Marc Chagall, «Il figliol prodigo», 1975-1976 |
L'ho vista regredire, perdere gradualmente la lucidità della mente e poi le funzioni del corpo. Con il passare dei mesi è diventata sempre più simile a una bambina. Finché il filo che la teneva legata a questo mondo è stato reciso. Era l’ultimo giorno di febbraio, poche ore prima dell’inizio della Quaresima. Quando l’ho saputo, ho pensato che Dio Padre avesse giudicato sufficiente il suo digiuno.
Guardando al suo lungo travaglio, la prima parola che mi viene alla mente è mistero. In questi casi ad un certo punto viene meno la possibilità di comunicare con la persona ammalata. Almeno in quei modi che noi riteniamo essere normali: la parola e il dialogo che permettono di scambiarsi i pensieri, i ricordi, i progetti. Quando non otteniamo più risposte o queste diventano senza logica e discontinue, iniziamo a porci delle domande. Che cosa avviene dello spirito che tiene in piedi il nostro corpo? Dove si rifugia la persona che non riesce più a governare le facoltà della sua psiche? E poi, perché Dio permette che un essere umano si eclissi in questo silenzio? Perché permette quella vita che noi chiamiamo vegetativa? E perché così a lungo, a volte?
Non possiamo conoscere il dialogo che il Creatore di tutto decide di svolgere con coloro a cui chiede questa croce. Possiamo però comprendere qualcosa di ciò che vuol dire a noi, chiamandoci ad accompagnare queste persone.
Noi tendiamo naturalmente a misurare tutto, a calcolare. Anche le domande che ho ricordato sopra sorgono spesso da questo tipo di calcoli. A che serve? Che utilità ha una vita così? Molti rispondono che non serve a niente. E tirano le conseguenze, arrivando fino a sostenere l’eutanasia. Esiste però un altro modo di guardare e giudicare le cose, dove il punto di vista è la non-misura, che è in realtà la misura di un Altro, di Dio. La sua misura è per noi l’assenza di ogni possibilità di tornaconto, perché lui è la gratuità senza calcolo, l’amore senza aspettative di ritorno, il bene voluto solo per se stesso.
Dio chiama a volte qualcuno dei nostri cari ad attraversare la malattia per condurci a comprendere chi lui è. Le persone più deboli o inferme sono un suggerimento a trattare tutto con più gratuità, con meno calcolo. Nella fedeltà al sacrificio che richiede l’amarli, impariamo a voler bene a tutto un po’ di più in quel modo. Non è immediato, ci vuole la pazienza di un cammino. Ma è possibile iniziare a intravedere il volto di un Altro che soffre nella carne della sua creatura.
E allora succede una cosa inaspettata. Proprio quella persona, che in tanti modi potrebbe essere di peso, riempie di consolazione il luogo in cui si trova. In chi se ne prende cura nasce un affetto per quelle povere membra sofferenti che è il riflesso di un amore che misteriosamente riceviamo proprio attraverso la presenza dell’ammalato. Io ho potuto vedere questo nei miei genitori e in tante altre famiglie. La nonna Maria ha vissuto in casa nostra come un segno. Ci ha mostrato, nell'arco di tredici lunghi anni, la necessità di abbracciare un altro modo di vedere e giudicare le cose.
Queste esperienze sono semplici. Non serve cercare lontano, le possiamo vivere nelle nostre case. Hanno però la forza di rendere la vita veramente umana, veramente cristiana, veramente degna di essere vissuta fino in fondo e in qualunque condizione.
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..