Riporto dal sito della Fraternità San Carlo, questo articolo di Antonio Anastasio
Era dicembre. Il cielo era cupo e le previsioni del tempo davano neve, la prima neve dell’anno. Io ero sceso in chiesa in anticipo per la messa della domenica, volevo assicurarmi che tutto fosse pronto. Stavo sistemando il messale sull'altare e in chiesa c’erano ancora poche persone. Seduto in prima fila, sulla destra, ho notato un uomo. Dormiva con la testa appoggiata al calorifero. Era vestito in modo curioso: una vecchia giacca pesante, un cappellino di lana e, ciò che più saltava all'occhio, un paio di scarpe da tennis enormi.
Mi avvicinai a lui e con delicatezza lo svegliai. Parlammo per un po’. Viveva per strada, a Madrid, veniva per chiedere la carità fuori dalla chiesa, come tutti voleva dei soldi. «Padre, sono polacco, sono cattolico!». Nel frattempo mi aveva preso le mani con le sue che erano completamente ghiacciate e avevo sentito quel freddo entrarmi nelle ossa e nell'anima. Lo avevo accompagnato vicino al calorifero più grande della chiesa. «Aspetta qui. Adesso devo dire la messa. Dopo parliamo con calma». Lui aveva dormito e anche rumorosamente tutto il tempo. Io, mentre celebravo, non ero riuscito a levarmi di dosso l’odore dell’alcol misto a sporco e la sensazione di gelo. Non riuscivo a scaldarmi nemmeno sotto i paramenti.
Dopo la messa riprendemmo il colloquio. Anche lui, come molti, aveva cicatrici sul viso e il naso gonfio di chi ha fatto a pugni tante volte. Voleva dei soldi per mettere a posto i documenti scaduti, diceva di voler tornare in Polonia. Gli promisi di aiutarlo, ma non gli diedi i soldi direttamente. Doveva tornare un altro giorno, quando ci sarebbero stati gli altri volontari, così avremmo visto come fare. «Vuoi mangiare?» «Sì», mi rispose laconico. Andammo al bar di fronte. Il proprietario, Miguel, era ormai abituato al fatto che gli portassi qualcuno: «Dagli da mangiare, una bibita e poi un caffè, ma niente di alcolico, mi raccomando». Lui, il povero, sottolineò: «No, no, niente di alcolico», come se avesse voluto difendersi. «Però se fosse possibile avere una sigaretta…» Finito il veloce pranzo, uno dei clienti del bar si fece avanti e gli diede da fumare. Uscimmo dal bar e, con la promessa di rivederci per il problema del passaporto, ci salutammo. Lui se ne andò, zoppicando un poco, tutto intabarrato, riparandosi così come poteva. Allora mi ricordai di una cosa importante e lo richiamai: «Ehi, io ti ho detto il mio nome, ma tu non mi hai detto il tuo!». Si voltò: «Kristof, mi chiamo Kristof». Sentii il freddo e qualcosa come goccioline di acqua ghiacciata che mi colpivano il viso, forse iniziava a nevicare. Kristof significa portatore di Cristo. Certo, non poteva essere altrimenti. Una di quelle casualità che non sono mai tali. Pensai che, prima che lui dicesse il suo nome, io non ci avevo pensato nemmeno per un secondo. Ora era tutto più chiaro.
Questa umanità che Lui ha tanto amato continua a soffrire. Questa umanità di cui Lui ha desiderato prendere la carne e condividere il tempo e lo spazio è ancora un’umanità crocifissa. I crocifissi più belli dove contemplare Gesù, dove vedere la sua sofferenza, la sua offerta per noi, sono crocifissi di carne e ossa. Li incontriamo al lavoro, bussano alle nostre porte, vengono nelle nostre chiese, come Kristof. E non si tratta di vedere a tutti i costi Gesù nel povero, ma di lasciarsi sorprendere da ciò che Gesù attraverso il dolore del povero mi vuole dire e insegnare: «Io sono come lui, in croce come lui, ho sofferto come lui, gratis, volontariamente, per te. Perché? Perché ti amo. Se vivi questa mia stessa carità, se stai sotto la mia croce, vedi quanto ti amo».
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..