Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

mercoledì 30 maggio 2012

I beni che passano e quelli che restano (Contributi 653)

Traggo da Samizdat On Line l'intervento di Mons. Caffarra, cardinale di Bologna: 


Carissimi fedeli, carissimi sacerdoti, carissimi religiose e religiosi, desidero partecipare alcune riflessioni a voi che siete stati colpiti dall'immane tragedia del terremoto. Spero che questi miei pensieri siano di consolazione e di conforto nel grande dolore che state vivendo. 
Sono sicuro che riflettendo su quanto accaduto siete rimasti colpiti e come storditi dalla constatazione della fragilità di tutto il nostro mondo. In pochi minuti avete visto coi vostri occhi secoli di storia e di lavoro spazzati via. Ma soprattutto avete sperimentato quanto sia fragile, breve, fugace la nostra vita. In questi giorni sicuramente siete stati investiti da domande drammatiche: perché è accaduto? I sismologi, per quanto sanno, possono darci le ragioni geofisiche. Ma la vostra domanda ha un altro significato: quale senso hanno i nostri giorni di fatica e di dolore? Ma, alla fine, un senso ce l'hanno? È questa domanda che, sono sicuro, attraversa il vostro cuore. 
Carissimi, quando ho visto municipi letteralmente sventrati o crollati non ho potuto non pensare: queste immagini ci dicono che anche la nostra convivenza municipale, nazionale ed europea sono state "sventrate" dal sisma del nostro individualismo utilitarista? 
Carissimi, quando ho visto le chiese crollate o inagibili, ho pensato al grido profetico del nostro Santo Padre Benedetto xvi che continua a dirci: la crisi della Chiesa in Europa è una crisi di fede. Una crisi così profonda che rischia di far "crollare" la Chiesa in Occidente. Il vostro coraggio, la dedizione eroica dei vostri sindaci, la testimonianza commovente di voi sacerdoti, veri pastori che condividete ogni sofferenza del vostro popolo, sono un segno precursore ed esemplare. Il segno che tutti siamo chiamati a ricostruire vere comunità civili che non si riducano a essere coesistenze di egoismi opposti; a riscoprire, durante l'imminente Anno della fede, o a riaccogliere il tesoro incomparabile della fede.
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Il terremoto e la croce (Contributi 652)

Un articolo tratto da Il Sussidiario sul terremoto che ha colpito l'emilia e ci fa riflettere su esso: 

La terra drago sussulta ancora. È accaduto ancora in Emilia, ieri mattina. La terra ha tremato sotto le macerie, facendone altre. Nuove scosse hanno tirato giù case, fabbriche, chiese. Nessuno sciame sismico, ci dicono, questa è un’altra cosa, un altro terremoto, come se quello dell’altra volta non fosse bastato. Nuovi morti, altri sfollati, 8mila, si aggiungono a quelli che già sono fuori dalle loro case o le hanno perse del tutto. 
Il terremoto ha colpito ancora lì. Modena, Mirandola, San Felice sul Panaro, Concordia, Novi, Finale Emilia. Ma lo hanno sentito tutti, nel nord. Qualcuno ha detto che quello che è successo “ha rimesso in discussione tutte le strategie”. 
Di fronte allo sgomento per questi fatti e alla morte casuale e ingiusta che portano con sé, viene la tentazione di pensare alla terra come a una specie di madre-matrigna. Una madre cattiva. 
Mentre invece la terra è nostra sorella. 
È una povera creatura come noi, ha delle imperfezioni, delle fratture, dei sussulti. Ha dentro qualcosa che la rende imperfetta, come siamo imperfetti noi. È solo una ideologia sbagliata, di tipo naturalistico e panteistico, che vede nella terra una specie di soggetto buono, come se fosse un essere perfetto e assoluto, scambiando la terra con una sorta di divinità. 
No, la terra non è nostra madre, ma nostra sorella. 
Ci sostiene, ma è una sorella difettosa, di cui ogni tanto paghiamo l’essere limitato. Esattamente come il nostro. Entrambi, noi e la terra, siamo fragili perché siamo creature. Quando accadono queste cose siamo improvvisamente sbattuti di fronte a quello che non possiamo mutare. Il terremoto mette la nostra faccia davanti alla casualità. Alcuni perdono la vita per la caduta casuale di una pietra. Mentre questo accade, altri, senza un apparente perché, si salvano. Durante un terremoto ti salvi o muori, per caso. Casualmente incontriamo la persona che amiamo, casualmente ci troviamo a vivere in una città piuttosto che in un’altra. 
Usiamo la parola caso per addomesticare un’altra parola più grande, che è mistero. 
Il terremoto ce la ripropone, in maniera drammatica e orribile, come l’amore ce la propone in maniera dolce. In fondo ad ogni esperienza umana, compreso il piacere, si tocca l’esperienza della casualità. 
Per questo il terremoto, se ha qualcosa di buono, ha solo il fatto di invitarci ad essere più coscienti della vita intera. Quello che tutti possono fare, mentre alcuni sono chiamati al difficile compito di rimettere in piedi i muri abbattuti, è ricostruire una coscienza più vasta e viva e acuta di cos’è vivere. 
Solo per questo i terremoti non passano inutilmente. 
La cosa ancor più tremenda sarebbe che un terremoto, oltre che terribile, fosse vano. Il fatto è che anche la terra, come noi, ha bisogno di essere liberata dal male. 
Proprio le chiese e i campanili sbrecciati al cuore di questi paesi ce lo mostrano. 
C'è una speranza che non viene meno neanche di fronte al più grande dei terremoti. 
Non la speranza di una vita senza problemi: piuttosto quella che viene da una croce, annuncio di resurrezione, significato misterioso di un dolore altrimenti destinato a rimanere senza senso. 
Sta in quella croce, per tutti, la vera forza di ricominciare.
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L’avventura dell’unità (Contributi 651)

In occasione dell'incontro mondiale delle famiglie a Milano, un articolo di Don Massimo Camisasca:

La Sacra Scrittura si apre e si conclude parlando del matrimonio. Inizia con il libro della Genesi, che ci parla della prima famiglia. Termina con l’Apocalisse che rivela la Gerusalemme nuova, il mondo definitivo: Vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa, adorna per il suo sposo (Ap 21,2). 
Il matrimonio è dunque una realtà che Dio ha voluto e ha iscritto nella storia dell’uomo e della donna, ma è anche un simbolo di tutta quanta la storia. Nei primi due capitoli del libro della Genesi troviamo due racconti della creazione, differenti perché espressione di diverse fonti, ma concordanti. Dopo aver creato l’universo, dopo aver popolato di piante e di animali la terra e i mari, Dio crea l’uomo e la donna. In tale successione è nascosto un insegnamento profondo, che va ben al di là del dato storico-scientifico di cui la Bibbia non si interessa. Dopo la creazione di Adamo, Dio lo aveva condotto a dare nome alle piante e agli animali. Egli li ha voluti in rapporto all’essere umano, come gloria della creazione e a servizio dell’uomo. 
Ma pur nel godimento dello splendore della creazione, l’uomo avverte una solitudine profonda. È a questo punto che Dio crea la donna. Il grido di Adamo: Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa! (cfr. Gen 2,23) rivela il suo stupore e la sua gioia di trovarsi di fronte finalmente un «tu» adeguato. Un altro io diverso da lui eppure simile, con cui instaurare un dialogo e da cui essere aiutato. L’uomo scopre di essere fatto per la donna e la donna per l’uomo. 
T. S. Eliot esprimerà questa dinamica originale quando, nel suo ultimo dramma teatrale, farà dire da una giovinetta al suo innamorato: «Ti ho amato dall’inizio del mondo / perché prima che io e te nascessimo, l’amore che ci ha uniti esisteva già». Nell’amore fra l’uomo e la donna abbiamo la rivelazione del tessuto stesso di tutto l’universo: la gratuità. A Dio non era necessario avere altro oltre a sé, eppure ha voluto il creato e, in esso, l’uomo e la donna. È un mistero di sovrabbondanza che è il segreto nascosto di ogni amore. 
La solitudine radicale non è però del tutto vinta. 
Adamo ed Eva non possono essere l’uno padrone dell’altro, non possono identificarsi senza danno reciproco. C’è un terzo fra loro, Dio stesso, che è il fondamento del loro rapporto. Quando rinnegheranno Dio, anche il loro rapporto si incrinerà. 
Ma la promessa di Dio non viene meno: il matrimonio rimane l’asse della storia del mondo. Nella differenza sessuale, nell’incontro corporeo e spirituale fra un uomo e una donna, si realizza la vocazione dell’essere umano all’unità. Oggi l’unità è un bene difficilmente compreso. Forse è stato così in tutti i tempi. Eppure, se noi entriamo nell’esperienza dell’uomo e della donna, nell’esperienza dell’amore, scopriamo che non può essere che così. 
L’unità è un’avventura nella quale si scopre insieme il disegno di Dio sulla nostra esistenza.
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lunedì 28 maggio 2012

Come il bene vince sul male (Contributi 650)

Un articolo di Padre Mario Piatti che ci dice come la bontà e le bellezza di Maria vincano il male: 

Da che mondo è mondo, al di là di tanti proclami ideali o di tante buone intenzioni, la legge che guida le nostre scelte e che domina i rapporti sociali è, generalmente, quella del proprio tornaconto, della propria utilità e del proprio interesse. 
Appellandoci al cosiddetto buonsenso, è abbastanza naturale ricercare il proprio vantaggio, nelle alterne vicende quotidiane; tanto più che, purtroppo, aprendo gli occhi sulla realtà, ci accorgiamo che ogni uomo tendenzialmente è portato a diventare un sospettoso antagonista –se non addirittura un implacabile avversario- dei suoi simili. 
Quando Gesù, però, rimprovera Pietro (cfr. Mt 16,23), che sta cercando –nel nome di una presunta ragionevolezza terrena e di una apparente e legittima prudenza umana- di distoglierlo dalla sua missione redentrice e dalla sua Passione, lo apostrofa aspramente, chiamandolo nientemeno che “Satana”, perché dimostra di pensare non secondo Dio, ma secondo gli uomini. 
Il Maestro opera, cioè, una singolare identificazione tra la mentalità comune e il modo di ragionare di Satana stesso. Il mondo, con i suoi parametri di giudizio, segue -magari inconsciamente- lo spirito del Male, che ha creato, fin dalle origini, una frattura insanabile tra Dio e l’uomo. 
È spirito di superbia, di arroganza, di auto-sufficienza; è radice velenosa di orgoglio e ricorrente pretesa di saper affrontare e risolvere da soli il mistero e l’enigma della vita. È illusione di una gloria effimera, di una sicurezza tutta fondata sulle proprie capacità, sulle cose che possediamo e sul felice corso degli eventi; ma destinata, immancabilmente, a deludere ogni attesa. 
In questa luce, anche l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto (Mt 4) conferma la presenza e l’opera nefasta del Nemico nella nostra storia: gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: Tutte queste cose io ti darò se, prostrandoti, mi adorerai. 
Come a dire: i vari regni della terra appartengono a lui, a Satana, al suo dominio, sono nelle sue mani, perché l’esercizio dell’ autorità, se non è ispirato al servizio del prossimo e al bene comune, diviene soltanto espressione di auto-celebrazione, di affermazione di sé, a discapito degli altri. 
Il demonio è detto “principe del mondo” (Gv 16,11), domina indisturbato i tanti “centri di potere” che suscita nei cuori degli uomini, così facilmente soggiogabili alla vanità delle cose e incapaci di resistere al fascino della gloria effimera del tempo presente. Così opera il Male, ispirando all’uomo, fin dalle origini, l’illusione di essere lui “il padrone del mondo”, autosufficiente e insofferente nei confronti di Chi lo ha creato solo per amore e per amore lo illumina e lo guida, lungo gli aspri sentieri della vita. 
Eppure questo oscuro personaggio, questo indiscusso signore del mondo, abituato a facili trionfi e agli allori fugaci del potere e della vanagloria, è totalmente “spiazzato” da un cuore illuminato dalla Grazia. 
Non riesce a comprendere la lealtà, l’altruismo, l’amore puro e disinteressato; lo confondono l’umiltà e l’innocenza, è ferito a morte dall’umiltà. Rabbiosamente si scaglia contro la purezza e la modestia; crolla davanti al cuore di un bimbo, fugge inorridito quando incrocia chi prega e sa sacrificarsi per il suo prossimo: perché tutto ciò esula dalle sue prospettive, ridotte a un orizzonte povero e limitato, dove regnano il gelo della indifferenza e del cinismo. Il calore della carità, gratuita e premurosa, lo sconfigge inesorabilmente e manda in mille pezzi gli idoli che ha insegnato con tanta cura a venerare e ad adorare. 
Con la sua vita, Gesù opera questa imprevista e sorprendente inversione di rotta: Lui, Creatore di ogni cosa, Signore del tempo e della Storia, si presenta nell’umiltà della nostra condizione, patisce privamenti e povertà; sopporta l’incomprensione, accompagna con tanta pazienza i suoi discepoli; frequenta gli ultimi e i miseri, risana i malati, ha compassione delle folle, si intenerisce di fronte ai bambini, risolleva dal fango i peccatori. Per tutti ha una parola, dolcissima e forte, di carità, di conversione, di speranza. 
Il mondo, che contesta ogni cosa e diffida di ogni autorità, è disarmato dalla forza dell’Amore. Proverà, fino alla fine, a comprimerlo nei suoi schemi, a ridurlo alle sue categorie e a distruggerlo, ma anche allora finirà con l’essere inesorabilmente sconfitto, perché forte come la morte è l’amore.. le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo (Ct 8) e l’odio e la violenza del Golgota si apriranno alla inaudita preghiera del Cuore di Cristo crocifisso: Padre, perdonali, non sanno quello che fanno. 
Il Cuore Immacolato di Maria è l’espressione e il frutto più bello di questo criterio nuovo, inaugurato dal Signore. È Cuore vincitore, proprio perché povero, umilissimo e casto, che ben comprende il nostro penare e sa confortarci nella prova. È regno della Grazia e dimora luminosa della Santissima Trinità. È Cuore santo di Madre, che nelle nostre famiglie sa riportare ancora la luce e la forza del perdono e dell’Amore. 
Affidiamoci e consacriamoci a questo Cuore. Amiamolo e facciamolo amare.
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Un corvo confessa (Contributi 649)

Ecco un altro articolo (fonte TgCom24) sull'attuale situazione vaticana: 

Il corvo in Vaticano, anzi “i corvi” stanno agendo a favore del Papa. E il loro “piano” è di colpire il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. Insomma, i corvi sono “quelli che pensano che Benedetto XVI sia troppo debole per guidare la Chiesa”. Parola, appunto, di uno di loro, di uno di quelli che si sono messi all’opera nella Santa Sede. Operazioni che coinvolgono anche le eminenze. Ma non si può dire. E si arresta la manovalanza. Il racconto di uno di “loro” viene riferito dalla “Repubblica”, dove chi ha deciso di riferire quanto sta accadendo dice: “Ci sono i cardinali, i loro segretari personali, i monsignori e i pesci piccoli. Donne e uomini, prelati e laici. Tra i ‘corvi’ ci sono anche le Eminenze. Ma la Segreteria di Stato non può dirlo, e fa arrestare la manovalanza, ‘Paoletto’ appunto, il maggiordomo del Papa. Che non c’entra nulla se non per aver recapitato delle lettere su richiesta”.


“Chi ha fatto uscire le lettere difende il Papa”
A parlare è proprio uno di quelli che hanno manovrato per la fuoriuscita di lettere segrete dalla Santa Sede. È lui che assicura: chi lo ha fatto difende il Papa. Vuole che tutti conoscano il marcio che c’è dentro la Santa Sede. Chi manovra dietro le quinte, spiega, si oppone al segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Pensa che il Papa sia troppo debole per guidare la Chiesa. È sicuro che è questo il momento giusto per parlare.
Ma anche chi parla ha paura. Non fa nomi, ma delinea il quadro della situazione. Dice che chi ha fatto uscire i documenti dal Vaticano teme il potere eccessivo di Bertone. Ma ammette che c’è anche una pista dei soldi. “C’è sempre una pista dei soldi -confessa-. Ci sono anche interessi economici nella Santa Sede, Nel 2009-2010 alcuni cardinali hanno cominciato a percepire una perdita di controllo centrale: un po’ dai tentativi di limitare la libertà delle indagini che monsignor Carlo Maria Viganò stava svolgendo contro episodi di corruzione, un po’ per il progressivo distacco del Pontefice dalle questioni interne”.


La squadra segreta di Benedetto XVI
Il racconto continua con Viganò che si rivolge direttamente al Papa chiedendo aiuto per agire, ma il Santo Padre non ha potere perché “questo significherebbe creare una frattura pubblica con il suo braccio destro”. E così, “pur di tenere unita la Chiesa sacrifica Viganò”. È a questo punto che i cardinali colgono la debolezza del Papa e vanno a cercare protezione da Bertone. Ecco dunque che Benedetto XVI, per proteggersi, forma la sua squadra di fiducia. Sono cinque persone, tra cui una donna, che diventano i suoi agenti segreti, quelli che lo informano su chi sono gli amici e chi i nemici.
I documenti fuoriusciti sono “lo strumento con cui si sta combattendo questa guerra. L’obiettivo primario era quello di colpire il Papa. Di fiaccarlo e convincerlo a mollare le questioni politiche ed economiche della Chiesa. Bisognava reagire”.


Il caso di Gotti Tedeschi
Come si spiega la cacciata del presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi? “È accaduta la stessa cosa. Eppure era vicinissimo al Papa: hanno steso insieme l’enciclica Caritas in veritate. Gotti non rispondeva a nessuno, ma lo faceva direttamente al Papa, a cui mandava anche dei memorandum per descrivere la situazione interna allo Ior. E così anche le operazioni che fallivano, come la legge antiriciclaggio o la scalata per il San Raffaele. Bertone si ingelosisce, accusa Gotti e decide di tagliargli la testa. Quando giovedì scorso il Papa ha saputo del licenziamento di Gotti, si è messo a piangere per ‘il mio amico Ettore’”.
In pratica, continua la fonte segreta, non poteva opporsi perché si sarebbe rivelata una frattura clamorosa con Bertone. Poi, l’arresto di Paolo Gabriele, un altro colpo al Santo Padre. “Gotti è una persona onesta -riprende la fonte-, che tace, come ha fatto anche nel mezzo dell’indagine della magistratura sullo Ior. Non è lui il corvo”. E padre Georg? “Per una fazione è stato uno degli obiettivi da colpire: rappresenta l’elemento di congiunzione fra tutti i dicasteri all’interno del Vaticano e il Papa, fa da filtro, decide e consiglia il Papa”. Infine, il motivo.
Perché questo uomo ha parlato? “Per far emergere la verità. Il ruolo della Chiesa è difendere il valore del Vangelo, non di accumulare potere e denaro. E quello che faccio è fatto in nome di Dio, io non ho paura”. 
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L’inspiegabile pace di una fragile roccia (Contributi 648)

Ecco un articolo di Antonio Socci a commento dell'attuale difficile situazione vaticana: 

Aveva iniziato il suo pontificato con un appello insolito e drammatico. Ricordo bene quella sua messa di insediamento, il 24 aprile 2005: ero lì, in piazza San Pietro, quando pronunciò, con la sua voce timida, queste terribili parole: “Pregate perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri 
Tornano in mente specialmente oggi, quelle espressioni, di fronte alla tempesta che ha investito il Vaticano. Ero ovvio che Benedetto XVI sapesse bene di cosa parlava. E non avrebbe mai pronunciato una frase del genere se non fosse servita anche al popolo cristiano a capire cosa sarebbe accaduto. 
Nel linguaggio tradizionale cristiano peraltro “i lupi” rappresentano non il nemico esterno, non la persecuzione del mondo, ma “il fumo di Satana” – come ebbe a dire Paolo VI – che si insinua nel Tempio di Dio, cioè il male che è dentro la comunità, in noi cristiani, e, quindi, anche (qualche maligno dice: soprattutto) dentro le mura leonine. 
Ritengo che sarebbe profondamente ingiusto squalificare in toto la città vaticana come un covo di serpenti, corvi e lupi. Confesso di essermi sorpreso tante volte nel conoscere persone, importanti o no, che all’ombra di san Pietro vivono una fede luminosa, una carità fervente, una vita ascetica inimmaginabile. 
Egualmente mi rifiuto di identificare la causa di tutta questa tempesta con il cameriere personale di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, che è stato “fermato” ieri dalla gendarmeria vaticana. Sia perché la presunzione d’innocenza vale anche per lui, sia perché tutti coloro che lo conoscono lo giudicano un uomo buono e devoto al papa, che non può aver commesso un simile tradimento. 
Sia perché i documenti pubblicati da Gianluigi Nuzzi provengono non solo dalla corrispondenza del Papa, ma anche da altri uffici vaticani che non sono certo accessibili al signor Gabriele. 
Sia perché, infine, la fuoruscita di documenti è stata gestita con una strategia molto scaltra ed elaborata, da addetti ai lavori (o ai livori). 
E lascia trasparire dietro – come scrive lo stesso Nuzzi – un certo numero di persone e un’evidente lotta per bande. Scatenatasi sulle macerie della macchina di governo vaticana che sembra francamente da rinnovare radicalmente. 
D’altra parte non è un mistero per nessuno che all’interno del mondo ecclesiastico si scatenino talvolta logiche di potere che nulla hanno da invidiare a quelle del mondo. 
Tanto è vero che è stato lo stesso Benedetto XVI a mettere in guardia i cardinali dell’ultimo concistoro dalla smania del potere ed è stato sempre lui – in più occasioni – a denunciare il clericalismo, il carrierismo e l’abuso del potere. 
In un documento solenne come la sua “Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica” del 10 marzo 2009, con candore evangelico, ma anche con profondo coraggio e trasparenza, ha scritto questo terribile passo: 
“Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 – 15. Ho notato con sorpresa l’immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: ‘Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!’ ”. 
Dopo questa scioccante citazione ha aggiunto: 
“Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo ‘mordere e divorare’ esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore?”. Pur con questa chiara e desolante coscienza della realtà, ieri, dalle mura vaticane, è emerso lo stato d’animo del Papa: “addolorato e colpito”. Sono parole tipiche della personalità di Joseph Ratzinger i cui rapporti umani sono improntati sempre a leale sincerità e disarmante candore. 
Ho avuto il privilegio di poter trascorrere, in diverse occasioni, del tempo con lui, quando non era ancora papa e fuori da circostanze ufficiali. Nell’ultima, era l’ottobre 2004, sei mesi prima della sua elezione, siamo stati due giorni sulle montagne bellunesi. 
Eravamo ospiti di un centro culturale cattolico che, insieme al cardinale, mi aveva invitato a presentare il suo libro “Fede, verità, tolleranza” (Cantagalli). 
Ho potuto vederlo nella vita quotidiana, in un contesto familiare, ne ho studiato i gesti, le espressioni e ho toccato con mano la sua sorprendente affabilità, un’umanità plasmata dallo spirito evangelico. 
Pur essendo un grande teologo, una delle menti più lucide della sua epoca e pur avendo un ruolo così alto nella Chiesa universale, sorprendeva tutti con la sua semplicità e la sua timida gentilezza. 
L’ho visto ogni volta, dopo la colazione del mattino o la cena, bussare alla porta della cucina per ringraziare personalmente, una ad una, le donne che, là dietro, avevano preparato i pasti. 
Ricordo la sua gioia – di artista o di fanciullo – nel camminare su un sentiero panoramico in montagna, davanti a tutta la magnificenza delle Dolomiti, e il suo immediato moto di tenerezza per un gattino comparso nel cortile. 
Un uomo così, mi dissi, è come indifeso di fronte alla naturale malizia degli uomini. Perché immediatamente aperto alla fiducia. E’ dunque comprensibile il suo dolore per quello che sta accadendo. 
Tuttavia papa Ratzinger è anche un vero sapiente, da tutti i suoi gesti e le sue parole traspare la sapienza che viene dall’alto. 
In anni lontani, durante una conversazione in cui erano emersi tutti i veleni e le minacce che stavano facendo oscillare paurosamente la barca di Pietro, concluse con disarmante certezza che – in ogni caso – è il Signore stesso che guida la storia e porterà lui in salvo la sua Chiesa. 
Ieri lo ha ribadito davanti a 50 mila aderenti del Rinnovamento nello Spirito: “il vento scuote la casa di Dio, ma la casa costruita sulla roccia non cade”. La “roccia” è Cristo. E ciò che il Papa ha chiesto è di testimoniare “la gioia” della sua “attrazione” e della sua amicizia. 
Per papa Ratzinger la “vittoria” della Chiesa non è una vittoria mondana, non è un successo legato ai criteri terreni o alle istituzioni vaticane. Ma l’evidenza che la compagnia di Gesù vince il male, il dolore e la morte. 
Una volta lo ha spiegato con un’immagine sorprendente e meravigliosa: 
“Le vie di Dio sono diverse: il suo successo è la croce…non è la Chiesa di chi ha avuto successo ad impressionarci, la Chiesa dei papi o dei signori del mondo, ma è la Chiesa dei sofferenti che ci porta e credere, è rimasta durevole, ci dà speranza. Essa è ancora oggi segno del fatto che Dio esiste e che l’uomo non è solo un fallimento, ma può essere salvato”
In questo senso non ha torto lo storico cattolico Franco Cardini che ha affermato: “Lo Stato Città del Vaticano non è la Chiesa. Non bisogna gridare al Cristianesimo offeso e tradito”. 
Infatti lo stato Città del Vaticano e pure la Curia sono istituzioni umane, storiche, che potrebbero anche non esserci più, come non c’erano nei primi secoli. 
Ma la Chiesa, dietro a Pietro, non crolla, è “la casa costruita sulla roccia”, che rimane fino alla fine dei tempi. E scaturisce dal dono dello Spirito Santo, dai sacramenti e fiorisce nella vita e nei cuori, nella mistica unità dei cristiani. La Chiesa è il luogo della misericordia e della salvezza. Per tutti. Il luogo dei miracoli.
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domenica 27 maggio 2012

Per poter vincere quello che ti impedisce di amare Dio (Interventi 136)

Una nuova meditazione di Don Vincenzo Carone: 

Per poter vincere quello che ti impedisce di amare Dio, tu hai bisogno dell´aiuto costante dello Spirito Santo, è lo Spirito dell´Amore. 
Lo sforzo costante della volontà non ha la possibilità di allontanare da te le tue fragilità e la inclinazione al peccato; quando gli altri ti aggrediscono mediante ingiustizie e cattiverie di ogni genere, quando coloro che ami e per i quali hai sacrificato il meglio di te stesso, ti danno le più dolorose delusioni e ti precipitano nel baratro dell´angoscia e della disperazione, la volontà di accettare la volontà di Dio è del tutto insufficiente per non perdere la serenità del cuore, hai bisogno che Gesù ti dia lo Spirito dell´Amore, perché soltanto l´amore di Dio in te reprime e supera tutte le forze avverse del male che aggrediscono i tuoi nervi e la tua pazienza, soltanto l´Amore riesce a calmare la rabbia della disperazione. 
La tua vita non è quella di un angelo, ogni giorno devi chiedere perdono a Dio per innumerevoli mancanze piccole e grandi, ogni giorno sei tentato di minimizzare il male che fai, l´amore dello Spirito Santo ti dà la forza misteriosa dell´umiltà che ti porta a piegarti con fiducia davanti a Dio e chiedere perdono, nel tuo cuore risuonano le parole del Padre Nostro: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, la serenità torna nel cuore, perché il perdono di Dio e il perdono tuo a chi ti offende vengono assorbiti dalla dolcezza dell´amore. Ogni giorno devi umiliarti davanti a Dio e chiedere la forza di rinunziare a ciò che non sei riuscito a rinunziare quando hai commesso il peccato. “non dovete essere tristi perché ho detto che torno al Padre mio, vi manderò un altro Consolatore che rimanga sempre con voi.” 
Nel linguaggio biblico Consolatore significa Colui che ti dà il conforto e la pace del cuore. L´Amore che alberga dentro di te diventa la forza del pentimento sincero e la forza per ubbidire al Vangelo nel senso che il Signore disse al demonio che lo tentava: l´uomo non si nutre soltanto di pane, si nutre soprattutto di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, per cui nelle meditazioni tu invochi sempre lo Spirito Santo che ti faccia capire il significato profondo e nascosto nella parola di Dio. 
A volte succede che hai legato la tua vita a una situazione che non ti consente di vivere in grazia di Dio, tu forse preferisci tranquillizzare la tua coscienza mediante un ragionamento di accomodamento della fede a questa situazione che liberamente hai scelto, se vuoi trovare una soluzione che Dio giudica giusta e necessaria hai bisogno dell´aiuto dello Spirito Santo il quale ti mette di fronte alla scelta tra l´amore di Dio e l´amore di quello che ti piace e ti fa comodo. 
E se scegli di ubbidire alla volontà di Dio trovi la gioia di liberarti da quello che turba la tua coscienza e la gioia della pace del cuore, quando la natura umana resta turbata rifiuta la decisione di ubbidire alla volontà di Dio, quando poi cominci a gustare la gioia della unione con Dio, ti penti di non averlo fatto prima.
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Pentecoste (Angelus 80)

Cari fratelli e sorelle! 
Celebriamo oggi la grande festa di Pentecoste, che porta a compimento il Tempo di Pasqua, cinquanta giorni dopo la Domenica della Risurrezione. Questa solennità ci fa ricordare e rivivere l’effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli e gli altri discepoli, riuniti in preghiera con la Vergine Maria nel Cenacolo (cfr At 2,1-11). Gesù, risorto e asceso al cielo, invia alla Chiesa il suo Spirito, affinché ogni cristiano possa partecipare alla sua stessa vita divina e diventare suo valido testimone nel mondo. Lo Spirito Santo, irrompendo nella storia, ne sconfigge l’aridità, apre i cuori alla speranza, stimola e favorisce in noi la maturazione interiore nel rapporto con Dio e con il prossimo. 
 Lo Spirito, che «ha parlato per mezzo dei profeti», con i doni della sapienza e della scienza continua ad ispirare donne e uomini che si impegnano nella ricerca della verità, proponendo vie originali di conoscenza e di approfondimento del mistero di Dio, dell’uomo e del mondo. In questo contesto, sono lieto di annunciare che il prossimo 7 ottobre, all’inizio dell’Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, proclamerò san Giovanni d’Avila e santa Ildegarda di Bingen Dottori della Chiesa universale. Questi due grandi testimoni della fede vissero in periodi storici e ambienti culturali assai diversi. Ildegarda fu monaca benedettina nel cuore del Medioevo tedesco, autentica maestra di teologia e profonda studiosa delle scienze naturali e della musica. Giovanni, sacerdote diocesano negli anni del rinascimento spagnolo, partecipò al travaglio del rinnovamento culturale e religioso della Chiesa e della compagine sociale agli albori della modernità. Ma la santità della vita e la profondità della dottrina li rendono perennemente attuali: la grazia dello Spirito Santo, infatti, li proiettò in quell’esperienza di penetrante comprensione della rivelazione divina e di intelligente dialogo con il mondo che costituiscono l’orizzonte permanente della vita e dell’azione della Chiesa. 
Soprattutto alla luce del progetto di una nuova evangelizzazione, alla quale sarà dedicata la menzionata Assemblea del Sinodo dei Vescovi, e alla vigilia dell’Anno della Fede, queste due figure di Santi e Dottori appaiono di rilevante importanza e attualità. Anche ai nostri giorni, attraverso il loro insegnamento, lo Spirito del Signore risorto continua a far risuonare la sua voce e ad illuminare il cammino che conduce a quella Verità che sola può renderci liberi e dare senso pieno alla nostra vita. 
Pregando ora insieme il Regina Caeli, invochiamo l’intercessione della Vergine Maria affinché ottenga alla Chiesa di essere potentemente animata dallo Spirito Santo, per testimoniare Cristo con franchezza evangelica e aprirsi sempre più alla pienezza della verità.
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venerdì 25 maggio 2012

Contempla la Croce e troverai la Madonna (Contributi 647)

Una meditazione di P. Mario Piatti icms da Zenit: 

Se stai per precipitare nel baratro della tristezza e nell'abisso della disperazione, pensa a Maria, invoca Maria!

Leggevo, tempo addietro, una breve biografia di Santa Veronica Giuliani (1660-1727) e rimasi impressionato dal rilievo che, fin dalla più tenera età, ebbe il Crocifisso nella sua vita. Ella nutrì sempre una grandissima devozione per le sofferenze di Nostro Signore. Nella Pasqua del 1694, durante una visione, l’impronta della Corona di spine si manifestò sul capo della Santa e tre anni più tardi ricevette il dono delle Stigmate. Il suo cuore, esaminato dopo la morte, mostrò nitidamente i segni della Passione, proprio come ella aveva predetto al suo confessore. Tali straordinarie esperienze mistiche – confermate da numerosi e credibili testimoni oculari – e lo stato di estasi, pressoché continuo, che la accompagnò lungo la sua esistenza, non le impedirono di essere una ottima religiosa, equilibrata e di gran senso pratico.
Pensando alla diffusa contestazione e alla crescente diffidenza nei confronti della Croce ho provato a immaginare le ragioni, palesi od occulte, di tale avversione. Possibile, mi chiesi, che sia davvero così fastidioso quel segno, capace di suscitare, in duemila anni – fino a prova contraria - schiere innumerevoli di santi e di mistici, come Santa Veronica, di instancabili apostoli della carità e di autentici benefattori dei loro fratelli? Eppure, oggi, si pretende che il Crocifisso sia rimosso, che sia nascosto e oscurato, quasi fosse un evidente indizio di disonore. Spesso è vilmente associato a presunti delitti, perpetrati all’ombra di quella gloriosa insegna. In realtà, nessun marchio d’infamia, nessun sacrilego abuso potrebbe minimamente offuscare il senso e la forza della Croce del Signore, manifestazione di un Amore senza misura e senza condizioni, che travolge ogni barriera e invoca solo perdono e riconciliazione sul mondo.
Quel legno beato ha segnato la vita e l’esperienza di intere generazioni, che dal suo mistero hanno tratto luce, forza e coraggio per affrontare gli scogli e le difficoltà del tempo presente. Senza il riferimento al Calvario non capiremmo l’ardore degli asceti e lo spirito di sacrificio dei martiri, né il quotidiano e generoso rinnegamento di sé, che ha formato e costituito il tessuto cristiano, per tanti secoli, delle nostre famiglie. Il mondo vuole cancellare la Croce, mentre i Santi si abbeverano a quella fonte e la eleggono a criterio delle loro scelte e delle loro opere. Un male inteso spirito di tolleranza vorrebbe farla sparire per sempre, insieme ai tanti “crocifissi viventi”, che dal trono della loro sofferenza – nei letti degli ospedali, nelle cliniche, nelle nostre stesse case - danno fastidio, interpellano e provocano le coscienze. Ci ricordano infatti, semplicemente, che il corpo non è per l’impudicizia né per la soddisfazione dei propri capricci o istinti. La carne, piagata e mortificata, ma bagnata e santificata dal sangue di Cristo, è frumento che ormai germina nel sole della Grazia, maturo per i granai del Cielo. 
Contempla la Croce e troverai le radici profonde di quell’eterno Amore che sa immolarsi per la sua creatura, che spalanca le sue braccia sulla nostra povertà e intercede per noi Misericordia e Pace dal Cielo.
Contempla la Croce e troverai Maria. Ella “stava”, incrollabile, di fronte al Figlio. Non è casuale l’accostamento della Vergine alla Passione di Cristo. Da quell’ora – dice il Vangelo di Giovanni – il discepolo la prese “tra le sue cose” più preziose, tra quei beni che i ladri non scassinano e la ruggine non può più rovinare (cfr. Mt. 6,19-20). Tra i beni eterni, posti nel nostro cuore da Dio, vi sarà, da quell’ora solenne e redentiva, anche la Vergine Maria: la Madre, associata in tutto al Figlio, fatta una con la sua Croce. Sul Golgota, la Croce e la maternità saranno congiunte per sempre, nella logica “folle” dell’Amore di Dio.
Ecco tua Madre. Eccola, nella tua vita, nel tuo lavoro. Eccola, accanto a te, nella gioia quotidiana e nella prova che stai attraversando. Ecco tua Madre, che sostiene i passi, che ti insegna a camminare, come quando eri piccino; che ti rialza nelle cadute, mitiga la sferza delle tempeste, rincuora e benedice, conforta, incoraggia a continuare la via intrapresa.
Ecco dove cercarla: “tra le cose più care”, nello scrigno e nel sacrario segreto del tuo cuore, dove deponi la tua amarezza e le tue incomprensioni; dove cerchi, nel silenzio, la luce del tuo Dio, perché tutto diventi comunione di vita e di Grazia con Lui.
Ecco tua Madre. Consolatrice degli afflitti, aiuto dei cristiani, umile e alta più che creatura; regale e dolcissima, purissima e casta, sorgente di ogni consolazione. Ecco tua Madre, il cui nome, da tutte le generazioni, sarà detto “beato”, come lei stessa profetizzò nel Magnificat.
Nome santo, mille e mille volte implorato e venerato dalla Chiesa, che non si stanca di volgersi a Lei, con la fiducia di chi osa sperare ogni bene. Nome santo, invocato nella dolce litania del Rosario, nell’incalzante succedersi di Ave Maria, che rinnova lo stupore dell’annuncio angelico: chi ama, non si stanca di interpellare l’amato e non teme di essere importuno.
“Guarda la stella, invoca Maria! Se turbato per l’enormità dei tuoi peccati, spaventato al terribile pensiero del giudizio, stai per precipitare nel baratro della tristezza e nell’abisso della disperazione, pensa a Maria, invoca Maria!” (San Bernardo).
Nome Santo, associato per sempre al mistero della Croce e della Gloria di Cristo.
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La preghiera del Cardinale Scola per l’Incontro mondiale delle Famiglie (Contributi 646)

Questa la preghiera che Mons. Angelo Scola, Cardinale di Milano ha composto per il VII incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno prossimi. 
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Dio Padre, sorgente di ogni paternità, che hai creato il mondo e lo conservi, 
Dio Figlio che, per salvarci, hai condiviso la condizione umana fino alla morte e alla morte di croce, 
Dio Spirito Santo, che chiamandoci alla comunione divina rinnovi ogni nostra relazione, 
guarda alle famiglie qui convocate da ogni parte del mondo dall’amorevole invito di Papa Benedetto. 


Signore Gesù, donaci di vivere alla scuola della Santa Famiglia di Nazareth in cui Tu sei cresciuto in sapienza, età e grazia. 
Santa Maria, vergine e sposa, madre del bell’amore, fa che, come te, teniamo fisso lo sguardo su Gesù per custodirne le parole e le azioni, insegnaci ad amare senza riserve e senza paura del sacrificio. 
San Giuseppe, mostraci la strada dell’amore nuziale appassionato e casto, la paternità forte e tenera, il gusto del lavoro assiduo e generoso. 


Madonnina, che dall’alto del Duomo allarghi le braccia sui tuoi figli, proteggi la Chiesa, 
A te affidiamo le nostre famiglie, soprattutto quelle che si trovano in difficoltà, 
Custodisci i nostri bambini, insegna, ai ragazzi e ai giovani a rischiare i talenti ricevuti per diventare protagonisti della vita buona sostieni gli ammalati, gli anziani, i moribondi, soccorri i poveri.. 
Accogli la nostra supplica ed intercedi. 
Amen
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mercoledì 23 maggio 2012

La penitenza (Interventi 135)

Una nuova riflessione di Don Vincenzo Carone: 

La penitenza è un mezzo efficacissimo per smorzare le tentazioni, devi mortificare tutto quello che crea difficoltà alla tua unione con Dio, soprattutto la fantasia, la golosità, le passioni e l´IO orgoglioso; il digiuno e le penitenze dure e severe devi farle soltanto col permesso del tuo confessore e sotto il suo controllo perché facilmente si passano i limiti e possono esserci conseguenze micidiali per la salute fisica e spirituale; un´antica norma degli Ordini penitenti diceva: poenitentia stabilem in salutem: la penitenza non deve turbare la stabilità della tua salute fisica e spirituale. 
Le penitenze più efficaci sono le piccole mortificazioni, privazioni e fioretti che colpiscono la volontà che tende al male, i pensieri cattivi, l´orgoglio, la vanità e soprattutto i difetti di cui non riesci a liberarti. 
Un´altra penitenza efficacissima sono la vigilanza e la prudenza che ti portano a rifiutare prontamente tutto quello che ti attira verso il peccato. L´amore è la forza e l´orientamento della penitenza. 
Se tu ami tuo figlio fai tantissime privazioni e mortificazioni senza nemmeno rendertene conto; se non ami Gesù con tutto il cuore, le più piccole penitenze sono per te un peso inaccettabile; le penitenze impediscono e smorzano l´efficacia delle tentazioni che disturbano e minacciano l´unione di amore con Cristo. L´unione con Cristo dona alla tua anima l´impeccabilità, ti dona cioè una resistenza solida e spontanea a tutte le tentazioni piccole e grandi, questa resistenza consiste unicamente nel rifiuto spontaneo di tutto quello che ti può portare verso il male; la rinunzia alle cose che promettono felicità alla vita umana non é un peso da portare ma l´esigenza di testimoniare e difendere l´amore a Cristo, l´amore è l´unico motivo per cui tanti Santi vivevano e vivono puri come gli Angeli. 
La devozione eucaristica e mariana è indispensabile: chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue, rimane in me e Io rimango in Lui, il demonio può darti soltanto quelle tentazioni e nella misura che il Signore gli consente. La Madonna in particolare ha il mandato profetico di schiacciare il capo al serpente, Ella lo caccerà definitivamente dalla storia dell´umanità alla fine dei tempi, la Mamma si difende i figli con energia spietata. “Donna, ecco tuo figlio, figlio ecco tua Madre”. Gesù ha dato alla Mamma il compito di aiutare i figli a schiacciare il capo del serpente nel tempo e alla fine dei tempi. 
La vita cristiana è una vita che si consuma nell´amore, per cui tutte queste cose che vengono descritte spaventano e disgustano soltanto coloro che non hanno interesse a sviluppare i principi che ci portano a realizzare la vita divina, tutto sembra loro duro, pesante o addirittura disumano. 
La vita cristiana affonda le radici nella fede, la fede ti porta a realizzare l´amore a Dio e ai fratelli mediante l´ubbidienza al Vangelo, la preghiera umile e fiduciosa rende stabile la presenza di Dio nella tua vita, la penitenza ti porta a sopprimere prontamente tutti i rigurgiti delle passioni interne ed esterne. 
La fede cosi ti unisce a Dio nell´amore dello Spirito Santo e nell´aiuto materno di Maria. Il nostro compito è solo quello di perseverare e resistere unicamente per conservare e sviluppare l´amore dello Spirito Santo che Gesù ci ha donato.
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lunedì 21 maggio 2012

Tempi difficili (Contributi 645)

Un nuovo articolo di Pigi Colognesi da Il Sussidiario per riflettere: 

Di questi tempi una frase abbastanza comune nei nostri discorsi, negli articoli di giornale, nei messaggi sms suona così: “È un momento difficile”. 
Quest’ultima parola è un composto che deriva dal latino: dis è una particella che dà il senso contrario a quello che segue; facile è abbreviazione di facibilem, (da facere, fare) cioè cosa che si fa agevolmente, senza incontrare inciampi, come una strada pianeggiante senza buche, senza dossi e senza pericoli sul percorso. Dis-facile, cioè difficile, è dunque, un tempo, una lettura, un rapporto, un’impresa in cui si presentano degli ostacoli, che normalmente non si erano previsti. 
Ostacoli che ci vengono incontro dall’esterno e, nello stesso tempo, mettono “in difficoltà” le risorse interne con cui ci apprestavamo a “fare” quella determinata cosa. Dell’ostacolo esterno ci stupiamo con amarezza; ci sembra assurdo che realizzare quel che desideriamo sia irto di difficoltà, che le nostre vicende non siano tutte come quella strada piana. Ci si stupisce e arrabbia se oggi è stranamente complesso quello che ieri era semplice, contorto quello che era lineare. Allora si finisce per maledire qualcosa o qualcuno, si cerca - o ci si fa suggerire - un capro espiatorio, sul quale riversare la rabbia suscitata dalle difficoltà che si incontrano. 
Il pericolo è che, come ha scritto recentemente Remo Bodei, visto che gli ostacoli non spariscono subito, si passi velocemente dall’indignazione alla disperazione. In tal modo, invece di continuare tenacemente a fare, pur nella fatica, si dis-fa. E quando questo fenomeno assume livelli profondi e consistenza generale, una famiglia, un’amicizia, una città, un popolo rischiano il disfacimento. 
Con gli ostacoli interni la cosa è ancora più complicata. Prima di tutto non è ovvio che li si ammetta; ci si può fermare al lamento verso l’esterno e basta. Ma quando si riconosce che un certo obiettivo è difficile per qualche incapacità o limite o piccolezza che dipende da noi, vien la tentazione di rinunciare a desiderare quel che si desiderava. Invece la saggezza popolare dice, senza scandalizzarsi, che “chi fa falla”, cioè sbaglia, si espone al fallimento. E questo, in fondo, è della natura del nostro essere: non siamo infallibili, ma non per questo rinunciamo a fare tutti i tentativi che ci sembrano giusti. E siamo ultimamente tranquilli in quanto disponibili a correggerli in continuazione. 
Per i cristiani questa dinamica è chiarissima e pacificamente accettata: Ecclesia semper reformanda, la Chiesa deve continuamente mettere mano alla sua purificazione e proprio in questo sta il sugo del suo camminare nella storia. Del resto, nel vangelo la parola che stiamo analizzando ricorre una sola volta: quando Gesù dice che è “difficile” per un ricco, cioè per chi pensa di non aver dentro di sé impotenza e incapacità, entrare nel regno dei cieli. 
Anzi, non è solo difficile: è impossibile. 
Ma Gesù aggiunge che “ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio”. 
Ed è questa la certezza del cammino.
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domenica 20 maggio 2012

La preghiera (Interventi 134)

Una nuova riflessione di Don Vincenzo Carone: 


La preghiera “gioca” il ruolo più importante nel cammino della nostra unione con Dio. La preghiera che viene fatta in gruppo diventa il motivo per cui Gesù è presente nel gruppo e prega con loro e per loro: dove due o più sono uniti nel mio nome l´ì ci sono anch´io. 
Gesù ha affidato alla Chiesa la sua Redenzione e il compito di evangelizzare il mondo. Ciascuno di noi è talmente legato alla Chiesa che il peccato di uno solo diventa colpa di tutta la Chiesa, lo stesso si dica della preghiera e delle opere di bene. 
Tutte le preghiere si sviluppano dalla preghiera che Gesù ha insegnato, anche se preghi da solo tu dici “Padre nostro”. Tu quindi coinvolgi tutti gli altri nel tuo modo di vivere la fede, se preghi da solo coinvolgi nella tua preghiera tutta la Chiesa, se fai un´opera di bene tutta la Chiesa riceve il beneficio della Grazia, se tu diventi un cristiano migliore, tutta la Chiesa diventa migliore, se sei infedele agli impegni del tuo Battesimo, tutta la Chiesa diventa peggiore, è tempo di smetterla di accusare soltanto i preti e non coinvolgere mai anche se stessi. 
Forse non hai mai fatto caso alle preghiere della Messa, tutta la Chiesa prega in quelle preghiere, ai laici si raccomanda di leggere la Sacra Scrittura nella Messa, però è proibito loro predicare perché il mandato di predicare viene dal Vescovo che consacra i sacerdoti e dà loro lo Spirito Santo, Cristo ha dato alla Chiesa questo mandato; le parole della consacrazione, questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue, ci fanno capire chiaramente che Cristo celebra e amministra i Sacramenti. Il compito di celebrare l´Eucarestia non è stato dato agli Apostoli come persone singole, è stato dato alla Chiesa che nell´ultima Cena era costituita soltanto dagli Apostoli: su questa pietra edificherò la mia Chiesa disse Gesù a Pietro. 
La Chiesa stabilisce una forma unica e universale di celebrare la Messa e amministrare i Sacramenti. Consentimi di raccomandarti alcune cose: evita la preghiera e la Celebrazione dell´Eucarestia, che stimola sentimenti forti o presenta ai fedeli eventi straordinari e miracolosi; evita la preghiera a riassunto e distratta, soprattutto evita le celebrazioni teatrali della Eucarestia. 
Pensa per un momento a qualsiasi preghiera per es. il Rosario: nel primo mistero si contempla… la preghiera quindi è meditazione, offre sempre uno spunto per dire a Dio qualcosa di te e delle persone che tu vuoi raccomandare alla sua bontà, oppure per ricordarti il misteri del Signore e della sua Parola. La meditazione non è possibile se manca il clima del raccoglimento e del silenzio interiore, per questo ti dicevo: evita gli ambienti chiassosi dove si dà un eccessivo risalto all´amicizia e alla gioia di stare insieme, soltanto la preghiera meditata, sia quella personale che collettiva, ti unisce intimamente a Cristo. 
Molti preferiscono una preghiera che li unisce agli altri in una forma di familiarità puramente umana: ti prego ti tenere presente che queste mie considerazioni sono soltanto un consiglio perché ho il dovere di astenermi dal dire e diffondere giudizi contro gli altri. 
Lo scopo della preghiera è quello che nella tradizione della Chiesa si chiama: unione sponsale con Cristo, o matrimonio mistico che consiste in una unione intima e profonda della tua anima con Cristo, il tuo spirito si perde in Lui. Molti pensano che bisogna ritirarsi in solitudine e staccarsi da tutti e da tutto per poter raggiungere l´unione mistica. 
Gesù invece presenta questo ideale a tutti quelli che credono in Lui indipendentemente dal ruolo che essi svolgono nella loro vita, il punto di partenza è la rinunzia radicale a qualsiasi peccato, la rinunzia al male però è possibile se si sviluppano tutte le virtù cristiane, che sono abitudini a fare soltanto quello che è buono, sia la rinunzia al male e sia le virtù cristiane sono possibili soltanto se si prega molto.
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Ascensione (Angelus 79)

Cari fratelli e sorelle! 
Quaranta giorni dopo la Risurrezione – secondo il Libro degli Atti degli Apostoli – Gesù ascese al Cielo, cioè ritornò al Padre, dal quale era stato mandato nel mondo. In molti Paesi questo mistero viene celebrato non il giovedì, ma oggi, la domenica seguente. L’Ascensione del Signore segna il compiersi della salvezza iniziata con l’Incarnazione. Dopo avere istruito per l’ultima volta i suoi discepoli, Gesù sale al cielo (cfr Mc 16,19). Egli, però, «non si è separato dalla nostra condizione» (cfr Prefazio); infatti, nella sua umanità, ha assunto con sé gli uomini nell’intimità del Padre e così ha rivelato la destinazione finale del nostro pellegrinaggio terreno. Come per noi è disceso dal Cielo, e per noi ha patito ed è morto sulla croce, così per noi è risorto ed è risalito a Dio, che perciò non è più lontano. San Leone Magno spiega che con questo mistero «viene proclamata non solo l’immortalità dell’anima, ma anche quella della carne. Oggi, infatti, non solo siamo confermati possessori del paradiso, ma siamo anche penetrati in Cristo nelle altezze del cielo (De Ascensione Domini, Tractatus 73, 2.4: CCL 138 A, 451.453). Per questo i discepoli, quando videro il Maestro sollevarsi da terra e innalzarsi verso l’alto, non furono presi dallo sconforto, come si potrebbe pensare, anzi, provarono una grande gioia e si sentirono spinti a proclamare la vittoria di Cristo sulla morte (cfr Mc 16,20). E il Signore risorto operava con loro, distribuendo a ciascuno un carisma proprio. Lo scrive ancora san Paolo: «Ha distribuito doni agli uomini … ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri … allo scopo di edificare il corpo di Cristo … fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,8.11-13). 
Cari amici, l’Ascensione ci dice che in Cristo la nostra umanità è portata all’altezza di Dio; così, ogni volta che preghiamo, la terra si congiunge al Cielo. E come l’incenso, bruciando, fa salire in alto il suo fumo, così, quando innalziamo al Signore la nostra fiduciosa preghiera in Cristo, essa attraversa i cieli e raggiunge Dio stesso, e viene da Lui ascoltata ed esaudita. Nella celebre opera di san Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo, leggiamo che «per vedere realizzati i desideri del nostro cuore, non v’è modo migliore che porre la forza della nostra preghiera in ciò che più piace a Dio. Allora, Egli non ci darà soltanto quanto gli chiediamo, cioè la salvezza, ma anche quanto Egli vede sia conveniente e buono per noi, anche se non glielo chiediamo» (Libro III, cap. 44, 2, Roma 1991, 335). 
Supplichiamo infine la Vergine Maria, perché ci aiuti a contemplare i beni celesti, che il Signore ci promette, e a diventare testimoni sempre più credibili della Sua Risurrezione, della vera vita. 
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venerdì 18 maggio 2012

La famiglia che prega unita rimane unita (Contributi 644)

Il Rosario che educa all'amore e all'unità: una riflessione, tratta da Zenit.Org di padre Piero Gheddo, del PIME 

L’11 maggio scorso, Benedetto XVI, parlando alle Pontificie opere missionarie ha detto: “La missione ha oggi bisogno di rinnovare la fiducia nell’azione di Dio, ha bisogno di una preghiera più intensa”. E ha incoraggiato il progetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e delle Pontificie Opere Missionarie, per sostenere l’Anno della Fede: “Tale progetto prevede una campagna mondiale che, attraverso la preghiera del Santo Rosario, accompagni l’opera di evangelizzazione nel mondo e per tanti battezzati la riscoperta e l’approfondimento della fede”. 
Perché recitare il Rosario? Perché la Mamma di Gesù porta le anime a Cristo. L’ho visto tante volte nelle missioni, fra i popoli non cristiani Maria è venerata e onorata da tutti e attraverso lei lo Spirito porta l’amore e la pace di Cristo. 
Nel febbraio 1964 ero a Vijayawada, una delle diocesi fondate dal Pime in India, che oggi ha circa 5 milioni di abitanti e 270.000 cattolici. Il missionario padre Paolo Arlati, nel 1924 portò dall’Italia una grande statua della Madonna di Lourdes e i Fratelli del Pime la posero sul punto più alto della collina di Gunadala, che domina la città di Vijayawada, costruendo le strade e le scalinata che portano fin sotto ai piedi di Maria, posta in una grotta aperta per cui si vede anche da lontano. A poco a poco, prima i cristiani e poi indù e musulmani sono andati sulla collina di Gunadala a pregare Maria, che è venerata come la protettrice della città perché, nell’anno 1947, poco prima dell’indipendenza dell’India (15 agosto), le lotte sanguinose fra indù e musulmani insanguinavano l’India (circa cinque milioni di morti) e portarono alla divisione fra India e Pakistan. Vijayawada, città con molti musulmani, venne salvata da quelle stragi fratricide dalla Madonna di Gunadala, alla quale tutti accorrevano in preghiera. I pellegrinaggi avevano creato un clima di fraternità. 
L’11 febbraio 1964 si celebrava, come ogni anno, la festa della Madonna di Lourdes. Per tutta la giornata precedente e nel giorno della festa, nelle strade che portavano sulla collina un continuo sali e scendi di devoti che vogliono toccare i piedi della Madonna, pregano, offrono incenso, qualcuno si fa tagliare i capelli in quel giorno, adempiendo il voto che aveva fatto. Un mare di gente che invade Gunadala, con lebbrosi, handicappati, ammalati portati su barelle fino ai piedi di Maria. In due giorni, circa 150.000 devoti di Maria, non pochi dei quali col Rosario al collo, anche i non cristiani, perché il Rosario è il segno sacro della “Bella Signora di Gunadala” che protegge la città e le famiglie. Ancor oggi, più di mezzo secolo dopo, la statua di Maria è sulla collina e si ripetono anche durante l’anno i pellegrinaggi anche da lontano verso la Madonna di Lourdes. Le voci popolari parlano di guarigioni miracolose e il primario dell’ospedale di Viajayawada mi diceva, nel 1964, di poter testimoniare la guarigione di almeno due lebbrosi e di altri malati. Ma il miracolo più grande è di aver portato indù e musulmani a vivere insieme in pace. 
Il Rosario è la preghiera più semplice, più facile e più, diciamo, contemplativa, perché propone, uno ad uno, i misteri della vita di Cristo. E’ la preghiera che unisce grandi e piccoli, colti e incolti, ricchi e poveri, sani e ammalati. E’ la preghiera che unisce e tiene unite le famiglie. Una volta si diceva: “La famiglia che prega unita, rimane unita”. Il più bel ricordo che ho dei miei genitori e della mia famiglia sono i Rosari che recitavamo alla sera, dopo cena, seduti attorno al tavolo di cucina; oppure, nelle sere d’inverno (con le case non riscaldate), si andava nella stalla più vicina a dire il Rosario con altre famiglie, cantare il Salve Regina e le litanie, riscaldati dalla presenza di mucche e buoi, cavalli e capre, vitelli, conigli, anitre, galline, seduti sulla paglia. Allora non c’era né radio, né televisione né tanto meno discoteche e vita notturna. Si pregava assieme e si creava, nelle famiglie, nei vicini, nel paese, una comunità di vita e di fede. 
Oggi prevale l’individualismo, tutti ci lamentiamo che ci sono troppe famiglie divise, troppe liti e violenze familiari. Quando si sfascia la famiglia, la società va in crisi e si sfascia anche lei. Contro questa deriva che porta all’auto-distruzione della nostra Italia, si invocano aiuti economici dallo stato, leggi, provvedimenti di assistenza sociale, si consultano psicologi e avvocati matrimonialisti. Tutto giusto. Ma bisogna anzitutto fare qualcosa per unire gli spiriti, i cuori, le volontà, altrimenti tutto diventa inutile. L’egoismo individuale non si vince con le leggi e gli aiuti economici, ma con l’amore, con la preghiera, perché solo l’aiuto di Dio in molti casi è efficace: Lui sa cosa c’è nel cuore dell’uomo e della donna. Ecco il Rosario che educa all’amore e all’unità, da recitare assieme, specialmente in questo mese di maggio e per il prossimo “Incontro Mondiale delle Famiglie” (Milano, 30 maggio – 1° giugno prossimi). 
Ai tre pastorelli di Fatima, Lucia, Giacinta e Francesco, la Madre di Gesù, presentandosi come ‘la Madonna del Rosario’, raccomandò con insistenza di recitare il Rosario tutti i giorni, per ottenere la pace e la fine della guerra”. Accogliamo anche noi questa materna richiesta della Vergine, impegnandoci a recitare con fede la corona del Rosario per la pace nelle famiglie, nelle nazioni e nel mondo intero.
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giovedì 17 maggio 2012

Non preghiamo il Rosario meccanicamente, ma con il cuore (Contributi 643)

Vi propongo (tratta da Zenit.org) questa intervista al cardinale Prosper Grech dopo la Messa per la Madonna di Fatima celebrata in Santa Maria delle Grazie alle Fornaci 
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“Avete presente le fontane a piazza San Pietro? Quelle a due piani, dove dalla fonte principale sgorga l’acqua che bagna il primo livello e, da quello, scende al secondo? Ecco, questa è la grazia di Maria: una grazia che sovrabbonda che riempe Lei e poi arriva a tutti noi”. 
È questo uno dei tanti significativi esempi utilizzati dal cardinale maltese Prosper Grech, nella Messa vespertina di ieri, presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie alle Fornaci, dove l’immagine della Vergine di Fatima sarà ospitata fino al 20 maggio, insieme alle reliquie dei Beati Francesco e Giacinta. 
Ieri è stata la giornata dedicata ai malati e ai sofferenti. Al termine della sua omelia, tutta incentrata sulla preghiera dell’Ave Maria, il porporato ha infatti distribuito il sacro olio per l’unzione degli infermi a numerosi fedeli malati giunti in Chiesa per salutare la Madonna pellegrina. 
Maria è salute degli infermi”, ha ricordato nella sua meditazione, “Lei dà la forza di sopportare la sofferenza e i mali”. Ricordando l’importanza della preghiera e invitando i fedeli a “non abbandonarla in questo mese mariano”, il cardinal Grech ha sottolineato poi che la Madonna “è via sicura che porta a Cristo, rifugio certo verso la salvezza”. 

Prosper Grech
Intervistato da ZENIT, il cardinale ha spiegato che “dipende dalla nostra fede” credere nel potere d’intercessione di Maria e, dunque, nell’efficacia della preghiera. 
“Si può anche pregare Maria senza fede – ha affermato – e Lei, nella sua misericordia, può anche ascoltare”. Ma solo attraverso “una relazione personale con Cristo e poi con Sua Madre”, si può giungere ad “una preghiera che esce dal cuore e che risponde con il cuore di Maria”
“Quante Ave Maria abbiamo pregato nella nostra vita? Migliaia e migliaia, io credo”, ha proseguito il porporato, “e cosa preghiamo noi? Prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte”. 
“Maria in quell’ultimo momento - ha spiegato - ci tiene la mano, non soltanto per confortarci, ma per darci la fede per fare quel salto nelle braccia di Cristo, in modo che Lei ci presenti a Gesù e Gesù al Padre”. 
“La penitenza, il digiuno e la preghiera, sono vie concrete di salvezza indicate da Maria”, aveva affermato il cardinale nell’omelia. 
Anche durante l’intervista ha ribadito questo concetto, dicendo: “Gesù ha predicato in tutto il suo Vangelo la penitenza per i nostri peccati per entrare nel Regno di Dio. E sua Madre lo ripete in ogni apparizione: la confessione, atto di vera e sincera contrizione, e la preghiera”. -
La preghiera, in particolare, è un atto fondamentale per la vita del cristiano, soprattutto quella rivolta alla Madonna: “Ciò che noi non osiamo chiedere al Padre o per paura o per mancanza di fede – ha detto - lo rimettiamo nelle mani della Mamma”. 
E Lei, ha aggiunto il porporato, più volte “ha indicato nel Rosario uno strumento forte nelle mani del cristiano al quale bisogna tornare. Una via non solo di preghiera, ma di meditazione”. 
Una forma di orazione che sembra ormai passata o che, come ha osservato il cardinale, viene recitata meccanicamente. 
“Nel terzo mistero glorioso, ad esempio, diciamo: lo Spirito Santo è disceso sugli apostoli… Padre Nostro che sei nei cieli… Ave Maria e via dicendo. Ma che significato ha questo per noi? Davvero stiamo riflettendo sul fatto che lo Spirito Santo è sceso sugli apostoli, sulla Chiesa e quindi su di me? Bisogna entrare pienamente nel significato di queste parole”, ha asserito. 
Alla domanda di quale sia il senso di questo mese mariano, tempo di grazia in cui fioriscono tante iniziative che fanno volgere il cuore a Maria, il cardinal Grech ha risposto che esso è “un tempo ricco di opportunità per noi, perché si riscopre la devozione per la Madre di Dio che nella Chiesa cattolica è cominciata dall’inizio e continuerà sempre in quanto intimamente unita al Signore”.  
Un ultimo pensiero il cardinale l’ha rivolto ai malati e ai sofferenti, nella giornata di ieri, a loro dedicata: “Sul mio stemma ho “In te Domine speravi” e naturalmente “non confundar in aeternum”, cioè in Te Signore ho sperato, a Te mi affido perché non sia perduto per sempre. Questa dovrebbe essere la nostra preghiera continua. Affidiamola a Maria, la Madre, affinché la offra a Gesù”.
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mercoledì 16 maggio 2012

Il demonio è spirito (Interventi 133)

Ancora un intervento di Don Carone su come il nemico agisce verso noi uomini. Conoscerlo ci aiuta a combatterlo e come ho già ricordato il ricorso a San Michele (ma anche a Maria Ss) è di grande aiuto.
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Il demonio è spirito, parla con il nostro spirito in modo tale che noi crediamo che siano i nostri pensieri, può risvegliare immagini e avvenimenti nella nostra fantasia, e può eccitare i nostri sensi. Non si fa riconoscere per ingannare meglio, puoi accorgerti di lui soltanto quando la tua vita cristiana è veramente tale, lo riconosci subito quando ti vengono pensieri, immagini, sentimenti cattivi oppure strane fantasie; però soltanto Dio che è Spirito superiore a satana può rivelarti la verità dello spirito del male: malizia, inganno, dannazione, morte eterna e infelicità senza fine. 
Quando tu fai un peccato Dio si allontana da te per cui nel peccato e con il peccato non puoi conoscere e riconoscere satana perché Dio non può rivelartelo. Molti cristiani, soprattutto giovani, cadono 
nell´inganno diabolico più raffinato di tutti i tempi: attraverso immagini e soprattutto attraverso 
l´esperienza di altri che raccontano le loro avventure, satana sollecita la tua curiosità, quella che San Giovanni chiama concupiscenza degli occhi. In te nasce il desiderio incontrollato di provare, di vedere com´è, satana ti fa pensare che soltanto l´esperienza ti fa conoscere di che cosa veramente si tratta, tu non puoi conoscere la natura del male facendo il peccato e poi mettendolo al confronto con il bene. Una volta che il peccato è stato consumato, tu diventi vulnerabile alle tentazioni, non puoi resistere, non puoi lottare perché Dio non è con te, tu lo hai mandato via rifiutandogli la tua fede e l´ubbidienza alla voce della coscienza. Non preghi più o preghi male per cui la preghiera che è l´ unica arma efficace, non ha la forza di Dio per contrastare le seduzioni del male. Inoltre sei stato imprudente, 
l´imprudenza negli sguardi, amicizie ed esperienze sono entrare nella tentazione, sono l´inizio del consenso. “vigilate e pregate per non cadere nella tentazione”, quindi l´imprudenza che è mancanza di vigilanza su se stessi è cominciare a peccare nella propria mente e nel proprio cuore. 
Se la tua preghiera è assidua tu diventi umile, perché pregare significa parlare con Dio e chiedergli i beni della Redenzione, significa mettere a tacere il tuo orgoglio dove satana si nasconde, se ti capita di cadere, ti riprendi subito con una buona confessione. 
L´ubbidienza alla volontà di Dio ti impegna a vivere nell´amore a Cristo e nelle opere di bene per cui non sei più in grado di sentire i movimenti scomposti della tua carne. Tu per es. torni a casa dopo che sei stato a confortare ed aiutare una persona che vive in un mare di guai, sei profondamente avvilito nel tuo spirito, non hai la disposizione a seguire le eccitazioni peccaminose, si smorzano appena cercano di emergere. 
Se fai sempre opere di bene perderai ogni interesse per la sollecitazione della tentazione, ti passa la voglia di prendere in considerazione certe cose. Le opere di bene ti fanno valutare la mentalità del mondo orientata unicamente a tante cose interessanti da vedere e provare, concentra la tua attenzione sui soldi perché tutte le cose che piacciono costano. 
L´esperienza della sofferenza umana mediante le opere di carità ti fa vedere nella mentalità e nel modo di vivere del mondo un vuoto profondo e disgustoso. Non dimenticare mai che soltanto il Vangelo ti rivela la verità della vita.
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Bisogno di senso (Contributi 642)

Un articolo di Luca Doninelli da Il Sussidiario analizza il periodo che stiamo vivendo: 


Su Repubblica dell’altro ieri è uscito un articolo molto bello, a firma di Ilvo Diamanti, dedicato a un problema al quale si dedica troppo poca attenzione.
Molto si è parlato, in questi mesi, del fenomeno dei suicidi per mancanza di lavoro: operai, impiegati ma soprattutto piccoli imprenditori. Non si tratta tuttavia di cosa nuova – anzi, secondo attendibili dati statistici il fenomeno sarebbe addirittura in calo.
Questo però non ci consola molto. Scusate il cinismo, ma se il fenomeno è in calo può solo significare che quelli che volevano uccidersi perlopiù l’hanno già fatto. I morti ci sono comunque, e il loro numero cresce, il bilancio si fa sempre più pesante e gli indici lasciano il tempo che trovano: un morto in più è comunque un morto in più. Ha comunque ragione Diamanti quando osserva come il nostro bisogno di parlarne sia esso stesso un dato che merita qualche riflessione. È esperienza quotidiana. Il nostro modo di raccontare (o di non raccontare) le cose è infatti a sua volta una “cosa”, ed è perfettamente in grado di modificare la realtà tanto quanto gli avvenimenti che racconta. L’informazione ha un suo borsino emotivo, che deve seguire se vuole rimanere sul mercato. C’è stato un periodo in cui non si parlava che della depressione, un altro in cui il tema del momento era l’Alzheimer. C’è stato un periodo in cui le cronache si riempivano di serial killer, che poi si videro rubare la scena dai pedofili. E così via. Oceani d’inchiostro sono stati spesi su questo argomento, e schiere di psicologi hanno conosciuto la notorietà discutendo di paure collettive.
L’impressione, però, è che in questo caso ci sia dell’altro. Diamanti fornisce, nel suo articolo, molti dati. Uno mi pare particolarmente interessante: nel 2005 il 25% degli italiani riteneva di far parte della classe medio-bassa, mentre oggi, a sette anni di distanza, la percentuale è salita al 58%. Io non capisco bene in che misura questo sentimento sia dovuto a un reale peggioramento della situazione (pensiamo alla disoccupazione giovanile nel nostro Paese) e in che misura sia dovuto, viceversa, al racconto che ce ne dà il mondo dell’informazione. Ma proprio nel modo di raccontare queste vicende, più ancora che nelle vicende stesse, noi scopriamo la radice del problema: una fragilità antropologica profonda, figlia di una cultura deviata, che ha fatto del lavoro l’unico fattore di coesione sociale, nonché l’unico significato della vita umana. Ne consegue che, perduto il lavoro, la vita non ha più senso.
Poco abbiamo riflettuto su questa ideologia pericolosa, la cui diffusione, soprattutto nel Norditalia, non va sottovalutata, e che è – come tutte le ideologie – la caricatura di un valore positivo. È vero, certo, che l’uomo senza lavoro è offeso nella propria dignità, ma una dignità offesa vuole riscatto, non vuole la morte. Per passare dall’ingiustizia subita al suicidio ci dev’essere anche un altro problema. Il suicidio è, infatti, anche un messaggio, una parola gettata contro il mondo, un atto di sfiducia nella società, come dire: “sono stato offeso nella mia dignità, e so che voi non mi aiuterete”.
Questo “altro problema”, lo dice bene Diamanti, è il deterioramento del contratto sociale, la sfiducia negli altri. Finché l’economia funzionava, il problema poteva passare in second’ordine, adesso non più. In breve: il problema, più del lavoro, è la comunità. È l’unità tra le persone. In America la crisi, che negli anni scorsi ha cancellato milioni di posti di lavoro, riducendo intere città a carcasse spettrali, ha coinciso con una ripresa fortissima dell’impegno religioso: chi perdeva il lavoro si dedicava maggiormente all’educazione dei figli, all’animazione delle funzioni religiose, al coro parrocchiale, e così via. E continuava a vivere, aspettando – in compagnia – tempi migliori.
Ma questa non è solo una virtù americana. Io per esempio dirigo da dieci anni, con un amico, una rassegna teatrale nella bergamasca, e soprattutto negli ultimi tre anni la crisi si è fatta sentire non poco. Ma il dato interessante è che, con la crisi, gli spettacoli di gran lunga più graditi e frequentati dal pubblico si sono rivelati quelli di argomento religioso, e questo a dispetto dei titoli di prestigio che attori e registi potevano vantare. Di questo abbiamo bisogno: di qualcuno che ci accolga, e accogliendoci accenda in noi una speranza vera. La Chiesa si comporterebbe da autentica criminale se non raccogliesse questo grido, impegnandosi strenuamente, con tutta sé stessa, a questo scopo.
Abbiamo bisogno di qualcuno che, abbracciandoci, ci dica in modo persuasivo che il nostro valore è inestimabile, anche se abbiamo perso il lavoro. 
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