Benvenuti

Questo blog è uno spazio per aiutarsi a riprendere a pensare da cattolici, alla luce della vera fede e della sana dottrina, cosa che la società moderna sta completamente trascurando se non perseguitando. Un aiuto (in primo luogo a me stesso) a restare sulla retta via e a continuare a camminare verso Gesù Cristo, Via Verità e Vita.
Ogni suggerimento e/o contributo in questa direzione è ben gradito.
Affido allo Spirito Santo di Dio, a Maria Santissima, al Sacro Cuore di Gesù e a San Michele Arcangelo questo lavoro di testimonianza e apostolato.
Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

domenica 28 settembre 2014

Zafar Bhatti, ennesima vittima (Contributi 984)

Ecco un articolo da La Bussola


Il reverendo Zafar Bhatti, presidente della Jesus World Mission in Pakistan, era in carcere dal 2012 con l’accusa di blasfemia. Nella notte fra il 24 e il 25 settembre è stato freddato a colpi di pistola nella sua cella. Secondo fonti anonime di Asia News, sarebbe stato assassinato dalle guardie carcerarie. La stessa vittima diceva, da tempo, di subire continue minacce dagli altri compagni di carcere e dalle stesse guardie preposte alla sua sicurezza e incolumità. Alla fine è stato condannato a morte, pur essendo ancora sotto processo e mai dichiarato colpevole. La sua è l’ennesima esecuzione extra-giudiziaria in un Paese in cui basta un semplice sospetto per essere accusati di blasfemia.
Il caso di Zafar Bhatti è incredibile, se letto con i criteri giudiziari a cui siamo abituati. È stato arrestato solo in base ad un’unica testimonianza, quella del leader islamico Ahmed Khan vice-segretario del movimento Jamat Ehl-e-Sunnat. È stato accusato senza alcuna prova. L’origine del suo caso sarebbe un messaggio lasciato nella segreteria telefonica di Khan, ricevuto da un numero visibile ma non in rubrica. Il numero, secondo le successive indagini, apparteneva Ghazala Khan, cugina dell’accusatore. La donna, arrestata anch’ella per blasfemia, è stata poi rilasciata a dicembre. Zafar Bhatti, invece, pur proclamandosi innocente e non avendo prove a suo carico, è rimasto in galera. Perché secondo Ahmed Khan era lui l’autore delle frasi ingiuriose lasciate sulla segreteria telefonica. E soprattutto perché lo stesso Ahmed Khan ha minacciato di scatenare l’ala oltranzista del suo movimento, in un pogrom anti-cristiano, se il reverendo cristiano non fosse stato arrestato e posto sotto processo. Questo avveniva nel luglio del 2012. A più di due anni di distanza, Bhatti era ancora innocente e in attesa di giudizio quando è stato assassinato. A nulla sono servite le proteste della comunità cristiana e le pressioni sulle autorità: Bhatti non è mai tornato in libertà. In carcere ha subito abusi, torture e pestaggi, ma si è sempre dichiarato innocente.
Zafar Bhatti, insomma, è l’ennesimo capro espiatorio, l’ennesima vittima dell’articolo 295 del codice penale pakistano, la “legge nera” sulla blasfemia. In teoria questa norma esiste da più di un secolo e mezzo, parte del codice penale locale fin dal 1860, ancora ai tempi dell’Impero Britannico. Ma ha assunto una rilevanza costituzionale solo nel 1986, quando l’allora dittatore Zia ul Haq iniziò a implementarla sul serio e in chiave fortemente discriminatoria contro la minoranza non musulmana del Paese. Prima del 1986, i casi di processi per blasfemia furono solo 14. Dopo quella data, fino ad oggi, si contano 1274 persone incarcerate. Più della metà di questi appartengono alla minoranza cristiana e ad altre religioni non musulmane. Il 50% dei casi su minoranze che, tutte assieme, non superano il 4% della popolazione.
Fra i casi più famosi, conosciamo bene quelli di Asia Bibi, tuttora in carcere dal 2010 e in attesa di sentenza capitale per aver chiesto alle sue compagne di lavoro, nella sua fattoria, “Gesù è morto in croce per la nostra salvezza, cosa ha fatto per voi il vostro Maometto?”. Così dicono le sue compagne di lavoro, senza uno straccio di prova: basta questo per vedersi condannare a morte. Il governatore del Punjab, Salman Taseer, promise che Asia Bibi sarebbe tornata presto libera, perché lui stesso si sarebbe interessato al caso, dopo la forte emozione suscitata in tutto il mondo: venne assassinato nel gennaio del 2011. Il marzo successivo toccò a Sahbaz Bhatti, ministro delle Minoranze, anch’egli convinto difensore degli innocenti in carcere e impegnato a risolvere il caso Asia Bibi: venne freddato da una sua guardia del corpo, un estremista islamico che gli era stato assegnato come scorta. Il caso Asia Bibi, dunque, vede tuttora una innocente in carcere e due politici di alto profilo condannati a una morte extra-giudiziale.
Un’altra cristiana il cui caso è finito sotto i riflettori del mondo, è Rimsha Masih, incarcerata dal 2012, con l’accusa di aver strappato pagina dalla sua copia del Corano. In questo caso la giustizia pakistana è riuscita a dimostrare che la “blasfema” era innocente, poiché le prove erano state fabbricate dal leader religioso islamico Hafiz Mohammad Chishti. Rimsha ha dovuto abbandonare il Pakistan, esule in Canada. È una fuggitiva che potrebbe ancora rischiare la morte, nel caso dovesse incontrare qualche altro espatriato estremista islamico con voglia di vendicare un delitto religioso mai commesso.
Le condanne capitali non sono mai state eseguite, ma le esecuzioni extra-giudiziali sono almeno 61, dal 1986 ad oggi. Cristiani uccisi nei pogrom, ammazzati dalle loro guardie, avvelenati in casa loro. Come nel caso di Tahir Iqbal, un musulmano convertito al cristianesimo, avvelenato nel 1992 dopo essere stato assolto dall’accusa di blasfemia. Oppure Bantu e Mukhtar Masih, pugnalati a morte all’interno di una stazione di polizia a Lahore, sotto gli occhi delle forze dell’ordine. Prima di morire, portati in ospedale, la polizia li aveva costretti a non spiccare denuncia contro gli assalitori. Manzoor Masih, assassinato fuori dal tribunale, dove era stato assolto dall’accusa di aver lasciato scritte blasfeme sul muro di una moschea di Lahore: era analfabeta, non avrebbe neppure fisicamente potuto scrivere quei graffiti. Minacciati di morte e feriti nello stesso attentato, i suoi familiari sono riusciti a fuggire dal Pakistan. Non il giudice che li aveva assolti, Arif Iqbal Bhatti, ucciso nel 1997 da estremisti islamici. Se la “folla” decide che un cristiano deve morire, lo uccide, indipendentemente dalle sentenze. Questo principio è stato ben compreso dagli altri magistrati che, dopo il 1997, hanno iniziato ad applicare la legge in modo molto più severo, senza controllare troppo la veridicità delle prove e rendendo un’eccezione rara la scarcerazione di un imputato.
Talvolta non si passa neppure per le complicazioni di un processo. La folla lincia direttamente il “blasfemo”, oppure la polizia lo ammazza quando è in custodia, senza neppure accertarsi che lo sia. È il caso di Hafiz Farooq Sajjad, musulmano, lapidato dalla folla perché la sua copia del Corano avrebbe preso fuoco a casa sua, nel 2000. O di Muhammad Yousuf Ali, un imam che predicava la tolleranza, assassinato in carcere dalle guardie, nel 2002. O Samuel Masih, accusato da passanti di aver sputato su una moschea: arrestato, ha contratto la tubercolosi in carcere ed è stato assassinato da una guardia carceraria mentre era in ospedale, nel 2003. E ancora nel 2012, la polizia, che teneva in custodia un uomo mentalmente instabile, lo ha abbandonato al linciaggio della folla. Accusato di aver bruciato il Corano, è stato lui stesso bruciato vivo in piazza, sotto gli occhi della polizia.
Attualmente ci sono 17 persone in attesa della sentenza capitale per blasfemia, fra cui Asia Bibi. Probabilmente si tratta di condanne che non verranno mai eseguite. Non da un boia di Stato, per lo meno. Ma per loro, essere in carcere o liberi equivale a un rischio quotidiano di morte. Per un cristiano, così come per un musulmano sospettato di blasfemia, l’unica via di salvezza è la fuga dal Pakistan.
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Domenica 26^ t. ord. "A" 28-9-2014 (Angelus 212)

Prima di concludere questa celebrazione, desidero salutare tutti i pellegrini, specialmente voi anziani, venuti da tanti Paesi. Grazie di cuore!
Rivolgo un cordiale saluto ai partecipanti al convegno-pellegrinaggio “Cantare la fede”, promosso in occasione del trentesimo anniversario del coro della diocesi di Roma. Grazie per la vostra presenza, e grazie per avere animato con il canto questa celebrazione,  affiancandovi alla Cappella Sistina. Continuate a svolgere con gioia e generosità il servizio liturgico nelle vostre comunità!
Ieri, a Madrid, è stato proclamato Beato il Vescovo Álvaro del Portillo; la sua esemplare testimonianza cristiana e sacerdotale, possa suscitare in molti il desiderio di aderire sempre più a Cristo e al Vangelo.
Domenica prossima inizierà l’Assemblea Sinodale sul tema della famiglia. È qui presente il responsabile principale, il Cardinale Baldisseri: pregate per lui. Invito tutti, singoli e comunità, a pregare per questo importante evento e affido questa intenzione all’intercessione di Maria Salus Populi Romani.
Adesso preghiamo insieme l’Angelus. Con questa preghiera invochiamo la protezione di Maria per gli anziani del mondo intero, in modo particolare per quelli che vivono situazioni di maggiore difficoltà.
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venerdì 26 settembre 2014

Aperti alla volontà del Padre (Contributi 983)

Ecco un articolo di Don Domenico Mongiello dal sito della Fraternità Sacerdotale San Carlo

«Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34).
Gesù fa la volontà del Padre in ogni momento della sua esistenza terrena. Ascolta la sua voce quando prega nel deserto e quando seda la tempesta, quando si trasfigura sul monte e quando viene flagellato.
L’ascolto profondo del Padre è il nutrimento che rende la sua vita unica e luminosa. Rappresenta allo stesso tempo un nuovo inizio nella storia dell’umanità, perché mostra la volontà di Dio non come volontà di potenza, ma come amore che vuole essere desiderato ed accettato liberamente.
La vita di Gesù è l’accettazione di una volontà non sua, di cui è certo perché certo dell’amore da cui proviene. In ogni istante è il «mandato», sempre disponibile ad accogliere la novità che viene dal Padre, aperto alla manifestazione del suo amore, quasi in sospeso fra cielo e terra.
Chi vuole seguirlo deve accettare questo dislocamento, l’affidamento a una sapienza più grande che sfugge alle logiche mondane e rifiuta di accontentarsi di piccole certezze. «Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”» (Lc 9,57-58).
Così Gesù svela che, per mezzo della sua persona, il Padre parla sempre anche a coloro che desiderano che sia fatta la sua volontà «in cielo ed in terra». Possiamo intraprendere anche noi la via che ha indicato ai suoi discepoli, se accettiamo di aprire il nostro animo all’ascolto e ci rendiamo disponibili a seguirlo senza condizioni e preconcetti.
Questa posizione del cuore porta frutti di salvezza nel mondo perché permette al Padre di continuare ad intervenire nella storia.
Nelle nostre missioni si possono vedere tanti segni della volontà di Dio in atto, che continua ad operare il bene nel mondo. In Cile, dove molti ragazzi che incontriamo nelle nostre parrocchie desiderano conoscere e seguire la persona di Cristo. A Nairobi, dove risplende la bellezza dell’incontro con il popolo keniota, così giovane e aperto al rapporto con Dio. A Taipei, dove si gioisce per l’incontro con una singola persona, come un avvenimento che ricorda i racconti delle prime comunità cristiane.
Non si può fare a meno di pensare che tutti questi frutti sono stati possibili per la disponibilità di alcuni che hanno accettato di partire seguendo la volontà di Dio, facendo quasi «una pazzia», per permettere un nuovo inizio della vita di Cristo in quei posti.
Questa pazzia non è irragionevole perché suscitata da Cristo stesso come eco del suo affidamento al Padre. Così l’inizio che visibilmente sorge nel mondo con Cristo, e quello che egli crea nell’uomo, formano una sola cosa. Dove questa unità accade, là si trova la nostra maggiore soddisfazione.

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martedì 23 settembre 2014

Decontaminazione indispensabile (Interventi 206)


(Esodo 3, 5)

Ho percorso innumerevoli volte la strada che da Cagayan de Oro porta a Malaybalay - la città più importante della provincia di Bukidnon, nelle Filippine. Quando l'autobus entrava nella provincia di Bukidnon, si fermava a un centro di disinfestazione e tutti i passeggeri
dovevano scendere. In quella regione ci sono i maggiori allevamenti di bestiame delle Filippine, e come misura di prevenzione dovevamo passare su dei tappetini imbevuti di una sostanza disinfettante che inumidiva la suola delle scarpe ed era efficace contro il virus dell'afta epizootica. Era necessario disinfettarsi dai virus prima di entrare in un territorio che doveva rimanere sempre "pulito".
Mentre i miei piedi calpestavano il tappetino disinfettante, la mia mente riandava alla scena di decontaminazione che sta scritta nella Parola di Dio. Tutti ricordiamo molto bene l'ordine che Dio ha dato ha Mosè quando gli ha parlato dal roveto ardente. Sta scritto in Esodo 3,5:
«Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!».
A Giosuè fu dato un ordine simile quando incontrò il Signore a Gerico: «Rispose il capo dell'esercito del Signore a Giosuè: "Togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale tu stai è santo"» (Giosuè 5,15). C'è un importante simbolismo in questo comando del Signore a due dei Suoi più grandi servitori. Le tue scarpe sono probabilmente la parte più sporca e contaminata della tua persona, e portano in giro tutto lo sporco che hai raccolto da una parte o dall'altra. E Dio ti dice: "Non arrivare alla Mia Presenza con materiale infetto. Tira via tutto lo sporco che hai prima di venirmi vicino!"
Il che è qualcosa che troppo spesso ci dimentichiamo di fare. In un certo senso, pretendiamo di avvicinarci tranquillamente al Dio che è
purezza assoluta con le nostre scarpe sporche - piene di immondizia. A Bukidnon non volevano che entrassi con le scarpe infette - e nemmeno Dio vuole che tu vada da Lui con tutta la sporcizia che hai accumulato. Andresti mai a trovare qualcuno che ti sta a cuore carico di sporcizia?
Questa potrebbe essere stata - o potrebbe ancora essere una ragione per cui le tue preghiere non sono ascoltate. Il Salmo 65,18 dice: «Se nel mio cuore avessi cercato il male, | il Signore non mi avrebbe ascoltato». Per questo è importante che tu ti confronti regolarmente col tuo peccato, chiedendo perdono a Dio e lavando ancora una volta le
tue colpe col sangue di Gesù. Se sei sporco non aspetti una settimana prima di farti la doccia - e ti lavi regolarmente per togliere lo sporco dal tuo corpo. Cosa aspetti allora a incontrare la misericordia di Dio attraverso una confessione ben fatta?
Forse sei contaminato dalla durezza di cuore verso qualche persona, da risentimenti, dalla lussuria, dalla rabbia, da cose che non avresti mai dovuto permetterti di sentire o vedere. Ascolta che cosa Dio ti dice in 2 Corinzi 7,1: «Purifichiamoci da ogni macchia della carne e
dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio»
.
Non portare lo sporco dove non bisogna - davanti al tuo Signore che è morto perché tu non abbia più da vivere come prima. Lascia le tue infezioni sul tappetino disinfettante cosparso col sangue di Gesù - e lascia che Lui ti purifichi di nuovo.
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto
don Luciano

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Domenica 25^ t. ord. "A" 21-9-2014 (Angelus 211)

Tirana - Viaggio Apostolico


Cari fratelli e sorelle,
prima di concludere questa Celebrazione, desidero salutare tutti voi, venuti dall’Albania e dai Paesi vicini. Vi ringrazio per la vostra presenza e per la testimonianza della vostra fede.
In modo particolare mi rivolgo a voi giovani! Dicono che l’Albania è il Paese più giovane dell’Europa e mi rivolgo a voi. Vi invito a costruire la vostra esistenza su Gesù Cristo, su Dio: chi costruisce su Dio costruisce sulla roccia, perché Lui è sempre fedele, anche se noi manchiamo di fedeltà (cfr 2 Tm 2,13). Gesù ci conosce meglio di chiunque altro; quando sbagliamo, non ci condanna ma ci dice: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Cari giovani, voi siete la nuova generazione, la nuova generazione dell’Albania, il futuro della Patria. Con la forza del Vangelo e l’esempio dei vostri antenati e l’esempio dei vostri martiri, sappiate dire no all’idolatria del denaro - no all’idolatria del denaro! - no alla falsa libertà individualista, no alle dipendenze e alla violenza; e dire invece sì alla cultura dell’incontro e della solidarietà, sì alla bellezza inseparabile dal bene e dal vero; sì alla vita spesa con animo grande ma fedele nelle piccole cose. Così costruirete un’Albania migliore e un mondo migliore, sulle tracce dei vostri antenati.
Ci rivolgiamo ora alla Vergine Madre, che venerate soprattutto col titolo di «Nostra Signora del Buon Consiglio». Mi reco spiritualmente al suo Santuario di Scutari, a voi tanto caro, e le affido tutta la Chiesa in Albania e l’intero popolo albanese, in particolare le famiglie, i bambini e gli anziani, che sono la memoria viva del popolo. La Madonna vi guidi a camminare “insieme con Dio, verso la speranza che non delude mai”.
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lunedì 15 settembre 2014

Esaltazione Santa Croce (Angelus 210)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il 14 settembre la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Qualche persona non cristiana potrebbe domandarci: perché “esaltare” la croce? Possiamo rispondere che noi non esaltiamo una croce qualsiasi, o tutte le croci: esaltiamo la Croce di Gesù, perché in essa si è rivelato al massimo l’amore di Dio per l’umanità. È quello che ci ricorda il Vangelo di Giovanni nella liturgia odierna: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito» (3,16). Il Padre ha “dato” il Figlio per salvarci, e questo ha comportato la morte di Gesù, e la morte in croce. Perché? Perché è stata necessaria la Croce? A causa della gravità del male che ci teneva schiavi. La Croce di Gesù esprime tutt’e due le cose: tutta la forza negativa del male, e tutta la mite onnipotenza della misericordia di Dio. La Croce sembra decretare il fallimento di Gesù, ma in realtà segna la sua vittoria. Sul Calvario, quelli che lo deridevano gli dicevano: “Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce” (cfr Mt 27,40). Ma era vero il contrario: proprio perché era il Figlio di Dio Gesù stava lì, sulla croce, fedele fino alla fine al disegno d’amore del Padre. E proprio per questo Dio ha «esaltato» Gesù (Fil2,9), conferendogli una regalità universale.
E quando volgiamo lo sguardo alla Croce dove Gesù è stato inchiodato, contempliamo il segno dell’amore, dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza. Da quella Croce scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero. Per mezzo della Croce di Cristo è vinto il maligno, è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza. Questo è importante: per mezzo della Croce di Cristo ci è restituita la speranza. La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce. Cioè, noi non esaltiamo le croci, ma la Croce gloriosa di Gesù, segno dell’amore immenso di Dio, segno della nostra salvezza e cammino verso la Risurrezione. E questa è la nostra speranza.
Mentre contempliamo e celebriamo la santa Croce, pensiamo con commozione a tanti nostri fratelli e sorelle che sono perseguitati e uccisi a causa della loro fedeltà a Cristo. Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che in linea di principio tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove concretamente i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni. Perciò oggi li ricordiamo e preghiamo in modo particolare per loro.
Sul Calvario, ai piedi della croce, c’era la Vergine Maria (cfr Gv 19,25-27). E’ la Vergine Addolorata, che domani celebreremo nella liturgia. A Lei affido il presente e il futuro della Chiesa, perché tutti sappiamo sempre scoprire ed accogliere il messaggio di amore e di salvezza della Croce di Gesù. Le affido in particolare le coppie di sposi che ho avuto la gioia di unire in matrimonio questa mattina, nella Basilica di San Pietro.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
domani, nella Repubblica Centroafricana, avrà inizio ufficialmente la Missione voluta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per favorire la pacificazione del Paese e proteggere la popolazione civile, che sta gravemente soffrendo le conseguenze del conflitto in corso. Mentre assicuro l’impegno e la preghiera della Chiesa cattolica, incoraggio lo sforzo della Comunità internazionale, che viene in aiuto dei Centroafricani di buona volontà. Quanto prima la violenza ceda il passo al dialogo; gli opposti schieramenti lascino da parte gli interessi particolari e si adoperino perché ogni cittadino, a qualsiasi etnia e religione appartenga, possa collaborare per l’edificazione del bene comune. Che il Signore accompagni questo lavoro per la pace!
Ieri sono andato a Redipuglia, al Cimitero Austro-Ungarico e al Sacrario. Là ho pregato per i morti a causa della Grande Guerra. I numeri sono spaventosi: si parla di circa 8 milioni di giovani soldati caduti e di circa 7 milioni di persone civili. Questo ci fa capire quanto la guerra sia una pazzia! Una pazzia dalla quale l’umanità non ha ancora imparato la lezione, perché dopo di essa ce n’è stata una seconda mondiale e tante altre che ancora oggi sono in corso. Ma quando impareremo, noi, questa lezione? Invito tutti a guardare Gesù Crocifisso per capire che l’odio e il male vengono sconfitti con il perdono e il bene, per capire che la risposta della guerra fa solo aumentare il male e la morte!
Ed ora saluto cordialmente tutti voi, fedeli romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da vari Paesi.
Saluto in particolare “Los Amigos de Santa Teresita y de Madre Elisabeth” de Colombia; i fedeli di Sotto il Monte Giovanni XXIII, Messina, Genova, Collegno e Spoleto, e il coro giovanile di Trebaseleghe (Padova). Saluto i rappresentanti dei lavoratori del Gruppo IDI e gli aderenti al Movimento Arcobaleno Santa Maria Addolorata.
Vi chiedo, per favore, di pregare per me. A tutti auguro buona domenica e buon pranzo. Arrivederci!
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mercoledì 10 settembre 2014

Il coraggio di Sako, patriarca dei cristiani perseguitati (Contributi 982)

Riporto da Tempi questo articolo 

Ritratto del patriarca di Babilonia dei caldei, che guida i cristiani iracheni perseguitati senza paura di criticare l’Occidente e l’islam, dando ragione della sua speranza: «Per noi la fede non è ideologia, ma un legame personale con Cristo»


«Noi cristiani d’Iraq, in quanto minoranza perennemente costretta alle difficoltà e al sacrificio, sappiamo bene cosa significhi essere perseguitati, sequestrati, uccisi. Sappiamo per certo cosa vuol dire sentirsi impotenti! Ho detto talvolta che coloro che vogliono vedere l’inferno devono venire in Iraq!». Così scriveva il patriarca della Chiesa caldea Louis Raphael I Sako nella prefazione al libro dell’inviato di Tempi Rodolfo Casadei dal titolo:Tribolati ma non schiacciati (Lindau).

SACERDOTE, VESCOVO, PATRIARCA. Era il 2012 e la comunità di cui non era ancora diventato patriarca (al tempo era arcivescovo di Kirkuk) non aveva già subito le umiliazioni e le immani sofferenze che in questi mesi i terroristi dello Stato islamico le stanno infliggendo. Conosceva già molto bene, però, per averlo vissuto sulla pelle, il significato delle parole “persecuzione”, “martirio”, “terrorismo”, “odium fidei”.

Nato il 4 luglio 1949 in un piccolo villaggio presso la città di Zakho, nel nord dell’Iraq, è stato ordinato sacerdote il 1 giugno 1974. Dopo aver studiato a Roma e a Parigi, specializzandosi in storia, studi cristiani orientali e studi islamici, è tornato a Mosul per prestare il proprio servizio sacerdotale dal 1986 al 1997. Fino al 2002 ha poi ricoperto la carica di rettore del seminario maggiore di Baghdad, nel 2003 è stato ordinato arcivescovo di Kirkuk e l’anno scorso nuovo patriarca di Babilonia dei caldei.

CRISTIANI, CITTADINI DI SERIE B. Questi dati, più che a informare sul curriculum ecclesiastico di Sako, servono a capire quanto il patriarca conosca bene il suo paese, insieme al significato e alle implicazioni che comportano essere un cristiano in Iraq: «Gli uomini di potere musulmani sunniti e sciiti hanno come unico punto di riferimento per la loro azione politica la loro religione, e pensano che i cristiani, che lo accettino oppure no, siano cittadini di seconda categoria che dovrebbero lasciare il paese se non sono contenti della tolleranza loro riservata», scriveva nella prefazione al libro di Casadei.
E ancora: «Le nostre Chiese in Oriente sono Chiese apostoliche perché sono martiri. La fede infatti non è né una questione ideologica, né un’utopia, quanto piuttosto un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l’intera nostra vita. Per Lui, bisogna ogni giorno andare un po’ più lontano, fino al sacrificio. Tale è l’espressione assoluta della fedeltà a questo amore: oggi più che mai, in Iraq noi siamo consapevoli che credere significa amare e amare significa donarsi».

«L’OCCIDENTE FACILITA LA FUGA». Il sacrificio chiesto agli iracheni si è fatto sempre più grande negli anni. Sako ha visto dal 2003, dall’instabilità seguita all’invasione americana, una comunità di 1,5 milioni di cristiani ridursi anno dopo anno fino a circa 300 mila fedeli e non si è mai tirato indietro quando c’era da analizzare la situazione e da indicare all’Occidente la via per aiutare i cristiani iracheni: «A volte l’Occidente facilita la fuga dei cristiani», affermava in un’intervista a tempi.it già nel 2012. «Molti comprano un visto con migliaia e migliaia di dollari, vanno via ad abitare in terra straniera dimenticandosi della loro tradizione, della loro terra, perdendo gli amici, la famiglia e anche la fede. È molto brutto. La comunità internazionale invece di spendere soldi per fornire loro abitazioni all’estero, dovrebbe investirli qui per fare progetti educativi e migliorare la vita di chi vive nella miseria. Ci servono infrastrutture, alloggi, scuole. Noi non vogliamo andarcene dall’Iraq, non vogliamo restare in pochi per essere una presenza simbolica».

LEZIONI DI DIALOGO. A un anno dalla sua elezione a patriarca, pochi mesi prima che lo Stato islamico conquistasse Mosul aprendo una nuova stagione di persecuzione per i cristiani, ha dato all’Occidente una importante lezione di dialogo e non solo: «L’Occidente è cieco perché non ha religione, non se ne preoccupa più, anzi accoglie i musulmani, permette loro di costruire moschee e centri religiosi mentre i paesi arabi non permettono ai cristiani neanche di tenere in casa la Bibbia. Ci deve essere reciprocità ma l’Occidente non la richiede. I paesi occidentali devono aiutare i cristiani non in quanto cristiani, ma in quanto minoranze. Si parla dei diritti dell’uomo, ma dove sono questi diritti? L’Occidente cerca solo interessi, basta guardare che risultato hanno avuto le guerre in Medio Oriente. Dove sono la democrazia e la libertà in Libia? Dove sono in Siria?».


VICINO AI PERSEGUITATI. In questi mesi, anche per colpa dell’indifferenza della comunità internazionale, la comunità cristiana guidata da Sako si è trovata di fronte a un terribile aut aut imposto dai terroristi islamici: rinnegare la fede in Gesù e convertirsi all’islam, perdere tutto o essere uccisi. Migliaia di persone, impartendo una lezione a noi cristiani tiepidi d’Occidente, hanno scelto di farsi profughi e di lasciare la propria casa a Mosul o nella piana di Ninive per dormire per strada in Kurdistan. E ancora Sako è rimasto loro vicino chiedendo alle «superpotenze» di smettere di «sostenere a livello economico e militare» i terroristi per «tagliare alla radice le fonti di violenza e radicalizzazione».

DOTE DEL REALISMO. La schiettezza e il realismo sono sicuramente tra le più grandi qualità del patriarca caldeo. Anche in questi giorni, a margine dell’incontro per favorire la pace promosso dalla Comunità di Sant’Egidio ad Anversa, ha aiutato a leggere la difficile situazione in cui l’Iraq è piombato: «Quando parliamo della pace noi capiamo che cosa sono pace e dialogo. Ma anche l’altro deve sapere, deve essere cosciente di cosa significano dialogo e pace; deve impegnarsi non solo con le parole, ma nel concreto. (…) Penso che il mondo musulmano stia vivendo una crisi. Il mondo musulmano che qui chiede l’incontro e ripudia la violenza non è realista. Devono avere il coraggio di dire le cose come stanno e cercare soluzioni. Loro devono imparare dalla nostra esperienza: se l’Islam vuole essere accettato e avere un avvenire, deve essere aggiornato. Oggi, con questa mentalità, con questa ideologia che combatte la vita e la cultura, il realismo dov’è?».

L’ORIGINE DELLA SPERANZA. E ancora: per proteggere i cristiani «ci vuole un intervento militare internazionale, prima di tutto. Il governo centrale è incapace, perché adesso non controlla che la metà del Paese: controlla Baghdad e il sud; ma Mosul, Ramadi, il Kurdistan? C’è un esercito di professionisti, ci sono tante milizie… Tutto è settario. L’Is è uno Stato molto forte, ben preparato e hanno le armi… Non possiamo riuscire da soli».
In mezzo a questo dramma è quasi incredibile che Sako riesca a conservare la speranza, di cui spiega sempre l’origine ai cronisti di tutto il mondo: «Noi siamo forti, perché per noi la fede, il credere non è una ideologia, non è una speculazione. Credere è amare», è «un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l’intera nostra vita».
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Lettera Padre Aldo Trento 6/9/2014 (Interventi 205)

Cari amici, 
ogni volta che faccio la processione con il Santissimo (due volte al giorno: alla mattina e alla sera), più la Santa Messa alle 12.30 mi trovo a chiedermi , che cosa è la libertà? La malattia cammina , impedendo alla mia volontà di muovermi come nel passato. Faccio un sacco di tentativi e mi trovo che non sono più libero come prima. La volontà un tempo molto decisa adesso non mi risponde più. Lo voglio ma il mio corpo non risponde. Mi sembra, soprattutto alla sera di essere prigioniero da un blocco di marmo. 
E allora qual'è la unica libertà che mi rimane? Quella di riconoscere la Presenza del Mistero : “Io sono Tu che mi fai”. Piano, piano il Santissimo cammina con i miei passi . Tengo l’ ostensorio appoggiato nella mia fronte. Così lo sforzo diventa più leggero ed io mi sento avvolto della Sua Presenza e non mi arrabbio e offro tutto guardando al mio dolore come una grazia. 
Non posso vivere senza Gesù Sacramentato. 
Che bello: la libertà non è scegliere ma riconoscere. Per di più questa posizione è fonte di grazia per tutti. Domenica ho celebrato il Sacramento del Matrimonio tra un paziente terminale e la sua compagna. (vedi foto) I medici dubitavano che lo sposo potesse alzarsi dal letto e con la sedia a rotelle raggiungere la cappella. Però riuscì e ci riuscì perché era così forte l'amore per la sua compagna che riuscì a portare a termine il suo desiderio. Non solo, ma nella sua festina realizzata nel salone della Clinica ballò per alcuni minuti . Vedere la felicità degli sposi novelli di cui uno “condannato” a morire se non interviene un miracolo, testimonia che neanche il cancro è più forte di Gesú. Non solo, ma pure è un richiamo a tanti matrimoni che si separano proprio perché il cuore della loro unione non è Cristo. 
Amici la vita è una lotta e se non facciamo esperienza di Gesù tutto crolla, anche gli amori appartenente più forti . Fernando ha 14 anni. Un cancro precoce ha obbligato i medici attagliargli la gamba destra, dall'inguine in giù . Immaginatevi la disperazione sua e di sua madre. Da un mese è con noi. A volte ha dei dolori forti che lo fanno piangere. Eppure quando faccio la processione con il Santissimo lui con la sedia a rotelle mi segue , saliamo assieme sull'ascensore e insieme entriamo nelle stanze . La processione a volte è un po' lunga perché dipende dalla mia gamba sinistra, ma lui è felice. Quando sono nell'ascensore mi dice: “Padre mi porti una pizzetta della pizzeria della fondazione?”. lo fa con una tenerezza che medici o non medici alle 19:30 arriva nelle sue mani . Oggi ha fatto un disegno di un cero e sopra ha scritto: “Gesù e la luce”. Oggi sono arrivati nella casetta di Betlem due bambini: uno di 1 anno e l'altro di un anno e mezzo . Ieri sera il nuovo Arcivescovo ha detto la Messa nella parrocchia e fatto l'incontro con gli “agenti pastorali” e ha detto: “Questa parrocchia e l'orgoglio della Diocesi” . 
Una cosa bella, per me una specie di regalo per i miei 25 anni che sono arrivato in Paraguay il 8 settembre 1989 - 2014. 
Amici vi chiedo di pregare perché possa portare questa croce - regalo che Dio mi ha messo sulle spalle . Il nuovo Arcivescovo di Asunción ha riconosciuto che c'è un popolo che cammina e ama questa opera che non solo nessuno e riuscito a distruggere, ma con l'aiuto della Madonna renderla sempre più stabile. 
Come è vero anche per noi quanto ha detto Gamaliele negli atti degli apostoli: “se quest'opera è di Dio nessuno riuscirà a distruggerla e se non lo è cadrà da sola”. 
Sono già 10 anni che resiste e esiste dentro tutte le normali difficoltà della vita. 
Padre Aldo
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Domenica 23^ t. ord. "A" 7-9-2014 (Angelus 209)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Il Vangelo di questa domenica, tratto dal capitolo 18° di Matteo, presenta il tema della correzione fraterna nella comunità dei credenti: cioè come io devo correggere un altro cristiano quando fa una cosa non buona. Gesù ci insegna che se il mio fratello cristiano commette una colpa contro di me, mi offende, io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, spiegandogli che ciò che ha detto o ha fatto non è buono. E se il fratello non mi ascolta? Gesù suggerisce un progressivo intervento: prima, ritorna a parlargli con altre due o tre persone, perché sia più consapevole dello sbaglio che ha fatto; se, nonostante questo, non accoglie l’esortazione, bisogna dirlo alla comunità; e se non ascolta neppure la comunità, occorre fargli percepire la frattura e il distacco che lui stesso ha provocato, facendo venir meno la comunione con i fratelli nella fede.
Le tappe di questo itinerario indicano lo sforzo che il Signore chiede alla sua comunità per accompagnare chi sbaglia, affinché non si perda. Occorre anzitutto evitare il clamore della cronaca e il pettegolezzo della comunità – questa è la prima cosa, evitare questo -. «Va’ e ammoniscilo fra te e lui solo» (v. 15). L’atteggiamento è di delicatezza, prudenza, umiltà, attenzione nei confronti di chi ha commesso una colpa, evitando che le parole possano ferire e uccidere il fratello. Perché, voi sapete, anche le parole uccidono! Quando io sparlo, quando io faccio una critica ingiusta, quando io “spello” un fratello con la mia lingua, questo è uccidere la fama dell’altro! Anche le parole uccidono. Facciamo attenzione a questo. Nello stesso tempo questa discrezione di parlargli da solo ha lo scopo di non mortificare inutilmente il peccatore. Si parla fra i due, nessuno se ne accorge e tutto è finito. È alla luce di questa esigenza che si comprende anche la serie successiva di interventi, che prevede il coinvolgimento di alcuni testimoni e poi addirittura della comunità. Lo scopo è quello di aiutare la persona a rendersi conto di ciò che ha fatto, e che con la sua colpa ha offeso non solo uno, ma tutti. Ma anche di aiutare noi a liberarci dall’ira o dal risentimento, che fanno solo male: quell’amarezza del cuore che porta l’ira e il risentimento e che ci portano ad insultare e ad aggredire. E’ molto brutto vedere uscire dalla bocca di un cristiano un insulto o una aggressione. E’ brutto. Capito? Niente insulto! Insultare non è cristiano. Capito? Insultare non è cristiano.
In realtà, davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono. Tutti. Gesù infatti ci ha detto di non giudicare. La correzione fraterna è un aspetto dell’amore e della comunione che devono regnare nella comunità cristiana, è un servizio reciproco che possiamo e dobbiamo renderci gli uni gli altri. Correggere il fratello è un servizio, ed è possibile ed efficace solo se ciascuno si riconosce peccatore e bisognoso del perdono del Signore. La stessa coscienza che mi fa riconoscere lo sbaglio dell’altro, prima ancora mi ricorda che io stesso ho sbagliato e sbaglio tante volte.
Per questo, all’inizio della Messa, ogni volta siamo invitati a riconoscere davanti al Signore di essere peccatori, esprimendo con le parole e con i gesti il sincero pentimento del cuore. E diciamo: “Abbi pietà di me, Signore. Io sono peccatore!. Confesso, Dio Onnipotente, i miei peccati”. E non diciamo: “Signore, abbi pietà di questo che è accanto a me, o di questa, che sono peccatori”. No! “Abbi pietà di me!”. Tutti siamo peccatori e bisognosi del perdono del Signore. È lo Spirito Santo che parla al nostro spirito e ci fa riconoscere le nostre colpe alla luce della parola di Gesù. Ed è lo stesso Gesù che ci invita tutti, santi e peccatori, alla sua mensa raccogliendoci dai crocicchi delle strade, dalle diverse situazioni della vita (cfr Mt 22,9-10). E tra le condizioni che accomunano i partecipanti alla celebrazione eucaristica, due sono fondamentali, due condizioni per andare bene a Messa: tutti siamo peccatori e a tutti Dio dona la sua misericordia. Sono due condizioni che spalancano la porta per entrare a Messa bene. Dobbiamo sempre ricordare questo prima di andare dal fratello per la correzione fraterna.
Domandiamo tutto questo per l’intercessione della Beata Vergine Maria, che domani celebreremo nella ricorrenza liturgica della sua Natività.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
in questi ultimi giorni sono stati compiuti passi significativi nella ricerca di una tregua nelle regioni interessate dal conflitto in Ucraina orientale, pur avendo sentito oggi delle notizie poco confortanti. Tuttavia auspico che essi possano recare sollievo alla popolazione e contribuire agli sforzi per una pace duratura. Preghiamo affinché, nella logica dell’incontro, il dialogo iniziato possa proseguire e portare il frutto sperato. Maria, Regina della Pace, prega per noi.
Unisco inoltre la mia voce a quella dei Vescovi del Lesotho, che hanno rivolto un appello per la pace in quel Paese. Condanno ogni atto di violenza e prego il Signore perché nel Regno del Lesotho si ristabilisca la pace nella giustizia e nella fraternità.
Questa domenica un convoglio di circa 30 volontari della Croce Rossa Italiana parte alla volta dell’Iraq, nella zona di Dohuk, vicino a Erbil, dove si sono concentrate decine di migliaia di sfollati iracheni. Esprimendo un sentito apprezzamento per questa opera generosa e concreta, imparto la benedizione a tutti loro e a tutte le persone che cercano concretamente di aiutare i nostri fratelli perseguitati ed oppressi. Il Signore vi benedica.
Saluto tutti i pellegrini provenienti dall’Italia e da diversi Paesi, in particolare il gruppo dei brasiliani, gli studenti della scuola S. Basilio Magno di Presov, nella Slovacchia, i fedeli di Sulzano (Brescia), Gravina di Puglia, Castiglion Fiorentino, Poggio Rusco (Mantova), Albignasego (Padova), Molino di Altissimo (Vicenza), i ragazzi della Cresima di Matera, Valdagno e Vibo Valentia.
Rivolgo un cordiale saluto al Cardinale Arcivescovo di Lima e ai suoi diocesani, che oggi inaugurano il XX Sinodo dell’Arcidiocesi di Lima. Il Signore vi accompagni in questo cammino di fede, di comunità e di crescita.
E ricordatevi domani - come ho detto - la ricorrenza liturgica della Natività della Madonna. Sarebbe il suo compleanno. E cosa si fa quando la mamma fa la festa di compleanno? La si saluta, si fanno gli auguri… Domani ricordatevi, dal mattino presto, dal vostro cuore e dalle vostre labbra, di salutare la Madonna e dirle: “Tanti auguri!”. E dirle un’Ave Maria che venga dal cuore di figlio e di figlia. Ricordatevi bene!
A tutti voi chiedo, per favore, di pregare per me. Vi auguro buona domenica e buon pranzo.
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giovedì 4 settembre 2014

Tanta forza ma senza controllo (Interventi 204)

(Proverbi 16, 32) 
Una coppia di miei carissimi amici è stata benedetta con la loro prima figlia - e il papà non cessa di dire che è bellissima. Ovvio, i papà non fanno testo quando si tratta delle figlie! Maria Sole è piena di capelli neri - infatti, ne sono tremendamente invidioso... ha due occhioni curiosi e le guanciotte rosse. Ha poco più di un mese e, francamente, non fa ancora molto se non mangiare e dormire - tuttavia è affascinante guardarla. Puoi metterla dove ti pare - tenertela in braccio, farla sedere sulla ginocchia - Maria Sole cerca di alzare la testa e girarla attorno così da vedere cosa c'è intorno. Sfortunatamente, per quanto forte essa sia, non ha molto controllo su dove la testa stia andando. 
Insomma, la bambina ha un mucchio di forza, ma senza controllo. Sfortunatamente ci sono un mucchio di adulti con lo stesso problema. Solo che in loro questo non fa sorridere. 
Per questo motivo Dio vuole aiutarti a capire uno dei problemi legati all'essere veri uomini. Sta scritto in Proverbi 16, 32 ed è un vero specchio per ogni uomo che voglia guardarsi dentro. Dio dice: «Il paziente val più di un eroe, | chi domina se stesso val più di chi conquista una città». Questo è un esempio straordinario perché oggi si crescono i ragazzi facendo credere loro che essere uomini vuol dire conquistare - conquistare risultati sportivi, conquistare affari, conquistare donne. 
Dio invece dice che è più facile per un uomo conquistare una città che dominare sulle proprie passioni. Quindi un uomo prova di essere un vero uomo non quando domina un rivale o conquista una donna o raggiunge un traguardo - ma quando è capace di conquistare se stesso. Così molti di quelli che appartengono al mio sesso siamo come Maria Sole - siamo forti... facciamo andare le cose per il verso giusto, raggiungiamo gli obiettivi, spianiamo strade, raggiungiamo traguardi - ma abbiamo forze che non riusciamo a controllare. 
Nella lettera a Tito, capitolo 2, quando Paolo sta dando istruzioni su come gli uomini cristiani dovrebbero vivere la loro fede, dice: «Gli uomini siano... saldi nella pazienza» (Tito 2,2). E continua: «Esorta i più giovani a essere assennati» (Tito 2,6). Adulto o giovane, quello che Dio guarda in un uomo è la rara qualità della pazienza e dell'autocontrollo. 
Può darsi che tu sia un uomo forte - magari fisicamente, intellettualmente, economicamente. Hai una personalità forte, un curriculum brillante, una solida reputazione. Ma può benissimo darsi che tutta questa forza non sia sotto controllo - il tuo carattere... Sei forte ma ferisci le persone che ami... le asfalti passandoci sopra, schiacciandole, perché devi raggiungere i tuoi obiettivi. Forse spesso le tue parole sono pungenti e feriscono, il tuo temperamento è collerico e esplosivo, le tue passioni sono fuori controllo. 
Allora uno realizza che ha bisogno di qualcuno che gli dia la forza di controllare il suo lato oscuro. Potete andare da tutti i guru che volete, ma c'è un solo salvatore - Gesù Cristo. ConsegnaGli il volante e lasciaLo fare. Arrendersi di solito vuol dire perdere. Eccetto quando ti arrendi a Gesù. Quando ti abbandoni, Lui può finalmente vincere la battaglia contro la bestia che c'è dentro di te. 
Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto 
don Luciano
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Amare come ama Dio (Contributi 982)

Vi propongo un articolo di Don Francesco Ferrari dal sito della Fraternità San Carlo 

Il destino non ha lasciato solo l’uomo, perché ha condiviso la sua vita con lui. La caritativa è la strada attraverso cui Giussani ci ha educato ad amare gli uomini come li ama Dio.
 Il gesto semplice di andare a passare un po’ di tempo con gli anziani, o di far giocare dei bambini, ha la forza di farci entrare di schianto nel cuore della vita vera. Come ci ha insegnato Giussani: vivere è condividere. Mi apro veramente alla vita nella misura in cui la dono e la condivido con altri. È un gesto radicale che testimonia il valore infinito della persona che Cristo ci ha rivelato. Tu ci sei, e per questo vale la pena che io condivida la mia vita con te.
Questo amore alla persona è ciò che si afferma – e si impara – andando in caritativa. È l’esperienza che fanno i nostri seminaristi, andando negli ospedali, nelle cliniche per anziani o nel carcere minorile. È l’esperienza che mi ha accompagnato fin dalla mia prima caritativa, quando a quattordici anni andavo con gli amici di GS in un ospizio nella periferia di Reggio Emilia e l’anziano con cui parlavo, senza volerlo, mi sputava ripetutamente sulle scarpe.
La caritativa, in fondo, è imitazione di Dio. È un’esperienza che rispecchia la sua stessa vita. Don Giussani era sorpreso proprio da questa semplice constatazione: nell’Incarnazione Dio ha deciso, con una gratuità inimmaginabile, di condividere la sua vita con noi. È lì che ci è stata rivelata la verità dell’esistenza, che è la condivisione. Amatevi come io vi ho amato (cfr. Gv 15,12). È vertiginoso pensare che in un’azione così semplice, come condividere un po’ di tempo con un altro, possiamo imitare il modo con cui Dio entra in rapporto con me.
Mia nonna Maria ha ormai più di novant’anni, quando passo a salutarla non mi riconosce, devo ripetere le cose molte volte, e non è detto che alla fine capisca. Perché, io non ho forse bisogno che Dio mi ripeta le cose molte volte, prima di capirle? Io, che tante volte neanche lo riconosco…
La caritativa è un gesto. Cioè un’azione che, pur nella sua semplicità, esprime l’ideale della vita. Proprio per questo richiamo all’ideale ogni gesto cristiano è educativo. Condividere un po’ di tempo con un altro mi educa a concepire tutti i rapporti come condivisione, mi porta lentamente a vivere con tutti la stessa apertura originata dalla carità, genera in me l’esperienza vera della cattolicità. Come disse Giussani, in una delle prime riunioni di giudizio sull’esperienza della caritativa: La vera universalità è l’accettazione totale di tutti i tempi (A. Savorana, Vita di don Giussani, 243).
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lunedì 1 settembre 2014

Domenica 22^ t. ord. "A" 31-8-2014 (Angelus 208)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nell’itinerario domenicale con il Vangelo di Matteo, arriviamo oggi al punto cruciale in cui Gesù, dopo aver verificato che Pietro e gli altri undici avevano creduto in Lui come Messia e Figlio di Dio, «cominciò a spiegare [loro] che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto … , venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (16,21). E’ un momento critico in cui emerge il contrasto tra il modo di pensare di Gesù e quello dei discepoli. Pietro addirittura si sente in dovere di rimproverare il Maestro, perché non può attribuire al Messia una fine così ignobile. Allora Gesù, a sua volta, rimprovera duramente Pietro, lo rimette “in riga”, perché non pensa «secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v. 23) e senza accorgersene fa la parte di satana, il tentatore.
Su questo punto insiste, nella liturgia di questa domenica, anche l’apostolo Paolo, il quale, scrivendo ai cristiani di Roma, dice loro: «Non conformatevi a questo mondo - non entrare negli schemi di questo mondo - ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio» (Rm 12,2).
In effetti, noi cristiani viviamo nel mondo, pienamente inseriti nella realtà sociale e culturale del nostro tempo, ed è giusto così; ma questo comporta il rischio che diventiamo “mondani”, il rischio che “il sale perda il sapore”, come direbbe Gesù (cfr Mt 5,13), cioè che il cristiano si “annacqui”, perda la carica di novità che gli viene dal Signore e dallo Spirito Santo. Invece dovrebbe essere il contrario: quando nei cristiani rimane viva la forza del Vangelo, essa può trasformare «i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita» (Paolo VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 19). E’ triste trovare cristiani “annacquati”, che sembrano il vino allungato, e non si sa se sono cristiani o mondani, come il vino allungato non si sa se è vino o acqua! E’ triste, questo. E’ triste trovare cristiani che non sono più il sale della terra, e sappiamo che quando il sale perde il suo sapore, non serve più a niente. Il loro sale ha perso il sapore perché si sono consegnati allo spirito del mondo, cioè sono diventati mondani.
Perciò è necessario rinnovarsi continuamente attingendo la linfa dal Vangelo. E come si può fare questo in pratica? Anzitutto proprio leggendo e meditando il Vangelo ogni giorno, così che la parola di Gesù sia sempre presente nella nostra vita. Ricordatevi: vi aiuterà portare sempre il Vangelo con voi: un piccolo Vangelo, in tasca, nella borsa, e leggerne durante il giorno un passo. Ma sempre con il Vangelo, perché è portare la Parola di Gesù, e poterla leggere. Inoltre partecipando alla Messa domenicale, dove incontriamo il Signore nella comunità, ascoltiamo la sua Parola e riceviamo l’Eucaristia che ci unisce a Lui e tra noi; e poi sono molto importanti per il rinnovamento spirituale le giornate di ritiro e di esercizi spirituali. Vangelo, Eucaristia e preghiera. Non dimenticare: Vangelo, Eucaristia, preghiera. Grazie a questi doni del Signore possiamo conformarci non al mondo, ma a Cristo, e seguirlo sulla sua via, la via del “perdere la propria vita” per ritrovarla (v. 25). “Perderla” nel senso di donarla, offrirla per amore e nell’amore – e questo comporta il sacrificio, anche la croce – per riceverla nuovamente purificata, liberata dall’egoismo e dall’ipoteca della morte, piena di eternità.
La Vergine Maria ci precede sempre in questo cammino; lasciamoci guidare e accompagnare da lei.

Dopo l'Angelus:
Cari fratelli e sorelle,
domani, in Italia, si celebra la Giornata per la custodia del creato, promossa dalla Conferenza Episcopale. Il tema di quest’anno è molto importante: «Educare alla custodia del creato, per la salute dei nostri paesi e delle nostre città». Auspico che si rafforzi l’impegno di tutti, istituzioni, associazioni e cittadini, affinché sia salvaguardata la vita e la salute delle persone anche rispettando l’ambiente e la natura.
Saluto tutti i pellegrini provenienti dall’Italia e da diversi Paesi, in particolare i pellegrini di Santiago del Cile, Pistoia, San Giovanni Bianco e Albano Sant’Alessandro (Bergamo); i giovani di Modena, Bassano del Grappa e Ravenna; il folto gruppo dei Motociclisti della Polizia e la Banda della Polizia. Sarebbe bello, alla fine, sentirla suonare…
Un saluto speciale rivolgo ai parlamentari cattolici, riuniti per il loro 5° incontro internazionale, e li incoraggio a vivere il delicato ruolo di rappresentanti del popolo in conformità ai valori evangelici.
Ieri, ho ricevuto una famiglia numerosa da Mirabella Imbaccari, che mi ha portato il saluto di tutto il paese. Ringrazio tutti voi di questo paese per l’affetto. Saluto i partecipanti all’incontro di “Scholas”: continuate nel vostro impegno con i bambini e con i giovani, lavorando nell’educazione, nello sport e nella cultura; e vi auguro una buona partita, domani, allo Stadio Olimpico!
Vedo da qui i giovani che appartengono al sindacato dei plastici. Siate fedeli al vostro motto: è molto pericoloso camminare da soli nei campi e nella vita. Andate sempre insieme.
Vi auguro una buona domenica, vi chiedo di pregare per me, e buon pranzo. Arrivederci!
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