Per spiegare il senso di questo incontro ravvicinato con il mistero, Papa Francesco ha ricordato che il Signore ha parlato al suo popolo non solo con le parole. «I profeti — ha detto — riferivano le parole del Signore. I profeti annunziavano. Il grande profeta Mosè ha dato i comandamenti, che sono parola del Signore. E tanti altri profeti dicevano al popolo quello che il Signore voleva». Tuttavia, ha aggiunto, «il Signore ha parlato anche in un’altra maniera e in un’altra forma al suo popolo: con le teofanie. Quando cioè lui si avvicina al popolo e si fa sentire, fa sentire la sua presenza proprio in mezzo al popolo». Ed ha ricordato, oltre all’episodio proposto dalla prima lettura (1 Re 8,1-7.9-13) alcuni passaggi riferiti ad altri profeti.
«Succede lo stesso — ha spiegato il Papa — anche nella Chiesa». Il Signore ci parla attraverso la sua parola, raccolta nel Vangelo e nella Bibbia, e attraverso la catechesi, l’omelia. Non solo ci parla ma, ha precisato, «si fa anche presente in mezzo al suo popolo, in mezzo alla sua Chiesa. È la presenza del Signore. Il Signore che si avvicina al suo popolo; si fa presente e condivide con il suo popolo un po’ di tempo».
Questo è ciò che avviene durante la celebrazione liturgica che certamente «non è un buon atto sociale — ha spiegato ancora il vescovo di Roma — e non è una riunione di credenti per pregare insieme. È un’altra cosa» perché «nella liturgia eucaristica Dio è presente» e, se possibile, si fa presente in modo ancor «più vicino». La sua, ha detto ancora il Papa, «è una presenza reale».
E, ha puntualizzato il Pontefice, «quando parlo di liturgia mi riferisco principalmente alla santa messa. Quando celebriamo la messa, non facciamo una rappresentazione dell’Ultima Cena». La messa «non è una rappresentazione; è un’altra cosa. È proprio l’Ultima Cena; è proprio vivere un’altra volta la passione e la morte redentrice del Signore. È una teofania: il Signore si fa presente sull’altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo».
Quindi Papa Francesco ha riproposto, come spesso è solito fare, un comportamento usuale nei fedeli: «Noi sentiamo o diciamo: “Ma, io non posso adesso, devo andare a messa, devo andare a sentire messa”. La messa non si sente, si partecipa. E si partecipa in questa teofania, in questo mistero della presenza del Signore fra noi». È qualcosa di diverso da altre forme della nostra devozione, ha precisato ancora portando a esempio il presepio vivente «che facciamo nelle parrocchie a Natale, o la Via Crucis che facciamo nella Settimana Santa». Queste, ha spiegato, sono rappresentazioni; l’eucaristia è «una commemorazione reale, cioè è una teofania. Dio si avvicina ed è con noi e noi partecipiamo del mistero della redenzione».
Il Pontefice si è poi riferito a un altro comportamento assai comune tra i cristiani: «Quante volte — ha notato infatti — contiamo i minuti... “Ho appena mezz’ora, devo andare a messa...”». Questo «non è l’atteggiamento proprio che ci chiede la liturgia: la liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio, e noi dobbiamo metterci lì nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio. La liturgia è proprio entrare nel mistero di Dio; lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero»
E, rivolgendosi proprio ai presenti alla celebrazione ha così proseguito: «Per esempio, io sono sicuro che tutti voi venite qui per entrare nel mistero. Forse però qualcuno ha detto: “Io devo andare a messa a Santa Marta, perché nella gita turistica di Roma c’è da andare a visitare il Papa a Santa Marta tutte le mattine...”. No! Voi venite qui, noi ci riuniamo qui, per entrare nel mistero. E questa è la liturgia, il tempo di Dio, lo spazio di Dio, la nube di Dio che ci avvolge tutti».
Quindi Papa Francesco ha condiviso con i presenti alcuni ricordi della sua infanzia: «Io ricordo che bambino, quando ci preparavano alla prima Comunione, ci facevano cantare “O santo altare custodito dagli angeli” e questo ci faceva capire che l’altare era custodito dagli angeli, ci dava il senso della gloria di Dio, dello spazio di Dio, del tempo di Dio. E poi, quando ci facevano fare la prova per la comunione, portavano le ostie per fare la prova e ci dicevano: “Guardate che queste non sono quelle che voi riceverete; queste non valgono niente, perché poi ci sarà la consacrazione”. Ci facevano distinguere bene una cosa dall’altra: il ricordo dalla commemorazione». Dunque celebrare la liturgia significa «avere questa disponibilità per entrare nel mistero di Dio», nel suo spazio, nel suo tempo.
E, avviandosi a conclusione, il Pontefice ha invitato i presenti a «chiedere oggi al Signore che ci dia a tutti questo senso del sacro, questo senso che ci faccia capire che una cosa è pregare a casa, pregare in chiesa, pregare il rosario, pregare tante belle preghiere, fare la via crucis, leggere la bibbia; e un’altra cosa è la celebrazione eucaristica. Nella celebrazione entriamo nel mistero di Dio, in quella strada che noi non possiamo controllare: lui soltanto è l’unico, lui è la gloria, lui è il potere. Chiediamo questa grazia: che il Signore ci insegni ad entrare nel mistero di Dio».
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