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S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

mercoledì 10 agosto 2011

Il digiuno cristiano non è un ramadan (Contributi 494)

Un articolo di Giovanni Cavalcoli tratto da La Bussola quotidiana:

Una ragionevole pratica del digiuno è da sempre raccomandata dalle religioni, dall’ascetismo morale e dalla cura della salute fisica. Intendo qui per “digiuno” una moderata, volontaria, periodica e metodica astensione dagli alimenti, soprattutto quelli più pesanti per la salute, pratica finalizzata ad un perfezionamento della vita morale sotto le tre suddette angolature: religiosa, in quanto esso rappresenta un sacrificio cultuale e quindi avvicina a Dio; morale, in quanto, mediante un saggio dominio dell’appetito del cibo, modera le passioni, rafforza la volontà e favorisce la vita intellettuale; sanitaria, in quanto evita di affaticare le funzioni digestive, snellisce e irrobustisce l’agilità del corpo, allunga la vita.
Nulla di più contrario alla vera funzione del digiuno di una certa immagine stereotipata dell’asceta smunto, pallido, scheletrito e macerato da disumane privazioni, sporco e vagante in luoghi deserti, seminudo e con le vesti stracciate. E’ la rappresentazione grottesca e ripugnante messa in giro da una propaganda edonistica ed antireligiosa, anche se c’è da riconoscere che un certo ascetismo del passato ha ceduto a queste pratiche, che possono in realtà nascondere forme esibizionistiche o addirittura patologiche che nulla hanno a che vedere con la vera perfezione morale, che pure l’autentico digiuno si propone di promuovere e custodire. Resta comunque il fatto che Dio può concedere eccezionalmente ai suoi santi forme miracolose di digiuno, che però sono da ammirare e non da imitare.
Una forma particolare di digiuno è quella praticata più volte da Marco Pannella in segno di protesta e come rivendicazione di supposti “diritti umani”; ma questo tipo di digiuno, che si scosta nettamente dall’uso sia cristiano che islamico, non pare affatto lodevole, bensì come atto di violenza sia verso il proprio corpo che verso l’autorità, dalla quale si pretende, al di là e contro i normali mezzi democratici, di estorcere con la forza certi benefici, il cui contenuto peraltro è piuttosto discutibile per non dire moralmente riprovevole. C’è inoltre da osservare come qui emerga l’incoerenza del cosiddetto “pacifismo non-violento” dei Radicali, del quale Pannella vorrebbe essere il portabandiera. La pratica del digiuno, nelle sue forme più austere, data la sua delicatezza, non è affidata solitamente all’iniziativa o all’arbitrio del singolo, ma è meticolosamente regolamentata da guide spirituali o mediche o dall’autorità religiosa, spesso in base ad usi o riti tradizionali, con eventuale sanzione divina, ampiamente sperimentati e comprovati, saggiamente amministrati onde consentire opportune mitigazioni, dispense ed eccezioni.
La pratica del digiuno è in generale un dovere di tutti, ma, nelle forme più rigorose, può essere oggetto di un voto, come per esempio negli istituti religiosi. Occasioni speciali, come eventi importanti, lutti nazionali, calamità collettive o periodi penitenziali, possono giustificare una più intensa pratica del digiuno Occorre comunque ricordare, come insegnano tutti i grandi maestri, che il digiuno più importante non è il digiunare dai cibi, ma il digiunare dai peccati. A nulla servirebbe un digiuno fisico rigorosissimo - esso potrebbe anche essere aiutato dal demonio -, se non c’è l’impegno di digiunare dalla superbia, dall’ingiustizia, dall’odio, dalla sensualità e dall’avarizia.
Il digiuno islamico è più rigoroso di quello cristiano; ma ciò non assicura necessariamente una maggiore virtù interiore al musulmano rispetto al cristiano. Siccome l’alimentazione è un bisogno vitale, il digiuno, legato ad un’opportuna dieta, possibilmente sotto controllo medico o della guida spirituale, non soltanto dev’essere moderato e proporzionato alle possibilità o alla vocazione di ciascuno, ma anche limitato a speciali periodi di tempo: ecco per esempio il Ramadan islamico o la Quaresima cristiana. Inoltre, in rapporto alla perfezione finale ed ultraterrena dell’uomo (“paradiso”) il digiuno rappresenta questa condizione finale in quanto in essa l’uomo, pienamente spiritualizzato e padrone del proprio corpo, non avrà più bisogno di alimentarsi. Infatti l’alimentazione suppone un decadere della vitalità biologica che richiede appunto una rivitalizzazione assicurata dall’alimentazione. Ora è ovvio che in paradiso queste deficienze non esisteranno.
Ma questa perfezione finale è ben rappresentata anche dal banchetto, in quanto la felicità ultraterrena non esclude affatto il piacere fisico, per cui il lauto banchetto esprime la convivialità fraterna e la gioia della festa.
Invece, in quanto pratica penosa, il digiuno non è un atto escatologico, ma legato alla presente vita terrena in preparazione alla festa ed alla gioia del paradiso.
Il digiuno pertanto può esser anche un aspetto della penitenza che occorre fare per espiare i propri peccati e ricevere il perdono divino. Il digiuno è anche una pratica legata alla solidarietà con chi soffre la fame: il cibo al quale si rinuncia può essere devoluto ai poveri. In sostanza il digiuno eleva lo spirito, facilita l’acquisto delle virtù, purifica i sensi, potenzia la libertà, acutizza la vista dell’intelligenza, concilia l’uomo con Dio, armonizza l’anima col corpo, prepara all’eterna festa del paradiso.
Non bisogna quindi confondere il digiuno così inteso con un certo digiunare frutto di una visione antropologica dualista e rigorista, presente in certe tradizioni religiose ed ascetiche, le quali vedono nel corpo e nelle passioni l’origine del male e i nemici dello spirito, per cui la salvezza e la libertà consisterebbero nella soppressione degli istinti e delle emozioni e in ultima analisi nel fatto che con la morte l’anima “si libera dal corpo”. Questa impostazione è riscontrabile in antiche concezioni gnostiche, in Platone e nella filosofia indiana. Viceversa, sia nella prospettiva cristiana che in quella islamica il paradiso comporta l’unità di anima e corpo e quindi tanto il godimento spirituale quanto quello fisico.
Un’interpretazione dualista del digiuno, per quanto riguarda l’Islam, a mio avviso non veramente fedele alla concezione coranica, è riscontrabile nella presentazione fattane alla voce “Ramadan” dall’Enciclopedia online Wikipedia con queste parole: “Dal momento che lo scopo del devoto è quello di purificarsi da tutto quello che di materiale esiste nel mondo corrotto e corruttibile, e dal momento che ogni ingestione gradevole è considerata corruzione del corpo e dell'anima, è vietato anche fumare e, secondo alcuni, profumarsi, perché in entrambe le azioni s'ingerirebbero sostanze estranee e da entrambe le azioni si trarrebbe un godimento illecito che distoglierebbe dagli aspetti penitenziali cui mira l'istituzione”.
Per quanto riguarda il cristianesimo, questa tendenza dualista e troppo severa si riscontra soprattutto nel monachesimo origenista, influenzato dal platonismo e forse, alla lontana, dallo ascetismo indiano. Infatti Origene fu discepolo di un certo Ammonio Sacca, un orientale che, secondo alcuni studiosi, apparteneva alla famiglia Sakhya, che era la stessa famiglia del Budda. Tale rigorismo fu condannato dalla Chiesa. Sempre in clima cristiano, c’è da segnalare anche il fenomeno della setta ereticale medioevale dei Catari, i quali costituiscono un esempio di come quando manca l’equilibrio nel dominio degli istinti (virtus stat in medio), si passa facilmente da un estremo all’altro. Così i Catari, essi pure condannati dalla Chiesa, si resero famosi per l’abbinamento che facevano del più disumano rigorismo col più sfrenato edonismo, aspro digiuno e crapula luculliana, sessuofobia e libidine a volontà.
In realtà la concezione del digiuno nell’etica islamica come in quella cristiana è aliena da questa visione tetra e morbosa e corrisponde invece a quanto ho detto all’inizio, se si escludono certe correnti rigoriste che ogni tanto appaiono in entrambe le religioni. Se però oggi c’è da notare un problema in questo campo, è il difetto opposto del lassismo, dell’edonismo e dell’epicureismo, che porta al disprezzo del digiuno come tale, soprattutto quello religioso, in nome di sfrenati godimenti terreni nel completo disprezzo di qualunque legge divina o prospettiva ultraterrena. Un rappresentante forsennato di questa tendenza neopagana è Friedrich Nietzsche.
Noi cristiani dobbiamo riconoscere con franchezza che questa decadenza si è largamente diffusa presso di noi, soprattutto nei paesi ricchi, dove, se si pratica il digiuno, lo si fa solo o per motivi sportivi o in vista di una maggiore funzionalità o bellezza fisica o come dieta alimentare. Alcuni cristiani provano un certo senso di inferiorità considerando l’austerità islamica del Ramadàn. Tuttavia noi cristiani, se sapessimo veramente apprezzare i valori della nostra religione, ci accorgeremmo che la concezione cristiana del digiuno non ha nulla da invidiare a quella coranica, benchè essa si distingua per un alto valore ascetico e religioso, ma anzi offre al digiuno meravigliose motivazioni spirituali e soprannaturali.
Per quanto riguarda il Corano, citiamo questi insegnamenti: “O voi che credete! Vi è prescritto il digiuno, come fu prescritto a coloro che furono prima di voi, nella speranza che voi possiate divenire timorati di Dio”. (Sura II, v.183) “Credenti! vi è stato prescritto il digiuno come è stato prescritto a coloro che son venuti prima di voi e può esser che siate timorati per giorni contati - e chi di voi sia malato, o sia in viaggio, lo faccia per un numero corrispondente di altri giorni e per coloro che potevano farlo c’è un riscatto: il nutrimento di un povero; e chi fa di sua scelta di meglio, ciò è meglio per lui: che digiuniate è meglio per voi se sapeste! E' il mese di Ramadan nel quale fu fatto scendere il Corano a guida per gli uomini e chiare evidenze della Guida e discriminante definitiva; chi di voi attesti direttamente il mese vi digiuni e per chi sia malato od in viaggio, vi sia un numero corrispondente di altri giorni Iddio vuole per voi quel che vi è facile non vuole per voi quel che vi è duro, e ne completiate il numero e magnifichiate Iddio per avervi dato la Guida, e può darsi siate riconoscenti”.
E ancora: «Quando arriva il Ramadan vengono aperte le porte del Paradiso, e chiuse quelle del Fuoco, e i demoni vengono legati». «Iddio Potente e Glorioso ha detto: “Ogni azione del figlio di Adamo gli appartiene, eccetto il digiuno, che appartiene a Me, ed Io ne dò ricompensa; il digiuno è un’armatura, e quando sia giorno di digiuno per uno di voi, non nutra propositi osceni né vociferi, e se qualcuno lo ingiuria o lo combatte, dica: 'Sto digiunando'; e per Colui nella Cui Mano è l’anima di Muhammad, l’alito cattivo che promana dalla bocca di colui che sta digiunando è migliore davanti a Dio del profumo del muschio. Chi digiuna ha due motivi di cui rallegrarsi: si rallegra quando lo rompe, e si rallegrerà del digiuno fatto quando incontrerà il suo Signore».«Non vi è servo che digiuni un giorno sulla via di Dio, senza che per quel giorno Iddio gli tenga lontano il volto dal Fuoco per settanta annate».
Questa concezione del digiuno è molto simile a quella cristiana, inquantochè sostanzialmente basata sulla religione naturale, ossia quella forma di culto divino che l’uomo, non senza qualche ispirazione o rivelazione divina, può tuttavia stabilire e praticare sulla base della semplice ragion pratica e della buona volontà.
Invece il digiuno cristiano non ha solo una motivazione umana, che in fondo troviamo anche nell’Antico Testamento, ma si fonda e si giustifica in base alla rivelazione evangelica dell’opera redentrice di Gesù Cristo. Nel cristianesimo il digiuno presuppone la consapevolezza del peccato originale, consapevolezza che è assente nel Corano. Grazie a questa dottrina il cristiano è consapevole radicalmente delle sue miserie morali e della sua tendenza al peccato, chiamata nel linguaggio cattolico tradizionale “concupiscenza”. Infatti secondo la Rivelazione cristiana, che trae i suoi esordi dalla dottrina veterotestamentaria, l’uomo nella vita presente nasce in una situazione di inimicizia nei confronti di Dio, alla quale non può adeguatamente riparare con i semplici sacrifici della religione naturale e quindi con la semplice pratica naturale del digiuno.
Nella visione cristiana il peccato è un danno talmente grave che può essere riparato solo dal sacrificio di Cristo in quanto Figlio di Dio. Nel cristianesimo pertanto il digiuno, per esempio quello quaresimale, oltre agli aspetti già visti, possiede anche questo significato di essere partecipazione volontaria alle sofferenze di Cristo in vista della purificazione dal peccato e dell’ottenimento, grazie alla Redenzione di Cristo, della divina misericordia.
Ma il digiuno cristiano potrebbe essere collegato anche col Mistero Trinitario, purtroppo ignorato dall’Islam. Infatti nel cristianesimo il motivo radicale del digiuno non è tanto l’esigenza cultuale o quella ascetica o quella penitenziale o quella solidaristica con gli affamati, quanto piuttosto la corrispondenza, sotto la guida e l’impulso dello Spirito Santo come Spirito dell’Amore, all’offerta d’amore che Cristo fa di Se stesso al Padre ed all’uomo nel nome del Padre, come vittima di espiazione, come salvatore, come donatore, da parte del Padre, della vita eterna, come sposo dell’anima, affinchè l’uomo a sua volta, per il ministero del sacerdote, come singolo e come comunità ecclesiale, in Cristo, con Cristo e per Cristo possa offrire al Padre un degno sacrificio e rendergli onore e gloria nel conseguimento del paradiso.
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