Riporto da Tempi un'intervista ad Antonio Socci di Luigi Amicone

Lo Straniero. Così titola
il suo popolarissimo blog. E così è, Antonio Socci. Straniero come Straniera,
cantava la poesia di Eliot, è la Chiesa per il mondo. Collega per tanti anni al
Sabato e compagno di diaspora. Giornalista e scrittore. Artefice di
un’indimenticata e, ad oggi, ineguagliata, strenua ricerca sulla “storicità dei
vangeli”, che ha consegnato quel nostro piccolo giornale alla posterità (poiché
pochi hanno capito a tutt’oggi, soprattutto nella Chiesa, le scoperte divulgate
da Socci sui frammenti di vangelo di Marco a Qumram e facilmente si è creduto
di espungere una categoria, “avvenimento”, che è tutto il cristianesimo, come
ha confermato papa Francesco nella sua Evangelii Gaudium: «Non mi
stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro
del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o
una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà
alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”»).
E va bene. (Per adesso)
non gli staremo a chiedere lumi sulla questione che si sta ponendo da qualche
tempo sulle pagine di Libero. E cioè quale sia stata la ragione
puntuale del “ritiro” di Benedetto XVI, dopo che il 25 settembre 2011, sullo
stesso Libero, fu lui l’autore dello scoop che ne aveva previsto il
“ritiro” ben prima dell’inizio di Vatileaks, allo scoccare degli 85 anni.
Esattamente quello che poi è avvenuto. Per adesso, parliamo di cristiani e
laici di “strada” che sembrano ondeggiare tra il consenso vasto e euforico a
papa Francesco, e la loro condizione storica di paria, nel primo così come
negli altri mondi. Con un’unica e in effetti notevole differenza: ecco,
l’“Obamacare” americano non è certamente il Boko Haram nigeriano.
Antonio, in
questi giorni ricorre un doppio anniversario: quello del riconoscimento della
Fraternità di Comunione e liberazione da parte della Chiesa e del suo
ancoraggio canonico alla pietra di san Benedetto a Montecassino. E il nono
anniversario dalla morte di don Giussani. Il quale una volta ci disse, di
ritorno dalla Terra Santa, che solo una vita, la vivezza di una fede, si
comunicano e travolgono il mondo, non un potere derivato da una storia o un
ordinamento intellettuale teologico. Come ti suonano oggi queste osservazioni
del Giuss?
Sento due parole: Montecassino e casa di Nazareth. Ricordi la famosa battuta,
la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali? Ecco, c’è una
responsabilità che noi abbiamo come uomini e come donne, come padri e come
madri, davanti a quello che abbiamo incontrato. Il momento storico in cui
viviamo è un gran casino. Esattamente come lo era al tempo di Benedetto.
Allora, dopo il crollo totale di una civiltà, non un prete, ma un laico, un
giovane, un semplice battezzato, Benedetto, è ripartito dall’essenziale,
Cristo, e ha trascinato con sé tutti e un grande papa, Gregorio, ha ricostruito
tutto da lì. E poi è andata sempre così. Pensa a secoli dopo, quando l’Europa
sembrò ai vertici della sua potenza e invece ancora una volta l’edificio
eccelesiale stava di nuovo per crollare, Gesù parla a una persona, le dice:
«Ripara, ricostruisci la mia chiesa». E chi è costui? Un ecclesiastico? Un
cardinale? Un vescovo? Un teologo? Un papa? No, è Francesco, un ragazzo di
Assisi.
Tutto il cristianesimo è una storia di laicità, di uomini e di donne travolti
dalla vita di Gesù. Purtroppo noi abbiamo ancora questa immagine terribilmente
clericale, invece è stato sempre così, battezzati, uomini, donne, nel momento
più cupo, quando il papato sembrava lì lì per diventare il cappellano del re di
Francia, chi salva il papato? Ancora una volta una laica, una ragazza
analfabeta, una popolana, Caterina
da Siena.
Il cristianesimo è una grande storia di popolo. Ma noi ci siamo dimenticati che
il sacerdozio ministeriale è solo un servizio al sacerdozio universale. Siamo
noi battezzati, Re, sacerdoti e profeti. Siamo tenuti a questa testimonianza.
Basta star lì ad aspettare che sia la gerarchia ecclesiastica a dirci fai
questo e quest’altro. Pensa a Nazareth, di cosa stiamo parlando? Di una
accademia teologica? Di un episcopio? No, la casa di un falegname, un padre,
una madre, un figlio. È da lì che si scatena tutto, non da una mente o da una
struttura sofisticata.
I cultori di un
Vaticano II che «non è mai esistito», per dirla con Ratzinger, quel
Concilio che avrebbe spalancato le porte al mondo per disciogliersi nel mondo
invece che strapparlo dal non senso ultimo di ogni suo affanno, con papa
Francesco tentano di dimostrare che finalmente si è chiusa una stagione
“conservatrice”. Insomma, papa Francesco sarebbe la “svolta” che archivia la
Chiesa giovanpaolina e ratzingeriana…
Ci siamo rotti e strarotti di sentire preti e cosiddetti laici (che magari si
definiscono pure atei o agnostici) che parlano del Concilio in termini
clericali, cioè di potere e di rivendicazione di un potere. Il Concilio
Vaticano II siamo noi. Noi lo facciamo perché siamo noi i laici cristiani, il
popolo cristiano. Il Vaticano II non ha forse richiamato la responsabilità
della gente, dei laici, dei padri e delle madri? Dice due cose il Concilio:
basta il battesimo a testimoniare Cristo e, secondo, il cristianesimo è popolo.
Punto e stop. Per cui, anche qui, sottraiamo ai chierici e ai teologi il
Concilio Vaticano II. Liberiamoci!
Posso darti due chicche di Péguy? Le conosci, ma oggi godono di particolare
attualità e non solo per queste stronzate di genitori A e B. «C’è un solo
avventuriero al mondo – scrive Péguy – e ciò si vede soprattutto nel mondo
moderno: è il padre di famiglia. Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo,
nel secolo, solo lui è letteralmente un avventuriero, corre un’avventura. Lui
naviga su questa rotta immensamente larga. Lui solo non può affatto passare
senza che la fatalità si accorga di lui. Gli altri scantonano sempre, possono
permettersi di infilare sotto la
testa. Lui, lui deve nuotare di spalle, deve risalire tutte
le correnti, deve infilare le spalle, il corpo e tutte le membra. Gli altri
scantoneranno sempre, sono carene leggere, sottili come lame di coltello, lui è
la nave grossa, pesante come bastimento da carico». Capisci? Questo è il
momento dei padri e delle madri. Noi difendiamo la nostra fede. E basta. Non
c’è da aspettarsi niente da altri, teologi, apparati, chierici, niente: siamo
noi, difendiamo i nostri figli, le loro anime e la loro avventura umana.
E questa è una specie di carezza che da Péguy arriva alla nostra generazione.
«Si tratta di sapere se le nostre fedeltà moderne, voglio dire se le nostre
convinzioni cristiane in pieno mondo moderno assalite da tutti i venti, battute
da tante prove e che sono uscite intatte da questi due secoli di prove
intellettuali (e noi potremmo dire da questi quarant’anni, ndr), non ricevano
una singolare bellezza, una bellezza non ancora ottenuta, una grandezza
singolare agli occhi di Dio. Le nostre fedeltà sono delle cittadelle,
cittadelle crociate come quelle che trasportavano popoli interi e gettavano dei
continenti gli uni sugli altri sono rifluite su di noi oggi, sono ritornate
fino nelle nostre case. Il più piccolo di noi è letteralmente un crociato. Noi
tutti siamo degli isolotti battuti nel mare da un’incessante tempesta e le
nostre case sono tutte delle fortezze nel mare». Come dire, tiriamo fuori i
nostri attributi e riprendiamoci la nostra responsabilità nel mondo. Perché
basta il nostro battesimo. Come ci è stato insegnato dal nostro maestro
Giussani, il solo battesimo ci abilita a testimoniare Cristo. Tanto è vero che
nel corso dei secoli il popolo cristiano ha difeso la fede pagando con la vita
anche quando i chierici, le avanguardie, se l’erano data a gambe.
Bisogna ribaltare la prospettiva e capire che questa situazione di grande caos
è la situazione più propizia. Come al tempo di Benedetto. Basta maledire la
notte, ciascuno cominci ad accendere la propria candela. E infatti, sai dove ho
trovato questa citazione di Péguy? In piena occupazione della Francia da parte
delle truppe naziste, padre Henri de Lubac scrive il grande saggio sul Dramma
dell’umanesimo ateo. Uno dice: ma come, questo non aveva altro a cui
pensare che a Marx, Comte e Nietzsche, nel pieno di una tragedia che trascinava
a mare il proprio popolo? In realtà De Lubac scrive un libro proprio su quel
momento storico della Francia. Nietzsche erano i nazisti, Marx era l’Unione
Sovietica, Comte era una classe di eletti che purificava tutte le altre. E così
nota De Lubac in margine a Péguy: «Pagine simili dovrebbero esser conosciute a
memoria da tutti i giovani cristiani». Era esattamente come oggi, nel momento
più cupo che si potesse immaginare.
Sembra che i
vecchi schemi per valutare i cattolici (integralisti/dialoganti,
conservatori/progressisti, neocon/democratici) stiano lasciando il passo alla
più elementare e manichea delle discriminanti. Quella tra “buoni” e “cattivi”
cattolici. Da una parte quelli dell’“egemonia”, dall’altra i “puri”, cioè
coloro i quali si tengono lontani dal “potere”. Tu come la vedi?
La vedo come la vedeva Giussani in queste sue parole citate a pagina 523
dal suo biografo Alberto Savorana nel libro Vita di don Giussani: «Ci chiamano
integristi proprio rabbiosamente, con razzismo ideologico, perché sono pronti
ad amare qualunque persona, qualunque idea (…) salvo di essere prontissimi a
odiare i loro confratelli cristiani che non la pensano come loro! Ci chiamano
integristi perché noi urgiamo la Fede! Loro obiettano: “Ma la fede non guarda
il potere… così se siamo perseguitati è meglio!” Come “se siamo
perseguitati è meglio?”. È una frase da intellettuali! Perché nella
persecuzione chi ci lascia le penne sono i più deboli, i più poveri! Nelle
catacombe, se Dio ci manda, noi invocheremo lo Spirito, ma andarci senza
cercare di difendersi, è cretino!».
Come giudichi
fenomeni come la Manif in Francia, ora anche in Italia, o queste Sentinelle che si dispongono in silenziosa protesta contro
il ddl Scalfarotto e l’introduzione delle “teorie del gender” nelle scuole? E
della lettera aperta lanciata dal Foglio che chiede al
Papa di «reagire al ricatto delle avanguardie fanatizzate del mondo secolare»
che dici?
La Manif è un bellissimo esempio di quello che dicevo prima, cioè di padri e di
madri che a un certo punto si sono detti: «Vabbè, adesso tocca a noi difendere
quello che siamo, il senso della nostra storia, la nostra patria, l’anima e il
futuro di nostri figli». E si sono messi per strada. Credo che non ci sia
niente che il potere tema più di questo: un grande movimento di padri e di
madri. Anche perché oggi l’attacco è lì, alla nostra stessa condizione
creaturale di padri, di madri e di figli. E ben venga anche la lettera al Papa
pubblicata dal Foglio.
Vogliamo dire una cosa? Io ringrazio Dio ogni giorno per averci dato compagni
di strada come Giuliano. È un cavaliere d’altri tempi. Un grande. E
un’intelligenza luminosa. Quando penso a uomini come lui, che sento fratello
nell’anima, mi viene in mente quello che sant’Agostino scrive nella Città di
Dio… Dice che ci sono alcuni della città del mondo che in realtà appartengono
alla Città di Dio e alcuni della Città di Dio che appartengono al Nemico. Ecco,
Giuliano è un uomo di Cristo. Non sono sempre d’accordo con lui, su diverse
cose possiamo discutere, ma è fantastico quando il Signore fissa nel cuore un
uomo, un uomo vero. Lì esplode qualcosa di grande, una passione per la verità
che non lascia più tranquilli. E poi, anche nelle dimensioni, ricorda
Chesterton (se la ride, il Socci, ndr).
-----------------