Un articolo di Don Massimo Camisasca sulla missione:
«Andate in tutto il mondo» (Mc 16,15). Queste sono .state le ultime parole di Gesù, la sintesi della ragione per cui è venuto sulla terra.
Il Figlio di Dio aveva preso carne per manifestarsi come la salvezza di ogni uomo. Ma durante la sua vita terrena non aveva potuto raggiungere ogni vivente sulla faccia della terra. E quand’anche li avesse raggiunti, ci sarebbero state tutte le generazioni future. Per questo egli ha voluto la Chiesa.
La missione della Chiesa è una sola: far conoscere Gesù come salvatore ad ogni persona. Essere la contemporaneità di Gesù in ogni epoca della storia.
Far conoscere Gesù non è semplicemente dire che lui è esistito. Occorre presentarlo come interessante per la vita delle persone e delle nazioni. Occorre presentarlo nella lingua di ciascun popolo. Occorre raggiungere i cuori degli uomini.
Questo è stato, da subito, il compito degli apostoli.
Dopo l’Ascensione, si sono allontanati da Gerusalemme e hanno raggiunto i punti diversi della terra allora conosciuta. Alcuni sono andati in Egitto, altri in Spagna, Francia, Italia, in Etiopia, in India addirittura.
Caterina Emmerich narra, nelle sue Visioni, che, al momento della morte di Maria, prima della sua Assunzione al cielo, ognuno dei dodici apostoli si sia messo in viaggio, dalle regioni lontane o vicine in cui si trovava, e abbia raggiunto Efeso. Si erano allontanati geograficamente dalla terra in cui era apparso Gesù, ma non si erano mai veramente allontanati l’uno dall’altro. Ciascuno portava con sé la memoria viva di quello che aveva vissuto con Gesù, nella certezza che Egli era risorto, era vivente, era presente.
Fin dall’inizio il cristianesimo è stato dunque una realtà vivente.
Gesù attraverso i suoi ha incontrato i popoli e ha incominciato a parlare le lingue di tutto il mondo: non solo l’aramaico, il greco e il latino (come testimonia la frase posta sopra la croce), ma anche il siriaco, il copto…
Fin dal principio si è presentata una tensione, che anima permanentemente ogni esperienza missionaria: che cosa, della cultura di un popolo, della sua storia, dei valori che costituiscono l’anima di quella realtà etnica, deve essere salvato e custodito dal cristianesimo? Che cosa invece deve essere contestato, e lasciato cadere in quanto ultimamente disumano e, perciò, in contrasto con la vita che Gesù ha portato?
Cosa salvare, cosa lasciare: ecco tutta la dinamica della missione.
Ci sono stati momenti nella storia della Chiesa in cui si è maggiormente sottolineato il secondo aspetto. Momenti, cioè, in cui la Chiesa ha sentito fortemente la necessità della polemica con ciò che non apparteneva al suo volto. «Che rapporto ci può essere tra Gerusalemme e Atene?» si chiedevano già alcuni apologeti del II secolo. All’opposto, in altri momenti, i cristiani hanno sentito più importante sottolineare la realtà del dialogo, l’assunzione di quanto di positivo o presunto tale c’era nelle culture e nell’esperienza dei popoli.
È quanto abbiamo vissuto soprattutto negli ultimi cinquant’anni, in cui la Chiesa ha corso il rischio di dimenticare, in molti suoi esponenti, l’urgenza della missione. Se ciò che si vive nelle altre religioni, o anche negli uomini senza fede, è già salvezza, che bisogno c’è di annunciare Cristo?
È stata questa la (non ultima) causa della crisi di molti istituti missionari.
Giovanni Paolo II ha lavorato per superare questa crisi. Il cuore della sua opera è l’enciclica Redemptoris missio, che costituisce il “manifesto” missionario della Chiesa per il nuovo millennio.
Non dobbiamo certo decidere noi come gli uomini possano essere raggiunti dallo Spirito di Dio: non è una questione di giustizia, quanto piuttosto di carità, cioè di passione.
L’origine della missione è qualcosa che ha a che fare con la passione: è una gioia, una pienezza, una sovrabbondanza.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..