Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

lunedì 28 luglio 2014

Domenica 17^ t. ord. "A" 27-7-2014 (Angelus 203)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Le brevi similitudini proposte dall'odierna liturgia sono la conclusione del capitolo del Vangelo di Matteo dedicato alle parabole del Regno di Dio (13,44-52). Tra queste ci sono due piccoli capolavori: le parabole del tesoro nascosto nel campo e della perla di grande valore. Esse ci dicono che la scoperta del Regno di Dio può avvenire
improvvisamente come per il contadino che arando, trova il tesoro insperato; oppure dopo lunga ricerca, come per il mercante di perle, che finalmente trova la perla preziosissima da tempo sognata. Ma in un caso e nell'altro resta il dato primario che il tesoro e la perla valgono più di tutti gli altri beni, e pertanto il contadino e il mercante, quando li trovano, rinunciano a tutto il resto per poterli acquistare. Non hanno bisogno di fare ragionamenti, o di pensarci, di riflettere: si accorgono subito del valore incomparabile di ciò che hanno trovato, e sono disposti a perdere tutto pur di averlo.
Così è per il Regno di Dio: chi lo trova non ha dubbi, sente che è quello che cercava, che attendeva e che risponde alle sue aspirazioni più autentiche. Ed è veramente così: chi conosce Gesù, chi lo incontra personalmente, rimane affascinato, attratto da tanta bontà, tanta verità, tanta bellezza, e tutto in una grande umiltà e semplicità. Cercare Gesù, incontrare Gesù: questo è il grande tesoro!
Quante persone, quanti santi e sante, leggendo con cuore aperto il Vangelo, sono stati talmente colpiti da Gesù, da convertirsi a Lui. Pensiamo a san Francesco di Assisi: lui era già un cristiano, ma un cristiano “all’acqua di rose”. Quando lesse il Vangelo, in un momento decisivo della sua giovinezza, incontrò Gesù e scoprì il Regno di Dio, e allora tutti i suoi sogni di gloria terrena svanirono. Il Vangelo ti fa conoscere Gesù vero, ti fa conoscere Gesù vivo; ti parla al cuore e ti cambia la vita. E allora sì, lasci tutto. Puoi cambiare effettivamente tipo di vita, oppure continuare a fare quello che facevi prima ma tu sei un altro, sei rinato: hai trovato ciò che dà senso, ciò che dà sapore, che dà luce a tutto, anche alle fatiche, anche alle sofferenze e anche alla morte.
Leggere il Vangelo. Leggere il Vangelo. Ne abbiamo parlato, ricordate? Ogni giorno leggere un passo del Vangelo; e anche portare un piccolo Vangelo con noi, nella tasca, nella borsa, comunque a portata di mano. E lì, leggendo un passo, troveremo Gesù. Tutto acquista senso quando lì, nel Vangelo, trovi questo tesoro, che Gesù chiama “il Regno di Dio”, cioè Dio che regna nella tua vita, nella nostra vita; Dio che è amore, pace e gioia in ogni uomo e in tutti gli uomini. Questo è ciò che Dio vuole, è ciò per cui Gesù ha donato sé stesso fino a morire su una croce, per liberarci dal potere delle tenebre e trasferirci nel regno della vita, della bellezza, della bontà, della gioia. Leggere il Vangelo è trovare Gesù e avere questa gioia cristiana, che è un dono dello Spirito Santo.
Cari fratelli e sorelle, la gioia di avere trovato il tesoro del Regno di Dio traspare, si vede. Il cristiano non può tenere nascosta la sua fede, perché traspare in ogni parola, in ogni gesto, anche in quelli più semplici e quotidiani: traspare l’amore che Dio ci ha donato mediante Gesù. Preghiamo, per intercessione della Vergine Maria, perché venga in noi e nel mondo intero il suo Regno di amore, di giustizia e di pace.

Dopo l'Angelus
Cari fratelli e sorelle,
domani ricorre il centesimo anniversario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, che causò milioni di vittime e immense distruzioni. Tale conflitto, che Papa Benedetto XV definì una “inutile strage”, sfociò, dopo quattro lunghi anni, in una pace risultata più fragile. Domani sarà una giornata di lutto nel ricordo di questo dramma. Mentre ricordiamo questo tragico evento, auspico che non si ripetano gli sbagli del passato, ma si tengano presenti le lezioni della storia, facendo sempre prevalere le ragioni della pace mediante un dialogo paziente e coraggioso.
In particolare, oggi il mio pensiero va a tre aree di crisi: quella mediorientale, quella irakena e quella ucraina. Vi chiedo di continuare a unirvi alla mia preghiera perché il Signore conceda alle popolazioni e alle Autorità di quelle zone la saggezza e la forza necessarie per portare avanti con determinazione il cammino della pace, affrontando ogni diatriba con la tenacia del dialogo e del negoziato e con la forza della riconciliazione. Al centro di ogni decisione non si pongano gli interessi particolari, ma il bene comune e il rispetto di ogni persona. Ricordiamo che tutto si perde con la guerra e nulla si perde con la pace.
Fratelli e sorelle, mai la guerra! Mai la guerra! Penso soprattutto ai bambini, ai quali si toglie la speranza di una vita degna, di un futuro: bambini morti, bambini feriti, bambini mutilati, bambini orfani, bambini che hanno come giocattoli residui bellici, bambini che non sanno sorridere. Fermatevi, per favore! Ve lo chiedo con tutto il cuore. E’ l’ora di fermarsi! Fermatevi, per favore!
Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da altri Paesi.
Saluto il gruppo dei brasiliani, le parrocchie della diocesi di Cartagena (Spagna), gli scout di Gavião (Portogallo), i giovani di Madrid, Asidonia-Jerez (Spagna) e quelli di Monteolimpino (Como), i ministranti di Conselve e Ronchi Casalserugo, i lupetti di Catania e i fedeli di Acerra.
A tutti auguro buona domenica. E non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo. Arrivederci!
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domenica 27 luglio 2014

Un amore antiaderente (Interventi 199)

Io non so voi, ma quando si tratta di lavare i piatti e ti arrivano certe padelle con del cibo attaccato e bruciacchiato sopra che non viene mai via - a volte mi verrebbe voglia di usare il trapano con la spazzola di ferro per pulirle. Non occorre essere un mago dei fornelli per capire che è molto meglio cucinare su una padella fatta con un materiale anti-aderente dove il cibo non si attacca - perché è come se scivolasse via.
Molte comunità... molti gruppi... molte famiglie... molti ambienti di lavoro dovrebbero usare più spesso materiale antiaderente, non ti sembra? Sto parlando di persone che non permettono che il negativo si attacchi a loro - lasciano che scivoli via. Spero che tu sia uno di loro - o che voglia diventarlo!
L'apostolo Pietro parla proprio di questo tipo di persone e di come vivono le loro relazioni in 1 Pietro 4,8. Lo dice con grande semplicità:
«Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati». Pietro sta parlando a della gente che è sotto pressione e sta soffrendo a causa della loro fede in Gesù. L'ultima cosa di cui hanno bisogno è farsi del male l'uno con l'altro! Così raccomanda che ci siano tra
loro delle relazioni del tipo antiaderente - amare le persone quel tanto che basta da essere in grado di guardare oltre i loro errori.
Un amore che sa guardare oltre - questo è l'amore antiaderente! Il contrario è "attaccaticcio e bruciacchiato" - una mancanza di amore che tiene conto di tutti gli sbagli... che se la lega al dito per ogni offesa o ferita... che cova risentimento e non dimentica mai un torto.
Se sei una persona che vive questo tipo di relazioni, allora quando qualcuno ti attraversa la strada, non lo lasci più andare - diventi "attaccaticcio e bruciacchiato". Una padella così rovina ogni cibo che cucina.
Invece lo stile di amore di Gesù è completamente diverso. Se ami come Lui ti ha insegnato, allora ti rifiuti semplicemente di conservare sentimenti o pensieri negativi sugli altri o contro gli altri. Sei antiaderente, e il negativo non ti si attacca addosso. Scivola via.
In questo periodo stai permettendo che dei sentimenti negativi verso qualcuno stiano crescendo in te? Hai permesso che del risentimento, della rabbia, della freddezza si siano attaccate alla tua anima contro qualcuno della tua famiglia - forse persino il tuo coniuge o uno dei tuoi figli o dei tuoi genitori? O forse stai diventando duro verso qualcuno della tua comunità parrocchiale... o dove lavori? La Bibbia chiama questa durezza «radice velenosa» e dice cosa capiterà se le permetti di svilupparsi - «molti ne saranno infettati» (Ebrei 12,15). Faresti il lavoro del diavolo.
Se c'è qualche mancanza di perdono in cuore, ascolta che cosa ti dice Dio - «[vivete] sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri». Magari pensi: "Sì, ma non hai visto come mi hanno
trattato?". Dio demolisce i tuoi "sì... ma..." con la frase successiva - «Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Colossesi 3,13). Tu non tratti le persone come loro hanno trattato te - tu le tratti come Gesù sta trattando te!
Allora chiedi con costanza al Signore nella preghiera quella dose del Suo amore quotidiano che ti fa guardare oltre al male che gli altri ti fanno. Un amore che copre non solo qualche loro peccato, ma una moltitudine di peccati. Il negativo non si attacca a coloro che hanno
l'amore antiaderente di Dio - scivola via!
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto
don Luciano

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sabato 26 luglio 2014

La ninnananna di Dio

Abbiamo un Dio «innamorato di noi», che ci accarezza teneramente e ci canta la ninnananna proprio come fa un papà con il suo bambino. Non solo: lui ci cerca per primo, ci aspetta e ci insegna a essere «piccoli», perché «l’amore è più nel dare che nel ricevere» ed è «più nelle opere che nelle parole». È quanto ha ricordato Papa Francesco durante la messa celebrata nella mattina di venerdì 27 giugno — giorno in cui ricorre la festa del Sacro Cuore di Gesù — nella cappella della Casa Santa Marta.
La meditazione del Papa ha preso spunto dalla preghiera colletta recitata durante la liturgia, nella quale, ha detto, «abbiamo ringraziato il Signore perché ci dà la grazia, la gioia di celebrare nel cuore del suo Figlio le grandi opere del suo amore».
E «amore», appunto, è la parola chiave scelta dal vescovo di Roma per esprimere il significato profondo della ricorrenza del Sacro Cuore. Perché, ha fatto notare, «oggi è la festa dell’amore di Dio, di Gesù Cristo: è l’amore di Dio per noi e amore di Dio in noi». Una festa, ha aggiunto, che «noi celebriamo con gioia».
Due, in particolare, sono «i tratti dell’amore» secondo il Pontefice. Il primo è racchiuso nell’affermazione che «l’amore è più nel dare che nel ricevere»; il secondo in quella che «l’amore è più nelle opere che nelle parole».
«Quando diciamo che è più nel dare che nel ricevere — ha spiegato Papa Francesco — è perché l’amore sempre si comunica, sempre comunica, e viene ricevuto dall’amato». E «quando diciamo che è più nelle opere che nelle parole», ha aggiunto, è perché «l’amore sempre dà vita, fa crescere».
Il Pontefice ha quindi tratteggiato le caratteristiche fondamentali dell’amore di Dio verso gli uomini. E ha riproposto così alcuni passi delle letture della liturgia del giorno, che, ha fatto notare, «due volte ci parla dei piccoli». Infatti, nella prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio (7, 6-11), «Mosè spiega perché il popolo è stato eletto e dice: perché siete il più piccolo di tutti i popoli». Poi, nel Vangelo di Matteo (11, 25-30), «Gesù loda il Padre perché ha nascosto le cose divine ai dotti e le ha rivelate ai piccoli».
Dunque, ha affermato il Papa, «per capire l’amore di Dio è necessaria questa piccolezza di cuore». Del resto Gesù lo dice chiaramente: se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli. Ecco allora la strada giusta: «Farsi bambini, farsi piccoli», perché «soltanto in quella piccolezza, in quell’abbassarsi si può ricevere» l’amore di Dio.
Non a caso, ha osservato il vescovo di Roma, è «lo stesso Signore» che, «quando spiega il suo rapporto di amore, cerca di parlare come se parlasse a un bambino». E difatti Dio «lo ricorda al popolo: “Ricordati, io ti ho insegnato a camminare come un papà fa con il suo bambino”». Si tratta proprio di «quel rapporto da papà a bambino». Ma, ha avvertito il Pontefice, «se tu non sei piccolo» quel rapporto non riesce a stabilirsi.
Ed è un rapporto tale che porta «il Signore, innamorato di noi», a usare «pure parole che sembrano una ninnananna». Nella Scrittura il Signore dice infatti: «Non temere, vermiciattolo di Israele, non temere!». E ci accarezza, appunto, dicendoci: «Io sono con te, io ti prendo la mano».
Questa «è la tenerezza del Signore nel suo amore, questo è quello che lui ci comunica. E dà la forza alla nostra tenerezza». Invece, ha messo in guardia il Papa, «se noi ci sentiamo forti, mai avremo l’esperienza delle carezze tanto belle del Signore».
Le «parole del Signore», ha affermato il Pontefice, «ci fanno capire quel misterioso amore che lui ha per noi». È Gesù stesso che ci indica come fare: quando parla di sé, dice di essere «mite e umile di cuore». Perciò «anche lui, il Figlio di Dio, si abbassa per ricevere l’amore del Padre».
Un’altra verità che la festa del Sacro Cuore ci ricorda, ha detto ancora il Papa, si può ricavare dal brano della seconda lettura tratto dalla prima lettera di san Giovanni (4, 7-16): «Dio ci ha amato per primo, lui è sempre prima di noi, lui ci aspetta». Il profeta Isaia «dice di lui che è come il fiore del mandorlo, perché fiorisce per primo nella primavera». Dunque, ha ribadito il Pontefice, «quando noi arriviamo lui c’è, quando noi lo cerchiamo lui ci ha cercati per primo: lui è sempre avanti a noi, ci aspetta per riceverci nel suo cuore, nel suo amore».
Riepilogando la sua meditazione, Papa Francesco ha riaffermato che i due tratti indicati «possono aiutarci a capire questo mistero dell’amore di Dio con noi: per esprimersi ha bisogno della nostra piccolezza, del nostro abbassarsi. E ha bisogno anche del nostro stupore quando lo cerchiamo e lo troviamo lì ad aspettarci». Ed è «tanto bello — ha constatato — capire e sentire così l’amore di Dio in Gesù, nel cuore di Gesù».
Il Pontefice ha concluso invitando i presenti a pregare il Signore perché dia a ogni cristiano la grazia «di capire, di sentire, di entrare in questo mondo così misterioso, di stupirci e di avere pace con questo amore che si comunica, ci dà la gioia e ci porta nella strada della vita come un bambino» tenuto «per mano».
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lunedì 21 luglio 2014

Domenica 16^ t. ord. "A" 20-7-2014 (Angelus 202)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.In queste domeniche la liturgia propone alcune parabole evangeliche, cioè brevi narrazioni che Gesù utilizzava per annunciare alle folle il Regno dei cieli. Tra quelle presenti nel Vangelo di oggi, ce n’è una piuttosto complessa, di cui Gesù fornisce ai discepoli la spiegazione: è quella del buon grano e della zizzania, che affronta il problema del male nel mondo e mette in risalto la  pazienza di Dio (cfr Mt 13,24-30.36-43). La scena si svolge in un campo dove il padrone semina il grano; ma una notte arriva il nemico e semina la zizzania, termine che in ebraico deriva dalla stessa radice del nome “Satana” e richiama il concetto di divisione. Tutti sappiamo che il demonio è uno “zizzaniatore”, colui che cerca sempre di dividere le persone, le famiglie, le nazioni e i popoli. I servitori vorrebbero subito strappare l’erba cattiva, ma il padrone lo impedisce con questa motivazione: «Perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano» (Mt 13, 29). Perché sappiamo tutti che la zizzania, quando cresce, assomiglia tanto al grano buono, e vi è il pericolo che si confondano.
L’insegnamento della parabola è duplice. Anzitutto dice che il male che c’è nel mondo non proviene da Dio, ma dal suo nemico, il Maligno. È curioso, il maligno va di notte a seminare la zizzania, nel buio, nella confusione; lui va dove non c’è luce per seminare la zizzania. Questo nemico è astuto: ha seminato il male in mezzo al bene, così che è impossibile a noi uomini separarli nettamente; ma Dio, alla fine, potrà farlo.
E qui veniamo al secondo tema: la contrapposizione tra l’impazienza dei servi e la paziente attesa del proprietario del campo, che rappresenta Dio. Noi a volte abbiamo una gran fretta di giudicare, classificare, mettere di qua i buoni, di là i cattivi… Ma ricordatevi la preghiera di quell'uomo superbo: “O Dio, ti ringrazio perché io sono buono, non sono non sono come gli altri uomini, cattivi….” (cfr Lc 18,11-12). Dio invece sa aspettare. Egli guarda nel “campo” della vita di ogni persona con pazienza e misericordia: vede molto meglio di noi la sporcizia e il male, ma vede anche i germi del bene e attende con fiducia che maturino. Dio è paziente, sa aspettare. Che bello questo: il nostro Dio è un padre paziente, che ci aspetta sempre e ci aspetta con il cuore in mano per accoglierci, per perdonarci. Egli sempre ci perdona se andiamo da Lui.
L’atteggiamento del padrone è quello della speranza fondata sulla certezza che il male non ha né la prima né l’ultima parola. Ed è grazie a questa paziente speranza di Dio che la stessa zizzania, cioè il cuore cattivo con tanti peccati, alla fine può diventare buon grano. Ma attenzione: la pazienza evangelica non è indifferenza al male; non si può fare confusione tra bene e male! Di fronte alla zizzania presente nel mondo il discepolo del Signore è chiamato a imitare la pazienza di Dio, alimentare la speranza con il sostegno di una incrollabile fiducia nella vittoria finale del bene, cioè di Dio. 
Alla fine, infatti, il male sarà tolto ed eliminato: al tempo della mietitura, cioè del giudizio, i mietitori eseguiranno l’ordine del padrone separando la zizzania per bruciarla (cfr Mt 13,30). In quel giorno della mietitura finale il giudice sarà Gesù, Colui che ha seminato il buon grano nel mondo e che è diventato Lui stesso “chicco di grano”, è morto ed è risorto. Alla fine saremo tutti giudicati con lo stesso metro con cui abbiamo giudicato: la misericordia che avremo usato verso gli altri sarà usata anche con noi. Chiediamo alla Madonna, nostra Madre, di aiutarci a crescere nella pazienza, nella speranza e nella misericordia con tutti i fratelli.

Dopo l'Angelus
Cari fratelli e sorelle,
Ho appreso con preoccupazione le notizie che giungono dalle Comunità cristiane a Mossul (Iraq) e in altre parti del Medio Oriente, dove esse, sin dall'inizio del cristianesimo, hanno vissuto con i loro concittadini offrendo un significativo contributo al bene della società. Oggi sono perseguitate; i nostri fratelli sono perseguitati, sono cacciati via, devono lasciare le loro case senza avere la possibilità di portare niente con loro. A queste famiglie e a queste persone voglio esprimere la mia vicinanza e la mia costante preghiera. Carissimi fratelli e sorelle tanto perseguitati, io so quanto soffrite, io so che siete spogliati di tutto. Sono con voi nella fede in Colui che ha vinto il male! E a voi, qui in piazza e a quanti ci seguono per mezzo della televisione, rivolgo l’invito a ricordare nella preghiera queste comunità cristiane. Vi esorto, inoltre, a perseverare nella preghiera per le situazioni di tensione e di conflitto che persistono in diverse zone del mondo, specialmente in Medio Oriente e in Ucraina. Il Dio della pace susciti in tutti un autentico desiderio di dialogo e di riconciliazione. La violenza non si vince con la violenza. La violenza si vince con la pace! Preghiamo in silenzio, chiedendo la pace; tutti, in silenzio…. Maria Regina della pace, prega per noi! 

Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da altri Paesi.
Saluto il coro della diocesi di Killala (Irlanda), le Suore Benedettine della Divina Provvidenza e le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida, i fedeli di Pescara e Villanova in Padova, i giovani di Messina e i bambini ospiti del soggiorno estivo di Tivoli. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. A tutti auguro buona domenica e buon pranzo. Arrivederci! 

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giovedì 17 luglio 2014

La speranza nel compimento (Contributi 978)

Vi propongo una testimonianza di Don Romano Christen (attualmente parroco a Colonia-Germania) dal sito della Fraternità San Carlo:

Quanto dolore mi brucia dentro per tutto ciò che rimane incompiuto, non detto (o detto male), non abbracciato, non incoraggiato, non perdonato! Che ne è, poi, di chi si allontana, dei tanti, dei troppi rapporti che lungo il cammino della vita, per le più disparate ragioni, si affievoliscono o si perdono? Già solo un incontro fortuito in treno mi lascia dentro un’amarezza pensando che quel volto non lo vedrò più, non ne scoprirò mai la profondità di cuore… No, non può finire così!
In realtà, basta attendere. Un’attesa trepidante e impegnata, che desidera plasmare la propria carnalità per esporla sin d’ora al Giudizio finale di Dio, certa che il Signore della storia non lascerà cadere niente nel nulla. E così fiorisce la speranza nel compimento! Sboccerà per grazia l’amicizia definitiva, la parola vera sarà detta e verrà compresa, l’azione buona potrà compiersi grata e senza artificio, le ferite saranno sanate – saranno belli anche i segni che lasceranno – e la confidenza illuminerà anche le fibre di vita più recondite perché raggiunte dall’abbraccio di Cristo! L’amen definitivo è del Paradiso.
Scopro stupito che l’amarezza per tutto ciò che qui e ora resta incompiuto viene sempre più tramutata in letizia paziente e certa; mentre la tentazione testarda di essere possessivi in tutto si converte in verginità colma di pace.
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martedì 15 luglio 2014

Don Giussani e il Sillabo (Contributi 977)

Una breve lettera di Mons. Negri a La Bussola ci propone un interessante brano di Mons. Giussani


Mio carissimo Riccardo,
ti chiedo come favore personale di pubblicare sul tuo ottimo quotidiano questo brano di don Luigi Giussani che provvidenzialmente ho ritrovato nelle mie letture di questi giorni.
È la dimostrazione lampante di quello che ho tentato di comunicare in più di un intervento in questi ultimi anni: che l’ipotesi di fondo sulle vicende culturali legate alla modernità e alla post modernità, don Giussani le ha formulate sin dai primi anni del suo insegnamento liceale e le ha tenute fedelmente per tutta la vita. Io peraltro ho visto la fecondità di questa ipotesi per gli studi e le letture che ho potuto fare lungo tutto il corso della mia vita di ricercatore.
Queste sono le posizioni di Giussani. Filosofi e giornalisti, che spesso parlano del magistero di Giussani e che attribuiscono a Giussani posizioni diverse da queste o che accusano Giussani di non avere capito lo spirito del Concilio, sappiano che queste sono le posizioni storiche e culturali che Giussani ha tenuto fedelmente per tutto il suo insegnamento.
Certo, si può avere incontrato Giussani, averlo seguito fino a un certo punto e a un certo punto dire cose diverse da quelle che lui diceva. Ma allora è bene dire che non si ripropone più l’insegnamento di Giussani.
Mons. Luigi Negri
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«In un momento come quello di oggi sarebbe veramente una grazia che la Chiesa si sentisse chiamata da Dio a esplicitare tutta la verità che già porta nel seno della sua vita quotidiana.
È quello che è accaduto alla fine dell'Ottocento con il Sillabo. Per questo è odiato il Sillabo: perché ha chiarito le parti (insieme all'enciclica Pascendi contro il modernismo). Adesso, invece, il modernismo domina ovunque. Se Dio non chiama la Chiesa ad un intervento, la Chiesa umilmente deve subire la tempesta del dubbio e della indecisione. Bisogna pregare la Madonna che dia alla Chiesa guide e documenti chiari. Come la Redemptor Hominis, di cui ricorre l'anniversario in questi giorni»
(L. Giussani, L'attrattiva GesùTischreden del 1994)
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domenica 13 luglio 2014

Domenica 15^ t. ord. "A" 13-7-2014 (Angelus 201)

Fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa domenica (Mt 13,1-23) ci mostra Gesù che predica sulla riva del lago di Galilea, e poiché una grande folla lo circonda, Lui sale su una barca, si allontana un poco da riva e predica da lì. Quando parla al popolo, Gesù utilizza molte parabole: un linguaggio comprensibile a tutti, con immagini tratte dalla natura e dalle situazioni della vita quotidiana.
La prima che racconta è un’introduzione a tutte le parabole: è quella del seminatore, che senza risparmio getta la sua semente su ogni tipo di terreno. E il vero protagonista di questa parabola è proprio il seme, che produce più o meno frutto a seconda del terreno su cui è caduto. I primi tre terreni sono improduttivi: lungo la strada la semente è mangiata dagli uccelli; sul terreno sassoso i germogli seccano subito perché non hanno radici; in mezzo ai rovi il seme viene soffocato dalle spine. Il quarto terreno è il terreno buono, e soltanto lì il seme attecchisce e porta frutto.
In questo caso, Gesù non si è limitato a presentare la parabola, l’ha anche spiegata ai suoi discepoli. La semente caduta sulla strada indica quanti ascoltano l’annuncio del Regno di Dio ma non lo accolgono; così sopraggiunge il Maligno e lo porta via. Il Maligno infatti non vuole che il seme del Vangelo germogli nel cuore degli uomini. Questo è il primo paragone. Il secondo è quello del seme caduto sulle pietre: esso rappresenta le persone che ascoltano la parola di Dio e l’accolgono subito, ma superficialmente, perché non hanno radici e sono incostanti; e quando arrivano le difficoltà e le tribolazioni, queste persone si abbattono subito. Il terzo caso è quello della semente caduta tra i rovi: Gesù spiega che si riferisce alle persone che ascoltano la parola ma, a causa delle preoccupazioni mondane e della seduzione della ricchezza, rimane soffocata. Infine, la semente caduta sul terreno fertile rappresenta quanti ascoltano la parola, la accolgono, la custodiscono e la comprendono, ed essa porta frutto. Il modello perfetto di questa terra buona è la Vergine Maria.
Questa parabola parla oggi a ciascuno di noi, come parlava agli ascoltatori di Gesù duemila anni fa. Ci ricorda che noi siamo il terreno dove il Signore getta instancabilmente il seme della sua Parola e del suo amore. Con quali disposizioni lo accogliamo? E possiamo porci la domanda: com’è il nostro cuore? A quale terreno assomiglia: a una strada, a una pietraia, a un roveto? Dipende da noi diventare terreno buono senza spine né sassi, ma dissodato e coltivato con cura, affinché possa portare buoni frutti per noi e per i nostri fratelli.
E ci farà bene non dimenticare che anche noi siamo seminatori. Dio semina semi buoni, e anche qui possiamo porci la domanda: che tipo di seme esce dal nostro cuore e dalla nostra bocca? Le nostre parole possono fare tanto bene e anche tanto male; possono guarire e possono ferire; possono incoraggiare e possono deprimere. Ricordatevi: quello che conta non è ciò che entra, ma quello che esce dalla bocca e dal cuore.
La Madonna ci insegni, con il suo esempio, ad accogliere la Parola, custodirla e farla fruttificare in noi e negli altri.

Dopo l'Angelus
APPELLO
Rivolgo a tutti voi un accorato appello a continuare a pregare con insistenza per la pace in Terra Santa, alla luce dei tragici eventi degli ultimi giorni. Ho ancora nella memoria il vivo ricordo dell’incontro dell’8 giugno scorso con il Patriarca Bartolomeo, il Presidente Peres e il Presidente Abbas, insieme ai quali abbiamo invocato il dono della pace e ascoltato la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza. Qualcuno potrebbe pensare che tale incontro sia avvenuto invano. Invece no! La preghiera ci aiuta a non lasciarci vincere dal male né rassegnarci a che la violenza e l’odio prendano il sopravvento sul dialogo e la riconciliazione. Esorto le parti interessate e tutti quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale a non risparmiare la preghiera e a non risparmiare alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti. E invito tutti voi ad unirvi nella preghiera. In silenzio, tutti, preghiamo. 
(Preghiera silenziosa) 
Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e donaci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto è distrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace... Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono. Amen.

Cari fratelli e sorelle,
vi saluto tutti cordialmente, romani e pellegrini!
Oggi ricorre la “Domenica del Mare”. Rivolgo il mio pensiero ai marittimi, ai pescatori e alle loro famiglie. Esorto le comunità cristiane, in particolare quelle costiere, affinché siano attente e sensibili nei loro confronti. Invito i cappellani e i volontari dell’Apostolato del Mare a continuare il loro impegno nella cura pastorale di questi fratelli e sorelle. Tutti affido, specialmente quanti si trovano in difficoltà e lontano da casa, alla materna protezione di Maria, Stella del Mare.
Mi unisco in preghiera ai Pastori e ai fedeli che partecipano al pellegrinaggio della Famiglia di Radio Maria a Jasna Góra, Czestochowa. Vi ringrazio per le vostre preghiere e vi benedico di cuore.
Saluto ora con grande affetto tutti i figli e le figlie spirituali di san Camillo de Lellis, del quale domani ricorre il 400° anniversario della morte. Invito la Famiglia camilliana, al culmine di questo anno giubilare, ad essere segno del Signore Gesù che, come buon samaritano, si china sulle ferite del corpo e dello spirito dell’umanità sofferente, versando l’olio della consolazione e il vino della speranza. A voi convenuti qui in Piazza san Pietro, come pure agli operatori sanitari che prestano servizio nei vostri ospedali e case di cura, auguro di crescere sempre più nel carisma di carità, alimentato dal contatto quotidiano con i malati. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
A tutti auguro buona domenica e buon pranzo. Arrivederci!
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Uscì il seminatore... (Post 157)

Il Vangelo odierno ci pone di fronte alla parabola del seminatore che tutti conosciamo. 
Di fronte al gratuito e (a volte) incomprensibile amore di Dio nei nostri confronti si pone la libertà dell'uomo che può far sì che lo stesso seme (la stessa Parola, lo stesso Amore) che Dio dona a ciascuno ci siano risposte diverse.. di ignoranza più o meno colpevole, di iniziale ma non duratura accoglienza, di trascuratezza a causa di contingenti problemi, di accoglienza più o meno fruttuosa.... 
Ognuno di noi si può trovare in una o l'altra posizione nei vari momenti della vita ma in virtù della misericordia di Dio fino all'ultimo istante della nostra vita terrena può diventare "terreno buono".
Come nel quadro di Caravaggio "la vocazione di Matteo" dove la luce (della Grazia) illumina sia lo stupito Matteo che altre due persone (un vecchio e un giovane) le quali però continuano a contare monete. 
La Grazia  di Dio illumina ogni uomo,sta alla sua libertà accoglierla o meno. 
Preghiamo quindi di poter sempre accogliere la Grazia che continuamente e in molti modi ci viene donata, senza fare misura della risposta (per tornare alla parabola della resa del terreno buono, 30-60-100) perché ogni uomo è diverso dall'altro ed è questa diversità a fare la bellezza del mondo. Come una vetrata artistica colpita dalla stessa luce ma che con la diversità dei suoi colori forma un disegno meraviglioso e bellissimo.
Chiediamo di essere testimoni e annunciatori di tale bellezza.
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sabato 12 luglio 2014

Tutti siamo incaricati di portare la Parola al mondo (Interventi 198)

Meditazione di Mons. Francesco Follo (osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi) per la 15ª Domenica del Tempo Ordinario "A" tratto da Zenit


1)      Le parole della Parola da seminare.
            La parabola del seminatore parla in primo luogo di Gesù, il nostro Redentore, che vuole presentarci la sua missione e il senso della sua presenza in mezzo a noi con il paragone del seminatore.
            In un brano precedente a quello proposto oggi, l’evangelista San Matteo scrive: “Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del Regno” (9,35). Gesù dunque vede se stesso come chi è mandato a “predicare il Vangelo del Regno”. Quando Gesù inizia la sua attività pubblica attribuisce a se stesso un testo del profeta Isaia che dice: “Lo Spirito del Signore è sopra di me … e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio … e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,17-19). Gesù afferma che queste parole profetiche si realizzano in Lui: Lui è stato mandato “per annunciare una bella e lieta notizia”, per “predicare il tempo favorevole”. È questo il significato profondo di questa “parabola autobiografica” (Benedetto XVI): come il seminatore esce di casa per spargere il seme, così Gesù che esce dalla casa di Nazareth, per seminare in tutti la bella notizia, il lieto messaggio di Dio che salva l’uomo.
            Quando Papa Francesco quando parla di Chiesa in uscita (Esort. Post-sinodale Evangelii gaudium 24) si ispira al Seminatore che senza cedere alla stanchezza percorre tutto il campo del mondo fino ai luoghi delle sue fragilità e delle sue bassezze, delle sue debolezze e delle sue contraddizioni, perfino fino al luogo delle bestemmie contro di Lui. Il Seminatore non cessa mai di gettare il buon seme. A noi sembra che getti il seme a caso, ma credo che oggi possiamo interpretare questo modo di seminare come insegnamento di Gesù sul modo di essere missionari. La missione non è questione di strategie o di particolari attività da aggiungere al tessuto della nostra esistenza quotidiana. La missione è, soprattutto, una questione di portare una parola carica di una Presenza e nutrita ogni giorno da un esperienza di fraternità, che ripropone, ogni giorno, ad ogni singolo essere umano la domanda “chi sono?”, da dove vengo e, soprattutto, “dove vado e perché?”.
            Da queste domande ineliminabili emerge come il mondo della pianificazione, del calcolo esatto e della sperimentazione, in una parola il sapere della scienza, pur importante per la vita dell’uomo, da solo non basta. Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso autentico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. Abbiamo bisogno di credere, di guardare alla vita con gli occhi della fede,
            La fede non è un semplice assenso intellettuale dell’uomo a delle verità particolari su Dio; è un atto con cui mi affido liberamente a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un “Tu” che mi dona speranza e fiducia e amore senza misura.
            La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte alla cattiveria dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possibilità della salvezza.
            Avere fede, allora, è incontrare questo “Tu”, Dio, che ci sostiene e ci concede un amore indistruttibile che non solo tende all’eternità, ma la dona; è affidarci a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i suoi problemi sono al sicuro nel “tu” della madre. E questa possibilità di salvezza attraverso la fede è un dono che Dio offre a tutti gli uomini.
            Penso che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammatiche – la Parola di Dio seminata in noi, per capire che credere cristianamente significa questo abbandonarci con fiducia al senso profondo che sostiene noi e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui possiamo vivere senza paura.  Dobbiamo essere capaci di accogliere questa certezza liberante e rassicurante della fede per poi annunciare la Parola con le nostre parole e di testimoniarla con la nostra vita di cristiani.
            La parabola di questo seminatore, che è il Signore, che semina in maniera abbondante, ci aiuta a crescere nella consapevolezza e nell’impegno di accogliere la Parola di Dio e di farla fruttare. Ci sono molti rischi e molte situazioni in cui la Parola di Dio non porta frutto, non per l’azione di Dio, che più abbondante di così non potrebbe essere, ma per le distrazioni, le superficialità, le tentazioni nostre. Dunque il seminatore Gesù sparge il seme dovunque, con “spreco” si direbbe, non scartando nessun terreno ma ritenendo ciascuno degno di fiducia e di attenzione. Così la Chiesa per mezzo dei Vescovi, dei Preti e di tutti i Fedeli deve offrire la Parola a tutti e deve farlo senza risparmio di energie.
            E’ la vocazione di ogni cristiano. Tutti siamo seminatori della Parola, dal Papa all'ultimo battezzato. Non tutti siamo seminatori allo stesso grado e con le stesse responsabilità, ma tutti siamo incaricati di portare la Parola al mondo, sapendo che la Parola è la nostra vita prima ancora che la nostra voce.
            Ogni mattina ogni cristiano dovrebbe lasciare la sua casa non solo per andare a guadagnarsi da vivere materialmente ma anche spiritualmente,“uscendo a seminare Cristo, grano che diventa Pane”, senza scoraggiarsi se una parte del seme dovesse cadere su un terreno non buono.

            2) Il seme e la terra.
            La figura del seminatore appare all’inizio della parabola di oggi e poi scompare: i protagonisti sono il seme e la terra, e la situazione presentata dalla parabola è quella, in cui sembra che tutto vada perduto, che l'insuccesso del Regno e della Parola sia totale o eccessivo. E invece – afferma Gesù con questa parabola – non è così. E’ vero che ci sono gli insuccessi, e anche tanti, ma è certo che da qualche parte il successo c’è. Dunque è una lezione di fiducia.
            Inoltre, va tenuto presente che in questa parabola Cristo rivolge l’attenzione alla “terra” delle anime degli uomini e delle umane coscienze e mostra che cosa avviene alla Parola di Dio a secondo dei vari tipi di terra di cui è fatto il campo dell’umanità. Gesù parla di un seme che è stato portato via e non ha cresciuto nel cuore dell’uomo, perché questi ha ceduto al Maligno e non ha capito la Parola. Poi parla del seme caduto sulla terra rocciosa, sulla terra dura che non era in grado di mettere le radici, dunque non ha resistito alla prima prova. Lo udiamo parlare anche del seme caduto tra i cardi e le spine e che è stato da essi soffocato (questi cardi e spine sono le illusioni del benessere che passa). Infine ci parla del seme caduto sulla terra buona, fertile, produce frutto. Chi è questa terra fertile? Colui che ascolta la parola e la comprende. Ascolta e comprende. Non basta ascoltare il Vangelo della nuova ed eterna Alleanza, che è la parola di questo Verbo fatto carne, bisogna accoglierlo con la mente e con il cuore.
            Nel corso di duemila anni la terra è stata già abbondantemente seminata con questa parola. È soprattutto Cristo stesso come Verbo ha reso fertile questa terra della storia umana per mezzo della redenzione mediante il sangue della sua croce. E nella Parola della Croce continua la sua semina, dando inizio a “un nuovo cielo e una nuova terra” (cf. Ap 21, 1). Tutti i seminatori della parola di Cristo attingono la forza del loro servizio da quell'indicibile mistero, quale è diventata - una volta per sempre - l’unione del Dio Verbo con la natura umana, e in un certo senso con ogni uomo (come insegna il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, 22). Cadono le parole del Vangelo sulla terra delle anime degli uomini, ma soprattutto il Verbo Eterno stesso, generato per opera dello Spirito Santo da una Vergine-Madre, è diventato fonte di vita per l’umanità.
            La Vergine Maria ci aiuti ad essere, sul suo modello, “terra buona”, dove il seme della Parola possa portare molto frutto.
            Le Vergini consacrate nel mondo sono fra coloro che in un modo particolarissimo hanno preso a modello la Vergine Maria. Sull’esempio della Madonna, la loro parola si fa preghiera,  si fa riconoscenza, si fa dono di amore. Con questa donazione d’amore la loro parola diventa annuncio della Parola di verità che unisce l’uomo alla vita d’amore di Dio. Nel dono verginale di sé riconoscono che Gesù Cristo, loro Sposo, è Re d’Amore, nel cui misericordiosa bontà è ragionevole confidare totalmente. Con la loro vita dimostrano la verità della frasi di Sant’Ambrogio “La tua parola è custodita non in una tomba di morti, bensì nel libro dei viventi” .
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giovedì 10 luglio 2014

Gridatelo sui tetti (Contributi 976)

Riporto questo testo dal blog di Antonio Socci
Dedicato a chi dice spesso : “Vergogna , vergogna !” e si dimentica della vergogna più grande che sembra imperare … dedicato a chI dice che bisogna annunciare Gesù senza mostrare come Lui giudica tutto; e a chi dice che parlare dei principi non negoziabili impedirebbe di incontrare Cristo ai lontani
” Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno, come ammoniva il poeta T. S. Eliot: « Avete forse bisogno che vi si dica che perfino quei modesti successi / che vi permettono di essere fieri di una società educata / difficilmente sopravviveranno alla fede a cui devono il loro significato? ».
Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata.
La Lettera agli Ebrei afferma: « Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città » (Eb 11,16).
L’espressione “non vergognarsi” è associata a un riconoscimento pubblico. Si vuol dire che Dio confessa pubblicamente, con il suo agire concreto, la sua presenza tra noi, il suo desiderio di rendere saldi i rapporti tra gli uomini.
Saremo forse noi a vergognarci di chiamare Dio il nostro Dio? Saremo noi a non confessarlo come tale nella nostra vita pubblica, a non proporre la grandezza della vita comune che Egli rende possibile?
La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama…”
Papa Francesco, enciclica Lumen Fidei
(TRATTO DAL BLOG "OBLATIO RATIONABILIS" CHE RINGRAZIO)
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mercoledì 9 luglio 2014

E ora parte l'assalto alla Confessione (Contributi 975)

Metto alla vostra attenzione questo articolo di Massimo Introvigne da La Bussola, quale ulteriore segno di un attacco al cattolicesimo che si muove su molti fronti....


Lunedì 7 luglio 2014 la diocesi cattolica di Baton Rouge, in Louisiana, ha pubblicato un durissimo documento dove critica una sentenza della Corte Suprema della Louisiana che segna il primo significativo assalto negli Stati Uniti contro il segreto della confessione. 
La sentenza si riferisce a un caso di abusi sessuali, ma non ha niente a che fare con i preti pedofili. Riguarda una ragazzina cattolica, dodicenne all'epoca dei fatti, che aveva confessato al parroco di avere una relazione con un uomo adulto, un impresario di pompe funebri del suo paese. Senza violare il segreto della confessione, il parroco aveva cercato di avvicinare discretamente l'uomo per convincerlo a porre fine alla relazione, che - senza portare a rapporti sessuali completi - includeva comunque momenti di «intimità» non appropriati per una dodicenne. Successivamente, la ragazza aveva confessato la relazione ai genitori, che avevano denunciato l'uomo alla polizia. Dopo l'iscrizione sul registro degli indagati, l'uomo era morto. 
I genitori della ragazza - con il supporto di organizzazioni e avvocati che di solito cercano di ottenere fortissimi risarcimenti dalle diocesi nei casi di abusi commessi da sacerdoti -, non potendo più prendersela con il defunto, hanno deciso di citare per danni la sua impresa di pompe funebri e insieme la parrocchia e la diocesi cattolica, sostenendo che, se il sacerdote avesse riferito il contenuto della confessione della figlia alla polizia, la relazione - che, vista l'età della ragazzina, dal punto di vista legale costituisce un caso di abuso sessuale - sarebbe cessata. Tradurre il danno psicologico subito dalla ragazza in un risarcimento monetario non è facile, ma i tribunali americani sono abituati a questi calcoli.
La questione giuridica centrale è ovviamente un'altra. Il sacerdote avrebbe dovuto violare il segreto della confessione? Sì, aveva risposto il tribunale di East Baton Rouge nella sentenza di primo grado, perché la protezione dei minorenni contro gli abusi sessuali prevale sul diritto di libertà religiosa, che tutela anche il segreto della confessione. La sentenza aveva suscitato grande clamore negli Stati Uniti e ampie proteste da parte della Chiesa Cattolica e anche di altre organizzazioni religiose. Il 21 ottobre 2013 la Corte d'Appello per il Primo Circuito della Louisiana aveva rovesciato la decisione di primo grado con un'autentica lezione in tema di libertà religiosa, spiegando che costringere un sacerdote a violare il segreto della confessione sovvertirebbe completamente il principio americano della libertà di religione, e notando anche che forse questi attacchi alla religione possono avere un posto nella mentalità giuridica contemporanea europea, ma certamente non negli Stati Uniti. 
Tra l'altro - opportunamente istruita dagli avvocati - la ragazza, ormai diciassettenne, aveva «ricordato» che il parroco le aveva consigliato di non parlare con nessuno della relazione. Il sacerdote era stato così posto in una situazione impossibile: tacendo avrebbe ammesso la versione della ragazza, parlando avrebbe violato il segreto della confessione. La Corte d'Appello aveva pertanto concluso che, per evitare questo tipo di situazioni, anche alla penitente - non importa se minorenne - si sarebbe dovuto impedire di testimoniare sul contenuto della confessione.
Contro la sentenza della Corte d'Appello i genitori - o meglio i loro avvocati (che di solito negli Stati Uniti tengono per sé la maggior parte dei risarcimenti) - hanno proposto ricorso alla Corte Suprema della Louisiana, la quale ha ora deciso che il sacerdote avrebbe dovuto violare il segreto della confessione e contattare la polizia. Secondo la sentenza, è vero che la giurisprudenza americana ha sempre protetto il segreto della confessione, ma questa protezione sarebbe intesa a tutelare il penitente e la sua privacy, non il sacerdote. In questo caso gli interessi della penitente avrebbero richiesto la denuncia; inoltre, la ragazza ora «ricorda» pure che aveva autorizzato il sacerdote, in confessionale, a riferire a terzi il contenuto della sua confessione.
La diocesi di Baton Rouge, nella sua nota, osserva che la Corte Suprema «ha aggredito la libertà religiosa e la stessa Costituzione degli Stati Uniti». La diocesi spiega che «non c'è nessuna area grigia», che il segreto della confessione è assoluto, e che il sacerdote è stato istruito dal vescovo nell'unico modo possibile: non testimonierà sulla confessione e, se necessario, «andrà in prigione per violazione di un ordine della Corte piuttosto che violare il suo dovere sacro». Se si comportasse diversamente, incorrerebbe nella scomunica.
Il caso finirà probabilmente alla Corte Suprema federale, e ha un'importanza decisiva. Il riferimento all'Europa nella sentenza della Corte d'Appello non è casuale, perché è in Irlanda e altrove che si è già cercato di utilizzare i casi dei preti pedofili come grimaldello per eliminare la protezione giuridica del segreto della confessione. Nel 2011, quando ho svolto il mio mandato di Rappresentante per la lotta al razzismo, alla xenofobia e all'intolleranza e alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni all'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), mi sono scontrato in modo molto duro con il governo irlandese su questo punto. Il caso di Baton Rouge non riguarda, a rigore, i preti pedofili, ma la sentenza della Corte Suprema della Louisiana è figlia del panico morale creato amplificando tramite statistiche fasulle il dramma - purtroppo reale, e che nessuno vuole negare - della pedofilia nel clero.
Papa Francesco, che è davvero il Papa del sacramento della confessione, di cui parla spessissimo, ci ricorda  quasi tutte le settimane che dove non c'è la confessione non c'è veramente la Chiesa Cattolica, perché lì smette di fluire il fiume di misericordia che viene da Gesù Cristo. Senza segreto della confessione non ci sarebbe più la confessione. Per questo, l'assalto dei poteri forti di questo mondo ora si rivolge contro il segreto del confessionale. Oggi in Louisiana, domani in Europa - anzi, già oggi anche in Europa.
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Una compagnia amorosa (Contributi 974)

Dal sito della Fraternità sacerdotale San Carlo una testimonianza di Don Tommaso Pedroli


Una parte considerevole del lavoro in parrocchia per un sacerdote è dedicato alla catechesi sacramentale e in particolare alla preparazione alle prime comunioni. In ognuno dei centosessanta bambini che frequentano il catechismo rivedo il mio volto, le mie attese e la semplicità di quando avevo la loro età. E in un certo senso ogni volta che entro in un’aula è per me come un tuffo nel passato.
Torno spesso agli anni del mio catechismo, quando ogni lezione era una novità e la possibilità di dare la vita a Gesù attraverso il sacerdozio si faceva strada in me come intuizione. Mi ricordo in particolare un giorno in cui la catechista ci chiese di disegnare quello che ci sarebbe piaciuto diventare da grandi. Istintivamente, sul foglio tracciai uno schizzo del frate portinaio della mia parrocchia che ogni domenica, dopo la messa, portava la comunione agli anziani del quartiere. Lo incrociavo sempre sulla strada del suo ritorno, con una piccola custodia eucaristica ormai vuota, carico dei molti anni di umile servizio, eppure leggiadro e lieto. Il mio primo ricordo dell’eucarestia è legato alla donazione di fra’ Cirillo: non è possibile dare la vita per il mondo se non guardando e assimilandosi alla consegna totale che Gesù fa di sé nel sacramento.
Sono dovuti passare molti anni perché potessi comprendere con che profondità Dio aveva seminato in me il desiderio di servirlo guardando a quell’anziano frate. Il giorno della mia prima comunione stette al mio fianco con gioia e sapienza. Con il suo silenzio e la semplice fedeltà alla sua vocazione mi stava accompagnando nella scoperta dell’amorosa compagnia di Dio alla vita di ogni uomo. Oggi, quando apro la mia giornata con la celebrazione della messa, mi stupisco ogni volta di quel pane e di quel vino fra le mie mani, non potendo non chiedere la stessa totale donazione.
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lunedì 7 luglio 2014

Maschio e femmina Dio li creò... (Contributi 973)

Mi sono permesso di cambiare il titolo (ma tutto il resto è riportato fedelmente) a questo articolo di Antonio Socci tratto dal suo sito. Su quanto detto in esso sarebbe bello avere il parere dei lettori......

La cancellazione di “madre” e “padre” con “Genitore 1” e “Genitore 2”, avvenuta in diverse scuole, appare come un piccolo caso provinciale a confronto dell’operazione che, su vasta scala, ha lanciato Facebook per annacquare “maschi” e “femmine” nell’indistinto mare dell’ideologia Gender.
Per la quale essere uomo o donna è un’opinione fra tante altre, non un dato di natura. Questo impone il nuovo dogma dell’epoca obamiana.
Perciò sul famoso social network ora si potrà “definire la propria identità di genere in ben 58 modi diversi”, come annuncia esultante “Repubblica”: negli spazi dove fino a ieri stavano scritti solo “maschio” e “femmina” adesso si potrà fare anche una scelta “personalizzata”.
Infatti “sotto la stretta supervisione dell’Arcigay” si offrono decine di possibilità: intersessuale, agender, bigender, fluido, neutro, trans e pure femminiello. C’è perfino la distinzione tra “femmina trans” e “trans femmina”.

VIVA LA REALTA’
Per la verità, a noi, affezionati alla razionalità, alla natura e alla realtà, pare che – in barba a Obama – continuino a nascere solo uomini e donne. Insieme al buon senso e alle ostetriche, lo dicono la scienza, la fisiologia e la biologia.
Non a caso la regola dice che nel Dna sta scritto che si è maschi oppure femmine. E anche se uno si sottopone a un’operazione chirurgica privandosi dei suoi organi genitali il Dna continua a dare il responso originario.
Il Dna dunque parla come la Sacra Scrittura, perché la natura è il linguaggio di Dio: si nasce maschi o femmine. Non è un’opzione culturale, che uno può decidere arbitrariamente, ma un dato di natura.
Il linguaggio simbolico della Bibbia poi rivela anche qualcosa di più profondo: ci spiega infatti che Dio fece la donna dalla costola di Adamo dormiente. Cosa vorrà dire quest’immagine simbolica?
Sono fiorite in proposito molte risposte scherzose. Secondo certi buontemponi Dio creò Adamo prima di Eva perché non voleva essere assillato dai consigli mentre faceva l’uomo.
Le donne da parte loro hanno ribattuto che Dio prima fece una brutta copia, per prova, poi – considerati gli errori fatti – fece la “bella copia”.
C’è pure una barzelletta secondo cui Adamo sarebbe andato da Dio per chiedergli: “Signore, perché hai fatto la donna così bella?”. E Dio: “affinché tu la amassi”. Replica dell’uomo: “E perché l’hai fatta così stupida?”. Risposta dell’Onnipotente: “affinché lei ami te”.
Tuttavia, scherzi a parte, dovrebbe far riflettere noi maschi il fatto che – nella simbologia biblica – Adamo fu tratto dalla terra, dal fango, mentre Eva fu tratta dalla parte dell’uomo più vicina al cuore.
C’è qualcosa di più nobile ed elevato nelle donne che ha a che fare con una più grande capacità di amare. E c’è una bellezza speciale.
Olivier Clément, teologo francese e grande convertito, diceva che la donna nasce non nel sonno, ma nell’estasi dell’uomo. Lo conferma il memorabile grido di entusiasmo e felicità di Adamo la prima volta che vide Eva (è riportato nella Bibbia, Gen. 2, 23).
Nella Bibbia c’è anche quella formidabile differenza di reazione quando i due vengono scoperti, dopo l’atto di disobbedienza.
Adamo – antesignano di generazioni e generazioni di maschietti –a Dio, che gli chiedeva cosa aveva combinato, rispose dando la colpa alla donna e a Dio stesso: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”.
Perché errare è umano, ma dare la colpa agli altri ancora di più. Eva invece rispose dicendo la verità e riconoscendo l’origine del male: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”.
Da migliaia di anni la storia dell’umanità è racchiusa in questo rapporto fra maschi e femmine, rapporto fatto di somiglianza e diversità, di complementarità, curiosità, passione, carnalità, fascino, amore, scontri e incontri.
Tutte le civiltà sono nate da qui. Cosa c’è di più evidente della nostra natura maschile e femminile? Del resto tutti, ma proprio tutti, siamo nati da questo primordiale slancio unitivo di un uomo verso una donna e di una donna verso un uomo: “e i due saranno una sola carne”.
Non c’è un solo essere umano – anche fra i più fanatici sostenitori dell’ideologia gender – che non sia nato da un uomo e una donna.
I fatti sono testardi. E la Natura è ineliminabile. Per quanto le ideologie pretendano di forzarla, cercando di raddrizzarne il legno storto (e provocando catastrofi), essa resta sovrana.
Del resto la scienza (dalla fisiologia, alla psicologia, dalla biologia alla neurologia) ci dice che l’essere maschi e femmine non implica solo una diversità degli apparati genitali. E’ tutto il corpo che è diverso ed è diverso il funzionamento del cervello, come è diversa la psiche.

ECOLOGIA DELL’UOMO
L’ideologia Gender pretende invece di affermare che la Natura non esiste e che il genere è semplicemente un fatto culturale, una scelta.
Altro che l’estinzione della foca monaca e del lupo d’appennino. La dittatoriale ideologia gender pretende di abolire la natura umana “tout court”.
Se riuscisse a prevalere (privandoci perfino del diritto di dissentire) si potrebbe considerare secondo me il più colossale disastro ecologico di tutti i tempi. L’umanità infatti è la parte più importante della natura.
E’ angosciante veder devastare un paesaggio, disseccare un fiume, inquinare il mare. E’ tragico veder abbattere le Dolomiti o abolire il chiaro di luna.
Ma abolire la natura maschile e femminile dell’uomo, degradando il genere a opinione culturale è invece una conquista? Tutti parlano di salvaguardia del creato. Ma l’uomo?
Quell’ecologia umana che aveva auspicato il grande Benedetto XVI chi la difende?
Molti dei “progressisti” che vogliono la natura incontaminata nei fiumi, sui monti e nel mare, poi negano perfino che esista una natura per l’uomo. Molti di coloro che vedono come fumo negli occhi i pomodori geneticamente modificati, poi magari sono a favore della sperimentazione sugli embrioni umani.
Molti che si riempiono la bocca di terzomondismo, poi non hanno nulla da dire se una povera donna del Terzo Mondo, per fame e miseria, accetta in cambio di poche monete di essere usata come utero, come contenitore di ovuli, da ricche coppie d’occidente (etero o omo) che poi si prendono il figlio che lei ha appena partorito.
E’ questo il mondo dove vogliamo vivere? Per me è un mondo spaventoso.

LA POESIA DI DIO
Invece come appare grandioso e liberante ciò che la Sacra Scrittura ci rivela di noi. Essa dice che “Dio creò l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò. E Dio li benedisse e disse loro: ‘Crescete e moltiplicatevi e soggiogate la terra’ ”.
Una dignità altissima (a immagine di Dio). La signoria sul creato. Maschi e femmine al tempo stesso uguali come valore (uguaglianza proclamata tremila anni fa), ma diversi. Due modi diversi e complementari di realizzare l’umanità.
E Adamo dice di Eva: “è carne della mia carne”. Giovanni Paolo II osservava: “alla luce di questo testo comprendiamo che la conoscenza dell’uomo passa attraverso la mascolinità e la femminilità, che sono come due incarnazioni della stessa metafisica solitudine, di fronte a Dio e al mondo, come due modi di ‘essere corpo’ ed insieme uomo che si completano reciprocamente”.
Aggiungeva: “proprio la funzione del sesso, che è, in un certo senso, ‘costitutivo della persona’ (non soltanto ‘attributo della persona’), dimostra quanto profondamente l’uomo con tutta la sua solitudine spirituale, con la sua unicità e irripetibilità propria della persona sia costituito dal corpo come ‘lui’ o ‘lei’. La presenza dell’elemento femminile accanto a quello maschile ed insieme con esso ha il significato di un arricchimento per l’uomo in tutta la prospettiva della sua storia, ivi compresa la storia della salvezza”.
In questo, nell’essere fatti – anche fisicamente – per unirci e dare la vita a un altro essere c’è la traccia di Dio che è Trinità, cioè comunione di persone. La radice del nostro essere è amore. Non ideologia.
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Tagli indispensabili (Interventi 197)

(Giudici 7, 2)

Ormai sono diventate espressioni di tutti i giorni - sentiamo sempre più spesso quelle parole - «riduzione»... «ridimensionamento»... «tagli». Li fanno tutte le imprese, ma li fanno soprattutto le famiglie, adesso che circolano pochi soldi. Per aumentare (o perlomeno mantenere) gli utili bisogna fare dei tagli. Altrimenti è lo sfascio. Così si taglia... per avere la possibilità di poter andare avanti con successo.
Anche Dio crede nei tagli, nelle riduzioni - perché è la Sua strana maniera di fare le cose grandi. Magari è quello che sta facendo con la tua vita in questo periodo.
Di sicuro è quello che ha fatto con Gedeone - sta scritto nel libro dei Giudici, capitolo 7, a partire dal versetto 2. C'era questa situazione - i Madianiti invadevano Israele anno dopo anno durante il tempo del raccolto e se lo portavano via, senza che nessuno fosse in grado di fermarli. Dio chiama Gedeone a farlo - sebbene Gedeone risponda di essere la persona meno qualificata per portare a compimento un compito del genere. Ovvio, questa obiezione la sentiamo molto spesso nella Bibbia - e anche oggigiorno.
Gedeone comanda un esercito di 32mila uomini - per combattere l'armata madianita che ne 132mila! E «il Signore disse a Gedeone: "La gente che è con te è troppo numerosa, perché io metta Madian nelle sue mani"». Sono sicuro che Gedeone non si è messo a ridere. Inferiori al nemico di 4 a 1, e Dio li considera troppo numerosi? Così Dio gli
ordina di lasciar tornare a casa chiunque ha paura di combattere - e improvvisamente Gedeone si ritrova con 22mila uomini in meno. Ora gli Israeliti sono inferiori al nemico di 6 a 1. Ma Dio vuole fare ulteriori tagli, una drastica riduzione delle forze, e Gedeone finisce
per ritrovarsi con un esercito di 300 uomini. Ora sono inferiori di 40 a 1! Ma, miracolosamente, quella «forza» vince la battaglia, e i Madianiti non metteranno più piede in Israele!
Perché Dio segue strade così strane per vincere - riducendo, tagliando, portando via, rendendo le cose piccole e deboli? Dio lo spiega a Gedeone: «Israele potrebbe vantarsi dinanzi a me e dire: La mia mano mi ha salvato». E' una costante in tutta la Bibbia - Dio
ama vincere grandi battaglie con forze inadeguate. Permette che ci siano contrattempi e situazioni impossibili in modo che possiamo vedere con chiarezza quanto Lui è grande e che solo a Lui va la gloria!
Dio sa che noi abbiamo problemi col nostro orgoglio... che tendiamo a controllare le persone... che ci fidiamo dei metodi che ci danno sicurezza. Così Lui permette situazioni dove, come Gedeone, non ci rimane altro da dire -
"Se qui c'è una vittoria, questa non è
certo per merito mio!"
Quindi se ora stai attraversando un periodo in cui ti ritrovi fuori posto, senza munizioni, con zero risorse - se ti sembra che Dio ti abbia lasciato da solo e pieno di problemi - sappi che spesso questo prelude a una vittoria sorprendente!
Dio sta compiendo quella meravigliosa addizione e sottrazione che Gli è tipica - Giovanni il Battezzatore la mette in questo modo: «Lui deve crescere e io diminuire». Così Dio sottrae la quantità di te che c'è, per aumentare la quantità di Lui che c'è in quella
situazione. Sta riducendo te in modo che ci possa essere più Lui - in modo da poterti mostrare una vittoria ben più grande di quella che ti saresti persino aspettato. Dio non sta facendo dei tagli per farti perdere - ti sta ridimensionando per una vittoria così grande che alla fine la si può attribuire solo a Lui!
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto
don Luciano

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