La fattoria “padre Pio” è molto nota ad Asunción. Si tratta di
I primi mesi abbiamo
ispezionato per bene il territorio, chiedendo aiuto a chi poteva consigliarci e
poi abbiamo deciso di incominciare i lavori. In primo luogo abbiamo iniziato a
fare pulizia, cosa che ci ha impegnati per diverse settimane. Non appena gli
operai cominciarono a usare il machete, i serpenti corallo sono usciti a frotte
dai loro nascondigli. I contadini, abituati a lavorare in quelle condizioni,
non si sono lasciati impressionare e molti di quei serpenti sono rimasti sul
terreno, vittime del machete. Finita la pulizia il panorama era completamente
differente: il canneto e gli ettari di terreno seminati a foraggio suscitarono
in me un entusiasmo particolare. In quel momento ho cominciato a sognare che un
giorno avrei potuto avere un allevamento di vacche da latte. Devo confessare
che porto nel sangue un affetto speciale per questi animali, grazie ai quali
mia madre ha potuto darci da mangiare negli anni difficili della mia infanzia,
dato che mio papà era dovuto emigrare in Svizzera.
Alcuni mesi dopo, con
grandi sforzi, siamo riusciti a costruire una casetta con una cucina, due
camere da letto e un bagno dove credevamo di poter trascorrere almeno un giorno
alla settimana di riposo. Un sogno inappagato: non c’era tempo per riposare perché
ci siamo resi conto che senza un custode ci avrebbero rubato persino gli
alberi. Così abbiamo trovato una persona che controllasse la casa e per un po’
tutto è andato bene; poi i furti sono ricominciati. Abbiamo cambiato vari
custodi, ma la cosa continuava, finché siamo giunti alla conclusione che i
responsabili dei furti erano gli stessi custodi. Nel frattempo, grazie ad
alcuni amici, avevamo deciso di costruire una piccola casa per ritiri
spirituali. L’avrei voluta di pianta quadrata come i conventi benedettini, con
un ampio giardino nel mezzo. Ma anche quella bella idea è fallita per questioni
di sicurezza.
Ma non mi sono arreso,
così ho pensato a nuove soluzioni: perché non utilizzare lo stesso progetto e,
invece del chiostro aperto, unire i soffitti fino a coprire il patio mettendo
nel mezzo un enorme tronco di lapacho che potesse sopportare il peso? Non solo,
volevo anche che la facciata della casa fosse come quella di una bellissima
chiesa francescana del XVIII secolo che distava pochi chilometri da dove
eravamo noi. Detto, fatto! In un anno abbiamo finito la costruzione, tutta di
mattoni rossi e di malta fatta con cemento e sabbia rossa. Sembra la continuità
verticale del terreno.
Tutto il legname da costruzione tagliato dai falegnami dà un colore particolare alla casa. Tutti i particolari, dagli utensili in argilla fino alle posate, mobili e decorazioni sono stati curati da un’amica del posto, appassionata alla materia. Negli anni seguenti sono nati un grande capannone per gli incontri coi giovani, le famiglie, eccetera e più tardi, rispettando la volontà della signora che ci aveva donato la fattoria, una bella cappella in mattoni pressati in onore di padre Pio. Al posto del campanile, con una grande gru, abbiamo messo una statua molto bella del santo, fatta in cemento da un artista italiano. Uno spettacolo!
Tutto il legname da costruzione tagliato dai falegnami dà un colore particolare alla casa. Tutti i particolari, dagli utensili in argilla fino alle posate, mobili e decorazioni sono stati curati da un’amica del posto, appassionata alla materia. Negli anni seguenti sono nati un grande capannone per gli incontri coi giovani, le famiglie, eccetera e più tardi, rispettando la volontà della signora che ci aveva donato la fattoria, una bella cappella in mattoni pressati in onore di padre Pio. Al posto del campanile, con una grande gru, abbiamo messo una statua molto bella del santo, fatta in cemento da un artista italiano. Uno spettacolo!
Quante sabbie mobili
A quel punto mancava solo la bonifica dell’estuario dove vivevano serpenti e altri animali. C’erano inoltre zone dove le sabbie mobili potevano inghiottire facilmente una persona se per caso sbagliava a finirci dentro.
La cosa più bella e
significativa è stata la trasformazione della prima casa in un centro per i
malati di Aids, “scartati” dalla società e dalle famiglie di provenienza e
ristabiliti nella nostra clinica. Sono un piccolo gruppo di giovani che dopo
anni di formazione, si autogestiscono. Durante il giorno c’è una donna sposata
e madre di 6 figli che li aiuta nei lavori più importanti della casa. La
chiamano “mamma”. Il responsabile della comunità è Thomas, un giornalista,
anche lui malato di Aids. Hanno orari precisi e si alternano nei
differenti lavori che devono fare nella casa.
differenti lavori che devono fare nella casa.
La storia di Luis
Ogni settimana portiamo loro i viveri, stiamo con loro, verifichiamo la puntualità nell’assumere correttamente la terapia con gli antiretrovirali. E quando si scompensano inviamo loro l’ambulanza per portarli ad Asunción, alla clinica, per stabilizzarli. Non sono tutti paraguaiani, ci sono anche un basco e un austriaco. Ognuno ha la sua storia, non solo drammatica, spesso addirittura disperata. Durante il pranzo che condividiamo con loro, hanno cominciato ad aprirsi e a condividere i loro terribili dolori.
Per esempio, Luis, un ragazzo di 26 anni, ci ha raccontato alcuni dettagli della sua vita che ci hanno fatto venire i brividi. Senza famiglia, si era unito a una ragazza dalla quale ha avuto un figlio che ora ha 6 anni. Molto presto la loro relazione finì: la ragazza se ne andò di casa per iniziare una nuova avventura con il vicino di casa, oltre che amico, di Luis. Disperato, il ragazzo è salito su un albero, si è messo una fune al collo e si è lanciato nel vuoto. Il Signore ha voluto che in quel momento passasse di lì una persona buona che, avendone compreso le intenzioni, riuscì ad afferrarlo impedendogli di morire impiccato.
Luis ha riconosciuto in
quel salvataggio la mano di Dio e, per non rischiare di riprovare il suicidio,
lasciò la baracca in cui viveva e se ne andò a Buenos Aires alla ricerca di una
vita migliore. Fu un viaggio inutile perché per 15 giorni il ragazzo è rimasto
in una piazza senza trovare lavoro e quasi senza mangiare. Con l’aiuto di
alcune brave persone è tornato in Paraguay dove ha continuato a ciondolare in
città fino a che una ragazza, che lavora con noi, lo ha incontrato e portato a
San Rafael. Lo abbiamo accolto come un figlio e lo abbiamo portato alla fattoria.
Col tempo abbiamo scoperto che era anche epilettico, ma pian piano la sua vita
ha cominciato a rifiorire.
È proprio vero che Dio
non abbandona mai i figli che a Lui gridano! Dio si serve di noi solo se la
nostra vita è completamente consacrata a Cristo, si serve di noi se, come ha
detto papa Francesco, siamo padri e madri, non zitelloni o zitellone. È comodo
e facile parlare e predicare la carità. Noi preti siamo gli esperti di queste
virtù, scriviamo libri. Ma è tutta un’altra cosa aprire le porte dei nostri
cuori, delle nostre case, dei nostri conventi.
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..