Straordinario successo della prima edizione del Meeting de Il Cairo, svoltasi in Egitto il 28 e 29 ottobre 2010.
L’evento ha avuto grandissimo seguito, ma soprattutto ha visto cattolici e mussulmani lavorare insieme. Tutto è nato dall’idea di quattro mussulmani venuti a Rimini quattro anni fa e rimasti colpiti dalla manifestazione. Giornate di grande dialogo, grazie alla scoperta di un “cuore comune” nonostante le differenze religiose. (E. Polverelli)
La kermesse riminese è sbarcata in Egitto. «Una promessa che si compie», per gli egiziani. «La cosa più imprevedibile che ci sia mai accaduta», per gli amici italiani. Tra hostess (con il velo) e ragazzi in polo blu, siamo andati a vedere cosa succede
Il luogo è storico. Aula Magna dell’Università del Cairo. Stessa sala a stucchi e lampadari, stesso podio da cui Barack Obama, l’estate scorsa, ha lanciato il suo appello al dialogo con il mondo islamico. Solo che qui il dialogo si fa davvero storia. In carne e volti. Tra ragazzi in polo blu e ministri in grisaglia, accademici celebri e alti prelati. E scene che hai visto tante volte altrove, ma non avresti mai immaginato di vedere qui.
È partito così il Meeting del Cairo, fratello minore di quello riminese. Un migliaio di persone in sala, duecento volontari (una trentina arrivati dall’Italia, gli altri tutti egiziani) ad accoglierle e scortarle verso i posti riservati, ogni settore un bollino colorato sul cartoncino di invito. Si parla di “Bellezza, spazio per il dialogo”. E a fare da padrone di casa è Wael Farouq, docente di Letteratura araba all’American University, amico storico del Meeting di Rimini e anima del Meeting cairota assieme a un pugno di amici che ormai conosciamo bene. A cominciare da Tahani al-Jibaly e Hosam Mikawi, i giudici così colpiti da quello che avevano visto sull’Adriatico da volerlo riproporre a casa loro. Mesi di riunioni post-lavoro, telefonate, lettere, incontri... Ed ecco che, come dice Farouq introducendo la serata, «è nato un ponte che ci porta dal sogno alla verità. Ed è nato sul terreno della bellezza, la via scelta da Dio per rivolgersi agli uomini».
Poi tocca alla signora al-Jibaly, vicepresidente della Corte costituzionale e neo presidente del Meeting del Cairo. Parla di una «promessa che si compie», ringrazia Dio, cita il discorso di Obama, che «da qui, da questo posto, ha cercato di dare una svolta, ma poi tante volte la politica ha preso il sopravvento». E si chiede: «Perché il dialogo appare sconfitto, malgrado le buone intenzioni? Perché ci siamo limitati alle relazioni tra le élites e abbiamo lasciato ai nemici del dialogo la possibilità di conquistare i cuori di molti». Quindi racconta di Rimini, cita don Giussani. E spiega perché ha voluto portare qui quell’esperienza: «L’Egitto merita molto da noi. Il nostro ruolo storico è di costruire un incontro tra i popoli, da sempre. Abbiamo scelto la bellezza perché Allah è bello, e ama la bellezza. E perché la verità, la tolleranza, il diffondere del bene tra la gente, sono bellezza. Dobbiamo collaborare con chi crede che la religione è per la vita, e non per una rinuncia alla vita».Applausi. Veri. Poi, «abbiamo parlato tanto del Meeting. Facciamolo vedere». Un documentario di dieci minuti sulla storia della kermesse riminese, in cui scorrono volti che conosci bene: Franco e Vicky, Giovanni Paolo II e Madre Teresa, Walesa e il cardinale Ratzinger... E i volontari, specchio dei ragazzi in polo blu e logo CairoMeeting che vedi tra le poltrone stasera. Stesse facce liete, stesso desiderio di bellezza e gratuità. L’unica differenza è che molte delle hostess qui portano il velo.
L’anima, il cuore, sono identici.
In qualche modo lo dice anche Emilia Guarnieri, con un saluto che, di fatto, sigla un gemellaggio: «È la cosa più imprevedibile che ci sia accaduta in questi trentuno anni di storia. Un sogno. Il desiderio di bellezza e verità ci ha fatto incontrare. È evidente che stiamo facendo un pezzo di strada insieme. Davanti al Nilo ci commuoviamo tutti, perché è un pezzo di storia comune. Be’, stasera su questo stesso fiume anche noi stiamo facendo storia». Non è un luogo comune. È un fatto. «E noi siamo venuti per conoscere e imparare. Per imparare quel che sta accadendo qui e per conoscere il modo con cui voi guardate la realtà. Il vostro cuore». È commossa, Emilia. E si vede. «Un’amicizia vera può essere fattore di cambiamento per il mondo intero».
Altri saluti, parole non formali. C’è spazio per un omaggio a padre Christian Van Nispen, il gesuita olandese che ha dedicato la vita allo studio del Corano e al dialogo tra uomini di fede (non è in sala, purtroppo è malato), e una targa alla stessa Guarnieri, cioè al Meeting.
Si chiude con “Messaggio di pace”, un concerto del gruppo Sama’a. Palco pieno di tuniche bianche e copricapi tipici, note da sitar e Inno alla Gioia di Beethoven, Allah e alleluia. Anche qui, dialogo vero, ma in musica. E bellezza, tanta. Post chiusura sui gradini fuori dall’aula, con i volontari che cantano e scherzano e si godono una nuova amicizia mentre la gente esce. Facce colpite e allegre insieme. Sembra Rimini. È il Meeting.
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