesso modo.
Al Padre non interessano le differenze fisiche, razziali, sociali, culturali dei propri figli, ma solo la purezza del loro cuore, il loro agire sulla terra.
Gesù conquista prima il cuore e poi la mente degli uomini, scardina l’antica mentalità pagana, rivoluziona l’essenza dell’essere umano e del suo essere nel mondo. L’avvento di Cristo illumina il progresso terrestre con la speranza.
Per i credenti si ha la certezza che veniamo da Dio e a Dio ritorneremo.
Il passaggio sulla terra è un pellegrinaggio, una prova per riconquistarsi il paradiso perduto. Chiunque, redento da Cristo, può meritare con le proprie azioni e con atti d’amore. Ma anche per chi non crede, il percorso storico è illuminato di senso, perché sa che ciò che compie e produce nel tempo è utile per l’avvenire.
Il Cristianesimo spezza i cicli della mentalità pagana, caccia il fato e con esso l’idea dell’ineluttabilità della distruzione delle civiltà e affida alla responsabilità dell’uomo il proprio avvenire, oltre a rassicurarlo con la presenza costante della Provvidenza.
Il Cristianesimo dà un senso e una meta alla vita terrena.

Ora, dopo aver fatto questo percorso storico e di attualità, riprendiamo il legame tra le apparizioni della Vergine in terra di Francia, nella Rue du Bac a Parigi e a Lourdes.

In ambedue le situazioni la Madonna si presentò come l’Immacolata Concezione, questo è il grande annuncio.
Non mi soffermo sul significato teologico di questo dogma, voglio solo, e brevemente, ricordare un grande beato del Medioevo che gettò le basi teologiche della concezione immacolata della Madre di Gesù, il francescano Giovanni Duns Scoto (Dottor Sottile), di origine scozzese, attorno al 1300. A questo beato frate, dei francescani minori, dobbiamo l’intuizione profetica del dogma che secoli dopo sarà proclamato dalla Chiesa cattolica, anche a seguito delle apparizioni della Rue du Bac, cui quelle di Lourdes fanno solo da conferma. Famoso il suo sillogismo per dimostrare la scelta di Dio sulla Madonna: “potuit, decuit, ergo fecit”, POTUIT (Dio nella sua onnipotenza poteva farlo), DECUIT (era conveniente che la madre di Gesù fosse preservata dal peccato originale), ERGO FECIT (perciò di fatto l’ha preservata).

Infatti, la Madonna a Catherine Labouré, dirà di coniare quella medaglia, diventata poi famosa come la “medaglia miracolosa”, con su scritta la giaculatoria “O Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi”. Siamo nel 1830, a Parigi.
Però, la festa della Immacolata era in uso nella Chiesa cattolica anche nei secoli precedenti, proprio grazie agli ordini religiosi, come i francescani, che l’avevano diffusa in tutta Europa. Nella nostra esposizione cercheremo di mettere in evidenza la grande sintonia che si è costruita nei secoli tra l’Immacolata e l’ordine francescano.
Solo nel 1854 il Papa Pio IX decise la proclamazione del dogma, cioè della verità di fede sull’Immacolata Concezione. Ricordiamo anche una data importante e significativa: il 25 marzo 1858 a Lourdes la “Bella Signora” durante una delle apparizioni, confidò a Bernardette che Lei era la Immacolata Concezione: “Que soy era Immaculada Councepciou”, nel dialetto dei Pirenei di quel tempo.
Ma il giorno 25 marzo per tutta la cristianità è anche la festa dell’Annunciazione.


Pensate che coincidenza!
Gesù sarebbe nato dopo nove mesi da quell’annuncio, e a Lourdes abbiamo una nuova prova della verità storica dell’Annunciazione e della nascita del Redentore dell’umanità. Quale grande messaggio è questo che arriva nei nostri cuori!


Però, anche La Salette riveste un’importanza strategica nelle apparizioni della Vergine, che si presenta come madre premurosa di salvare la vita dei suoi figli. Nulla sfugge alla sua tenerezza di Madre: è totalmente impegnata ad intercedere in nostro favore, presso suo Figlio Gesù, del quale non riesce più a reggere oltre il braccio tutto teso a lanciare castighi tremendi al popolo che lo bestemmia, che non va più alla Santa Messa, che non rispetta più la Quaresima. Sono queste le colpe che la Madonna rimprovera al popolo di Dio che si allontana dalla pratica dei sacramenti e dagli insegnamenti del Vangelo. Ancora una volta ci accorgiamo che alla Madre di Gesù interessa salvare le nostre anime dall’inferno. Con commozione notiamo che la Vergine ci accomuna al Figlio suo. Dice a Massimino e a Melania: “Figli miei”, e parlando di Gesù: “Mio Figlio”, e del popolo di Dio: “Mio popolo, popolo mio”.
Tutto è suo nel medesimo modo.
Tutto le appartiene come madre che di tutto si prende cura.
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lunedì 23 agosto 2010

La testimonianza di Rose Busingye (Contributi 362)

Dal Sussidiario la cronaca di un incontro al Meeting di Rimini

Al cuore dell’esperienza: rinati in un incontro
Ieri, nella Sala A1, gremita di persone, si sono ritrovati sul palco per l’appuntamento “Al cuore dell’esperienza: rinati in un incontro”. quattro ragazzi ugandesi con Rose Busingye

«Mio padre e mia madre sono stati bruciati. Il mondo ha acquistato per me i caratteri di un buio totale: vivevo un terrore di morte. (…) Ricordo, come se fosse il mio compleanno, quel giorno del 2007, in cui padre Carrón è venuto in Uganda, lo sguardo con cui mi guardava. Il mio cuore è tornato a sobbalzare. Sono stato, siamo stati sopraffatti da uno sguardo e la nostra vita è diventata una canzone»: si tratta di alcuni passaggi della della testimonianza di George William Emalu, la prima del Meeting di Rimini di quest’anno, nella Sala A1, gremita di persone, per l’appuntamento “Al cuore dell’esperienza: rinati in un incontro”. Sul palco, insieme a George William, altri quattro ragazzi ugandesi, Rose Busingye, responsabile del Meeting Point di Kampala, e Davide Perillo, direttore del mensile “Tracce”. Cinque storie diverse quelle raccontate, ma con alcuni tratti comuni: esperienze di vita difficilissime segnate da sofferenze drammatiche e ferite aperte, poi il rapporto col Meeting Point e con Rose, infine l’incontro con don Carrón con tutto quel che ne è seguito (richiesta del battesimo, decisione di “seguire quell’uomo”…).
Per Cesar Nyeko, oggi ventiduenne, genitori uccisi dai ribelli, lo spunto per incontrare il Meeting Point è venuto dal lavoro del fratello in una cava di pietre: «C’erano delle donne povere e malate che cantavano e ballavano. Potevano sembrare pazze. Qualcuno ci ha detto che erano delle donne del Meeting Point». L’incontro con Carrón lo descrive in questi termini: «Ho visto in lui uno sguardo che mi ha ribaltato: sembrava che potesse unire i frammenti della mia vita. Si apriva anche per me una possibilità». Fredy Komenach, ventun anni, anche lui coi genitori prelevati e uccisi dai ribelli, ricorda di essere stato “intrigato” da un’affermazione di Rose: «Tu hai un valore!». Pure Fredy parla dello «splendido sguardo di padre Carrón: Ho incominciato a seguire quello sguardo all’interno del quale ho incontrato anche Cristo. Ho rincontrato, quindi, anche i miei genitori. E così ho tutto nella vita». Toccanti anche i racconti di Deogracious Droma Adrawa e Denis Oryem Ocello.

Rose Busyngye ha raccontato il contraccolpo che ha avuto per lei l’incontro coi giovani ugandesi intervenuti a Rimini: «Era evidente che a questi ragazzi qualcosa era successo. Loro sono cambiati, ascoltando Carrón. Li vedevo commossi, mentre io non lo ero. Dopo la morte di Giussani, infatti, mi sembrava che il mio mondo fosse finito. Ad un certo punto ho dovuto seguirli; perché il Mistero chiama chi vuole e quando vuole. Anch’io ho cominciato a seguire Carrón non più come un capo, ma guardando ciò che sta guardando Carrón. E così sono diventata una cosa solo con loro».
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Maria è la Regina dei profeti (Contributi 361)

ecco la seconda parte dell'intervento pubblicato ieri:

Estasiati davanti alla bellezza di Maria, da sempre i cristiani le hanno rivolto lodi copiose e ricche di immagini, che la Chiesa raccoglie nella liturgia: orto recintato, giglio tra le spine, sorgente sigillata, porta del cielo, torre vittoriosa contro il serpente infernale, paradiso di delizie piantate da Dio, stella amica dei naufraghi, Madre purissima, Regina dei profeti...

Ecco, proprio Regina dei profeti e lei stessa profetessa dei messaggi di suo Figlio all’umanità.
È interessante notare questo fatto: prima della venuta di Gesù, è Dio Padre che si rivolge direttamente al suo popolo mediante i profeti, e i profeti vengono istruiti direttamente da Dio sulla loro missione; dopo la venuta di Gesù, Dio Padre non parla più direttamente al suo popolo che ormai è tutta l’umanità, ma si serve del Figlio e della Madre.
Innumerevoli sono nella storia della Chiesa gli eventi documentati della presenza di Gesù che parla e dialoga con i mistici e delle apparizioni della Madonna che con amore di Madre preoccupata per la salvezza degli uomini, interviene incessantemente per riportare l’umanità al rispetto del messaggio evangelico.
Possiamo ben affermare che la Madonna è da secoli la profetessa inviata da Gesù per soccorrere l’umanità preda del peccato e sempre più orientata all’autodistruzione.
Ora, nel nostro percorso di avvicinamento al mistero del ruolo della Madonna come corredentrice dell’umanità, non possiamo fare a meno di ricordare attraverso quali vie il popolo cristiano si rivolge alla Madre di Gesù, pregandola e impetrando da Lei le grazie e i doni necessari per la salvezza eterna, ma anche per la salute corporale.
Il canale principale di questa comunicazione mistica tra il fedele e la Madonna è certamente la preghiera del Rosario.
La pratica del Rosario si diffuse grandemente nel Medio Evo ad opera di San Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’Ordine cistercense e predicatore della seconda crociata per la liberazione del Santo Sepolcro, e di San Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine domenicano, detto dei predicatori.
Il mese di Maggio è per tradizione il mese dedicato alla Madonna, proprio perché è il mese delle rose, e il Rosario altro non è che una lode continua alla Madre di Cristo, simboleggiata da questo fiore affascinante e bellissimo.
Come per i Salmi esiste la suddivisione tra i Salmi della gioia, i Salmi del dolore e i Salmi della riflessione, che altro non sono che le tre condizioni esistenziali della vita di ogni uomo, così il Rosario fa memoria della condizione esistenziale di Cristo redentore durante la sua vita terrena, a partire dall’Annunciazione per terminare con la Pentecoste e l’Assunzione di Maria.
Grande impulso alla pratica di questa devozione mariana viene dalle miracolose apparizioni della Vergine durante tutto il secolo XIX, dalla famosa Rue du Bac a Parigi con Catherine Labouré, a Lourdes con Bernardette, e nel secolo XX prima a Fatima con Lucia e i due cugini Giacinta e Francesco, e poi a Medjugorje con il gruppo di veggenti ancora in vita, e dove le apparizioni continuano regolarmente. In tutte queste apparizioni la Madonna invita i fedeli alla preghiera del Rosario per la salvezza dell’umanità, che sta correndo precipitosamente verso l’autodistruzione, prima di tutto morale, con la diffusione massiccia della cultura della violenza sulla vita e con l’eradicazione della presenza di Dio dal cuore degli uomini.
Pochi anni fa il grande Papa Giovanni Paolo II nella sua Lettera Apostolica “Il Rosario della Vergine Maria”, ha invitato i cristiani a riscoprire la preghiera mariana per eccellenza, “preghiera tradizionale, tanto semplice e allo stesso tempo tanto profonda”, destinata a “produrre frutti di santità”.
In questa Lettera Apostolica il compianto Sommo Pontefice insegna e spiega che il Rosario deve essere una preghiera contemplativa, ricordando ciò che l’altro grande Papa Paolo VI diceva: “Senza contemplazione, il Rosario è un corpo senz’anima. Per sua natura, la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano nell’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore”.
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(parte 2 di 3, continua)
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domenica 22 agosto 2010

Non siamo fatti solo di terra, siamo fatti anche di Cielo! (Contributi 360)

Domenica, 22 agosto 2010 (ZENIT.org)
Gesù è venuto a comunicarci che non siamo fatti solo di terra, siamo fatti anche di Cielo”. Lo ha detto monsignor Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, nel corso dell’omelia della Messa di apertura del XXXI Meeting per l‘amicizia fra i popoli, che si è aperto a Rimini domenica 22 agosto.

Impressionante la partecipazione alla tradizionale Messa di apertura del Meeting. Dodicimila persone, tra donne, bambini, famiglie, disabili, volontari, sacerdoti, con una grande maggioranza di giovani, si sono messe in cammino per raggiungere il padiglione centrale.
Il padiglione si è riempito in un batter baleno, così sono stati attivati dei video giganti nelle diverse sale della fiera per permettere al popolo del Meeting di assistere alla Messa.
Al momento della comunione, proprio come alla fine di un pellegrinaggio, una fila di sacerdoti e religiosi, si è dispiegata nelle sale della Fiera per portare l’Eucaristia.
Perfetta la coreografia, con canti e suoni mentre nei video si susseguivano immagini di arte sacra. Le preghiere dei fedeli sono state lette nelle diverse lingue.
Anche la Prima lettura sembrava scritta apposta per l’evento. Dal libro del profeta Isaia (66, 18b-21) il Signore dice: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue, essi verranno e vedranno la mia gloria”.
Nel corso dell’omelia il Vescovo di Rimini ha spiegato che “la felicità è desiderio di Dio” e facendo riferimento al tema del Meeting “quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore” ha spiegato che “il cuore dell’uomo è come una goccia di rugiada che riflette l’intera volta del cielo”.
“Circoscritto nei suoi limiti, illimitato nelle sue aspirazioni”, ha aggiunto monsignor Lambiasi, il cuore umano risulta però “malato di una grave patologia: il narcisismo”.
“Il peccato delle origini – ha sottolineato – ha ferito il cuore dell’uomo, facendolo ripiegare su se stesso e illudendolo di poter trovare una felicità tutta per sé, senza do e senza gli altri”.
“Quando l’uomo cade vittima del poter essere felice da solo, si autocondanna all’infelicità”, ha precisato il Vescovo di Rimini.
A prova di una rinnovata unità ecclesiale, monsignor Lambiasi, che dal febbraio 2001 al 2007 è stato assistente ecclesiastico generale dell'Azione Cattolica Italiana (AC), ha citato Don Giussani, fondatore e ispiratore di Comunione e Liberazione, il movimento che ha dato vita al Meeting, e che negli anni Settanta veniva contrapposto all’AC.
“Acuto esploratore delle abissali profondità del cuore umano”, ha detto monsignor Lambiasi di don Giussani, “ha messo magistralmente in luce la dinamica del desiderio della felicità”.
Il Vescovo di Rimini ha concluso rilevando che “il regno di Dio non è un privilegio per pochi raccomandati di lusso; è un dono. E un dono non si merita, ma si accoglie”.
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“L’uomo è fatto per cose grandi” (Contributi 359)

Solo l’infinito può riempire il cuore dell’uomo

di Antonio Gaspari


Domenica, 22 agosto 2010 (ZENIT.org).
“Come il titolo del Meeting sottolinea, non qualsiasi cosa è la meta ultima del cuore dell’uomo, ma solo le cose grandi”. Così inizia il messaggio che il Pontefice Benedetto XVI ha inviato domenica 22 agosto al Vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, in occasione dell’apertura del Meeting per l’amicizia tra i popoli.
Il Papa ha spiegato che “l’uomo è spesso tentato di fermarsi alle cose piccole, quelle che danno una soddisfazione ed un piacere ‘a buon mercato’, a quelle che appagano in un momento, cose tanto facili da ottenere, quanto ultimamente illusorie”.
Ma, l’uomo “non vive di solo pane”. Il Papa ha ricordato la risposta di Gesù alle tentazioni del diavolo (Mt 4,4), precisando che solo Dio “sazia la fame profonda dell’uomo”.
“Le cose finite – ha aggiunto – possono dare barlumi di soddisfazione o di gioia, ma solo l’infinito può riempire il cuore dell’uomo”.
“Dio – ha sottolineato – è venuto al mondo per risvegliare in noi la sete di cose grandi”.
Il Pontefice ha poi rilevato il significato e l’importanza della preghiera. Riprendendo Sant’Agostino ha spiegato che “a Dio possiamo chiedere tutto. Tutto ciò che è buono”.
“Nel dialogo con Lui – ha proseguito – portando tutta la nostra vita davanti ai suoi occhi, impariamo a desiderare le cose buone, a desiderare, in fondo, Dio stesso”.
A questo proposito si narra che San Tommaso, in uno dei suoi momenti di preghiera, sentì il Signore che gli disse: “Hai scritto bene di Tommaso; che cosa desideri?”, e San Tommaso rispose “Nient’altro che Te”, per questo motivo il Papa ha affermato che “imparare a pregare è imparare a desiderare e, così, imparare a vivere”.
Nel messaggio trasmesso tramite il Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, il Santo Padre ricorda, a cinque anni dalla sua scomparsa, monsignor Luigi Giussani e si “unisce spiritualmente agli aderenti al Movimento di Comunione e Liberazione”.
Il Vescovo di Roma ricorda che, in occasione dell’udienza svoltasi in Piazza san Pietro il 24 marzo del 2007, disse che “don Giussani si impegnò (…) a ridestare nei giovani l’amore verso Cristo, (…) ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell’uomo”.
Il messaggio del Pontefice al Meeting si conclude con la Benedizione apostolica e l’auspicio che queste riflessioni “siamo d’aiuto per conoscere, incontrare e amare sempre di più il Signore e testimoniare nel nostro tempo che le cose grandi a cui anela il cuore umano si trovano in Dio”.
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La Donna nemica del serpente (Contributi 358)

Dal sito di Cultura Cattolica riprendeo questo intervento di Gianfranco Trabuio, Cavaliere dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e vice presidente del Movimento Amici di Terra Santa del Triveneto. Questo intervento è diviso in tre parti di cui la presente è la prima:


La storia dell’uomo sulla Terra è la storia della misericordia di Dio. “Sin dall’eternità ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1, 4). Tuttavia, istigati dal demonio, Adamo ed Eva si ribellarono ai piani divini: “diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gn 3, 5), aveva loro sussurrato il principe della menzogna. Lo ascoltarono; non vollero avere debiti verso l’amore di Dio e cercarono di ottenere con le loro sole forze la felicità alla quale erano stati chiamati.

Però Dio non venne meno. Sin dall’eternità, nella sua Sapienza e nel suo Amore infinito, prevedendo il cattivo uso della libertà che avrebbero fatto gli uomini, aveva deciso di farsi uno di noi, mediante l’Incarnazione del Verbo, seconda Persona della Trinità. Perciò, rivolgendosi a Satana che sotto l’aspetto di un serpente aveva tentato Adamo ed Eva, lo minacciò: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe” (Gn 3, 15). È il primo annuncio della Redenzione, nel quale già s’intravede la figura di una Donna, discendente di Eva, che sarà la Madre del Redentore e, con Lui e sotto di Lui, schiaccerà la testa del serpente infernale. Una luce di speranza si accende sul genere umano nell’istante stesso in cui peccavano i progenitori.
Nei libri dell’Antico Testamento, Dio si fa presente al suo popolo mediante i profeti, persone espressamente incaricate da Lui per ricordare al popolo della promessa quali fossero le richieste del Creatore per garantire quell’Alleanza che Lui aveva stretto con Mosé al tempo dell’esodo, dall’Egitto fino alla Terra Promessa.
A ben guardare, la storia narrata nei libri dell’Antico Testamento è tutta giocata sui tradimenti del popolo ebraico nei riguardi dell’Alleanza che Dio aveva promesso e garantito se e soltanto se il Suo popolo avesse seguito i Suoi insegnamenti. I profeti avevano l’obiettivo concreto di riportare il popolo alla fedeltà originaria, e quando questo succedeva i libri sacri narrano delle grandi gesta e della potenza dei regni delle tribù ebraiche.
Questo dramma del popolo del Signore che continuamente tradisce il suo Dio, nonostante la venuta ricorrente dei profeti, ha termine con la venuta del Figlio stesso di Dio Padre. Gesù, l’Emmanuele, è il Redentore, il Messia previsto dai libri e dai profeti, colui che segna il confine della storia dell’umanità. Dopo di Lui nessun altro profeta sarà inviato da Dio agli uomini.
Ora, riflettendo sulla persona di Gesù, non possiamo lasciare da parte la sua storia, l’evento prodigioso del suo concepimento e della sua nascita, tutto puntualmente raccontato secoli prima dai profeti e dai libri sacri. Addirittura la sua venuta era stata anticipata da Dio creatore già al compimento del peccato originale, quando viene anche profetizzata la comparsa di una Donna, generatrice della redenzione dell’umanità.
Ecco, la Redenzione del mondo era avviata fin dal primo momento. Poi, a poco a poco, ispirati dallo Spirito Santo, i profeti cominciarono a svelare le fattezze di questa figlia di Adamo, che Dio – in previsione dei meriti di Cristo, Redentore universale del genere umano – preserverà dal peccato originale e da tutti i peccati personali, e colmerà di grazia, per fare di Lei la degna Madre del Verbo Incarnato. Ella è la vergine che concepirà e partorirà un Figlio, che chiamerà Emmanuele.
(parte 1 di 3, continua)
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sabato 21 agosto 2010

Il primato di Pietro (Contributi 357)

Riporto questo breve testo dal sito de Il Timone:

Come è noto, il ruolo del Romano Pontefice quale Capo visibile della Chiesa universale, è contestato, sebbene con motivazioni assai diverse tra loro, dalle confessioni cristiane non cattoliche. Secondo queste ultime, in origine il Vescovo di Roma non avrebbe avuto potere di governo e di giurisdizione sulla Chiesa universale. Ma la storia sembra dimostrare il contrario. Fin dal primo secolo...


Clemente I fu il terzo successore di san Pietro sulla cattedra del Vescovo di Roma.
Sul finire del I secolo, probabilmente verso il 97, egli scrisse una lettera ai cristiani di Corinto, che avevano deposto e allontanato alcuni presbiteri. Il fatto è significativo, perché il Vescovo di Roma interviene nelle faccende interne di un'altra Chiesa, anch'essa fondata dagli apostoli. E interviene con una lettera il cui tono e contenuto dimostrano che Clemente era cosciente delle sue responsabilità ed esigeva un atto di obbedienza dai destinatari.
Vediamo alcune delle espressioni contenute nella celeberrima epistola: "Vi scriviamo tutto questo per riprendervi..." - "... accettate con contrizione la correzione..." - "Ma se qualcuno non obbedisce a ciò che per nostro tramite egli (Cristo) dice, sappiamo che si vedrà implicato in una colpa e in un pericolo non indifferente" - "Ci sarete motivo di gioia e di letizia se, obbedendo a quanto vi abbiamo qui esposto...".
Clemente dà ordine di reintegrare nelle loro funzioni quelli che la comunità di Corinto aveva allontanato. Non solo: minaccia sanzioni se non fosse stato obbedito. Difficile non pensare ad un atto di governo posto in essere dal vescovo di Roma nei confronti di un'altra Chiesa.
E come accolsero i Corinti la lettera di Clemente? Con massima considerazione, conservandola con cura, tant'è che nell'anno 170 l'allora vescovo di Corinto, Dionigi, scrive a papa Sotero informandolo che quello scritto veniva letto nella celebrazione eucaristica domenicale.
Un primato riconosciuto anche nel primo secolo. Come dice la storia...
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giovedì 19 agosto 2010

La bellezza del sacerdozio cattolico (Articolo 22)

Propongo a tutti un articolo pubblicato originariamente su I tre sentieri:

La bellezza del sacerdozio cattolico sta nella sua necessità per la salvezza dell’uomo. Ma quando s’inizia a credere che ogni religione vale l’altra cosa rimane di questa bellezza?

Che ci sia una crisi delle vocazioni è sotto gli occhi di tutti. Che poi si dica che non sia crisi di vocazioni (ed è vero) ma di risposte alla vocazione, non è che cambi molto le cose. Sant’Ignazio di Loyola, che di vocazioni se ne intendeva, tanto che nei suoi Esercizi spirituali ha inserito ben diciassette punti per riflettere seriamente sulla scelta del proprio stato, affermava addirittura che un maschio su tre fosse chiamato al sacerdozio. Certo, non sappiamo se le cose stiano effettivamente così; resta il fatto che siamo su cifre molto, ma molto lontane dalle attuali. Sta prendendo piede la figura del parroco globe-trotter: alle 9 Messa nella parrocchia A, alle 10 in quella B e alle 11.30 in quella C... che la D e la E si arrangino. Ci sono molte parrocchie (non mi riferisco soltanto all’Italia) che il sacerdote lo vedono ormai con il cannocchiale. C’è il diacono Tizio e il diacono Caio che organizzano le cosiddette “paraliturgie”, che, con tutto il rispetto, stanno alla Messa nemmeno come le patate lesse ad un bel piatto di spaghetti alla carbonara. Paragone forse irriverente, ma è per rendere un’idea che in realtà non si può rendere, perché solo la Messa ha un valore infinito, solo nella Messa è Dio che si offre in sacrificio. Se mettessimo su un piatto della bilancia tutte le preghiere di questo mondo e su un altro una sola Messa, la bilancia sicuramente penderebbe dalla parte della Messa.
Ma torniamo al discorso da cui siamo partiti. Il numero dei sacerdoti è assolutamente insufficiente. E giustamente si cerca di correre ai ripari. Si fanno convegni, piani pastorali, incontri e giornate di preghiera; tutte cose buone... anzi ottime (cosa c’è di più importante della preghiera?), ma si rivelano come “fatiche di Sisifo”, cioè inutili. E questo perché si dimentica una cosa molto importante e cioè che oggi non si sottolinea abbastanza l’esclusivismo salvifico del Cattolicesimo, ovvero che la salvezza è solo nella Chiesa cattolica. Si è invece diffusa quella che può essere chiamata la “sindrome dell’Anas”: ogni strada, se ben curata, è buona per arrivare a destinazione... e così ogni religione, se ben praticata, sarebbe buona per raggiungere la felicità eterna.
Torniamo alla crisi delle vocazioni e riflettiamo. Si può davvero risolvere questo problema senza riproporre l’esclusivismo salvifico del Cattolicesimo?
Facciamo un esempio. Un giovane pensa di avere la vocazione al sacerdozio. Sa che si tratterà di una vita di numerose rinunce. Poi gli fanno capire che, in realtà, tutti si salvano indipendentemente dalla religione che si professa. E’ naturale che qualche dubbio gli venga. Ma chi glielo fa fare? Se ogni religione è buona, a che serve il sacerdozio cattolico? Si potrebbe obiettare: ma nessuno deve credersi indispensabile. Verissimo. Ma ciò vale per la propria persona, non per la funzione che si ricopre. Ci spieghiamo. Don Tizio deve essere sì consapevole della sua inutilità (siamo tutti “servi inutili”-Luca 17,10), ma non può ritenere inutile –anzi!- il suo sacerdozio. Lo ripeto: l’inutilità vale per la propria persona non per il ruolo che si ricopre nella Chiesa.
D’altronde la bellezza del sacerdozio cattolico sta proprio nel portare a tutti la Grazia per donare il Paradiso. Leggete queste bellissime parole del Santo Curato d’Ars: “Quando vedete un sacerdote, dovete dire: ‘Ecco colui che m ha reso figlio di Dio e mi ha aperto il cielo per mezzo del santo Battesimo, colui che mi ha purificato dopo il peccato, colui che nutre la mia anima.’ Il sacerdote è per voi come una madre, come una nutrice per il neonato: ella gli dà da mangiare e il bimbo non deve far altro che aprire la bocca. La madre dice al suo bimbo: ‘Tieni, piccolo mio, mangia’. Il sacerdote vi dice: ‘Prendete e mangiate, ecco il Corpo di Gesù Cristo. Possa custodirvi e condurvi alla vita eterna’. Che belle parole! Il sacerdote possiede le chiavi dei tesori del cielo: è lui ad aprire la porta; egli è l’economo di Dio, l’amministrazione dei suoi beni.”


Fonte: I Tre Sentieri, 10 luglio 2010
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Nel Regno Unito, il Papa mostrerà la bellezza della fede (Contributi 356)

ROMA, mercoledì, 18 agosto 2010 (ZENIT.org).
Il prossimo viaggio del Papa in Gran Bretagna sarà l'occasione per presentare con efficacia il contributo positivo e la bellezza della fede cristiana e della Chiesa cattolica a una società secolarizzata come quella inglese. E' quanto ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

In una intervista alla Radio Vaticana, il sacerdote gesuita, nell'evidenziare alcuni degli aspetti salienti legati alla visita che Benedetto XVI compirà dal 16 al 19 settembre prossimo, ha detto che “certamente si attende con grande intensità ed emozione il primo giorno, che vede subito l’incontro del Papa con Sua Maestà, la Regina. E’ anche il giorno dell’incontro con la Scozia, che è una parte importantissima di questo viaggio”.
“Vorrei ricordare, inoltre, che il giorno in cui il Papa si trova in Scozia è il giorno della festa di Saint Ninian, che è il patrono, l’evangelizzatore della Scozia. E’ quindi un giorno importantissimo per gli scozzesi”, ha aggiunto.
Poi ci sarà “il grande discorso del Papa nella Westminster Hall, l’incontro con la società, con il mondo della cultura, con tutte le componenti più attive ed autorevoli della società inglese. Questo certamente sarà un momento guardato con grande attenzione”.
Da non sottovalutare la portata ecumenica del viaggio, che prevede l’incontro tra il Papa e il Primate anglicano, l’Arcivescovo di Canterbury.
“La celebrazione ecumenica – ha commentato padre Lombardi – ha certamente un grande significato. Sappiamo anche che è un momento delicato per l’anglicanesimo, per i dibattiti interni. Ed è un momento delicato anche per i rapporti con la Chiesa cattolica, perché i dibattiti interni si riflettono anche sul rapporto tra gli anglicani ed i cattolici”.
Quindi il momento conclusivo con la veglia a Hyde Park, a Londra, e la beatificazione a Birmingham dedicate alla figura di Newman che, secondo padre Lombardi, rappresenta un po’ “il cuore spirituale di questa visita” anche per il legame speciale che unisce il Santo Padre a questo poeta e pastore anglicano, successivamente accolto nella Chiesa cattolica e creato Cardinale da Leone XIII.
Un legame, ha spiegato il portavoce vaticano, visibile nella “sintesi profonda tra fede e ragione” e “nel vivere la testimonianza cristiana nel mondo di oggi, nel mondo moderno, dando tutte le ragioni della fede cristiana per coloro che le chiedono, rendere ragione della nostra speranza nel mondo di oggi”.
Riguardo la questione dei cosiddetti “biglietti” per partecipare ad alcuni eventi della visita, come ad esempio la veglia a Hyde Park, padre Lombardi ha fatto notare che “i costi, gli impegni organizzativi della visita sono naturalmente di chi invita. Non è il Papa che si auto-organizza un viaggio in Inghilterra. Quindi, prima cosa: il Vaticano non ha stabilito nulla di questo”.
La necessità di chiedere un “contributo” per partecipare ai tre principali eventi pubblici deriva dal fatto che le persone dovranno usufruire di mezzi di trasporto organizzati e quindi le autorità ecclesiali hanno dovuto fornire “un 'pass', un passaporto specifico ad ogni fedele che partecipa” e “un piccolo 'kit' di servizio – anche pastorale e logistico –”.
Riguardo invece alle novità rispetto alla visita in Gran Bretagna di 30 anni fa di Giovanni Paolo II, padre Lombardi ha sottolineato che la situazione è molto cambiata, così come “l’impostazione della visita stessa, che ha un suo aspetto di visita di Stato con invito ufficiale da parte della Regina e del governo, mentre quella di Giovanni Paolo II era più specificamente pastorale”.
“Direi che quello che ci si attende – ha continuato –, che si può desiderare, sperare veramente da questa visita è il fatto di far capire, presentare il servizio della fede cristiana e il servizio della Chiesa cattolica per una società molto sviluppata ma anche molto secolarizzata, come quella del Regno Unito”.
“Una realtà – ha detto ancora – dove forse anche molte persone si interrogano sul valore della testimonianza cristiana e della testimonianza cattolica nella società. Quindi, far cogliere che questa è un dono per la società, una ricchezza che viene offerta con il suo servizio di ispirazione spirituale ma anche, poi, di impegno nel campo educativo, nel campo della salute, della carità è qualcosa di molto importante”.
“Noi ci auguriamo – ha concluso – che anche questo viaggio sia veramente una manifestazione della bellezza, della positività del servizio del Santo Padre nella società, tanto più in tempi in cui abbiamo anche avuto momenti di contestazione”.
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lunedì 16 agosto 2010

Oleg Supereco, pittore (Contributi 355)

Oleg Supereco, il pittore russo che riporta l’arte cristiana in Sicilia

riporto da il Sussidiario questo interessantissimo testo di Carmelo Greco:

Mentre il montacarichi - una specie di barca metallica rettangolare da cui sporge l’intero busto degli occupanti - sale sferragliando verso l’interno della cupola nella cattedrale di Noto, cittadina barocca in provincia di Siracusa protetta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, una forza antica invade gli occhi.
Le panche dei fedeli, giù, diventano sempre più piccole. Al contrario delle figure dei quattro evangelisti, affrescate da poco nei pennacchi, che avvicinandosi svelano l’imponenza dei loro sei metri e mezzo di muscoli michelangioleschi. Ci passiamo accanto, fino quasi a sfiorare il giallo arancio del manto di Giovanni.
Superato il tamburo, e lasciato il montacarichi, ci si inerpica su piccole scale che conducono alla cupola, metà della quale è già occupata da sette dei dodici apostoli. Oltre ai restanti, manca ancora la Madonna. Entro l’anno la Pentecoste sarà terminata.
Oleg Supereco, la nostra guida, sembra non curarsi dei 40 metri che lo separano dal pavimento. Si muove a suo agio sopra il ponteggio rotante che si è fatto costruire apposta dalla stessa azienda che ha realizzato l’impalcatura per i restauri del Parmigianino nella chiesa Santa Maria della Steccata a Parma.
Oleg ha 36 anni e viene da Mosca, ma da circa un decennio vive in Italia, attualmente a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso. Ha preso persino l’accento e quando va a bere con gli amici siciliani, li invita a prendere un’“ombra” o un’“ombreta”. Oleg è un pittore. È l’artista incaricato di affrescare i pennacchi e la cupola della chiesa Madre di San Nicolò, la cattedrale di Noto crollata in una notte del 1996 e riconsegnata come nuova nel 2007.
Ha iniziato la sua opera l’anno scorso. La tecnica dell’affresco con la quale sta abbellendo l’edificio sacro ormai è stata pressoché abbandonata, sia per la difficoltà del procedimento (una volta stesa la malta sulla parete, si ha tempo 2-3 ore per dipingere prima che l’intonaco si asciughi) sia per la mancanza di grandi committenti. Quella di Noto, quindi, è una sfida. Oltre che una di quelle occasioni che si presentano una sola volta nella vita.
A chi gli chiede perché dipinge, risponde: «Perché non posso non dipingere», oppure: «La pittura è la mia preghiera attraverso cui comunico con il Signore e Lui comunica con me. Perché quello che faccio non lo faccio io, non lo detto io. Fa sempre Lui attraverso di me. A volte non so nemmeno come mi riescono certe cose. Io sono solo uno strumento». Se gli domandano, invece, quando ha capito che sarebbe diventato un pittore, non ha dubbi: «Da sempre».
La prima volta che suo padre, accorgendosi dell’interesse del piccolo Oleg per le arti figurative, lo portò in un museo, lo accompagnò a visitare soltanto le sale dei moderni. Passando per i corridoi, Oleg intravide, in un’altra zona separata, alcuni quadri particolari che raffiguravano volti seri su fondi dorati. Nonostante le sue insistenze, il padre non gli permise di andare a osservarli da vicino. Erano gli anni prima della Perestrojka. Quello fu il primo incontro dell’artista con le icone russe. Un incontro che confermò una passione sorta a 5-6 anni, sfogliando una rivista che riportava i grandi affreschi di Raffaello e Michelangelo.
«Fui preso subito da quella forza espressiva - ricorda -. Non mi hanno mai entusiasmato i quadri degli impressionisti o l’arte sovietica che parlava del quotidiano. Né la pittura realistica in cui ci sono i “veci” seduti che bevono le “ombre”. Chiacchiere, insomma. Sono stato colpito solo dai volti delle icone, qualcosa di superiore, non fatto da mani d’uomo, e dalle figure di Michelangelo e Raffaello. E allora lì è scattato qualcosa. Ho detto: io devo fare quello».


Dopo il liceo artistico, Oleg si iscrive all’Accademia di Belle arti di Mosca. Avviene così l’incontro con un maestro, Ilja Glazunov, attuale rettore dell’Accademia e uno dei pittori contemporanei più importanti della Russia. «Un combattente contro le forze oscure - dice Oleg -, che afferma il Cristo ogni giorno con la sua arte. Un uomo grande, che va controcorrente, di fronte al quale ci si sente piccoli. Una di quelle persone che capita di incontrare ogni cento anni. Lui forse è stato l’unico che mi ha capito, che mi ha anche salvato».
Infatti, nonostante il forte legame con la tradizione russa, Gladunov intuisce le potenzialità del giovane allievo, accusato dagli altri insegnanti di essere troppo occidentale e troppo italianizzato. Artisticamente troppo cattolico. Ma il maestro lo difende e invita gli altri a lasciarlo stare in pace. Oggi, tra i tanti studenti che ha avuto nel corso della sua lunga carriera, Gladunov ne nomina solo tre o quattro. Oleg è tra questi.
Nel 1999, conclusi gli studi a Mosca, grazie a una borsa di studio approda all’Accademia di Belle arti di Venezia dove otterrà nuovamente la laurea con il massimo dei voti. «Anche in Italia sono stato fortunato. Ho avuto almeno tre grandi amici. Uno di questi è monsignor Carlo Chenis». Chenis, eletto vescovo di Civitavecchia-Tarquinia nel 2006, è morto il 19 marzo di quest’anno. È stato segretario della Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa e membro della Pontificia commissione di archeologia sacra. È lui a fare il nome di Oleg per gli affreschi della cattedrale siciliana.
Il 26 gennaio 2010, indirizzando ai fedeli della sua diocesi una lettera con la quale comunicava di avere un tumore invasivo, scriveva: «Questa settimana sono entrato nel tunnel chemioterapico per tentare di arginare la malattia, per quanto clinicamente possibile. È davvero un tunnel oscuro, pieno d’imprevisti e d’incertezze. Seguendo questo mio percorso faccio esperienza del dissesto organico nel quale sono caduto. In siffatta situazione sto riscoprendo quanto complesso e mirabile sia il nostro organismo nel suo ordinario e silenzioso funzionamento».


Questa scoperta, di un ordine dentro il caos e la sofferenza, per analogia è la stessa che fa Oleg nel suo itinerario espressivo, aiutato anche da monsignor Chenis: «I cristiani - sostiene il pittore - hanno aggiunto qualcos’altro all’arte antica greco-romana: il “bello” della sofferenza. L’arte cristiana scopre un bello anche nel brutto. È una bellezza che trasforma tutto. Il contrario dell’arte moderna, che trova il brutto nel brutto. E perfino il brutto nel bello».

Un mese prima che il vescovo di Civitavecchia-Tarquinia morisse, Oleg è andato a trovarlo: «Monsignor Chenis mi ha fatto capire che anche nella chiesa cattolica, e non solo in quella ortodossa, ci sono le persone sante. Aveva un senso profondo dell’arte cristiana e mi ha aiutato nel mio cammino personale e nelle mie ricerche sui simboli».


Ma esiste ancora un’arte che possa considerarsi cristiana? Sembrerebbe di no, a giudicare da tante opere architettoniche commissionate per i luoghi di culto. «Questi architetti sono innamorati di se stessi - taglia corto il pittore -. Esprimono se stessi. Credono di essere dei geni, ma una volta non era così.
Una volta gli artisti erano servitori di Cristo, di Dio. Ma se uno nell’arte non serve Cristo, chi serve? Il suo avversario.
Nel mondo c’è una lotta continua tra il bene e il male, tra Cristo e l’anticristo.
E oggi l’arte è diventata anticristiana. Le forme moderne che dicono “arte, arte, arte” sono solo provocazioni. Sono solo distruzione».
È l’estetica del brutto che avanza, pervasa, secondo il pittore moscovita, da una continua violenza in cui l’erotismo diventa pornografia e Cristo stesso è ritratto molte volte come una sorta di indemoniato.


«La cosa più grave - aggiunge - è che i giovani non sono più in grado di vedere la bellezza. Non riescono più a “leggere” la bellezza di un semplice dipinto del 400 o 500. Sembrano tutti arabi che, guardando queste opere, non sanno più che cosa siano. È stata cancellata la tradizione. Il bello di oggi coincide con il kitsch, che vuol dire cattivo gusto. E se oggi va così tanto di moda, significa che stiamo perdendo il gusto nel costruire e nel fare». Non c’è futuro, allora, per l’arte, e per quella cristiana in particolare? «Ci deve essere, per forza. Altrimenti…», sospira Oleg Supereco senza completare la frase e alzando lievemente la testa. Proprio come nell’espressione del San Giovanni raffigurato in uno dei pennacchi della cattedrale di Noto, a cui somiglia in modo impressionante.
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