Ecco un nuovo articolo di Ruggero Sangalli tratto da La Bussola che documenta ulteriormente la storicità del racconto evangelico:
Molti critici dei Vangeli ritengono che Gesù non sia nato in inverno. A sostegno della tradizione che dice del Bambino nato «al freddo ed al gelo» c’è la precisione didascalica di San Luca.
Zaccaria era della classe di Abia e mentre officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l’offerta dell’incenso. Tutta l’assemblea (non solo il popolo, ma anche gli altri sacerdoti) stava fuori nell’ora dell’incenso. Zaccaria potrebbe averlo offerto nella festa dell’espiazione: nell’anno considerato (il 3 a.C.) il 10 tishri 3759 (17 settembre). Nel capitolo 16 del Levitico è spiegato il rito dello yom kippur, nel settimo mese (tishri), il decimo giorno del mese (vedi anche Es 30, 10; Lev 23, 27-31 e 25, 9, Num 29, 7-11). Il sommo sacerdote stava da solo nel Santo dei Santi quale unico rappresentante di ogni ebreo nel giorno più santo.
Il turno sacerdotale della classe di Abia era l’ottavo. Davide stesso aveva disposto che i sacerdoti fossero distinti in 24 tàxeis (1Cr 24,1-19); queste classi avvicendandosi dovevano prestare servizio liturgico per una settimana ciascuna, da sabato a sabato per due volte l’anno. Ancor oggi il rito bizantino il 23 settembre fa memoria dell’annuncio a Zaccaria, conservando una data prossima al 17 settembre. I sabati, nell’intorno considerato, caddero il 12 e il 19 settembre dell’attuale calendario gregoriano.
Il progresso nello studio dei calendari in uso presso gli ebrei ha portato ad alcuni tentativi di ricostruire la cronologia dell'ordine di successione di queste classi in un ciclo completo che durava 168 giorni. Elisabetta concepì Giovanni dopo il ritorno a casa di Zaccaria. Possiamo ipotizzare il concepimento dal 20 settembre in poi. Nove mesi dopo ci fanno giungere alla seconda metà del giugno del 2 a.C.
San Luca ci fornisce altri indizi: la festa dei tabernacoli (sukkot) è al tempo della vendemmia. Gli Ebrei celebravano sukkot trascorrendo 7 giorni nelle capanne, tenendo poi una processione l’ottavo giorno. Sukkot è la festa delle speranze messianiche per eccellenza, dal significato profondamente escatologico e corrisponde al raccolto di frutta finale (Lev 23, 39). E’ anche la celebrazione dell’eredità, la Terra Promessa. La festa inizia il quindicesimo giorno del mese (Lev 23, 34), tishri. Leggiamo anche Zaccaria 14,16 ed il Salmo 117 (la pietra scartata… benedetto colui che viene…). Il concepimento di Giovanni può essere stato durante la festa: il 15 tishri del 3759 corrisponde al 22 settembre del 3 a.C. e il 22 tishri (giorno dei cieli e terra nuova) al 29 settembre. I bizantini sono sensati. Cinque mesi dopo siamo alla fine di febbraio e la festa del purim (la più allegra per gli Ebrei) sembra una buona occasione per lasciarsi un po’ andare. Il 14 adar 3759 del 2 a.C. (16 febbraio) manca meno di una settimana ai 5 mesi pieni…
Il sesto mese di Elisabetta va, nell’ipotesi che stiamo sviluppando, dall’ultima decade di febbraio alla seconda decade di marzo del 2 a.C. Il vangelo di Luca precisa che in quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Il giorno preciso dell’annunciazione non lo si può ancora conoscere, se non andando 9 mesi a ritroso da una potenziale data di nascita di Gesù. Maria, dopo l’annuncio dell’angelo Gabriele, percorse in fretta i circa 130 km montagnosi tra la Galilea e la casa di Elisabetta. Ain Karin è nella valle del Soreq, che segnava anticamente il confine tra i Regni di Israele e di Giuda. A quei tempi non si misuravano le strade in chilometri, ma in ore di cammino (il miglio sta per mille passi e per i Romani un passo equivaleva a 1,48 metri): e dipendeva da quante ore si camminava, dalle calzature, le strade tortuose senza ponti, i carichi gravosi, le visite e gli incontri per strada.
Maria era una ragazza e per di più già promessa a Giuseppe: presumibilmente non viaggiò sola, nulla esclude che possa essere andata con Giuseppe stesso (era prossima la Pasqua; il 14 nisan corrispondeva quell’anno al 17 marzo): ad impiegarci poco, tre giorni di viaggio (10 ore di cammino al giorno a circa 5 km/h di media). Stante la ciclicità regolare dei turni di servizio al tempio, e sostenendo l’ipotesi avanzata che Zaccaria fosse di turno nel giorno dell’espiazione, egli fu di nuovo di turno da sabato 25 adar (27 febbraio) a sabato 3 nisan (6 marzo) del 2 a.C. La Pasqua avrebbe richiamato Zaccaria (ammutolito) ai suoi servizi dal 14 nisan (17 marzo). Maria andando da Elisabetta lo sapeva benissimo ed è presumibile che abbia fatto in modo di giungere quando c’era anche Zaccaria, cioè dal 7 marzo a prima del 17. L’annunciazione sarebbe così avvenuta poco prima, tra la fine di febbraio ed i primi giorni di marzo.
Nove mesi dopo, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre a Betlemme doveva esserci parecchia gente: infatti Maria e Giuseppe, anche a causa della loro “improvvisata”, non trovarono posto in alcuna locanda. Non si pensi ad un viale in centro città con decine di hotel. La locanda (kataluma) era una stazione di riposo per i viandanti, dove riposarsi lungo la strada (Betlemme era sulla strada verso l’Egitto); era una costruzione con qualche stanza per le persone ed uno spazio per gli animali, facilmente una grotta naturale. Attorno a Betlemme ci sono grotte, visibili anche nella basilica della natività. I padroni della locanda (senza trasgredire l’ospitalità) potrebbero aver concesso a Giuseppe e Maria lo spazio riservato agli animali, dato che chi occupava le stanze non ritenne di cedere il posto. L’urgenza del parto e l’orario (era buio), rendono la descrizione dei vangeli verosimile ed umanamente disorganizzato: non certo un parto programmato di quelli che oggi medicalizzano l’intera gravidanza.
Si è detto anche che i pastori non potevano stare all’aperto nelle notti di inverno. C’è chi pone la nascita di Gesù a maggio e chi a settembre. In realtà la ricostruzione di san Luca ha, come sempre, tutti i crismi dell’attendibilità. Le pecore infatti hanno una gravidanza che dura circa 150 giorni, il che permette due gravidanze l’anno. Il ciclo riproduttivo è legato al cosiddetto fotoperiodo: in pratica per la pecora è più facile rimanere ingravidata quando le giornate si accorciano che quando la luce aumenta. Nel gregge i periodi indicati sono dopo il solstizio d’estate (da fine giugno le giornate si accorciano) e prima di quello di inverno (dicembre). L’estro della pecora è ogni 18 giorni e la pecora è fertile soltanto un giorno. Se fallisce l’inseminazione, la pecora può riceverla solo 18 giorni dopo. Ne deduciamo che la massima parte delle nascite di agnellini (uno o due per pecora) si concentra cinque mesi dopo le settimane da fine giugno a inizio luglio (quindi da fine novembre ad inizio dicembre) oppure cinque mesi dopo fine dicembre (quindi a fine maggio). Durante l’ultimo mese di gravidanza la pecora deve mangiare molto, perché l’agnellino si sviluppa per lo più in quelle settimane. La pecora partoriente si allontana dal gregge in cerca di un luogo appartato: i pastori devono vegliare, per difenderla con il suo agnellino dagli animali selvatici.
L’area in cui succede tutto questo si può suddividere in tre zone climatiche: subtropicale presso la costa mediterranea, continentale sui monti e tropicale lungo la valle del Giordano. In generale, ci sono soltanto due stagioni: quella calda-secca e quella fredda-piovosa. L’autunno e la primavera si riducono a poche settimane, a ridosso, prima e dopo, della stagione piovosa. La pioggia è una rarità da metà maggio e scompare del tutto da giugno a settembre. La stagione piovosa comincia a inizio novembre (raramente prima), ma è suddivisa in tre parti: la prima pioggia (Dt 11,14) rammollisce il terreno riarso favorendo l’aratura; poi, dopo un periodo di tempo clemente, piove copiosamente da metà dicembre, riempiendo pozzi e cisterne: qui inizia l’inverno; infine ci sono le ultime piogge a marzo ed aprile, che favoriscono la crescita delle messi non tanto in ragione della quantità di pioggia quanto per la sua buona distribuzione. In caso di siccità invernale le ultime piogge non riescono a compensare la carenza idrica. A Gerusalemme la durata media della stagione delle piogge è di 160 giorni complessivi (minimo 126 e massimo 192), tra novembre ed aprile, durante i quali piove per 52 giorni, quindi con molti giorni secchi anche nella stagione umida. A Gerusalemme la neve cade con discreta frequenza d’inverno, anche se poi si scioglie subito. Nessuna informazione è fine a se stessa: nei Vangeli ci sono indizi tutti davvero logici.
Nel quarto «al freddo ed al gelo» angelo (Gv 10,22) c’è scritto che era la festa della dedicazione ed era d’inverno. Non in tutti gli anni la festa delle luci cade in inverno. Nel calendario lunare questa festa può partire da metà novembre o da metà dicembre. Quando è “alta” cade nel periodo di pioggia copiosa. Nel 32 d.C. hannukkah iniziò il 15 dicembre. Nel 30 d.C. e nel 31 d.C. (altri anni possibili) non fu così. Il periodo in cui nascono gli agnelli è favorevole anche climaticamente alla presenza all’aperto dei pastori, trovandosi tra le prime piogge e l’inverno. Anche il viaggio affrontato da Giuseppe e Maria appare sensato, essendosi mossi dopo le prime piogge anche se molteplici altre possono essere le ragioni della data di partenza. Nel 2 a.C. hannukkah fu “bassa” ed anteriore all’inizio dell’inverno ricco di precipitazioni.
La Sacra Scrittura è esplicita: il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in una terra caliginosa di ombre di morte risplendette una luce (Isaia 9, 1). La festa delle luci inizia il 25 kislev e dura otto giorni. Ogni sera sulla menorah si accende una luce laterale, utilizzando la fiamma della candela centrale, aggiungendone una per le otto sere fino al 2 teveth (e in certi anni il 3). La sera dell’ultimo giorno era il massimo della luce. Se l’annunciazione cade all’inizio di marzo, 38 settimane dopo siamo alla fine di novembre. La festa di hannukah iniziò quell’anno il 25 kislev 3760 sabato 20 novembre 2 a.C. e terminò tra sabato 27 e domenica 28 novembre. La luce è protagonista nei vangeli di quella notte: l’annuncio della nascita del Salvatore viene dato ai pastori ad opera di messaggeri sfavillanti. Sono proprio i pastori a dire ai genitori, che possiamo pensare abbastanza provati e agitati tanto per la gioia della nascita, ciò che è stato detto loro del bambino neonato.
Va notato che Giovanni, che nel suo Vangelo non parla esplicitamente del Natale, inizia il suo vangelo definendo Gesù la luce del mondo. E sempre nel vangelo di Giovanni troviamo un particolare riferimento di Gesù per la festa ebraica delle luci. Nel capitolo 7 del vangelo di Giovanni, Gesù l’ultimo giorno della festa, il grande giorno, fa riferimento alla nascita del messia non in Galilea, visto che lo chiamavano il nazareno, ma in Giudea, a Betlemme! Hanukkah inizia il 25 di kislev, un numero che fa drizzare le antenne… Le feste ebraiche oscillano di anno in anno, secondo un calendario lunare. Per chi non lo segue era invece necessario fissare le date corrispondenti. Il mese di kislev si sovrappone per buona parte a dicembre e hanukkah quest’anno è proprio dal 20 al 28 dicembre! In 2 Maccabei 10, 6 si dice che la festa è in piena allegrezza. Il Natale è festa della gioia e l’annuncio ai pastori è «vi annuncio una grande gioia».
La circostanza della festa delle luci si abbina alla presenza dei pastori: molti profeti fecero riferimento a Gesù come buon pastore. Al contempo Gesù è l’Agnello di Dio: in effetti condivide con gli agnelli il tempo della nascita e con gli agnelli nati nel suo mese il destino di essere macellati a pasqua. Gesù verrà crocifisso nel giorno e nell’ora in cui al tempio si sacrificano gli agnelli per la pasqua ebraica, il 14 nisan.
Insomma: la successione dei mesi, dallo yom kippur al quinto mese di Elisabetta, alla nascita di Gesù; la festa delle luci prima dell’inverno; le condizioni climatiche; il fotoperiodo delle pecore e l’agnello di Dio; i pastori ed il Buon Pastore: se è tutta una leggenda stupisce per combinazioni tanto fantasiose e così reali.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
l'Incarnazione di Dio nella realtà umana è inevitabilmente collegata alle cose della natura e della storia. Diversamente dal mito (che favoleggia di storie inventate e parallele alla storia), dallo spiritualismo (che sorvola come un aereo le nostre vite) e dal materialismo (che le schiaccia in un'ignoranza del senso delle cose, tutto preso dalle cose in sè), il cristianesimo è un'iniziativa di Dio che lascia l'uomo libero di scoprirne il senso (e Dio non manca di aiutare, spiegandolo). Dalla creazione alla vita eterna, passando per la gioia, l'amore, la croce e la morte terrena, tutto è un paradossale "mistero aperto", per chi con fede sappia far uso dell'intelletto. E' la sapienza di Dio, partecipata a creature mortali, amate da Dio, capaci di amare.
RispondiEliminaUna famiglia che prega.