Mons. Luigi Giussani |
Don Camisasca, quando ha conosciuto don Giussani?
Ho avuto la fortuna di vedere don Giussani fin da piccolo. Nei primi anni di sacerdozio celebrava la messa nella parrocchia dei miei nonni materni, San Martino e Silvestro, in viale Lazio, a Porta Romana. Era poi paziente di mio zio, medico specialista in tisiologia. Don Giussani soffriva ai polmoni. Nella mia famiglia, dunque, si parlava di lui, era stimato, ammirato. Fin da giovanissimo sacerdote era un uomo a cui si guardava come ad una speranza per la Chiesa e per gli uomini. Il vero incontro con lui lo ebbi a quattordici anni al liceo Berchet, quando cominciai a partecipare alla vita di Gioventù Studentesca. Sempre al Berchet fu mio insegnante di religione. È stata quella la svolta della mia vita. Avvertii in lui un maestro capace di esprime il genio cristiano in una lettura dell’uomo e della storia, in una proposta affascinante e positiva.
Chi era don Giussani per lei?
Don Massimo Camisasca |
Anche la sua decisione, dato fondamentale del suo temperamento, altro non era se non il segno visibile di un fuoco che ardeva dentro di lui, acceso dall’esperienza dell’amore ricevuto. Proprio questo suo temperamento lo conduceva a sentirsi destinato ad incontrare chiunque. Abitato da Cristo, si sentiva spinto come da una necessità ad aprirsi a tutti, cercando in ognuno un tratto dell’umanità di Gesù di Nazaret.
In questo modo è stato il creatore di un popolo: non possiamo mai disgiungere la sua persona da ciò che è nato intorno a lui. Chi guarda la storia d’Italia degli anni Settanta e Ottanta, non può non riconoscere che Giussani ha letteralmente salvato dalla morte o da una vita disastrata un’intera generazione di giovani. Potevano essere dei terroristi, dei drogati o alcolizzati, dei borghesi… attraverso di lui sono stati e sono uomini felici di vivere, drammatici, capaci di affrontare le difficoltà della vita, fecondi e creativi.
In che modo l’incontro con don Giussani l’ha spinta a fondare la Fraternità san Carlo?
Durante gli anni di Gioventù Studentesca don Giussani ci portava a Varigotti, dove predicava gli esercizi spirituali per il Triduo di Pasqua. In una delle quelle occasioni tenne una meditazione sulla comunione. Da quel momento capii che tutta la mia vita sarebbe stata spesa per approfondire ad alimentare quel mistero.
La consuetudine di vita con don Giussani fece sorgere in me il desiderio di imitare la sua paternità. Così, dopo alcune peripezie, entrai in seminario e nel 1975 diventai prete. Quando nel 1985 il vescovo di Bergamo diede a me e ad alcuni sacerdoti la possibilità di scegliere il futuro della propria missione, la cosa più naturale fu costituire una comunità missionaria di preti. La fondazione della Fraternità san Carlo raccoglie le esperienze fondamentali che avevano segnato fino a quel momento la mia persona: la sequela della paternità di don Giussani vissuta nel sacerdozio, il desiderio della vita comune e della missione. Con l’appoggio di don Giussani nacque così la san Carlo, espressione di quella comunione e di quell’apertura che avevo vissuto e imparato nel movimento.
Cosa rimane di lui a sette anni dalla sua morte?
Credo nello Spirito che conduce la Chiesa. Don Giussani perciò è vivo e continua dal cielo ad assistere ciò che è nato attraverso di lui. Rimane il movimento da lui fondato, guidato da don Julian Carrón, che don Giussani ha scelto come suo successore. Rimangono le persone che sono state a lungo a fianco di don Giussani e quelle nuove che verranno. Rimangono le sue parole, scritte e nei nostri cuori. Rimane tutta la storia che è nata da lui e che è di fondamentale importanza per capire il presente. Nasceranno anche nuove comunità come segno della fioritura permanente del dono che don Giussani è stato ed è per la Chiesa, alla quale, ultimamente, è consegnato il suo carisma.
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