Un'altra storia di vita sacerdotale, anzi in verità due. Altre due belle storie. E, personalmente, resto disponibile a raccogliere ulteriori nuovi racconti.
Così lontani, così vicini. Entrambi parroci in Maremma, a pochi passi dal mare, a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro: ma è difficile trovare due preti diversi tra loro come don Gianni Malberti e don Sandro Spinelli. Per temperamento, per modo di affrontare la vita, di raccontare di sé.
Eppure, oltre l’apparente divario affiora una radice comune, e neanche tanto nascosta. Sono due volti della Fraternità san Carlo (due dei primi); due volti della missione in Toscana. Due volti con uno sguardo comune. Siamo andati a trovarli, ecco cosa abbiamo scoperto.
Il «tedesco» e la grazia
“Questa è la messa di un prete della Fraternità”, è stata la prima cosa che abbiamo pensato entrando nella chiesa di S. Maria Goretti, a Castiglione della Pescaia. L’ordine dell’arredo, la cura della liturgia, la semplicità dei gesti, l’attenzione dei fedeli: tutte cose che dicono di un’identità. E la chiesa è quasi piena, una domenica pomeriggio di maggio.
«Ce ne vorrebbero di più di preti così», ci dice fuori dalla chiesa una parrocchiana, evidentemente del gruppo delle fan. «Per alcuni è un po’ troppo “tedesco”, ma è perché non lo conoscono bene». In effetti l’aria teutonica un po’ ce l’ha, don Gianni, con quell’espressione seria e il ciuffo bianco ratzingeriano sugli occhi. Tuttavia Malberti non è della Baviera ma di Desio, lo stesso paese di don Giussani. E proprio con don Giussani ha verificato l’ipotesi di entrare in seminario, al Paradiso di Bergamo, lo stesso frequentato da don Massimo e dagli altri primi membri della Fraternità san Carlo.
«Gli anni del seminario sono stati molto belli. Avevamo tutti più di vent’anni. La nostra vocazione era maturata in età adulta. Al Paradiso c’era un’apertura maggiore della media, e fra di noi c’era una grande amicizia».
Ordinato nel 1982, don Gianni va a Firenze. Quando la Fraternità nasce ufficialmente, vi entra: «Nel frattempo intanto avevo iniziato a collaborare con padre Romano Scalfi e il Centro Russia Cristiana: vivevo al Collegio Russicum e studiavo al Pontificio Istituto Orientale con la prospettiva di andare in Unione Sovietica». Scopriamo così che sono di don Gianni i primi passi della Fraternità san Carlo in Siberia, attraverso il rapporto con padre Pavel, un missionario lituano. Malberti vede crollare l’impero sovietico e poi rientra in Italia, diocesi di Grosseto: prima a Punta Ala, poi in una parrocchia dell’interno e infine (da dieci anni) a Castiglione della Pescaia.
Don Gianni ci porta lungo le stradine del borgo antico, fino alla fortezza che dà il nome al paese, in cima a una collinetta. Da lassù si gode di una splendida vista della Maremma: a sinistra la riserva naturale del Padule, a destra la costa verso Punta Ala, davanti le isole d’Elba, di Montecristo e del Giglio. C’è una grande pace: l’estate non è ancora iniziata. «La parrocchia, e il lavoro di parroco, hanno un volto invernale e un volto estivo. Sono due attività totalmente diverse». Due volti della Maremma. Un’unica missione.
Volto “invernale”: «Domenica scorsa c’erano le prime comunioni. Uno dei ragazzi aveva i genitori sposati solo civilmente, e due fratelli non battezzati: non per avversione ma per mancanza di ragioni, di incontri. Il percorso di questo figlio è stata l’occasione per il papà e la mamma di incontrare il cristianesimo. Si è ridestato in loro il desiderio di approfondire la vita della fede, riportando alla superficie quanto giaceva nel fondo: si sono sposati in Chiesa dieci giorni fa. Ora stiamo preparando il battesimo degli altri due figli, mentre il primo, dopo la comunione, ha espresso il desiderio di fare il chierichetto».
Volto “estivo”: «D’estate la domenica abbiamo cinque messe, tutte stracolme, più tre il sabato». Ed è boom di confessioni: «Si incontra un’umanità bisognosa di speranza, di conforto, di perdono. Storie anche drammatiche: la confessione fa respirare, non perché sminuisce il peccato, ma, al contrario, perché giudica, e così riapre alla misericordia. Occorre un giudizio, perché la gente vuole essere presa sul serio, anche nel male che ha commesso. La confessione dà la possibilità di riprendersi dalla disperazione, perché fa intravedere la misericordia di Dio».
La Maremma è un paradiso nato da una palude. E la palude è il rischio perenne dei cuori: «Per le generazioni giovani il benessere è l’unico valore, l’unica ragione di vita. Sono nati e cresciuti in una società così, non hanno un altro orizzonte. Negli anni Settanta c’erano grandi domande di fondo. Oggi è solo l’incontro con Cristo che può far sorgere la domanda e insieme dare la risposta. È il cammino del senso religioso. Il lavoro è faticoso, ma le esigenze sono le stesse, in tutti i tempi, per tutte le persone». E un prete, cosa deve fare? «Cogliere i segnali che la Grazia fa emergere. La pastorale è necessaria ma è più necessario cogliere i segni dello Spirito, come il cambiamento delle persone».
Don Gianni, “tedesco” in Maremma, non sorride spesso. È fatto così. Ma a un certo punto, parla quasi a se stesso: «La questione è il valore della persona. Cristo è morto per me, per te. Questo ridimensiona tutti i progetti e le strategie pastorali in favore della quotidianità della grazia. È la posizione di Violaine, nell’Annuncio a Maria di Claudel: io sono contenta perché tutto è dove deve essere, e questo è il mio posto». E dicendolo, sorride.
L’anarchico di Punta Ala
«Ciao Gesù», dice don Sandro entrando in chiesa. «Ti presento due seminaristi della Fraternità, ma non badarci troppo, perché chissà cosa potrai cavarci!».
Questo è don Sandro Spinelli. Un personaggio da racconto di Guareschi. «Cosa siete venuti a fare qui da me? Accomodatevi, scusate il disordine (libri, quadri, tavolo pieno di fogli, colombe pasquali, sedie ingombre). Tenete, questo è del vino per voi; è di quello buono. A me lo regalano e io non bevo. E questi invece sono dei biscotti: cantucci toscani. Se non li volete non ve li do, eh (no, no, li prendiamo). Questi invece sono i miei libri: sulla figura di San Gugliemo d’Aquitania, che si ritirò eremita in Maremma, sulla teologia dell’arte, sulla mia esperienza con i carcerati, sulla carità… dopo ve ne lascio una copia. Ora invece sedetevi, vi voglio leggere una mezza paginetta». Cosa?: «Un brano di Leclerq che cita san Francesco: “Molti frati invidiano forme di vita religiosa più organizzate, più solide, più efficienti (…) Io per conto mio, il Signore non mi ha chiamato per questo. Mi ha chiesto di vivere secondo la forma del Vangelo: vivere, semplicemente vivere. A questa vita non si possono applicare principi organizzativi: deve fiorire secondo libertà, trovare la propria legge in Cristo. Gli uomini che seguiranno questa regola costituiranno in ogni luogo delle libere comunità/fraternità di amici, saranno i veri figli del Vangelo, uomini liberi giacché nulla ne limiterà l’orizzonte”». «Capito? Io intendo essere un uomo libero, che non vuol dire istintivo, ma con il cuore e con la mente liberi. Seminaristi, ma voi siete felici? Non dico ingenui, dico felici; semplici, non schematici. Adesso andiamo a prendere un aperitivo al porto», dice accendendosi un mezzo toscano.
Curriculum di don Sandro: «Seminario al Paradiso, poi la nascita della Fraternità san Carlo. Nove anni a Roma (con vari incarichi nella prima casa di formazione), quattro anni a mezzo a Napoli (rettore di una scuola), quattro anni e mezzo a Cosenza (in Curia e in carcere). E da 12 anni sono qui». Cosa vuol dire fare il parroco a Punta Ala? I lettori di Fraternità e Missione forse sanno già che cosa vuol dire, tra l’altro, battezzare Luna rossa (la barca di Prada che ha partecipato alla Coppa America). Punta Ala è un rifugio di vip, un nido di superyacht, un concentrato di auto con la scorta. Ma non solo.
«I forestieri sono dieci volte i parrocchiani. Vengono qui l’estate, oppure il fine settimana. Eppure con molti di loro c’è un legame strettissimo, perché ciò che sta a cuore a me (e certo anche a loro) è un rapporto personale, non un adeguarsi a degli schemi personali e stereotipati. Qui viene il re Juan Carlos di Spagna, viene Gianni Letta, uomini e donne di spettacolo, sportivi… ma con loro ho un rapporto profondo, che non è diverso da quello con i “miei” contadini. Tutto dipende da come li incontri: puoi anche raccontare barzellette, ma poi devi richiamarli all’essenziale. Io predico in tutta la diocesi, dirigo l’Ufficio cultura, insegno teologia morale e teologia dell’arte, ma l’importante è guardare in faccia le persone. E in dodici anni, la realtà non mi ha mai tradito. Gli unici che non sopporto sono gli schematici (come sopra), i formalisti, quelli che non si mettono in gioco».
Dal porto arriviamo alla chiesetta di Punta Ala. La domenica da don Sandro vanno tutti, tanto che i negozianti chiedono a lui se è arrivata molta gente o no. «Ero qui da poco e, alla fine della messa, un signore tracagnotto di 70 anni viene a salutarmi e a farmi i complimenti. Io gli dico: “Ma va’, smettila, non si fanno i complimenti ai preti, che poi si inorgogliscono; tu come stai piuttosto, cosa fai di bello?”. Beh, era un altissimo esponente della magistratura. E mi disse che nel mio approccio si era sentito voluto bene come non gli capitava con tutte le persone che ogni giorno lo chiamavano eccellenza».
Re, magistrati e contadini, insomma fedeli: «Qui siamo in Toscana, e l’ideologia di sinistra domina sovrana. Ma non è la diversità politica che ci divide né altro, altrimenti si ricade nello schematismo che impedisce l’incontro. Per essere santo non devi imitare nessuno, se non il Signore Gesù; devi essere te stesso sempre, devi usare le doti che il Signore ti ha dato, e giocarle tutte nella situazione in cui il Signore ti ha messo. Non omologhiamoci! Come diceva Rilke, “Dio ti incontra là dove tu hai le tue radici oggi”. Io sto bene con tutti: con i carabinieri, con gli elettricisti, con i velisti. Faccio fatica solo con gli schematici (se non era abbastanza chiaro ndr). Il buon Dio li salva lo stesso, ma sono tristi».
Mentre ci porta a pranzo, l’ultimo aneddoto. «C’era qui a Punta Ala un anarchico, uno della “dolce vita romana”, che viveva in una capanna di legno, girava a pieni nudi, andava a cavallo, dipingeva, organizzava feste, offriva da mangiare. La prima domenica dal mio arrivo a Punta Ala, me lo trovo in chiesa, era stravaccato in prima fila. Dopo le prime due messe, mi ferma e mi dice: “Io e te andiamo d’accordo”. Alla terza domenica inizia ad arrivare vestito normalmente e mi chiede di leggere la prima lettura; e da quel momento l’ha letta sempre lui. Una domenica c’era il vangelo della samaritana, incontrata da Gesù al pozzo; poco tempo dopo mi regalò un quadro con quella scena, che recava sul retro la dedica: “A don Sandro, perché mi porta quell’acqua viva di cui tutti abbiamo bisogno”. È morto due o tre anni fa. Negli ultimi giorni, mi ha chiesto di accompagnarlo a Siena all’ospedale e di procurargli il libro di Giobbe in latino e in greco, perché così voleva prepararsi alla morte».
Anche don Sandro è un anarchico di Punta Ala. Un anarchico che ha trovato la sua appartenenza, e per questo è libero.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..