L'editoriale odierno di Samizdat On Line è un interessante (e bello) esempio di pensiero cristiano (ed è tratto da QUESTO blog). Lo propongo a tutti voi (a proposito, auguri di un vero Santo Natale a tutti):
C’è un passaggio della Lettera apostolica di Benedetto XVI per l’Anno della fede che mi colpisce particolarmente, in questo Natale 2011: “La ragione dell’uomo porta insita l’esigenza di ciò che vale e permane per sempre. Tale esperienza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro”.
Secondo questa semplice, ma potente riflessione, che poi è figlia della meditazione millenaria che la Chiesa ha continuamente compiuto sull’evento dell’Incarnazione, il Mistero di Dio non può essere “abbrancato” dalla ragione umana con le sole sue forze. La questione Dio resta dunque drammaticamente irrisolta.
Ed è davvero un dramma, perché si tratta di dare risposta a quella “esigenza di ciò che vale e permane per sempre” che è, di fatto, ciò che accomuna ogni essere umano, del passato, del presente e del futuro, su qualsiasi punto della terra.
Quando, come se fosse uno slogan, ripetiamo che la ragione è ciò che ci distingue dalle bestie, rischiamo di intendere solo la capacità di formulare un linguaggio articolato e complesso, o di fare calcoli, o ragionamenti, o di creare con la fantasia. Non teniamo conto, comunemente, proprio della straordinaria (ed inspiegabile) capacità di sentire l’esigenza del significato e di darle voce. E’ diventato anche un facile slogan quello secondo cui è l’uomo ad avere creato Dio. Sembra una di quelle formule che spiegano tutto. Ma non si riflette abbastanza su un fatto: che l’uomo poteva benissimo non sentire l’esigenza di creare Dio. Anzi, che questa esigenza è davvero inspiegabile in un essere “chiuso tra cose mortali”. Era il rovello di Ungaretti e, prima ancora, di Leopardi (che chiedeva alla natura umana “perché tant’alto senti?”). ma dovrebbe essere il rovello di ogni persona profondamente impegnata con l’esistenza e onesta di fronte ad essa.
Insomma, che la ragione umana ha bisogno di Dio è un fatto, com’è un fatto che il corpo ha bisogno dell’acqua. Un fatto semplice, da non ridurre, da guardare, da interrogare. Da non liquidare con sbrigative (e insufficienti) spiegazioni, che forse riescono a metterci il cuore in pace lì per lì, ma che alla lunga non tengono affatto.
Il Papa ci ricorda che nel nostro cuore c’è (inspiegabile) un “invito permanente a mettersi in cammino” verso Dio. Potremo metterlo a tacere, ma non l’avremo abraso. L’invito resterà sempre, come un punto vivo che c’infiamma. E’ un po’ la nostra croce e delizia, ma soprattutto è ciò che ci fa veramente umani. Un uomo è tale perché ha questo fuoco dentro. Chi lo spegne diventa presto un animale, o, peggio, una marionetta.
Ma seguiamo ancora il Papa, che ci invita a guardare al fatto di cui stiamo parlando in modo cristiano, cioè secondo una prospettiva del tutto nuova: non cercheremmo Dio, “se non ci fosse già venuto incontro”. Questo annuncio dobbiamo prenderlo sul serio, perché contiene la liberazione, la realizzazione di ogni nostro desiderio, l’acqua viva per la nostra sete.
Non è per una nostra iniziativa che il dramma diventa commedia a lieto fine, ma per un “venire incontro” di Dio. Questo è precisamente il fatto che è all’inizio del Cristianesimo, questo l’annuncio dell’angelo ai pastori e al mondo intero. L’uomo può mettersi anche in cammino verso il Mistero, ma non fa altro che girare a vuoto. I pastori, invece, si affrettano alla capanna, a riconoscere un fatto: quello che era impossibile, impensabile, non prevedibile, è diventato realtà incontrabile. Non c’è da dire altro. C’è solo da rifletterci sopra, da assaporare, da lasciarsi sedurre da questo annuncio. E, di conseguenza, da desiderare.
Tutta la vita dovrebbe essere un desiderio, una mendicanza. Tutta la vita dovrebbe essere un continuo gridare: “Dio, se ci sei, rivelati a me!”. Oppure, che è lo stesso, “fa’ che ti possa riconoscere!”. E’ il grido più grande, più veramente umano che possiamo fare.
Non cercheremmo Dio, “se non ci fosse già venuto incontro”. E’ come se il nostro cuore fosse stato progettato per questo incontro. A noi spetta solo una cosa: mendicarlo. E la festa di Natale, col suo fascino, è lì apposta per aiutarci a rimetterci nella posizione giusta, quella del mendicante.
A tutti i mendicanti, come me, tanti auguri.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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