Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

mercoledì 30 giugno 2010

Il Papa ai sacerdoti: dedicate tempo alla Confessione (Contributi 330)

ROMA, mercoledì, 30 giugno 2010 (ZENIT.org)

Questo mercoledì, in occasione dell'Udienza generale, Benedetto XVI ha incoraggiato i sacerdoti a “dedicare tempo al Sacramento della Riconciliazione e alla direzione spirituale”.
Durante il tradizionale appuntamento settimanale in piazza San Pietro con i fedeli da tutto il mondo, il Papa ha proposto un nuovo modello per i sacerdoti al termine dell'Anno a loro dedicato: san Giuseppe Cafasso, che fu maestro e formatore di parroci e preti diocesani nel Convitto ecclesiastico torinese di S. Francesco d’Assisi, dove fondò la sua “scuola di vita e di santità sacerdotale”.
Annoverato nel gruppo dei “Santi sociali” nella Torino dell’Ottocento, san Giuseppe Cafasso, ha spiegato Benedetto XVI, “non fu parroco come il curato d’Ars” ma fu soprattutto formatore di preti santi, tra i quali san Giovanni Bosco.
“Il suo insegnamento non era mai astratto – ha detto –, basato soltanto sui libri che si utilizzavano in quel tempo, ma nasceva dall’esperienza viva della misericordia di Dio e dalla profonda conoscenza dell’animo umano acquisita nel lungo tempo trascorso in confessionale e nella direzione spirituale”.
“Dalla sua cattedra di teologia morale – ha continuato – educava ad essere buoni confessori e direttori spirituali, preoccupati del vero bene spirituale della persona, animati da grande equilibrio nel far sentire la misericordia di Dio e, allo stesso tempo, un acuto e vivo senso del peccato”.
“Per lui – ha sottolineato il Pontefice – la verifica dell’insegnamento trasmesso era costituita dal ministero della confessione, alla quale egli stesso dedicava molte ore della giornata; a lui accorrevano vescovi, sacerdoti, religiosi, laici eminenti e gente semplice: a tutti sapeva offrire il tempo necessario”.
“Cari amici – ha aggiunto il Santo Padre –, è questo un insegnamento prezioso per tutti coloro che sono impegnati nella formazione ed educazione delle giovani generazioni ed è anche un forte richiamo di quanto sia importante avere una guida spirituale nella propria vita, che aiuti a capire ciò che Dio vuole da noi”.
Giuseppe Cafasso fu anche sempre vicino agli ultimi, in particolare ai carcerati, che allora nel capoluogo piemontese vivevano in condizioni disumane. Riservò inoltre speciali cure umane e spirituali ai condannati a morte, accompagnandone ben 57 al patibolo.
“La sua semplice presenza faceva del bene, rasserenava, toccava i cuori induriti dalle vicende della vita e soprattutto illuminava e scuoteva le coscienze indifferenti”, ha concluso Benedetto XVI.
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È Benedetto a salvare la giustizia dallo scempio dei giustizialisti. Non solo in Belgio (Contributi 329)

Riporto da Il Sussidiario un articolo di Ubaldo Casotto:

Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di amare gli uomini che gli sono stati affidati, così come ama Cristo, al cui servizio si trova (…). Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza (…). Cari amici - in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge (…). Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.

È un passaggio dell’omelia di inizio pontificato di Benedetto XVI che, riletto, aiuta a capire l’atteggiamento del Papa nei confronti delle accuse di pedofilia a sacerdoti e vescovi, e anche la sua lettera a monsignor André-Joseph Léonard, presidente della Conferenza episcopale del Belgio, dopo la brutale (e invero assurda, tanto da sconfinare nel ridicolo, come ha notato Vittorio Messori sul Corriere della Sera) perquisizione della magistratura belga giunta sino alla profanazione delle tombe di due cardinali.
Benedetto XVI non ha intenzione di decadere, non dalla linea della “trasparenza” come corrivamente in tanti scrivono, quasi fosse un assessore ai lavori pubblici, ma dal livello di quella supplica: “Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi”.
È evidente nella testimonianza del Papa un’esigenza infinita di verità e di giustizia - che il peccato e il crimine della pedofilia rendono ancora più urgente e struggente - da cui non si può deflettere, neanche di fronte agli abusi di un giudice animato da spirito anticlericale.
Un’esigenza che si attua nella responsabilità dell’amore: “Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio”. C’è un passaggio terribile dell’ultima intervista di don Luigi Giussani (2004), quando disse che a un certo punto la Chiesa “si è vergognata di Cristo”.
È ultimamente la vergogna di Cristo che fa mettere sulla difensiva di fronte al mondo e che può far temere la verità e la giustizia.
Benedetto XVI evidentemente di questa “vergogna” non vuole essere connivente.
Papa Joseph Ratzinger si mostra al mondo con una statura umana e di fede che gli dà l’autorevolezza per denunciare il “triste momento” vissuto dai vescovi belgi senza che questa denuncia sembri un’autodifesa d’ufficio. Una statura che dà forza alle sue parole quando definisce “sorprendenti e deplorevoli” (è un Papa che scrive a un confratello vescovo, ma va ricordato che è anche un Capo di Stato che compie un gesto formale e ufficiale) le “modalità con cui sono state condotte le perquisizioni”.
Modalità che ottengono il risultato opposto allo scopo per cui i magistrati belgi dicono di essersi attivati: la giustizia.

Come fa notare il Papa, l’irruzione della polizia giudiziaria ha interrotto i lavori dei vescovi del Belgio che “tra l'altro, avrebbe dovuto trattare anche aspetti legati all'abuso di minori da parte di Membri del Clero”. La conseguenza dell’azione giudiziaria brandita ideologicamente e pregiudizialmente non è mai l’accertamento della giustizia, semmai l’allontanamento da essa, se non una conclamata ingiustizia. Cos’altro è il sequestro di tutto il materiale della Commissione diretta dallo psicologo Peter Adriaenseens, comprese le schede di chi aveva espressamente rifiutato il ricorso alla giustizia civile, di chi aveva chiesto l’anonimato e la riservatezza, e quelle sui reati caduti in prescrizione che alla magistratura non possono più interessare?
Ma la denuncia di questo abominio per il Papa non diventa un alibi: “Più volte io stesso ho ribadito che tali gravi fatti vanno trattati dall'ordinamento civile e da quello canonico, nel rispetto della reciproca specificità e autonomia. In tal senso, auspico che la giustizia faccia il suo corso, a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e delle istituzioni, nel rispetto delle vittime, nel riconoscimento senza pregiudiziali di quanti si impegnano a collaborare con essa e nel rifiuto di tutto quanto oscura i nobili compiti ad essa assegnati”.
C’è in queste parole anche una lezione di diritto, di procedura, di cultura giuridica, di garantismo. Ma soprattutto c’è, all’origine di questi criteri, un amore alla singola persona - quella dell’offeso come quella dell’indagato - senza del quale non si può capire il cristianesimo, né il pontificato di Joseph Ratzinger, il difensore della Ragione che si scioglie in lacrime davanti alle vittime degli abusi.
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martedì 29 giugno 2010

Amicizie (Post 96)

Il solo scopo per cui ho cominciato l'attività di questo blog era di fornire a me stesso in primo luogo e anche a chi fosse capitato di qui strumenti di aiuto a vivere la fede cristiana.
Contrariamente a quanto pensavo ci sono state persone che hanno cominciato a leggere le cose che pubblicavo e a regalarmi i loro commenti.
Sono nate così amicizie a distanza che non sono per me meno significative di quelle reali. Ho in mente la grande compagnia di SamizdatOnLine di cui non posso fare tutti i nomi (perchè tutti sarebbero da riportare) per non trasformare il post in un elenco telefonico, ma anche tanti altri conosciuti nell'oceano di internet.
L'aver esteso l'ambito di comuncazione anche a FB ha ulteriormente aumentato il numero di amici.
Ci sono due cattolici turchi che vivono ad Ankara e che mi inviano i loro messaggi (per grazia di Dio in italiano, sia pure ottenuto con il traduttore automatico).
Questa per esempio è una preghiera che uno di loro mi ha fatto avere per la festività di Ss Pietro e Paolo:
Grazie, Signore Gesù, che hai lasciato qui in terra le chiavi del regno dei cieli! Le hai consegnate a Pietro, e Pietro le ha passate a chi ha preso il suo posto alla guida della Chiesa…
E sono giunte fino a noi!
Ora noi possiamo andare con fiducia dai tuoi ministri, ed essi, nel tuo nome, ci spalancano le porte della vita!

Santi Pietro e Paolo, strumenti preziosi della grazia, pregate per noi!

Poi ci sono amici dall'Argentina e dagli Stati Uniti, dalla Lituania e da altri paesi europei. Il legame fra tutti loro non nasce da una mia capacità ma dalla grazia di Dio e mi rende molto lieto.
Infine ci sono i tantissimi italiani che mi aiutano con i loro commenti e le loro preghiere. Con una di loro nascerà a brevissimo una collaborazione stretta.
Ma tutto questo non nasce, lo ripeto, da una mia bravura ma dalla grazia di Dio che mi fornisce sempre compagni di strada nel cammino della vita.
Perchè l'amicizia o è compagnia al destino o è prendersi in giro.
Grazie a tutti.
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La barca di Pietro (Contributi 328)

Da Il Sussudiario ecco un articolo di Pigi Colognesi che ci ricorda cos'è la Chiesa:

Domani è la festa di san Pietro, la festa del Papa. Da ormai molto tempo dicono che la barca di cui il Primo degli Apostoli è il nocchiero attraversa acque agitate ed è scossa all’interno da movimenti improvvidi che la fanno ondeggiare.
Sui giornali si susseguono inchieste e scoop variamente credibili e documentati; su molti dei quali aleggia l’odore macabro di chi - come un avvoltoio - trova soddisfazione soltanto se può infangare e distruggere. Stuoli di commentatori si esercitano nel pontificare - è proprio il caso di usare questo termine - su cause e rimedi della presunta «crisi»; lasciando spesso nel lettore l’amara impressione che parlino di una cosa che in fondo non li interessa, da cui si tirano spocchiosamente fuori. Come l’evangelico fariseo che guardava dall’alto in basso le miserie del povero pubblicano, là in fondo alla chiesa a chiedere perdono dei suoi peccati.
Dal canto suo, l’attuale successore di Pietro non cessa di tenere il timone della barca saldamente puntato verso la meta.
Con coraggio ricorda l’essenziale; come quando a Lisbona ha detto: «Ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista».
Senza tentennamenti chiede noi figli della Chiesa il coraggio di riconoscere il nostro peccato e di fare, sicuri della misericordia di Dio, la penitenza necessaria per purificare la barca dalla «sporcizia» che noi stessi abbiamo trascinato in essa e per i pesi che le rendono difficoltosa la navigazione.
Uno degli innumerevoli commenti che la stampa sta dedicando al mondo cattolico titolava così: «La Chiesa di papa Ratzinger si salverà?».
Stia tranquillo il giornalista (ammesso che gli interessi qualcosa): si salverà. E non tanto perché nella sua bimillenaria storia ha assistito a bufere non meno impegnative di quella che sta attraversando ora e ha dolorosamente sperimentato al suo interno divisioni e tradimenti ben più gravi di quelli attuali.
Si salverà perché:
non è come una multinazionale che ha subito un rovescio negli affari o il cui amministratore delegato è scappato con la cassa;
non è un’associazione di persone ben intenzionate che perseguono un nobile scopo e improvvisamente si vedono sorpassati da altri in quell’obiettivo o scoprono che qualche socio pensa ai fatti suoi;
non è un’accademia di studiosi le cui teorie possano venir messe in discussione da qualche nuova scoperta o dal fallimento di un esperimento.

Semplicemente la Chiesa - corpo di Cristo nella storia - è già salvata e questa salvezza offre continuamente a tutti.


Che poi la storia le si avventi contro, castigandola o perseguitandola, oppure le tributi trionfi e riconoscimenti, magari interessati, non cambia la sostanza.
Potrebbe accadere come nel finale del Racconto dell’Anticristo di Vladimir Solov’ëv: gli abitanti della barca ridotti a pochi fedeli, il mondo che si disinteressa della proposta dei cristiani, i traditori che si moltiplicano allettati dalle lusinghe del potere o travolti dalla paura.
Sempre resterebbe la certezza incrollabile del nocchiero; non per sua capacità, ma perché a questo è stato eletto.
Resterebbe sempre qualcuno che avrà il coraggio di rispondere all’imperatore di turno (e ai suoi manutengoli): «Grande sovrano, quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiano che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità».
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lunedì 28 giugno 2010

Attaccano il Papa perché segue Gesù (Contributi 327)

Riporto dal sito di Antonio Socci questo articolo:

Uno dei più acuti osservatori, leader intellettuale dei cosiddetti ratzingeriani, Giuliano Ferrara, con doverosa autoironia, giorni fa, ha amabilmente rimproverato il pontefice di essere “fuori linea”, sulla storia dei preti pedofili, per (a suo avviso) eccessiva arrendevolezza.

Poi il direttore del Foglio è tornato a lanciare l’allarme.
Ha scritto infatti che “le autorità ecclesiastiche responsabili e i laici liberali, che dovrebbero avere a cuore la libertà della Chiesa (come pegno generale delle autonomie civili), non vogliono capire che la ‘trasparenza’, cioè la resa senza condizioni alla ossessiva campagna secolarista sulla pedofilia del clero, genera le condizioni per un vulnus simbolico drammatico nel corpo dell’istituzione”.
Ferrara ritiene che dal Belgio sia arrivata la conferma di questa sua tesi.
Là infatti sono giunti fino a perquisire la casa del cardinale Daneels, primate emerito accusato “di non aver denunciato per tempo il vescovo di Bruges dimissionario a gennaio con l’accusa di abusi su minori”.
Nelle stesse ore addirittura “le tombe di uno dei padri teologici del Concilio Vaticano II, Léon-Joseph Suenens, e dell’arcivescovo Joseph- Ernest Van Roey, sono state sventrate con il martello pneumatico alla ricerca di chissà quali documenti inquisitori”.
Ferrara ha ragione quando denuncia questi eccessi inauditi, ma non sono d’accordo che essi trovino cittadinanza per l’atteggiamento (a suo avviso) rinunciatario del Pontefice.
Al contrario, è proprio la limpidissima scelta del papa per la trasparenza e per la pulizia nella Chiesa che fa apparire gli atti dell’inquisizione belga in tutta la loro ingiustificata assurdità.
Peraltro proprio l’accorato schierarsi di Pietro dalla parte delle vittime ha fatto ammutolire le campagne più anticlericali, inducendo anche giornali estremamente polemici come il New York Times a “togliersi il cappello” di fronte al coraggio del Santo Padre.
Il Papa è l’unico che non abbia parlato di complotti, ma anzi che abbia definito una “grazia” questa provvidenziale tempesta mediatica la quale impone una purificazione alla Chiesa.
Bisogna riconoscere che quello che sta dicendo e facendo è così alto e profetico che lo stesso mondo clericale non capisce e fa resistenza.
Ratzinger ha spiazzato sia i ratzingeriani che gli avversari.
Ha capovolto il vecchio e sciocco stereotipo del “panzerkardinal”. E ha mostrato a tutti la grandezza e la forza dell’umiltà.
Ha fatto vedere cos’è un padre che sa piangere con i suoi figli violati e sofferenti, abbracciandoli a nome del Nazareno.
Ha spiazzato anche l’idea che del suo pontificato si erano fatti Ferrara e tanti altri, secondo cui egli sarebbe il Nemico del relativismo che corrode e dissolve l’Occidente e capeggerebbe una Chiesa virilmente identitaria capace di far ritrovare all’Occidente solide radici ideologiche.
A mio avviso basta aver letto i libri del cardinal Ratzinger e tanto più i testi di papa Ratzinger per capire che era un’idea infondata. Ma il problema non è anzitutto culturale.
Il “fattore” che Ferrara elude (ovviamente ne ha tutto il diritto) e che per Benedetto XVI invece è determinante, totalmente decisivo, non è culturale: si chiama Gesù Cristo.
La sua presenza viva.
E’ Lui che spiega tutto, che fa comprendere tutte le scelte di papa Ratzinger, tutto quello che dice e che fa. Senza considerare Lui si rischia di fraintendere completamente questo pontificato.
Perché, infatti, un simpatizzante come Ferrara può arrivare a vedere nella posizione del Papa addirittura una “resa senza condizioni alla ossessiva campagna secolarista sulla pedofilia del clero” ?
Esattamente per questo. Perché per Ferrara la battaglia si combatte al cospetto dell’opinione pubblica ed ha come oggetto la reputazione della Chiesa, mentre per papa Ratzinger si è al cospetto di Gesù Cristo, unico giudice, e il contenuto della discussione è la verità.
Se si toglie di mezzo Gesù Cristo – e mi pare l’idea di Ferrara – la Chiesa diventa una realtà umana antica e nobilissima, da millenni civilizzatrice, depositaria di valori e identità, e non può farsi processare – per un numero limitatissimo di colpe di suoi esponenti – da un mondo moderno che sprofonda nella depravazione e nell’amoralità.
Ma Benedetto XVI rifiuta radicalmente una simile riduzione.
La Chiesa non è la somma dei suoi membri, né dei suoi meriti storici, non è un insieme di antichi e nobili valori umani, né è al mondo per rivendicare la sua reputazione.
La Chiesa è definita soltanto dalla misteriosa presenza di Gesù, presenza vera e operante, fra i suoi.
Davanti a Lui, il santo, tutti noi cristiani siamo come panni luridi.
E’ Lui e solo Lui che la Chiesa indica, Lui è la salvezza degli uomini, Lui la pace e la felicità.
La Chiesa esiste solo per indicare al mondo il suo volto.
Cosicché la Chiesa è l’unica realtà che – diversamente da partiti, da stati, da qualunque altra associazione umana – non ha bisogno di esaltare la propria reputazione, perché, pur avendo al suo interno tanta santità, non predica se stessa, non vuol convincere di aver ragione.
E’ l’innamorata di Lui ed esalta solo Lui.
Infatti la Chiesa è entrata nel mondo con quattro Evangeli nei quali i pilastri della Chiesa stessa, gli apostoli, venivano rappresentati in tutta la loro miseria umana, meschinità e perfino nei loro peccati e crimini.
Com’è stato osservato pure da nemici della Chiesa, nessuno che abbia voluto fondare una religione o un partito o uno stato, ha mai fatto una cosa simile.
Sarebbe stata un’autodelegittimazione assai prossima al suicidio.
Solo la Chiesa ha potuto farlo. Sebbene quegli apostoli, in realtà, siano diventati poi autentici eroi, morendo inermi come martiri.
Solo la Chiesa, sul finire del XX secolo che aveva visto i cristiani vittime (a milioni) di tutti i diversi regimi, a tutte le latitudini, con Giovanni Paolo II ha varcato il millennio non con un atto d’accusa, ma al contrario con un “mea culpa”.
Solo la Chiesa – che pure aveva tutti i diritti di puntare il dito su ideologie e partiti – ha saputo chiedere perdono.
Mentre non lo hanno fatto i carnefici.
E’ un segno di debolezza e cedevolezza o di (umanamente) inspiegabile forza?
Solo la Chiesa può porre la verità al di sopra dell’interesse di fazione e quindi non averne paura neanche quando è dolorosa e umiliante.
Come nel caso dei preti pedofili.
Neanche quando fa scandalo: “oportet ut scandala eveniant”, disse Gesù, Signore della storia.
La Chiesa non si difende con la menzogna. Così semmai la si distrugge. Immaginare che Dio abbia bisogno delle nostre menzogne per salvaguardare la sua opera è un sacrilegio.
La Santa Chiesa, spiega il Papa, non è una cosca mafiosa che vive sull’omertà.
Le menzogne servono solo ai colpevoli che non vogliono emendarsi o a coloro che vogliono salvaguardare un potere terreno. La Chiesa invece vive della verità. E la verità non fa calcoli di convenienza.
La menzogna rende ricattabili. “La verità vi farà liberi”, ha detto Colui che è la verità fatta carne.
Il mondo dice invece “la verità vi farà deboli”. Ma quello che il mondo non capisce, per il Papa, è che “la debolezza di Dio è più forte degli uomini”.
Duemila anni fa aspettavano un giustiziere, un sovrano forte che avrebbe assoggettato il mondo. Ed è nato un bambino inerme.
Poi, diventato grande, perfino gli apostoli pensavano che Gesù sarebbe diventato re. E lui ha scelto invece il trono della croce e la corona di spine. Perché – ha spiegato Benedetto XVI – ha voluto salvare il mondo non con la forza, ma con l’amore.
L’amore è più forte di tutto.
E’ per lui, vittima salvatrice, che il papa ha fatto capire a tutti, anzitutto agli ecclesiastici, che le vittime di preti pedofili non sono avversari, ma sono il volto di Cristo crocifisso.
Sono la Chiesa perseguitata. Mentre i persecutori della Chiesa sono semmai i loro violentatori.
Tutto questo è grandioso e commovente. E’ divino.


Antonio Socci    da Libero 27 giugno 2010
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domenica 27 giugno 2010

Cari amici (Interventi 31)

Ecco una nuova lettera di Padre Aldo Trento dal Paraguay (purtroppo le 2 foto a commento del testo non sono arrivate in formato salvabile su disco, ma non dispero, prima o poi riesco a mostrarvele) :

Cari amici,

oggi, 20 giugno 2010, sono 39 anni che sono sacerdote e sono felice.
Non per essere sacerdote, ma per essere di Cristo totalmente, per poter dire ogni giorno: “Tu o Cristo mio”.
Non avrei mai potuto immaginare quello che Dio avrebbe fatto di questo po’ di fango, nel quale ha infuso il soffio divino e che poi ha fatto riconoscere nel battesimo.
Un niente che Dio usa per mostrare la Sua misericordia a tutti ed in particolare, ai diversi “niente” per il mondo, esclusi da tutto e prossimi a morire o vittime delle peggiori violenze.
Oggi due miei figli (tantissimi) mi hanno fatto festa, i miei bambini mi hanno commosso per la loro tenerezza (oggi qui in Paraguay si celebra la festa di una figura che non esiste. Noi celebriamo solo la festa della famiglia), in particolare Maria, la bambina di 14 anni che da tre mesi viveva e dormiva per le strade.
Sola e sfruttata è arrivata al mattino, dopo essere stata picchiata, dai ragazzi come lei. Sporca, con uno zainetto sulle spalle. Adesso è felice.
Il piccolo Alberto (vedi foto), un anno e mezzo, peso kg 7, ammalato terminale perché nato con i due reni che non funzionano, abbandonato dalla mamma, eppure, vedete com’è contento, come gioca.
Solo un trapianto potrebbe salvarlo, non si può salvare. Ma come fare quaggiù dove la povertà è grande, e poi celeste e poi quello che suona la chitarra con un cancro, che gli ha mangiato la parte destra della bocca… eppure come cantava oggi per me!
Amici questa è la verginità, una pienezza di paternità, una pienezza che si compie riempiendo di gioia i miei pazienti terminali e i miei bambini.
Feliciano, ha perso una gamba, l’altra è una piaga puzzolente terribile. “Feliciano, come stai?” – “Padre, già il mio nome lo dice: felicissimo”. “E la gamba che ti manca?” – “E’ andata con il Signore ed io le ho detto: felice viaggio.” – “Come stai oggi Feliciano” – “Padre, tranquillissimo”. Ed ha i mesi contati.
Amici, “Può un uomo vecchio rinascere?” Quanto Carron ci dice lo vedo ogni momento in me ed in quanti soffrono e vivono con me.
Mi affido alle Vostre Preghiere, perché possa portare a termine bene la mia missione. 39 anni di sacerdozio sono tanti ed una grazia unica.
P. Aldo
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Sosteniamo l’assegnazione del Premio Nobel allo scrittore Eugenio Corti (Articoli 13)

Appoggio e faccio mia la campagna a sostegno della candidatura al nobel per la letteratura di Eugenio Corti.
Un primo articolo sull'argomento:

La provincia di Monza e Brianza (Lombardia), cuore della produttività italiana, ha deciso all’unanimità di spendersi ufficialmente per promuovore l’assegnazione del Nobel per la Letteratura al grande scrittore italiano Eugenio Corti, autore del famosissimo «Il cavallo rosso», considerato uno dei migliori romanzi europei degli ultimi 25 anni.
Il libro è stato affidato nel 1983 ad una casa editrice sconosciuta, ma presto lo si è tradotto in sette lingue e nel 2010 è arrivato alla sua 25° edizione.
Intorno a lui è nata in questi anni l’Associazione culturale internazionale Eugenio Corti.
Nei suoi libri emergono con grande stile, i grandi valori della cristianità e del cattolicesimo della terra brianzola e italiana, gli stessi che hanno costruito l’Europa.
Con una scrittura avvincente, Corti, getta un fascio di luce sulla storia, sottolineando le contraddizioni dei movimenti ideologici che hanno percorso il Novecento.

Come sostenere la candidatura al Premio Nobel.
E’ possibile procedere in uno dei seguenti modi:

1. Inviare un messaggio di posta elettronica al Comitato per l’Assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura ad Eugenio Corti all’indirizzo nobelcorti@aciec.org.
Occorre specificare il proprio: nome, cognome, data e luogo di nascita, professione, città e nazione di residenza.
2. Per la raccolta di più firme, scaricare e compliare questo modulo e spedirlo successivamente via posta elettronica, fax o posta ordinaria ai recapiti specificati nel modulo stesso. Il presidente del Comitato è il dott. Sergio Mandelli.

Onorificenze già ricevute.
Nel 1994 Eugenio Corti è risultato essere lo scrittore d’ispirazione cristiana più amato dal pubblico.
Nel 2000 ha ricevuto la Medaglia d’Oro al merito della Cultura Cattolica.
Nel 2007 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro da parte del comune di Milano.
Nel 2009 la Provincia di Milano gli ha conferito il premio Isimbardi e il 28 novembre, in un sondaggio effettuato da Le Figaro Magazine (il settimanale del quotidiano francese) tra venti intellettuali di spicco transalpini, è stata scelta l’opera di Corti, ad indicare il romanzo più importante apparso in Francia negli ultimi 25 anni.
Nel febbraio 2010 è stata la Regione ad attribuirgli il premio Lombardia, e ad un convegno a Milano, nel Palazzo reale, è stato proposto ufficialmente il nome di Corti per il Nobel e il riconoscimento di senatore a vita” della città.
Per sapere cosa si è detto di lui clicca QUI
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sabato 26 giugno 2010

Terzo di due (Post 95)

Torno ancora sull'argomento con questo ulteriore post in cui riporto le reazioni del post precedente sull'opposizione del vescovo di Cordova a concedere la Cattedrale ai mussulmani.
La reazione è stata particolarmente accesa sul gruppo di Facebook, dove qualcuno si è scagliato con veemenza a difesa dell'islam. Personalmente ho le mie idee ed in virtù di questo rispetto quelle degli altri.
Ma non accetto che si usino violenza verbale e maleducazione per esprimere le proprie idee.
Comunque ho già parlato molto nel gruppo di questo e non voglio ripetermi. In questo blog vorrei tentare di costruire e indicare un positivo e non fermarmi su ciò che è negativo.

Intanto una cosa molto positiva è il commento di Ana Maria la nostra amica argentina:
poreso no me canso de desirles a todos tenemos que seguir orando mucho mas por la iglesia y por el papa benedicto por los sarcedotes y por las religiosas para que tengamos una fe muy fuerte y firme para ser ejercito de cristo jesus orar hasta no caer orar hasta en todo los momento de dia y de la noche porque el rey de reyes pide que oremos la virgen maria vine siempre a pedir oremos el santo tosario por la convercion del mindo entero porque ella con sus pis aplasto la cabesa de satanas tenemos que orar todo momento y el rosario de la presiosisima sangre de crito y adoracion al santisimo ir amisa comulgar yconfesar y adirar acristo millones de gracias mi amado jesus paz y bien en amor de cristo jesus

Considerando che non sono portato per le lingue ho dovuto faticare un po' per tradurre il testo, ma credo di essere andato molto vicino al vero con questa mia versione (le due parole fra parentesi servono a mio avviso a comprendere meglio il testo). Se però uno può fornire una versione che mi fa capire essere più vera non ho problemi a correggermi. Questa dunque la versione italiana (secondo me):

per questo non mi stanco di dirlo a tutti: dobbiamo continuare a pregare molto per la chiesa e il papa benedetto. Per i sacerdoti e le suore che abbiano una fede forte e solida per essere esercito di Cristo Gesù. Pregare di non cadere (in tentazione) pregare giorno e notte, tutto il tempo perché il re dei re ci invita a pregare, la Vergine Maria è venuta a chiedere sempre che noi preghiamo il Santo Rosario per la conversione del mondo intero affinché Ella schiacci la testa a satana. Dobbiamo pregare ogni momento il Rosario, invocare il Preziosissimo Sangue di Cristo, adorare il Santissimo (Sacramento) praticare la Comunione e la Confessione. Aggiungere milioni di grazie al mio amato Gesù. Pace e bene nel nome di Cristo Gesù.

E già questo sarebbe un ottimo post.. La preghiera dovrebbe essere la base della vita di ogni cristiano.

Ma ecco in sequenza i commenti arrivati:
un anonimo autore dice:
Io sono pienamente d'accordo con il fatto ke il vescovo di Cordova non abbia concesso la cattedrale ai mussulmani per pregare.Sono due religioni molto diverse, come noi rispettiamo la loro cultura e la loro religione anche loro dovrebbero fare lo stesso. Buona giornata! (temo sia una pia illusione, ma spero di sbagliarmi)

Moira dice:
Non vedo il motivo per il quale il vescovo avrebbe dovuto concedere loro di pregare in una chiesa cristiana. Capisco invece benissimo l'intento di quei musulmani. Come ben si sa, secondo il Corano, una volta che un musulmano si "impadronisce" di un luogo di culto, quest'ultimo diviene automaticamente ed esclusivamente islamico. Del resto, i musulmani pregano molto spesso nelle propie case e all'aperto, rivolti verso la mecca no? Quindi che continuino a radunarsi nei propri luoghi di culto. E per chi non avesse capito la metafora della spada, visto che Gesù era mite ed umile di cuore, il secco No del vescovo è la "spada". Non tiriamoci mai indietro quando si tratta di avere il coraggio di difendere la cristianità, altrimento saremmo dei voltagabbana verso Ns. Signore.
Viva Gesù, Re dell'Universo! (è scritto che "chi mi rinnega di fronte agli uomini, io lo rinnegherò davanti al Padre Mio", pensiamoci prima di lasciare indifeso il Signore nostro Gesù Cristo)

un "anonimo" che si firma dice:
Concordo assolutamente con la scelta del vescovo. Queste cose accadono da quando si considera l'islam una religione di pace. In effetti l'islam è una religione dittatoriale,proprio per questo è più pericoloso. C'è differenza tra cristianesimo e islam,proprio perchè il primo è vita in Colui che è la Vita,il secondo è "terra nella terra". Mentre il cristiano sa di dover rinascere dall'alto in Colui che viene dall'Alto, l'islamico nasce dalla terra pensando di raggiungere il cielo. E' una religione esclusivamente umana. Pertanto bisogna finirla con queste aperture sproporzionate,anche da parte della Chiesa e che rischiano di "viziare" i musulmani,che mirano,"per fede" ad una forma di supremazia,calpestando i diritti del "vicino e del lontano". andrea
(a me interessa la promessa di pienezza che è presente nel cristianesimo, e che non vedo altrove. Questo mi basta.)
§§
A voi la parola anche se, preannuncio, non ci sarà un ulteriore post sull'argomento, almeno in tempi brevi, vorrei potermi dedicare anche ad altri argomenti.
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venerdì 25 giugno 2010

Islam (Post 94)

Ha avuto un esito impensato il post precedente sul rifiuto del Vescovo di Cordova a concedere la Cattedrale in uso ai mussulmani per le loro preghiere. Ho pensato quindi di proporli a voi tutti inserendo anche delle foto .
Personalmente considero assolutamente corretta la decisione del Vescovo e con me chi ha fatto i commenti, ma non tutti i commenti mi trovano d'accordo.
Ma procediamo con ordine, dei 5 commenti ricevuti al momento attuale, ben 4 sono anonimi e di questi 3 sono senza firma. Vediamo subito (solo perchè arrivato per primo) l'unico firmato:
Sono felice che finalmente un vescovo,abbia avuto il coraggio di negare apertamente e fermamente un qualcosa che ci porterebbe -come avviene in molti altri ambiti-alla totale accettazione e poi inevitabile sottomissione alla loro "religione-cultura",cosa che stanno tentando continuamente e spesso prepotentemente di attuare.
Del resto difendere la nostra fede in Cristo Gesù e relativi luoghi di culto non deve essere solo un diritto,bensì un DOVERE per ogni Cristiano Cattolico,in certi casi non si porge l'altra guancia, Gesù in un momento cruciale disse ai suoi :ora chi ha un mantello lo venda e aquisti una spada.
E pure oggi, anche se solo con un Santo e giustificatissimo NO',abbiamo l'obbligo di non lasciar calpestare liberamente il nome di Gesù e la sua Chiesa.
Sono sostanzialmente d'accordo con tutto quanto detto, tranne la citazione del vangelo che mi pare essere fuori luogo. Penso sia comunque vero il "diritto-dovere" di mantenere e difendere l'identità cristiana. Tutto sta in cosa noi veramente crediamo. Se Cristo è la ciò che più ci interessa e che più conta per noi DOBBIAMO difendeLo, diversamente uniamoci al coro dei sostenitori del tutto uguale a niente..
Il secondo commento non lo inserisco solo perchè scritto in maiuscolo e risulta di pensante lettura (colgo l'occasione per chedere a tutti di usare il minuscolo per scrivere i loro commenti, risultano molto più leggibili..) , ma è fondamentalmente su questa linea. Vi sono poi giudizi su alcune differenze con l'islam che sono tutte dell'autore e su cui non mi sento di intervenire. Potete comunque leggere il testo del commento voi stessi..
Il terzo (ho scoperto essere di una cara amica del centro italia) dice:
Sono solo perplessa, da una parte capisco che c'è il rischio di soccombere ad una religione intollerante, dall'altra non vorrei che tale rifiuto fosse un ostacolo all'unità della fede in un solo Dio...preghiamo affinché Dio ci illumini col la sua luce che fa chiarezza anche dove ci sono le tenebre o la nebbia...ciao, Gianandrea.
A mio avviso si tratta in realtà di un falso problema. Infatti è essendo ben radicati in ciò in cui crediamo che possiamo esserene testimoni attendibili.
L'alternativa è non saper proporre nulla e risultare insipidi figuri che non sanno guadagnarsi stima e rispetto dei nostri fratelli islamici.
Io non ti cedo la mia Chiesa perchè per me è troppo importante. E' il luogo dove concretamente, pienamente avviene e si rinnova il sacrificio salvifico di Cristo. Non è luogo di astratta e vuota memoria di un dio lontano e inconoscibile, ma il luogo della presenza concreta di un Dio vicino e incarnato.
Non è indifferente o equivalente invocare un dio inconoscibile che ha parlato una volta sola tramite un profeta morto e sepolto o dialogare con un Dio presente ora e sempre nella storia dell'uomo, che si è incarnato per rendersi compagno di strada dell'uomo, farsi da lui conoscere, condividere la sua fatica e redimere il suo peccato.
Mi pare ci sia una differenza abissale.
Inoltre non vedo perchè devo permettere di usare una chiesa in un Paese europeo quando in uno arabo non  mi è permesso avere un mio luogo di culto..
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Infine gli ultimi due commenti, quelli che mi vedono più perplesso...
Potete leggerli voi stessi e poi, parlandone assieme, cercare di capire cosa di vero c'è in essi. Solo un aiuto (che forse a voi non serve) se voleste capire cosa vuol dire l'autore del commento quando parla di Santa Sofia potete cliccare QUI.

giovedì 24 giugno 2010

Spagna, l'Islam non va in cattedrale (Articoli 12)

Riporto questo articolo e lo sottopongo all'attenzione dei lettori:

SPAGNA, L'ISLAM NON VA IN CATTEDRALE: finalmente un vescovo che nega qualcosa ai musulmani



di Michela Coricelli

I musulmani non posso­no pregare nella catte­drale di Cordova.
Per­mettere il cosiddetto «uso condiviso» sarebbe solo «un eufemismo, che significa: cattolici, andatevene via di qui». E al vescovo di Cordo­va, monsignor Demetrio Fernandez, gli eufemismi non piacciono per temi co­sì delicati.
Parla chiaro e ton­do, quando ricorda: «Dove pregano i musulmani non può pregare nessun altro». La questione è di vecchia da­ta: gruppi e associazioni i­slamiche reclamano la pos­sibilità di pregare nel tem­pio, che un tempo fu una moschea: nella città andalu­sa l’argomento è sempre di estrema attualità. Non sono mancati gli incidenti.
Lo scorso aprile un gruppo di turisti austriaci di religione islamica ag­gredì le guardie di sicurezza della catte­drale, che intervenne­ro quando questi cer­carono di pregare all’inter­no della chiesa. La vicenda terminò con diversi arresti.
Impossibile evitare l’argo­mento, a Cordova. Monsi­gnor Fernandez lo ha tocca­to in una recente intervista, in cui ha spiegato: «La ri­sposta alla richiesta sull’uso condiviso della cattedrale è no, non ce ne andiamo, per­ché in questo luogo la Chie­sa cattolica è presente da 16 secoli, men­tre i musul­mani vi so­no stati quattro se­coli e mez­zo ».
Non c’è volontà di polemica, al contrario. La Chiesa cattoli­ca – che è titolare del tempio attraverso il capitolo catte­dralizio di Cordova – ha «u­na buona relazione con i musulmani» e vuole colla­borare con chi professa la re­ligione islamica nella ricerca di «pace, giustizia e convi­venza fra popoli.
Ma questa è una cosa e un’altra cosa ben distinta è volere condi­videre lo stesso tempio per il culto». Impossibile. Sarebbe come «dire ai cattolici: ad­dio, buona notte. Sarebbe un’irresponsabilità».
Quan­do la città andalusa fu ri­conquistata dai cristiani, nel 1236, la moschea fu ricon­sacrata come Cattedrale di Santa Maria di Cordova. Per questo alcune organizzazio­ni islamiche ne rivendicano l’uso. Ma in realtà, sotto il tempio islamico, ci sono i re­sti della basilica dedicata al martire San Vincenzo, del VI o del VII secolo.


Michela Coricelli
16 giugno 2010
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martedì 22 giugno 2010

Cristiani a una svolta (Contributi 326)

Riporto da Il Sussidiario un articolo di Massimo Camisasca

C’è un evento misterioso nella storia della Chiesa che in modo particolare abita la mia riflessione: la sparizione di alcune antiche comunità cristiane, spazzate via dalla violenza, dalle divisioni fra i fratelli, dalla noncuranza degli altri popoli.
Già sant’Agostino, alla fine della sua vita, aveva avvertito, sotto il peso delle invasioni vandaliche, il brivido di questa tragica possibilità. L’Africa del Nord aveva allora circa 300 vescovi. A cosa si sarebbero ridotte quelle diocesi dopo la conquista musulmana? E le comunità nate dal primo viaggio apostolico di san Paolo, situabili nell’odierna Turchia? Non ne rimane quasi traccia. Tutto sembra ridotto a piccole presenze, perseguitate, che vengono conosciute per lo più a causa di tragici fatti di sangue.
Diversa è la situazione in Libano, Giordania, Siria, Terrasanta. Lì i cristiani sono state minoranze importanti o addirittura, in Libano, presenze la cui storia si identifica con la storia stessa della nazione. Eppure, dovunque in questi stati, assistiamo a un esodo che sembra non avere fine. La stessa cosa, e con il medesimo dolore, avviene in Iraq, soprattutto dopo la guerra anti Saddam, guerra che ha liberato il Paese dal dittatore, ma ha causato morte, immane distruzione e instabilità.
Manifestando grande attenzione a tutto ciò, insieme a una grande sollecitudine pastorale, il Papa ha voluto un Sinodo straordinario sulla presenza della Chiesa in Medio Oriente.
Siamo a un tornante decisivo della presenza dei Cristiani nei luoghi che hanno visto la gesta di Gesù e degli apostoli.
Quali speranze per la terra da cui la speranza stessa è sorta e si è diffusa in tutto il mondo?
Proviamo a immaginare, quasi percorrere, alcune linee fondamentali della riflessione sinodale.
La prima: l’unità dei Cristiani. I discepoli di Gesù devono imparare di nuovo, dopo secoli e, in taluni casi, millenni di divisioni, a pensare assieme e a lavorare assieme.
«Abbiamo un avvenire e dobbiamo prenderlo in mano» - afferma significativamente l’Instrumentum laboris del Sinodo. E continua: «Ciò dipenderà in gran parte dalla maniera con cui sapremo collaborare con gli uomini di buona volontà in vista del bene comune delle società di cui siamo membri. […]. Il nostro abbandono alla Provvidenza di Dio significa anche, da parte nostra, una maggiore comunione». La ridotta incidenza dei cristiani è, infatti, anche il frutto malato delle loro divisioni, delle loro incomprensioni quando non delle loro lotte interne.
Seconda: le potenze del mondo devono capire (ma sarà possibile?) che la sparizione dei cristiani dal Medio Oriente sarà una grave fonte di instabilità per quella regione, un passo indietro nel cammino verso la democrazia. «È opportuno ricordare - afferma il già citato documento - che i cristiani sono “cittadini indigeni” e che, pertanto, appartengono a pieno titolo al tessuto sociale e all’identità stessa dei loro rispettivi Paesi. La loro scomparsa rappresenterebbe una perdita per questo pluralismo che ha sempre caratterizzato i Paesi del Medio Oriente. Senza la voce cristiana, le società mediorientali risulterebbero impoverite».
Terza: le comunità cristiane del mondo occidentale devono sostenere con pellegrinaggi, con progetti di lavoro, finanziati attraverso fondi pubblici e privati, con campagne di stampa, la permanenza dei cristiani lì dove sono nati e cresciuti. La lotta al terrorismo è anch’essa parte di questa battaglia.
Davide contro Golia?
Parrebbe proprio di sì. Ma noi sappiamo anche come è andata a finire.
Tutto il segreto sta, dunque, nella fede e nel coraggio che sanno creare le premesse delle grandi svolte storiche. Se Dio vorrà.
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domenica 20 giugno 2010

Lo sguardo del Papa e l'abbraccio di milioni di sacerdoti (Contributi 325)

Suor Maria Gloria Riva ha fatto una testimonianza nella giornata conclusiva dell'anno sacerdotale, il testo è stato ripreso da CulturaCattolica. Credo sia una stupenda risposta a chi chiede, in modo più o meno sommessa, l'apertura al sacerdozio femminile. A questo, nella mia ignoranza, ho sempre risposto parlando di compiti diversi fra uomo e donna, entrambi importanti.
Queste le parole del discorso che aveva preparato (di quanto effettivamente detto esiste video):

Sono una monaca dell’Adorazione Eucaristica e mi trovo nella Diocesi di San Marino-Montefeltro. Guarderanno a Colui che hanno trafitto. L’intenso sguardo che traccia il Vangelo di Giovanni con i colori del profeta è quel solco entro il quale cresce e si sviluppa ogni esperienza contemplativa. E gli sguardi più carichi di com-passione che si consumavano sotto il Crocifisso erano quelli della Madre e del discepolo che egli amava. Cristo nell’ora suprema consegnò la Madre a una nuova maternità: Donna ecco tuo figlio, Figlio ecco tua Madre. E il discepolo la prese nella sua casa.

Vivo così, la mia dimensione materna e sponsale con quella Chiesa che mi ha preso nella Sua Casa: una Chiesa che mentre mi accoglie nella profondità del suo Mistero, mi chiede l’amorevole custodia del suo deposito, servito e diffuso anzitutto dai sacerdoti. Il Suo venerato predecessore Giovanni Paolo II lasciò a noi donne, nella sua bella lettera Mulieris Dignitatem, un compito straordinario: ad ogni donna è affidato l’uomo.
Sì, alla donna è sempre affidato l’uomo, qualunque condizione viva questa donna. Ma come per Maria l’esser Madre della Chiesa passò attraverso la concretezza del volto di Giovanni, di Pietro, di Luca... così la maternità spirituale della donna, specie della donna consacrata, passa attraverso quei discepoli che cadono sotto il raggio della sua azione.
Le claustrali, tutte le claustrali, ma soprattutto quelle che vivono la loro donazione ai piedi del Santissimo Sacramento esposto, Sacrificato e glorioso, sono le Madri, le sorelle e financo le spose dei ministri di Dio.
Madri perché nel silenzio della loro vita e della loro preghiera, nella donazione quotidiana che si consuma nei piccoli gesti diuturni densi di sacrificio e di lacrime, generano nuovi figli alla Chiesa, sostengono il cammino vocazionale di innumerevoli seminaristi, sono - come amava dire Teresa di Lisieux - il cuore della Chiesa, un cuore di Madre.
Sono sorelle nella disponibilità all’ascolto, all’incontro, nella compagnia affettiva ed effettiva di quell’amore che il proprio vescovo rivolge al Santo Padre, nella fedeltà amorevole alla Chiesa anche quando si rivela fragile e con le ferite di chi, vivendo nella trincea del mondo, cade nella contraddizione e nell’errore.
Siamo spose per quella unità profonda e realmente indissolubile che ci lega ai sacerdoti proprio in quel sacramento sponsale che è l’Eucaristia.
Non c’è vincolo più grande di quello della preghiera e del Sacramento per eccellenza che è il Santissimo.
È in questo Sacramento che si consuma l’unione profonda dell’offerta di tutta la nostra vita - con la sua umanità, la sua affettività, la sua sessualità - a Cristo.
Qui l’unione tocca il vertice, così il sacerdote offrendo quel Sacramento sull’altare è realmente lo Sposo della Chiesa: di quella chiesa, Santità, di cui noi claustrali - indegnamente ma con animo grato e commosso - siamo il segno più evidente.
Nei Monasteri di vita contemplativa si vive spesso faticosamente, ma non di rado vittoriosamente, l’osmosi tra le istanze e le possibilità del mondo moderno: tra la grande vitalità dei Movimenti che danno oggi innumerevoli vocazioni alla Chiesa e le più antiche e preziose tradizioni. Nei Monasteri avviene realmente l’unione fra Chiesa istituzionale e carismi fra l’austera bellezza del gregoriano e i moderni mezzi di comunicazione sociali. Come tante claustrali noi stesse abbiamo un sito che raccoglie richieste di preghiere e di approfondimento della nostra fede. Moltissimi sono i sacerdoti che mediante questo mezzo vengono ad incontrarci raccontando le loro fatiche apostoliche e le loro solitudini; colmate, talvolta, dalla nostra silenziosa ma fedele e accogliente presenza.
Siamo grate a Dio di questa maternità universale che ci caratterizza e trova nella Vergine Madre il modello più alto.
Concludo facendomi eco di tutte le monache adoratrici che trovano nella beata Maria Maddalena dell’Incarnazione un modello e un esempio di amore alla chiesa e ai suoi ministri ma anche di tutte le nostre sorelle Agostiniane e di tutta la varietà straordinaria di monache claustrali e contemplative: mi lasci dire Santità che noi siamo con lei. Noi viviamo nella più grande stima di lei e dei vescovi e dei sacerdoti che uniti a lei pagano oggi con la vita la fedeltà a una chiesa che vive costantemente fra le tribolazioni del mondo e la consolazione di Dio.
Chiediamo a tutti voi la benedizione del Signore e la grazia ardita di essere Madri del Pontificato di Benedetto XVI, di cui siamo devotamente figlie.
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sabato 19 giugno 2010

La crisi esorta a riscoprire la vera carità (Contributi 324)

Discorso al congresso annuale della Diocesi di Roma



CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 18 giugno 2010 (ZENIT.org).
L'attuale crisi economica e sociale esorta a riscoprire l'autentico senso della carità, che implica il fatto di andare in aiuto dei fratelli per mostrare loro l'amore con cui il Padre li ama, ha affermato Benedetto XVI.
L'autentica carità si comprende nell'Eucaristia, il sacramento della presenza reale di Gesù Cristo, che trasforma i cuori per poi trasformare il mondo, ha dichiarato questo martedì pomeriggio nel discorso che ha pronunciato nella Basilica di San Giovanni in Laterano inaugurando il congresso annuale della Diocesi di Roma.
"In un tempo come il presente di crisi economica e sociale, siamo solidali con coloro che vivono nell'indigenza per offrire a tutti la speranza di un domani migliore e degno dell'uomo", ha spiegato.
"Se realmente vivremo come discepoli del Dio-Carità, aiuteremo gli abitanti di Roma a scoprirsi fratelli e figli dell'unico Padre".
Il Pontefice ha quindi ricordato che "i bisogni e la povertà di tanti uomini e donne ci interpellano profondamente: è Cristo stesso che ogni giorno, nei poveri, ci chiede di essere sfamato e dissetato, visitato negli ospedali e nelle carceri, accolto e vestito".
La celebrazione dell'Eucaristia, ha proseguito, "ci rende capaci di diventare, a nostra volta, pane spezzato per i fratelli, venendo incontro alle loro esigenze e donando noi stessi".
"Per questo una celebrazione eucaristica che non conduce ad incontrare gli uomini lì dove essi vivono, lavorano e soffrono, per portare loro l'amore di Dio, non manifesta la verità che racchiude", ha denunciato.
"Quando riceviamo Cristo, l'amore di Dio si espande nel nostro intimo, modifica radicalmente il nostro cuore e ci rende capaci di gesti che, per la forza diffusiva del bene, possono trasformare la vita di coloro che ci sono accanto".
"La carità è in grado di generare un cambiamento autentico e permanente della società, agendo nei cuori e nelle menti degli uomini, e quando è vissuta nella verità è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera", ha sottolineato.

VEDI ANCHE QUI
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Ecco perché anche la tragedia di Sanaa ha un senso (Contributi 323)

Sempre da Il Sussidiario un articolo di Souad Sbai facendo presente che l'autrice è giornalista e parlamentare di religione islamica:

La sentenza di condanna all’ergastolo emessa contro El KAtawi Dafani, il padre omicida della povera Sanaa Dafani, rappresenta una pietra miliare che va a costituire un precedente importantissimo per l’ordinamento giuridico italiano.
Le vicende legate alla triste fine della ragazza, che oggi è ormai cronaca raccontata da tutta la stampa locale e nazionale, dopo l’ondata di indignazione suscitata non solo nell’opinione pubblica italiana, ma anche fra tutti i musulmani moderati che combattono giornalmente per affermare un Islam moderno, riformista, moderato, al riparo dalle velenose e subdole spire dell’estremismo, hanno risvolti giuridici essenziali.
Il collegio di difesa del padre-orco aveva chiesto, durante l’udienza dello scorso 14 giugno, che venissero riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, l’attenuante culturale, l’attenuante della riduzione del rito e il minimo della pena in base ai presupposti che l’uomo non aveva mai picchiato la figlia, ma che l'aveva cresciuta con amore. Il giudice Patrizia Botteri non le ha fortunatamente concesse.
Come è stato dimostrato nella fase istruttoria del processo, l’omicida ha agito con premeditazione infliggendo alla vittima sevizie e crudeltà punibili secondo l’aggravante 61 numero 4 del codice penale che, assieme all’aggravante della premeditazione, sono state punite con l’ergastolo, la cui sentenza è scaturita dalla condanna ai 30 anni più il cumulo con l’isolamento diurno.
Premesso che in Italia il delitto d’onore è stato abolito da tempo, un crimine tanto efferato in cui un padre uccide una figlia, credendo di poter assurdamente lavare un'onta inesistente col sangue di un'innocente, doveva essere sanzionato con una pena esemplare. L’omicidio di Sanaa non è stato soltanto quello di un genitore contro la propria stessa prole, ma un attentato contro l’integrazione e contro le stesse istituzioni democratiche dello Stato.
E’ stato un delitto dove ad essere uccisa è stata tutta quella parte delle seconde generazioni che si è saputa e voluta integrare e che ha fatto della propria diversità un valore. Non una prigione, non una condizione paradossalmente e superbamente elitaria. E’ stato il crimine commesso in nome dell’appartenenza a un ghetto comunitario incapace di guardare all’altro da sé, inamovibile, asserragliato. E’ stato un omicidio che ha fatto della propria diversità culturale un vessillo identitario che servisse da monito a tutta la comunità di Pordenone.
Ed infatti l’aula del tribunale era vuota: non una donna o un uomo marocchino a sostenere la memoria di Sanaa, per il terrore delle ripercussioni. Non una di quelle tante femministe coraggiose a parole ma non nei fatti, prone a quell'ideologia multiculturale lassista che ha prodotto disastri.
Il precedente che il giudice Botteri ha sancito al processo è quello secondo il quale l’ordinamento giuridico italiano garantisce il diritto alla libertà di scelta, di pensiero, alla parità tra uomo e donna, all’uguaglianza. Omicidi come quello della povera Sanaa sono contrari al nostro ordinamento e sono figli di una concezione distorta del diritto che non può e non deve essere lasciata filtrare in Italia come invece accaduto in Germania a causa di una magistratura complice e timorosa.
Per questo ritengo che sia giunto il momento di fare in modo, come ho proposto recentemente, che non sia possibile riconoscere attenuanti di tipo culturale, etnico o religioso, che minano il concetto stesso di diritto positivo maturato dopo anni di battaglie per la conquista dei diritti inalienabili dell’essere umano codificati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, universale perché corrispondente all’universo mondo!
Dobbiamo invece lavorare affinché nel nostro ordinamento venga introdotta la fattispecie di aggravante culturale in base alla quale, se un delitto venga commesso in nome dell'obbedienza a tradizioni, usanze e regole inaccettabili, esso non solo debba essere in un certo qual modo compreso, ma la pena prevista debba essere appesantita nel rispetto dell’universalità sancita a New York nel 1948!
Non siamo più disposti a permettere che forme di segregazione, di violenza, di sopruso, possano essere fatte prevalere sulla sacralità della vita. Dobbiamo spalancare quelle porte che per troppo tempo sono rimaste serrate, per risvegliare le menti di chi è ancora accecato dalla paura, dall’indifferenza o annichilito da un pensiero tanto relativista da garantire il perpetuarsi di questi massacri.
Per far capire all’opinione pubblica che queste storie che sembrano accadute in un passato remoto, sospeso quasi in una dimensione senza tempo, in Paesi lontanissimi, si sono verificate nell’Italia di oggi.
Siamo state, siamo e continueremo ad essere tutte Sanaa, finché l’ultimo di questi crimini contro i figli e le figlie dell’Uomo non restino solo un ricordo sbiadito.
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I musulmani imparino dagli errori di noi cristiani d’occidente (Contributi 322)

Riporto da Il Sussidiario questo testo di Angelo Scola, Patriarca di Venezia:

Sono trascorsi ormai alcuni giorni dal ritorno del Papa da Cipro e forse proprio questa distanza permette di rilevare ancor più la sostanza particolare di questa tappa del Pontificato di Benedetto XVI.
È stato un viaggio impressionante non solo per il grande valore di quella terra legata alla missione di San Paolo; non solo per la ricchezza di riflessioni e dichiarazioni, ma proprio per la testimonianza, resa dal Papa, di una fede ben radicata nella storia presente: la messa in guardia sul possibile “spargimento di sangue” in Medio oriente, l’incontro con Chrysostomos II, l’abbraccio con la locale comunità cattolica, la consegna dell’Instrumentum Laboris ai Vescovi e la dichiarazione circa la necessità di un dialogo con i fratelli musulmani, con l’immediata chiarificazione, così tipica del Papa, circa il significato del termine “fratelli”. Questa è stata una scelta lessicale voluta, in un momento in cui il mondo era profondamente turbato per l’omicidio di Mons. Padovese, il vescovo barbaramente ucciso nella sua casa la cui testimonianza getta una luce intensa sullo stesso viaggio di Benedetto XVI.
Qualche mese fa in un incontro per noi fondamentale nella Basilica-Cattedrale di San Marco, parlando della Chiesa in Turchia, Mons. Luigi Padovese disse tra l’altro: «Se, come è avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltà, ma stiamo rendendoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, è una strada senza ritorno che non fa giustizia alla storia cristiana di questi paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue» (Seconda Assemblea ecclesiale, 11 ottobre 2009).
Il viaggio a Cipro ha mostrato inoltre come la fede cristiana intercetti le domande e i bisogni quotidiani dell’uomo e delle donne di oggi e nello stesso tempo abbia a cuore il travaglio dei popoli (basti pensare al dolore del Papa per la divisione dell’isola). Il modo con cui Benedetto XVI si è mosso a Cipro, in uno scacchiere mediorientale che ha vanamente logorato le intelligenze dei migliori statisti del mondo, è una dimostrazione eloquente che la fede possiede oggi una forte dignità culturale anche sul piano umano e della costruzione del bene comune.
Il problema più grave in Medio Oriente è quello della violenza. La violenza contro i cristiani, il conflitto permanente tra israeliani e palestinesi, ma anche la violenza tra musulmani: noi tendiamo a vedere solo il terrorismo che colpisce l’Occidente, ma le stragi più grandi sono avvenute ai danni dei musulmani stessi. In Algeria, solo per citare uno tra i tanti esempi, la guerra civile degli anni ’90 ha fatto più di 200.000 morti.
Normalmente si dice che per evitare la violenza occorre favorire l’educazione.
E naturalmente è vero, a patto però che si chiarisca di quale educazione si tratta.
C’è un’educazione che chiude e rende violenti, un’altra che dissolve la persona spezzando i suoi rapporti con le persone che la generano. Abbiamo bisogno di pratiche educative che sappiano coniugare verità e libertà. Questo è preliminare a qualsiasi discorso sul dialogo.
C’è un dialogo teologico, che nella Chiesa cattolica è affidato al Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. C’è un dialogo della vita, che tocca tutti i fedeli, in Medio Oriente ma anche nelle Chiese di Europa.
Penso alla mia diocesi, a Venezia, e al Veneto, dove sempre più si devono fare i conti con la presenza dei musulmani. E c’è un dialogo che mette a tema le inevitabili interpretazioni culturali di ogni fede religiosa e delle sue implicazioni per l’uomo e la società attuale. La Fondazione Oasis nata a Venezia, ma presente in tutto il mondo, e che si riunirà la prossima settimana a Beirut, situa la sua articolata azione soprattutto a questo livello. Per quest’ultimo aspetto mi pare decisivo che i musulmani sappiano aprirsi all’esperienza dei cristiani d’Occidente. In Occidente i cristiani sono passati attraverso il cesaropapismo e la teocrazia, ma oggi sanno giocarsi e documentare la rilevanza pubblica della loro fede nel pieno rispetto delle società laiche plurali in cui vivono. I musulmani possono trarre profitto da quest’esperienza, così come noi possiamo imparare da loro su altri terreni.
Rispetto a tutte queste questioni brucianti, con il suo carisma, la sua personale testimonianza ed il suo rigoroso giudizio, il Papa è un lungo passo avanti a noi Vescovi, sacerdoti e laici: ora tocca a noi seguirne l’esempio mostrando la suprema “convenienza” dell’essere cristiani oggi.

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