Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

giovedì 29 novembre 2012

Bussola is back (Contributi 765)

E'tornata on-line dopo lunga assenza La Bussola online (era ora). 
Questo il primo editoriale a firma di Mons.Negri: 

Se la nuova evangelizzazione a cui ci ha richiamato in maniera indimenticabile il beato Giovanni Paolo II fin dalle prime righe della Redemptor Hominis costituisce la preoccupazione fondamentale della Chiesa nella situazione attuale del mondo e della società, bisogna anzitutto ricordare che la nuova evangelizzazione è un flusso di vita che dalla Chiesa si diffonde agli uomini che vivono in questo determinato periodo della storia, e a seconda che incontri aperture o chiusure provoca la comunicazione della fede o il rifiuto di essa. 
La nuova evangelizzazione quindi è una chiamata che il Papa fa in prima persona a tutte le comunità ecclesiali perché ritrovino in maniera più profonda la coscienza della propria identità, della novità intellettuale e morale rappresentata dalla vita di Cristo in noi e dalla responsabilità di comunicare inesorabilmente questa novità fino agli estremi confini del mondo. 
E questa comunicazione di vita, questa vita del popolo cristiano non è riducibile a nessuna misura o nessun condizionamento di carattere etnico, storico, culturale, perché nasce e rinasce incessantemente per opera dello Spirito Santo che – come ci ha ricordato il papa Benedetto XVI nei suoi interventi al Sinodo – è l’unico, vero, grande protagonista della Storia della Salvezza, alla cui opera gli uomini sono chiamati a collaborare con la totalità della loro intelligenza e della loro capacità affettiva. 
Si apre quindi uno scenario di un’umile ma certa fiducia nel fatto che la Chiesa sta vivendo, sta ritrovando vita in situazioni anche così diverse, nel contesto mondiale di oggi. E le vive come un avvenimento di vita buona, una compagnia buona, una compagnia capace di accogliere l’uomo in tutte le sue dimensioni e in tutti i suoi bisogni. E del resto questa – come ho ricordato al Sinodo – è stata la grande resistenza ai totalitarismi della fine del XIX e di tutto il XX secolo. La Chiesa ha fatto la resistenza ponendosi come popolo ed esprimendo poi, da questa sua natura di popolo, linee dottrinali e socio-politiche. Ma la resistenza non è stata la resistenza di un’ideologia religiosa a ideologie di tipo ateistico. Quindi che si rinnovi l’esperienza nella Chiesa della fede ecclesiale, della fede in Cristo che - come ci ha ricordato Benedetto XVI – è la fede che si vive in un popolo. 
Questa fede ecclesiale deve prendere oggi consapevolezza della sua irriducibile novità culturale, deve rivivere la grande e tradizionale certezza della fede che ha preso forme in maniera indimenticabile nel magistero di Giovanni Paolo II: se la fede non diventa cultura non è realmente accolta, pienamente vissuta, umanamente ripensata. 
Occorre che investiamo liberamente, gratuitamente, rispettosamente la vita di ogni uomo del grande annuncio che Cristo è la via, la verità e la vita, la rivelazione definitiva di Dio e la rivelazione definitiva dell’uomo. E questa è la possibilità di penetrare dentro il tessuto della problematicità umana con criteri di lettura e di manipolazione che sono assolutamente unici e irriducibili a qualsiasi altra posizione ideologico-culturale. 
Così e solo così la nuova evangelizzazione favorirà un dialogo, un dialogo vivo tra le posizioni culturali e religiose più diverse, perché – e questo ce lo ha ricordato benissimo il Papa, riecheggiando le parole della Dominus Iesus – il dialogo è espressione di un’identità forte: se i cristiani sono depositari di un’identità forte e la vivono, sono capaci di conoscere, di incontrare, di valorizzare, di giudicare. Il dialogo non è un indistinto e relativistico incontro-scontro in cui poi alla fine vince chi ha la maggioranza dei mezzi economici o comunicativi. 
Questa è certamente la grande responsabilità che abbiamo oggi: a partire dalla nostra identità riaccendere il dialogo. E questo è certamente il motivo per cui è importante che ci sia La Nuova Bussola Quotidiana, chiamata a proseguire il lavoro iniziato due anni fa. Io ho sempre amato la Bussola Quotidiana fin dal suo inizio perché l’ho sentita uno strumento fondamentale di approfondimento della coscienza cristiana e di capacità di vivere il dialogo spassionato con tutte le posizioni umane dignitose, cioè affermate con dignitosa razionalità e con grande benevolenza.
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martedì 27 novembre 2012

Il lavoro è gioia, allegria, preghiera, non recriminazione (Contributi 764)

Un articolo - tratto da Tempi - di Aldo Trento dal Paraguay 


 «Un tempo un cantiere era un luogo della terra dove gli uomini erano felici. Oggi un cantiere è un luogo della terra dove gli uomini recriminano, si odiano, si battono; si uccidono. Ai miei tempi tutti cantavano (me escluso, ma io ero già indegno di appartenere a quel tempo). Nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava; oggi vi si sbuffa»
Così, lo scrittore Charles Péguy, nella sua opera Il denaro, descrive i tempi in cui «nel lavoro stava la loro gioia, e la radice profonda del loro essere. E la ragione stessa della loro vita. Vi era un onore incredibile del lavoro, il più bello di tutti gli onori, il più cristiano, il solo forse che possa rimanere in piedi»
Chi oggi pensa al lavoro umano così? In Italia, che noi definiamo un paese cattolico, il primo maggio hanno celebrato il giorno dei lavoratori e sono emersi come sempre discorsi sul popolo e la “sua tragedia”: il lavoro. Si parla di “rivendicazione”, di sfide, di “lotte” e fino a un certo punto è giusto. Ma questo è tutto? È lo stesso che si chiedeva il mistico scrittore francese, repubblicano e socialista come si autodefiniva. Seguendo le sue riflessioni possiamo trovare un raggio di luce per capire il problema di fondo che ci colpisce come lavoratori oggi. «Abbiamo conosciuto un onore del lavoro identico a quello che nel Medioevo governava le braccia e i cuori. Proprio lo stesso, conservato intatto nell'intimo. Abbiamo conosciuto l’accuratezza spinta sino alla perfezione, compatta nell'insieme, compatta nel più minuto dettaglio. Abbiamo conosciuto questo culto del lavoro ben fatto perseguito e coltivato sino allo scrupolo estremo. Ho veduto, durante la mia infanzia, impagliare seggiole con lo stesso identico spirito, e col medesimo cuore, con i quali quel popolo aveva scolpito le proprie cattedrali», esclamava poeticamente Péguy. 
Cos'è in fondo la critica dello scrittore, se non la denuncia dello spirito che oggi domina le nostre relazioni lavorative nel nostro paese, dove ci inorgogliamo quando lavoriamo meno rispetto agli altri ma portiamo a casa uno stipendio più alto, dove quando si fa un briciolo di carriera abbiamo già la necessità di una segretaria e dell’autista per sottolineare il nostro status di lavoratori di classe A? Molte volte proviamo vergogna per i lavori manuali, per non parlare di quello collegato alla cura della casa, come se fossero impieghi deplorevoli. 
La mentalità borghese non è solo quella che domina tra la gente altolocata, ma anche nel popolo si vede e si sente questo stesso modo di pensare, si osserva questa posizione di fronte al lavoro. «Il popolo non esiste più. Tutti sono borghesi. Quel poco che sopravvive dell’antica aristocrazia, o meglio delle antiche aristocrazie, è divenuto una borghesia meschina. L’antica aristocrazia è diventata anch'essa una borghesia del denaro. L’antica borghesia si è trasformata in una borghesia squallida, una borghesia del denaro. Quanto agli operai, hanno ormai un’idea soltanto: farsi borghesi», accusava in maniera decisa Péguy. 
Tutto il male è venuto dalla borghesia che ha cominciato a trattare il lavoro dell’uomo come un valore di borsa e il lavoratore ha cominciato, a sua volta, a trattare come un valore di borsa il suo stesso lavoro. 
Oggi viviamo in un regime di giochi di borsa e di perenni ricatti. 
Che distanza dalla descrizione del lavoro cristiano: «Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita dal profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali»
Che bellezza si trova nel lavoro dell’uomo fedele a se stesso! Qualsiasi sia il settore del proprio lavoro: ufficio, ambulatorio, cucina, confessionale, opera di costruzione… Il lavoro è un motivo di allegria per l’uomo. 
Un’espressione del suo essere. 
Una collaborazione personale, cioè umana, all'opera divina della creazione. Quegli operai si sarebbero sorpresi molto se gli fosse stato detto che alcun anni dopo i loro compagni si sarebbero messi d’accordo per lavorare il meno possibile. Quegli operai provavano, continua Péguy, «un disgusto senza fine per il lavoro mal fatto. Un disprezzo per chi avesse lavorato male. Ma una tale intenzione nemmeno li sfiorava». Allontaniamoci per un momento dal discorso, dalla teoria, dall'ideologia, dalle chiacchiere che sovrabbondano in questi giorni sui lavoratori e i loro “oppressori”. Guardiamo per un istante la nostra realtà: ciò che diceva Péguy continua a essere vero ai nostri giorni. 
Se fossimo sinceri, ammetteremmo che uno dei più grandi fallimenti del nostro tempo è che abbiamo perso il senso e il gusto del lavoro come espressione allegra del nostro io. È come se dovessimo mettere al sicuro qualcosa, un asso nella manica. Vivo è colui che trionfa senza sforzo, con abilità, senza passione, senza lavoro. Tutto è subordinato al denaro: gli orari, i vestiti, i progetti. Certo che il denaro è importante. Questo strangolamento, che sentiamo da parte del potere borghese, ci fa desiderare perfino ciò che ben sappiamo non potremmo raggiungere neanche in tre vite. Cose, denaro, molteplici oggetti a cui attribuiamo valore, come se fossero dei. La vanità invade i cuori della gente che vive nei quartieri esclusivi, come pure i cuori di coloro che chiudono la loro abitazione con pezzi di cartone. 
Il nostro modello è sempre il “primo mondo”, i famosi paesi sviluppati, un mondo forgiato per anni grazie al lavoro delle persone, tra cui molti cristiani, che vedevano nei loro sforzi creativi qualcosa di molto più importante del prestigio o dello stipendio: era il bene comune. 
Ma cosa sta succedendo in Europa? Tutta questa crisi finanziaria a livello mondiale è la prova dolorosa del fatto che in economia, nella finanza, nel mondo del lavoro non si può sostenere un sistema umano senza tener conto dell’umano. 
In Irlanda, per esempio, il governo sta spronando i lavoratori disoccupati a ritornare a imparare professioni che nessuno faceva più: muratore, macellaio, calzolaio… Stanno ritornando a valorizzare il lavoro, perché la speculazione finanziaria dei super uffici e delle limousine è crollata, e sta crollando in molti altri paesi del mondo. In Europa sono centinaia di migliaia le persone licenziate. E cosa stanno capendo? Che bisogna ritornare alle radici se vogliono uscire da questa crisi! 
È necessario rivalorizzare il lavoro, la famiglia e la fede: fonti genuine di ricchezza sociale e materiale. Continuiamo a sognare la costruzione di un paese ideale, ma lo facciamo con discorsi, senza sacrifici, senza lavoro onesto, o peggio anche a forza di un puritanesimo che accusa la corruzione, come se ci fosse un uomo che scappasse dalla miseria del peccato originale. 
Così non si costruisce un paese. 
Se ogni cattolico si mettesse oggi di fronte allo specchio trasparente di Cristo, figlio di Giuseppe, il falegname di Nazareth, potrebbe vedere come Zaccheo che avvengono molte truffe, molti furti, che è diffuso l’ozio, che c’è molto da rettificare a livello lavorativo. Con l’aiuto di Dio tutti possiamo fare questo passo. 
È sicuramente necessario un cambiamento radicale, ma non per spodestare gli imprenditori e stabilire una dittatura del proletariato, come alcuni antiquati intellettualoidi propongono, ma per prendere sul serio ciò che, in maniera molto rigida, consigliava san Paolo: «Se qualcuno non vuole assolutamente lavorare, non mangi». 
Ed è lo stesso che con nostalgia descrive lo scrittore francese ricordando i lavoratori cristiani: «Dicevano per ridere, e per prendere in giro i loro curati, che lavorare è pregare, e non sapevano di dire così bene»
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La superbia (Interventi 153)

La superbia è una forza diabolica che annulla ogni possibilità di amare Dio e il prossimo, è una forza la quale non solo ti divide dagli altri, ma ti mette contro gli altri. il superbo pensa soltanto a sé, lui solo hai i diritti comuni a tutte le creature, lui solo ha ragione specialmente quando ha torto, egli non solo è il primo ma è l’unico per cui non riconosce i suoi doveri e neppure i valori umani e cristiani del prossimo. Il superbo è legato soltanto al proprio Ego e non è in grado di pensare che gli altri sono uomini e donne che hanno bisogno delle stesse cose che vuole avere lui. 
Quando un uomo o una donna è legato al proprio Ego in una maniera alterata esclude l’altro, l’altro è Dio e il prossimo. 
La superbia per natura sua è egoismo, conosce soltanto il proprio modo di vedere, di pensare, di sentire, non è in grado di fare una discussione senza imporre il proprio parere, non accetterà mai che l’altro abbia ragione. 
Dio è carità, coloro che seguono Cristo sono dotati dell’amore dello Spirito Santo, questo amore li unisce a Dio mediante una sottomissione umile e gioiosa alla sua volontà e li unisce al prossimo mediante il dono del meglio di se stessi. L’amore è apertura del cuore e della vita verso gli altri. se tu sei attaccato esageratamente al tuo Ego, se sei un “Ego dipendente” non farai mai l’esperienza della dolcezza dell’amore che si sacrifica per un ideale, non sarai mai un uomo vero, sarai incapace di donare qualcosa di te per cui vivrai senza amore, non puoi fare altro che diventare vittima di te stesso, nel senso che non riuscirai mai a rinunziare alla realizzazione di quello che è peggiore in te. 
Il tuo Ego ti impedirà sempre di cercare la verità e il bene per cui ti donerà l’impossibilità di cercare e trovare un rapporto con Cristo e con il suo Vangelo. 
Il tuo Ego è sterile o addirittura atrofizzato, privo di qualsiasi attività capace di edificare qualcosa di bello e di buono per cui sei un condannato alla solitudine, radicalmente diviso da Dio e dal prossimo, anche dalle persone con cui vivi sotto lo stesso tetto, sei un povero infelice, lascia che te lo dica: sei un fallito anche se pensi di essere chi sa chi. 
L’uomo che non conosce l’amore perde non solo tutti i valori della fede cristiana, ma perde tutti i valori umani e condanna gli altri a sopportarlo e spesso anche a odiarlo. 
La divisione incomincia dalla incomprensione, l’incomprensione porta alla confusione dei rapporti umani, nel senso che rende impossibile collaborare insieme per realizzare qualcosa di bello. 
La confusione porta alla dispersione, è impossibile stare con lui, è impossibile andare d’accordo con lui, tutti si allontanano, quelli che non possono allontanarsi fisicamente, si allontano col cuore e con l’interesse per lui. Il destino del superbo è segnato da una infelicità profonda che lo rende insopportabile a se stesso e agli altri. è un fallito perché fa soltanto compassione, è un uomo che non interessa a nessuno.
(Don Vincenzo Carone)
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lunedì 26 novembre 2012

Obbedisco (Interventi 152)

Non lo disse, ma lo scrisse, ho visto il telegramma autografo. Il 9 agosto 1866 Garibaldi si trovava nel piccolo centro trentino di Bezzecca dove, tre settimane prima, aveva respinto un contrattacco austriaco guadagnando l'unica grande vittoria italiana nella Terza guerra d'Indipendenza. Con i suoi "Cacciatori delle Alpi", il generale si preparava a entrare nella regione (allora parte dell'impero austro-ungarico) per liberare Trento. A fermarlo fu la notizia dell'ormai prossimo armistizio tra Italia e Austria, giunta quel giorno assieme all'ordine del generale La Marmora di sgomberare il Trentino entro 24 ore. Allora Garibaldi impugnò la penna e, in risposta, scrisse la famosa frase: "Ho ricevuto il dispaccio n. 1073. Obbedisco. G. Garibaldi". 
I militari sanno che con gli ordini non si scherza - esiste un'autorità e va obbedita. Anche nella nostra vita, pur non essendo militari, c'è un'autorità a cui far riferimento in ogni situazione che è al di fuori della nostra portata - magari una di quelle che stai vivendo adesso. E non c'è discussione su chi ha il comando. 
In Luca 7, a partire dal versetto 2 c'è un racconto che ce lo dice molto chiaramente. «Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: "Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga". Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: "Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto"». 
E il suo messaggio continua così: «"Ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. Anch'io infatti sono uomo sottoposto a un'autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all'uno: Va' ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa". All'udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!". E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito». 
Se ricordo bene, questa è l'unica volta che nel vangelo di Luca Gesù è sorpreso in positivo dalla fede di qualcuno. E mentre da un lato rimprovera i suoi discepoli per la loro «poca fede», d'altro lato elogia questo militare pagano per «una fede così grande». Perchè? Se riusciamo a capire che cosa ha impressionato Gesù nella fede di quest'uomo, possiamo cercare di imitarla e sperimentare così miracoli sorprendenti. 
Questo pagano ha capito il legame tra fede e autorità. Anche se ha speso molta parte della sua vita comandando, ora si trova a vivere una situazione al di là del suo comando - la malattia di un servo che gli era caro. Magari anche tu stai vivendo in questo periodo una situazione al di fuori del tuo controllo. Ma quest'uomo ha capito che Gesù aveva il completo controllo della situazione - così come lui aveva il completo controllo dei suoi subalterni. Così: "Gesù, se tu vuoi questa malattia può guarire. Se invece tu dici a questa malattia: 'Fai il tuo corso', lei lo farà!" 
La «fede così grande» confida totalmente nella completa autorità di Gesù su quello che è assolutamente al di là delle mie possibilità. Io non so cosa tu stia affrontando in questo periodo, ma so chi ha autorità su di esso. Se Gesù dice: "Vai" o "Vieni" o "Fai questo" a una cosa che ti sembra impossibile - tu obbedisci. Non sono le persone con cui stai insieme che decidono il risultato finale - è Gesù. Non è la situazione in cui adesso ti trovi che decide come finirà - è Gesù. Non è la situazione economica a decidere... o la persona che si frappone... o le tue capacità - chi decide è Gesù! 
Allora prega intensamente, preoccupati di meno, riposa un po' di più, e vai avanti con coraggio e fiducia. Prega e agisci come se Gesù fosse al comando - lo è davvero! Lui parlerà alla tua tempesta, alla tua situazione o alla tua difficoltà e dirà, essenzialmente: "Fa' questo!". E così sarà! 
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto don Luciano
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domenica 25 novembre 2012

Domenica XXXIV t.ord. Cristo Re 25-nov-2012 (Angelus 109)

Cari fratelli e sorelle! 
Oggi la Chiesa celebra Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo. Questa solennità è posta al termine dell’anno liturgico e riassume il mistero di Gesù «primogenito dei morti e dominatore di tutti i potenti della terra» (Orazione Colletta Anno B), allargando il nostro sguardo verso la piena realizzazione del Regno di Dio, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28). San Cirillo di Gerusalemme afferma: «Noi annunciamo non solo la prima venuta di Cristo, ma anche una seconda molto più bella della prima. La prima, infatti, fu una manifestazione di patimento, la seconda porta il diadema della regalità divina; … nella prima fu sottoposto all'umiliazione della croce, nella seconda è attorniato e glorificato da una schiera di angeli» (Catechesis XV,1 Illuminandorum, De secundo Christi adventu: PG 33, 869 A). Tutta la missione di Gesù e il contenuto del suo messaggio consistono nell'annunciare il Regno di Dio e attuarlo in mezzo agli uomini con segni e prodigi. «Ma – come ricorda il Concilio Vaticano II – innanzitutto il Regno si manifesta nella stessa persona di Cristo» (Cost. dogm. Lumen gentium, 5), che lo ha instaurato mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione, con cui si è manifestato quale Signore e Messia e Sacerdote in eterno. Questo Regno di Cristo è stato affidato alla Chiesa, che ne è «germe» ed «inizio» e ha il compito di annunciarlo e diffonderlo tra tutte le genti, con la forza dello Spirito Santo (cfr ibid.). Al termine del tempo stabilito, il Signore consegnerà a Dio Padre il Regno e gli presenterà tutti coloro che hanno vissuto secondo il comandamento dell’amore. 
Cari amici, tutti noi siamo chiamati a prolungare l’opera salvifica di Dio convertendoci al Vangelo, ponendoci con decisione al seguito di quel Re che non è venuto per essere servito ma per servire e per dare testimonianza alla verità (cfr Mc 10,45; Gv 18,37). In questa prospettiva invito tutti a pregare per i sei nuovi Cardinali che ieri ho creato, affinché lo Spirito Santo li rafforzi nella fede e nella carità e li ricolmi dei suoi doni, così che vivano la loro nuova responsabilità come un’ulteriore dedizione a Cristo e al suo Regno. Questi nuovi membri del Collegio Cardinalizio ben rappresentano la dimensione universale della Chiesa: sono Pastori di Chiese nel Libano, in India, in Nigeria, in Colombia, nelle Filippine, e uno di essi è da lungo tempo al servizio della Santa Sede. 
Invochiamo la protezione di Maria Santissima su ciascuno di essi e sui fedeli affidati al loro servizio. La Vergine ci aiuti tutti a vivere il tempo presente in attesa del ritorno del Signore, chiedendo con forza a Dio: «Venga il tuo Regno», e compiendo quelle opere di luce che ci avvicinano sempre più al Cielo, consapevoli che, nelle tormentate vicende della storia, Dio continua a costruire il suo Regno di amore.
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venerdì 23 novembre 2012

Confessione (Interventi 151)


"Desidero soffermarmi con voi su un aspetto talora non sufficientemente considerato, ma di grande rilevanza spirituale e pastorale: il valore pedagogico della Confessione sacramentale. 
Se è vero che è sempre necessario salvaguardare l’oggettività degli effetti del Sacramento e la sua corretta celebrazione secondo le norme del Rito della Penitenza, non è fuori luogo riflettere su quanto esso possa educare la fede, sia del ministro, sia del penitente. 
La fedele e generosa disponibilità dei sacerdoti all'ascolto delle confessioni, sull'esempio dei grandi Santi della storia, da san Giovanni Maria Vianney a san Giovanni Bosco, da san Josemaría Escrivá a san Pio da Pietrelcina, da san Giuseppe Cafasso a san Leopoldo Mandić, indica a tutti noi come il confessionale possa essere un reale “luogo” di santificazione." 
(Papa Benedetto XVI)
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Nel cammino della vita cristiana (Interventi 150)


Nel cammino della vita cristiana secondo la volontà di Dio ti troverai sempre sprovveduto dei mezzi adeguati per andare avanti perché le tentazioni non sono trascurabili, i tuoi limiti e le tue fragilità ti danno sempre la sensazione di frenare, emerge la voglia di abbandonarsi allo scoraggiamento: sarebbe bello, ma non è per me.
Il coraggio ti manca, come manca a tutti, dico a tutti indistintamente perché la vita cristiana supera di gran lunga i limiti e le possibilità degli uomini e delle donne. il coraggio per realizzare gli impegni che ti sono stati raccomandati dal Vangelo non lo devi desumere da te, la tua volontà navigherebbe nell'assurdo.
Non devi considerare quello che sei, fai bene a mascherare la verità di te stesso di fronte agli altri, ma non puoi ignorare quello che sei veramente.
Se guardi a te stesso emerge la verità di una vita vissuta inutilmente o addirittura nel peccato. Sono sicuro che la coscienza ti rimprovera duramente, il rimprovero della coscienza è sconcertante in tutti, il Papa in un suo discorso disse: io sono un peccatore. Se ti fermi a queste considerazioni convinci te stesso che non riuscirai mai a trovare il coraggio di vivere degnamente la vita cristiana.
Non considerare neppure il presente, il quale alla luce della crisi che minaccia la sopravvivenza della società umana, ti fa perdere sicuramente la fede.
Non considerare le difficoltà che devi superare.
Se consideri te stesso e la tua vita passata non sentirai in te la forza di fare propositi santi e pensieri di speranza.
Devi guardare soltanto a Cristo, soltanto Lui è capace di prendersi cura di te e di darti tutti i mezzi spirituali per mettere in pratica i propositi santi e i pensieri santi. ti perdona sempre e tutto perché Lui è un Dio misericordioso, se tu ti impegni a vivere secondo il suo insegnamento, starà sempre vicino a te, ti darà il coraggio che ti manca e tutti i mezzi spirituali perché tu possa portare a termine il cammino della tua conversione.
Gesù ti donerà la virtù della speranza che per te sarà una luce nelle tenebre fitte che avvolgono l’umanità intera, tenebre causate dalla mentalità edonistica e materialista degli uomini e delle donne, le tenebre della crisi che non si riesce a risolvere sono piombate quando gli uomini e le donne hanno cacciato via Iddio dalla loro vita e hanno seguito gli allettamenti della proprie passioni e della volontà di stabilire autonomamente il bene e il male.
Gli uomini hanno cosi consegnato il mondo a satana perché insegnasse loro a fare del peccato la realtà più profonda della loro vita. la luce della speranza che tu hai acceso mediante la volontà di realizzare il cammino di conversione, ti dona il coraggio di credere che Dio da questo male universale ricaverà un bene universale, il passaggio dal male al bene non può essere indolore, chi non ha la fede soccomberà, chi ha la fede troverà una vita rinnovata in un mondo che si rinnova.
(Don Vincenzo Carone)
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giovedì 22 novembre 2012

Preghiera a Gesù Cristo Re

O Gesù Cristo, io Vi riconosco per Re universale. Tutto ciò che è stato fatto, per Voi è stato creato. Esercitete pure sopra di me tutti i Vostri diritti. 
 Io rinnovo le promesse del battesimo rinunciando a Satana, alle sue pompe e alle sue opere, e prometto di vivere da buon cristiano. Ed in modo particolare mi impegno a far trionfare, con tutte le mie forze, i diritti di Dio e della Vostra Chiesa. 
 Divino Cuor di Gesù, io Vi offro le mie povere azioni allo scopo di ottenere che tutti i cuori riconoscano la Vostra sacra Regalità; e affinché il Regno della Vostra pace si stabilisca nell'universo intero. 
Amen.
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Là dove c'è Maria (Santi 7)

Là dove c'è Maria, non ci può essere lo spirito maligno; e uno dei segni più infallibili che si è guidati dallo spirito buono, sta nel fatto di essere molto devoti di Maria, di pensare spesso a lei e di parlarne sovente (..) come il respiro è un segno certo che il corpo non è morto, così il pensiero frequente e l'invocazione amorosa di Maria sono un segno sicuro che l'anima non è morta a causa del peccato. 
San Luigi Maria Monfort
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lunedì 19 novembre 2012

Carina Melchior che non voleva morire (Contributi 763)

Leggo e riporto da Tempi questo articolo

Quando la sua attività cerebrale sembrava quasi scomparsa, i dottori, convinti che le probabilità di sopravvivenza fossero pochissime, e che se anche si fosse ripresa sarebbe vissuta in stato vegetativo, hanno comunicato ai genitori che le avrebbero tolto ossigeno, alimentazione e idratazione. 
A riportare la vicenda è stato a fine ottobre il Daily Mail. 

DAL LETTO AL GALOPPO 
La storia di Carina Melchior, danese di 20 anni, coinvolta in un incidente stradale, che l’anno scorso l’aveva mandata in coma, ha riaperto il dibattito sui trattamenti di fine vita del suo paese. Il cervello di Carina, infatti, dava ancora segnali di vita seppur minimi, quando i medici hanno avvisato i suoi genitori che a breve avrebbero tolto alla ragazza i supporti vitali per procedere alla donazione di organi. La famiglia aveva salutato Carina ed era tornata a casa in attesa di procedere secondo il giudizio dei medici, quando l’ospedale ha telefonato ai genitori avvisandoli che la ragazza si era svegliata. Ma quasi a ribellarsi Carina ha aperto gli occhi appena i medici le hanno tolto i supporti vitali. Ora la ragazza parla, cammina ed è tornata a cavalcare il suo cavallo Mathilde di cui aveva subito chiesto poco dopo aver ripreso coscienza. 

“VOLEVATE UCCIDERMI?” 
Carina al risveglio ha poi inchiodato i medici, domandando loro più volte se volevano ucciderla. Mentre suo padre Kim li ha denunciati, convinto della troppa disinvoltura con cui gli hanno comunicato false certezze, convincendolo che non ci fosse più alcuna speranza. Un medico danese, intervistato dal Daily Mail, ha invece scusato i medici parlando di un caso di “cattiva informazione”, nel senso che i dottori avrebbero solo sbagliato nel comunicare la morte celebrale prima che il tempo richiesto dal protocollo per la donazione degli organi fosse effettivamente giunto al termine, il che non significa che non avrebbero aspettato fino all’effettivo scadere dei tempi. Ma la famiglia di Carina e la ragazza stessa vogliono comunque fare chiarezza, dato che i supporti vitali le erano stati tolti prima del tempo richiesto per dichiararne la morte celebrale. 

LINEE GUIDA 
Intanto il governo danese sta già scrivendo delle linee guida molto più rigide di quelle precedenti, che non permettano ai medici di rimuovere i sostegni vitali finché la morte celebrale non sia accertata. E per sensibilizzare l’opinione pubblica Carina e la sua famiglia hanno girato un video, intitolato La ragazza che non voleva morire, in cui si racconta tutta la vicenda dall'incidente fino alla ribellione e alla successiva riabilitazione. 
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domenica 18 novembre 2012

Domenica XXXIII t.ord. 18-nov-2012 (Angelus 108)

Cari fratelli e sorelle! 
In questa penultima domenica dell’anno liturgico, viene proclamata, nella redazione di San Marco, una parte del discorso di Gesù sugli ultimi tempi (cfr. Mc 13,24-32). Questo discorso si trova, con alcune varianti, anche in Matteo e Luca, ed è probabilmente il testo più difficile dei Vangeli. Tale difficoltà deriva sia dal contenuto sia dal linguaggio: si parla infatti di un avvenire che supera le nostre categorie, e per questo Gesù utilizza immagini e parole riprese dall'Antico Testamento, ma soprattutto inserisce un nuovo centro, che è Lui stesso, il mistero della sua persona e della sua morte e risurrezione. Anche il brano odierno si apre con alcune immagini cosmiche di genere apocalittico: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte» (v. 24-25); ma questo elemento viene relativizzato da ciò che segue: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria» (v. 26). Il «Figlio dell’uomo» è Gesù stesso, che collega il presente e il futuro; le antiche parole dei profeti hanno trovato finalmente un centro nella persona del Messia nazareno: è Lui il vero avvenimento che, in mezzo agli sconvolgimenti del mondo, rimane il punto fermo e stabile. 
A conferma di questo sta un’altra espressione del Vangelo di oggi. Gesù afferma: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (v. 31). In effetti, sappiamo che nella Bibbia la Parola di Dio è all'origine della creazione: tutte le creature, a partire dagli elementi cosmici – sole, luna, firmamento – obbediscono alla Parola di Dio, esistono in quanto «chiamati» da essa. Questa potenza creatrice della Parola divina si è concentrata in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, e passa anche attraverso le sue parole umane, che sono il vero «firmamento» che orienta il pensiero e il cammino dell’uomo sulla terra. Per questo Gesù non descrive la fine del mondo, e quando usa immagini apocalittiche, non si comporta come un «veggente». Al contrario, Egli vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, e vuole invece dare loro una chiave di lettura profonda, essenziale, e soprattutto indicare la via giusta su cui camminare, oggi e domani, per entrare nella vita eterna. Tutto passa – ci ricorda il Signore –, ma la Parola di Dio non muta, e di fronte ad essa ciascuno di noi è responsabile del proprio comportamento. In base a questo saremo giudicati. 
Cari amici, anche nei nostri tempi non mancano calamità naturali, e purtroppo nemmeno guerre e violenze. Anche oggi abbiamo bisogno di un fondamento stabile per la nostra vita e la nostra speranza, tanto più a causa del relativismo in cui siamo immersi. La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere questo centro nella Persona di Cristo e nella sua Parola. 
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Ordini fattibili (Interventi 149)

Una nuova riflessione di Don Luciano:


Chi è dentro al mondo della scuola mi capirà al volo. Tutti hanno un sacco di aspettative nei confronti della scuola: le famiglie, gli studenti, lo stato - e essere insegnati diventa sempre più complicato.
Qualche tempo fa, parlando con un'insegnate, mi diceva dalle quali emergeva tutta la sua frustrazione: "Continuano a tagliare il personale, ma il ministero è sempre più esigente sui programmi, sulle attività da fare e sulle ore extra che dobbiamo rimanere a scuola - ma senza sborsare un soldo. Decidono cosa dobbiamo fare, ma senza darci i soldi per farle".
Incarichi importanti senza risorse per adempierli - è davvero frustrante. Ma grazie a Dio, Lui non ci da mai un incarico senza provvederci nello stesso tempo anche le risorse per compierlo! Questo è davvero importante per te - specialmente se hai l'impressione che Dio ti stia guidando in situazioni dove sembra impossibile che ci sia un qualche aiuto.
In tutti questi anni di ministero ho cercato di tenere fisso nella mente e nel cuore 1Tessalonicesi 5, 24, e Dio non mi ha mai deluso. Dio ti fa questa questa promessa:
«Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!» Per dirla più semplicemente, Dio non ti abbandonerà mai nel mezzo di qualcosa che Lui ti ha chiesto di fare o di vivere.
Magari in questo momento il Signore ti sta conducendo in qualche territorio inesplorato. Forse hai una responsabilità di cui devi farti carico, un peso, o una sfida e non sai se sarai capace di affrontarla.
Ottimo. Queste sono le situazioni ideali in cui ci vuole un po' di te e molto di Dio. La promessa che hai è che se Lui ti sta chiamando a fare qualcosa, Lui la farà - attraverso di te. La tua parte di lavoro è mantenerti puro davanti a Lui, e darti da fare!
Dio non ti porterà mai dove la Sua grazia non potrà sostenerti. Magari non riesci a vedere da dove spunteranno i soldi per fare quello che Dio ti chiede - ma la Parola ci insegna che se Dio chiede, Dio paga! O come diceva qualcuno: "Tu fai la Sua volontà, e al resto Dio provvederà".
Forse ti senti inadeguato per quello che Dio ti sta chiedendo. Ottimo. Perché questo sta a dimostrare che tu non sei capace e che tutto il bene che ne verrà è solo a merito e gloria di Dio. L'apostolo Paolo lo ha espresso così:
«Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio» (2Corinzi 3,5). Dio è glorificato quando persone che valgono poco - «zero e miseria, ottime condizioni!» direbbe san Giovanni Calabria - si fidano di Lui; sono questi quelli che Dio usa per fare miracoli. Dio vuole impossessarsi di te, riempirti con la Sua forza, le Sue idee, la Sua sapienza, il Suo amore.
Lui provvederà tutte le risorse spirituali di cui hai bisogno, tutti i mezzi umani, e anche quelli economici. Ricordati, la promessa è che «il mio Dio colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesù»
(Filippesi 4,19). Non in base alle tue misere risorse ma in base alle Sue infinite risorse!  Così questo è tutto quello che hai bisogno di sapere quando stai affrontando un problema che è più grande delle tue capacità - o quando stai pensando di abbandonare una chiamata o un compito che viene da
Dio. Quello che ti serve sapere è che mai Dio ti abbandona in quello che Lui ti ha chiesto di fare. Se Dio ti chiede, anche ti equipaggia!
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto
don Luciano


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sabato 17 novembre 2012

Gesú di Nazareth: Uomo-Dio (Contributi 762)

Una raccolta di brani del Vangelo sulla preghiera:


*Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Mt 6,8
*Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto. Mt 7,7
*Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Mt 7,8
*Tutto quello che chiederete con Fede nella preghiera, lo otterrete. Mt 21,22
*Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate Fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. Mc 11,24
*La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre Egli le concedeva. Mc 15,8
*Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? Lc 11,11
*O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Lc 11,12
*Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! Lc 11,13
*Cercate piuttosto il regno di Dio, e ciò che mangerete e vestirete vi sarà dato in aggiunta. Lc 12,31
*Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà. Gv 11,22
*Qualunque cosa chiederete nel Nome Mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Gv 14,13
*Se Mi chiederete qualche cosa nel Mio Nome, Io la farò. Gv 14,14
*Se rimanete in Me e le Mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. Gv 15,7
*In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel Mio Nome, Egli ve la darà. Gv 16,23
*Finora non avete chiesto nulla nel Mio Nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Gv 16,24
                                                                                             
PREGATE
*Ma Io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori. Mt 5,44
*Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Mt 6,5
*Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Mt 6,6
*Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Mt 6,7
*Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo Nome. Mt 6,9
*Appena li ebbe congedati, salì sul monte a pregare. Mc 6,46
*Dovunque giungeva, in villaggi o città o campagne, ponevano i malati nelle piazze e Lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti Lo toccavano guarivano. Mc 6,56
*Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati. Mc 11,25
*Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo. Lc 21,36
*Giunto sul luogo, disse loro: Pregate, per non entrare in tentazione. Lc 22,40
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venerdì 16 novembre 2012

“Adulta” non è una fede che segue le mode, ma resta radicata nell’amicizia con Cristo (Contributi 761)

Da Tempi un articolo di Piero Gheddo: 

Il 4 ottobre scorso ho tenuto una conferenza sui cristiani perseguitati in Nigeria nella Sala Filarmonica di Rovereto, cittadina del Trentino che ha una speciale relazione con la Chiesa in Nigeria. Un ascoltatore obietta: “Lei dice che i missionari portano la verità di Cristo e a volte muoiono martiri. Ma nel mondo moderno non esiste una verità assoluta, esiste la dialettica. Ciascuno dice quel che pensa e rispetta gli altri, non può imporre ad altri una verità che non esiste. Ma voi missionari fate proprio questo”. 
Nel nostro mondo secolarizzato e laicizzato, credo che questa mentalità sia abbastanza diffusa. Rispondo che se non esiste una Verità assoluta, ma tutto è relativo e cambia con i tempi, non c’è nemmeno Dio, che non può cambiare parere ad ogni generazione umana che passa; se non c’è Dio, non c’è nemmeno una legge morale ma ciascuno si fa la sua morale, secondo le proprie idee e tendenze; infine, nei battezzati che hanno perso il senso della loro fede, non esiste più nemmeno la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, la “salda roccia” del Vangelo sulla quale costruire la nostra vita. 
Tuttavia, tenendo incontri e conferenze anche in ambienti laici, non raramente mi capita di ascoltare domande, obiezioni, pareri che mettono in dubbio la missione universale della Chiesa. La stessa proposta della fede in Cristo è vista come un attentato alla libertà altrui. 
L’individualismo radicale che trionfa nella cultura moderna (conta l’individuo, non la famiglia, il bene pubblico) porta a questa visione della libertà umana ed è una delle espressioni “di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione”, come ha detto Benedetto XVI in un discorso alla diocesi di Roma del 6 giugno 2005. 
E Giovanni Paolo II, nella sua enciclica “Fides et Ratio” (1999, n. 5) scriveva: “Nelle diverse forme di agnosticismo e relativismo presenti nel pensiero contemporaneo, la legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo”
Ho citato gli ultimi due Pontefici per sottolineare la caratteristica più provocatoria dell’Anno della Fede che stiamo vivendo (11 ottobre 2012 – Festa di Cristo Re 2013): la lotta contro il “relativismo”, che rappresenta la morte della fede e della missione alle genti. E’ una lotta che ciascun credente deve combattere nella propria coscienza prima ancora che nella società. 
E’ facile infatti che, vivendo in una società come quella attuale, dove in fondo ciascuno fa quello che vuole, con l’unico pericolo di essere beccato nel trasgredire le leggi e pagare la pena in multe, processi e condanne (e magari anche anni di carcere!), si formi anche nel credente una mentalità che a poco a poco scivola verso la deriva del relativismo. Quante volte sentiamo espressioni significative come queste: Fanno tutti così… In fondo, cosa c’è di male?… Ho la mia coscienza, non ho bisogno della Chiesa… Sono un cattolico adulto, non un bigotto… 
L’Anno della Fede è anzitutto un appello ad interrogarci sulla nostra fede, sul nostro modo di essere discepoli di Cristo, convinti che la fede può essere un lucignolo fumigante e vacillante e può diventare il sole di mezzogiorno che illumina, riscalda, rende gioiosa la vita e quindi si trasmette facilmente agli altri. 
Il Sinodo episcopale in Vaticano del 7-28 ottobre 2012 era intitolato “La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, che è un impegno di tutta la Chiesa e di tutti i credenti in Cristo. Ma per questo occorre che la fede sia vissuta in pienezza e porti ad una vita cristiana autentica che testimonia la verità di Cristo. I primi missionari della fede sono tutti i battezzati che, vivendo la vita nel mondo ma senza essere del mondo, mostrano in concreto come la fede vissuta nella stessa situazione di tutti è fonte di serenità, di gioia e di speranza, dà una marcia in più nella vita. 
Tutto parte dal ricupero di una fede convinta, che sconfigge il relativismo: lo diceva il card. Ratzinger pochi giorni prima di diventare Papa Benedetto XVI, nella “Missa pro eligendo Pontifice” del 18 aprile 2005, quasi un anticipo di quello che avrebbe caratterizzato il suo Pontificato: “Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. 
Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.
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martedì 13 novembre 2012

La vita di chi è benedetto dalla malattia (Contributi 760)

Dal Paraguay nuove, toccanti, storie dalla clinica di Padre Aldo Trento, piccoli ritratti di persone che forse noi eviteremmo di guardare..: 

Questi sono i racconti che descrivono due mesi trascorsi da Dea, una gentile volontaria, nella Clinica San Riccardo Pampuri. 
Sono piccole riflessioni, semplici e sincere, nate dal suo cuore attento e commosso. 
Tutti i giorni lei viene in Clinica con il suo camice bianco, in attesa di servire e vedere come il Mistero accade e per giudicare con occhi aperti la realtà a partire dalla Sua presenza. Alcune di queste storie sono già state “lette” dal Cielo, dove il volto sofferente di Cristo in ogni paziente si è trasfigurato per sempre in un volto glorioso. Che questi santi pazienti ci benedicano dal Cielo. 
Abbiamo bisogno di contemplare i tratti della presenza di Cristo nelle persone che ci circondano, perché Cristo è un fatto presente ogni istante nella novità della vita dei suoi testimoni. (Aldo Trento)
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Aida non c’è più. Era una malata di Aids della Clinica, luogo in cui come volontaria sperimento con immensa gioia e felicità la presenza di Cristo nella realtà. Aida ha toccato il mio animo quando mi ha detto: «Ti voglio bene, mi manchi». Il giorno prima della sua scomparsa mi ha detto due volte: «Vado a morire». Lei adesso è più vicina a Dio e prega per me. Aveva sempre il sorriso sulle labbra ed era lei la malata, non io; ora lei è la sana e io sono rimasta qui, in questo mondo malato. 
Bernardino è un altro malato che se n’è andato lasciando in me un’immensa tenerezza. Gli piacevano i gelati e mi raccontava che in passato andava a comprarli in una gelateria della Quinta Strada ad Asunción. Quando è arrivato alla Clinica era molto arrabbiato, nervoso. Tutto è cambiato attraverso la compagnia di alcune persone della Clinica e l’affetto e la comprensione che si respira lì: è diventato gentile, diceva sempre grazie, grazie a chi aveva cura di lui o gli riservava alcune affettuose attenzioni, come portargli le empanadas o i gelati, che mangiava sempre con gusto. È stata lunga la sua permanenza con noi, più di un anno: forse Dio ha usato quel tempo per ottenere il suo cambiamento. Il Bernardino al quale portavo i pasti e a cui davo da mangiare durante i suoi ultimi giorni, mi ha trasmesso la sua gentilezza e il rispetto che riservava a coloro che si prendevano cura di lui. Ringraziava sempre, non si lamentava di niente. Dopo l’ultima notte in cui gli ho dato la cena, all’alba se ne è andato, improvvisamente. 
Giustina era una donna che si era affezionata a me ed era molto cara nei miei confronti. Un giorno mi ha detto di voler mangiare del melone e gliel’ho portato e l’abbiamo condiviso anche con gli altri ammalati. Una volta la sua famiglia le ha portato del pollo arrosto, che per cena le hanno messo nel vassoio che io le servivo. Lei ha tagliato un pezzo, dicendomi che era per me. È stato un gesto molto bello, di generosità che dobbiamo mettere in pratica spesso. All’improvviso mi hanno detto che se n’era andata. 
Dionisio era un camionista; si commuove sempre quando gli si chiede che lavoro faceva prima di arrivare in Clinica. È un malato cronico di Aids, quasi non parla e ormai fa molta fatica anche a muoversi, per farlo mangiare, infatti, bisogna imboccarlo. Mi riconosce e sorride ogni volta che mi vede. Conosce molto bene Elena, la signora della cucina che gli parla in guaraní e con cui balbetta alcune parole. Da poco lo hanno portato nella casa degli anziani san Gioacchino. Sono andata a trovarlo una volta e ora mi hanno detto che si sente male, ha frequenti attacchi di colite. Vorrei che lo riportassero qui perché così potrei prendermi cura di lui. 

La contemplazione di Dionisio 
Il 23 gennaio sono arrivata presto in Clinica e affacciandomi in una stanza mi sono rallegrata molto nel vedere il volto di Dionisio in uno dei letti. Lo avevano appena trasferito: osservava tutto e tutti. C’era con noi un volontario peruviano venuto in visita per alcuni giorni ed è stato sorprendente vedere come Dionisio lo guardasse attento. Forse gli ricordava qualcuno che lui conosceva. Non sappiamo, ma è rimasto con lo sguardo fisso su di lui per un certo periodo di tempo. Lo abbiamo coccolato ed Elena gli ha parlato e sembrava contento. Il 30 gennaio ho visto Dionisio molto addormentato e con gli occhi socchiusi. Elena ha cercato di tranquillizzarmi: Dionisio è stato uno dei primi malati ad arrivare nella Clinica, è a letto da sette anni, un giorno sembra star bene e l’altro male, però è ancora qui. A metà febbraio 2012 Dionisio è migliorato molto rispetto alla sua condizione di malato cronico, ha ricominciato a mangiare e quando sono di turno lo imbocco per aiutarlo. Mi conosce e lo faccio sorridere parlandogli con affetto e dicendogli che il cibo lo rende bello. Gli chiedo se gli piace e mi sussurra di sì. In questi giorni lo si nota con uno sguardo più vivace e attento. Gli bruciano gli occhi e gli lacrimano continuamente. Quando gli bruciano molto affonda la testa nel cuscino. Gli voglio molto bene e in lui vedo la sofferenza di Cristo. Mi chiedo spesso quante persone così Dio ci deve porre davanti affinché capiamo il perché della sofferenza. 

Andrea era una ragazza di 17 anni malata di cancro che ha rapito il cuore di tutti in Clinica. Sua madre, Tomasa, mi ha raccontato che la figlia dopo aver compiuto quindici anni ha cominciato ad avere il vomito e la pancia gonfia. Quando l’ha portata da una dottoressa, questa le ha detto che era incinta e la ragazza ha risposto alla mamma che era impossibile. La madre le ha creduto: era una buona figlia, molto dedita allo studio e molto vicina a sua mamma, in tutto. Una madre conosce sua figlia. Questa mamma è una moglie giovane, di 36 anni, con un coraggio incredibile, sofferente come la Addolorata e con gli occhi rossi e gonfi, ma dolce e tenera al fianco di sua figlia che, mentre agonizzava, le teneva forte la mano. Mi diceva Tomasa: «Guarda come mi afferra la mano, sa che sono io». Io avevo cercato di prenderle l’altra, ma con me non aveva fatto nessun gesto. La madre mi raccontava che Andrea le chiedeva sempre scusa per i disturbi che le dava. Le chiedeva scusa e la ringraziava in ogni momento. Stava ricamando una stoffa e si sedeva sul balcone per guardare da lì la figlia. Doveva finire il ricamo che aveva cominciato Andrea e che le aveva chiesto di terminare perché non aveva più forza nelle mani. Questa ragazza diceva sempre a padre Aldo di sentirsi benedetta. Ha lasciato questo messaggio meraviglioso sul significato del dolore e sull'accettazione della volontà divina. 

«Perché prorio a me?» 
César, un ragazzo giovane senza un braccio a causa della malattia, con una gran collera per quello che gli succede, rimane zitto con lo sguardo fisso e serio, niente lo fa ridere. Gli ho suggerito di pregare, di conversare con Dio e di rivelare a Lui la sua rabbia, di chiedere una risposta a tutte le sue domande. Gli ho chiesto cosa desiderasse domandare e mi ha risposto: «Che voi siate dottoressa, perché possiate dirmi di tornare a casa». Mi ha rivelato che è da molto tempo che vive in Clinica e desidera uscire. César si ribella e non accetta questa sofferenza, non la capisce. 

Peter è un altro giovane malato di cancro, molto sconsolato e depresso perché non capisce le ragioni della sua malattia. Gli ho detto che il cammino di Dio a volte è molto tortuoso, talmente difficile che spesso possiamo non capirlo, ma che questo cammino è fatto per arrivare alla luce, a Dio. Ieri Peter è tornato a casa, ma non perché è guarito. Non esiste cura per la sua malattia, non ha e non ha mai avuto denaro per fare i trattamenti. Padre Aldo ha commentato la triste situazione di Peter, descrivendolo come un ragazzo di 19 anni pieno di vita. Il ragazzo chiede sempre: «Perché proprio a me questa malattia?». Nessuno ha una risposta. Possiamo solamente offrire questo dolore con fede, perché solo il Mistero di Dio può dare una risposta. 
Questa settimana Gabi, l’aiutante di Elena, mi ha raccontato che Peter è morto in ospedale. 

María, una bella donna dagli occhi azzurri, passeggiava per i corridoi chiedendo delle arance che poi conservava nel cassetto del suo comodino. In cucina non volevano più dargliele perché aveva una stanza sporca e disordinata. Mi parlava in guaraní e non la capivo, ma cercavo di servire anche lei, portandole l’acqua e il pasto. Ultimamente era molto fastidiosa perché non faceva altro che lamentarsi della compagna di stanza che non voleva nè aria condizionata nè il ventilatore. Quando è morta sono stata all’obitorio per recitare un rosario. Aveva il volto bello, bianco, con le guance paffute e i capelli biondi. Era molto affascinante e adesso chiedo che Dio la renda ancora più bella di fianco ai molti altri che sono già andati nell’aldilà e che possa continuare a mangiare le sue arance. 

L’anziano Sigfrido è stato portato in Clinica dopo aver vissuto in un pollaio per molti anni, in condizioni disumane. In Clinica dovevo aiutarlo a mangiare, spesso lo imboccavamo ma lui voleva sempre toccarci le braccia e questo rendeva il tutto sempre molto difficile. Qualcuno diceva che lo faceva apposta perché era un don Giovanni. È morto avvolto in un abbraccio di amore di questa Clinica e tra lenzuola bianche morbide e pulite. 

La grazia della manicure 
Alcuni giorni fa sono stata con Lucy, la nostra cara amica che da tanti anni si occupa di manicure. Quando le ho proposto di venire in Clinica mi ha risposto che l’avrebbe fatto volentieri. Così un pomeriggio ha fatto mani e piedi a quattro malate: Cintia, María, Natividad e Norma. Non c’è stato tempo per accontentarne altre quel giorno. Le quattro fortunate erano sorridenti, Natividad continuava a dire di essere benedetta e Norma era sempre sorridente. Lo stesso sorriso che si trova costante in alcuni ammalati e quello, per esempio, di sorella Sonia, l’unica con abito religioso, bianco immacolato, che porta benedizioni nei letti degli afflitti e dona sorrisi a coloro a cui non rimane altro che una smorfia di dolore sulla bocca. Gioia e tristezza, smorfie di dolore e sorrisi si uniscono nei volti sofferenti dei malati della Clinica. Qui si trovano il dolore e la grazia santificante che benedice coloro che soffrono, e poi l’amore umano e misericordioso che insieme crea un’unità per vivere la realtà cristiana in queste condizioni. 
Dea Frizza
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lunedì 12 novembre 2012

Aiutaci a diffondere la tua fragranza! (Santi 6)

O Gesù, aiutaci a diffondere la tua fragranza ovunque noi andiamo. 
Infondi il tuo Spirito nella nostra anima e riempila del tuo amore affinché penetri nel nostro essere in modo così completo che tutta la nostra vita possa essere soltanto fragranza e amore trasmesso tramite noi e visto in noi, e ogni anima con cui veniamo a contatto possa sentire la tua presenza nella nostra anima, e poi guardare in su e vedere non più me, ma Gesù. Resta con noi, e noi cominceremo a brillare della tua luce, a brillare per essere una luce per gli altri. 
La luce, o Gesù, sarà la tua, non verrà da noi, sarà la tua luce che brillerà sugli altri attraverso noi. 
Lascia che ti rivolgiamo le nostre preghiere nel modo che più ami, spargendo la luce su quelli che ci circondano. 
Lasciaci predicare senza predicare, non con le parole, ma con l'esempio. 
Con la forza che attrae e l'influsso di quel che facciamo. 
Con la pienezza dell'amore che abbiamo per te nel nostro cuore. Amen. 
( MADRE TERESA DI CALCUTTA ) 
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domenica 11 novembre 2012

Domenica XXXII t.ord. 11-nov-2012 (Angelus 107)

Cari fratelli e sorelle! 
La Liturgia della Parola di questa domenica ci presenta come modelli di fede le figure di due vedove. Ce le presenta in parallelo: una nel Primo Libro dei Re (17,10-16), l’altra nel Vangelo di Marco (12,41-44). Entrambe queste donne sono molto povere, e proprio in tale loro condizione dimostrano una grande fede in Dio. La prima compare nel ciclo dei racconti sul profeta Elia. Costui, durante un tempo di carestia, riceve dal Signore l’ordine di recarsi nei pressi di Sidone, dunque fuori d’Israele, in territorio pagano. Là incontra questa vedova e le chiede dell’acqua da bere e un po’ di pane. La donna replica che le resta solo un pugno di farina e un goccio d’olio, ma, poiché il profeta insiste e le promette che, se lo ascolterà, farina e olio non mancheranno, lo esaudisce e viene ricompensata. La seconda vedova, quella del Vangelo, viene notata da Gesù nel tempio di Gerusalemme, precisamente presso il tesoro, dove la gente metteva le offerte. Gesù vede che questa donna getta nel tesoro due monetine; allora chiama i discepoli e spiega che il suo obolo è maggiore di quello dei ricchi, perché, mentre questi danno del loro superfluo, la vedova ha offerto «tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44). 
Da questi due episodi biblici, sapientemente accostati, si può ricavare un prezioso insegnamento sulla fede. Essa appare come l’atteggiamento interiore di chi fonda la propria vita su Dio, sulla sua Parola, e confida totalmente in Lui. Quella della vedova, nell’antichità, costituiva di per sé una condizione di grave bisogno. Per questo, nella Bibbia, le vedove e gli orfani sono persone di cui Dio si prende cura in modo speciale: hanno perso l’appoggio terreno, ma Dio rimane il loro Sposo, il loro Genitore. Tuttavia la Scrittura dice che la condizione oggettiva di bisogno, in questo caso il fatto di essere vedova, non è sufficiente: Dio chiede sempre la nostra libera adesione di fede, che si esprime nell’amore per Lui e per il prossimo. Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa. E infatti entrambe le nostre vedove di oggi dimostrano la loro fede compiendo un gesto di carità: l’una verso il profeta e l’altra facendo l’elemosina. Così attestano l’unità inscindibile tra fede e carità, come pure tra l’amore di Dio e l’amore del prossimo – come ci ricordava il Vangelo di domenica scorsa. Il Papa San Leone Magno, di cui ieri abbiamo celebrato la memoria, così afferma: «Sulla bilancia della giustizia divina non si pesa la quantità dei doni, bensì il peso dei cuori. La vedova del Vangelo depositò nel tesoro del tempio due spiccioli e superò i doni di tutti i ricchi. Nessun gesto di bontà è privo di senso davanti a Dio, nessuna misericordia resta senza frutto» (Sermo de jejunio dec. mens., 90, 3)
La Vergine Maria è esempio perfetto di chi offre tutto se stesso confidando in Dio; con questa fede ella disse all’Angelo il suo «Eccomi» e accolse la volontà del Signore. Maria aiuti anche ciascuno di noi, in questo Anno della fede, a rafforzare la fiducia in Dio e nella sua Parola. 
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La tattica del diavolo (Interventi 148)

Una meditazione di Don Luciano: 

Una cara persona mi ha scritto dall'Australia. Quando penso all'Australia mi vengono subito in mente alcune cose: i canguri, gli aborigeni e il boomerang. Il boomerang è quello strumento solitamente di legno che gli aborigeni usavano per la caccia e la guerra. La forma ricurva gli conferisce proprietà aerodinamiche - mentre è in volo, il boomerang ruota su sé stesso; in questo modo le sue estremità possono colpire con violenza la testa dell'animale cacciato. Se lanciato correttamente, compie un'ellisse perfetta, tornando alla persona che l'ha scagliato. La parola "boomerang" viene spesso usata anche metaforicamente per indicare un'azione che si ritorce contro chi l'ha iniziata. 
Bene, se cerchi di vivere per Gesù Cristo, ti posso garantire che il diavolo cercherà di scagliarti addosso tutto quello che ha a disposizione, pur di farti cadere. Magari proprio in questo periodo stai cercando di schivare qualcuno dei suoi missili, e ti senti sotto pressione. Ma c'è una buona notizia - quando il diavolo ti scaglia addosso il suo boomerang per buttarti giù, puoi prenderlo al volo e restituirglielo dritto in testa - facendogli desiderare di non avertelo mai scagliato addosso. Come? Con le cose che ti sta scagliando addosso! 
E' Dio che ti dice comportarti così. In Luca 4, 1 e seguenti, la Bibbia dice: «Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: "Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane". Gesù gli rispose: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo"». 
Il diavolo scaglia addosso a Gesù tre boomerang - e ogni volta Gesù sceglie testardamente di obbedire a quello che la Parola dice invece di cadere in quello che satana propone. E nota bene il risultato finale - «Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato. Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione». Questo è straordinario - quelle tentazioni, che erano finalizzate a stendere Gesù al tappeto, lo hanno invece reso più forte e più pieno di Spirito Santo. E satana lì a dirsi: "Mi sono fregato da solo!" Colpito dal suo stesso boomerang. Che bello! 
Questo è esattamente quello che succede quando il diavolo di scaglia addosso le sue tentazioni. Probabilmente lui ripete la stessa tattica che ha usato con Gesù nel deserto - aspetta che tu raggiunga il tuo «deserto», quando sei più vulnerabile. Tocca i tasti giusti dei tuoi bisogni più profondi - di essere amato, considerato, accettato, riconosciuto, non più ferito, un po' di piacere e soddisfazione anche per te... Il nemico della tua anima, ovvio, si aspetta che tu abbocchi all'esca che ti sta gettando - la usa per poi scoraggiarti... o farti scendere a dei compromessi... per fare in modo che tu pensi sempre a te stesso... per confondere le tue priorità... per deprimerti... per farti tornare indietro... o per farti abbandonare tutto. 
Ma Dio ti dice - «Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi» (Giacomo 4,7). Per prima cosa devi riconoscere da dove vengono questi sentimenti, chi ti fa sentire quella pressione. Poi, devi fare una scelta cosciente e dire: «Io so chi sei tu, e cosa vuoi, ma non ci casco! Io "attingo forza nel Signore e nel vigore della sua potenza"!» (Efesini 6,10). E per finire, ti impunti testardamente su quello che il Signore dice e fai le tue scelte seguendo quello che dice la Parola di Dio e non la voce di satana o i tuoi sentimenti. Cosa fa allora il diavolo? Ti combatte? No - si allontana da te. Ogni volta che superi un esame di questi, diventi sempre più forte e più abbandonato a Gesù. 
Le cose che erano messe lì per farti cadere ti hanno reso invece spiritualmente più forte di prima! E satana è lì a desiderare di non aver mai scagliato quel boomerang nella tua direzione - ha mancato te e ha colpito lui! 
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto 
don Luciano
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