Trovo nel sito di Cultura Cattolica quest'articolo di Luisella Saro che ci mette di fronte, con una testimonianza molto bella, al senso e valore vero dell'esistenza:
«Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; lo pianterò sul monte alto d'Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l'albero alto e innalzo l'albero basso, faccio seccare l'albero verde e germogliare l'albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò».
(Ez 17, 22-24)
Quando l’immobilità di un essere umano… muove una regione intera
Oggi è di Chiara che scriverò. Di quel che ha insegnato, in venticinque anni, ai suoi genitori, ai parenti, agli amici, a chi l’ha conosciuta, a chi le stato e le è vicino. Di quel che ha insegnato a me.
Racconterò come, pur trovandosi dalla nascita in una situazione di grave disabilità, senza parlare, senza potersi muovere, è diventata – come racconta Ada, la sua mamma – “centro dinamico attorno al quale sono nati e si sono sviluppati competenze e scambi di relazioni, fino a promuovere l’associazionismo familiare, studi e ricerche, leggi in ambito regionale e nazionale”.
Chiara vive in Sardegna, ed è proprio a partire dalla sua storia che nel 2000 nell’isola è sorta una realtà di servizi personalizzati per coloro che hanno disabilità gravi, che coinvolge ora più di trentamila persone ed è un modello per tutte le regioni d’Italia. Insieme ad altre famiglie e associazioni, Ada e Marco Espa sono diventati protagonisti attivi di un’azione sociale volta all’attuazione concreta dei diritti umani di tutti, a cominciare proprio da chi vive le situazioni più difficili, superando il modello pietistico e assistenzialistico della segregazione sociale, convinti, come affermano con forza, che “migliorando la qualità di vita dei più deboli, si produce il miglioramento della società per tutti”.
Chiara, la sua famiglia, i suoi amici…
Ada racconta che, dopo una gravidanza e un parto senza problemi, ricevuta la notizia che la figlia era gravemente cerebrolesa, il medico che seguiva la bimba “per il nostro bene ci ha suggerito di affidarla a un istituto per la poca vita che le sarebbe rimasta… avrebbe ricevuto cure adeguate e la nostra famiglia avrebbe potuto vivere una vita cosiddetta normale”.
“La poca vita che le sarebbe rimasta” sono, per ora, i 25 anni che Chiara ha compiuto il 30 maggio: traguardo che ha stupito e continua a stupire molti medici e per il quale certamente è stata determinante la scelta coraggiosa compiuta dai genitori: “sarebbe stata lei, nella sua situazione così estrema, a educarci”.
Anche se non ci conosciamo, sento Ada al telefono e mi rendo conto che, parlandoci da mamma a mamma, non è difficile capirsi. Chiara ha “sconvolto” la loro vita come ogni bambino che viene al mondo cambia radicalmente la vita dei suoi genitori. Chiara di più, certamente. Ma, come tutti i figli, mentre chiede, dà. E sempre più di quanto si possa immaginare.
Certo a casa Espa la vita non è facile, perché sono tanti i bisogni di Chiara, che ormai è una giovane donna: necessita di un’assistenza 24 ore su 24 e dopo un lungo periodo in cui i genitori sono riusciti a nutrirla con il biberon, adesso ha il sondino nasogastrico; deve usare per più di 20 ore al giorno una macchina respiratoria non invasiva e le sono indispensabili frequenti broncoaspirazioni, nonché un continuo monitoraggio dell’ossigenazione e della frequenza cardiaca. In casa la temperatura dev’essere costante, intorno ai 26-27°, e l’attenzione all’igiene particolarmente scrupolosa, per evitare infezioni e contagi. E’ chiaro, dunque, che non sarebbe possibile accudirla se, nel tempo, i genitori non avessero imparato ad organizzarsi e a chiedere aiuto: alla famiglia d’origine, ai vicini, in parrocchia, agli amici, ai compagni di studio, e a costruire una rete di rapporti che hanno fatto di casa Espa un luogo di incontro, di aiuto e di crescita reciproca.
Coordinati dal pediatra prima e dal medico di base poi, attorno a Chiara hanno sempre ruotato anche tanti specialisti, nell’ottica della multidisciplinarietà e coprogettando le visite domiciliari necessarie. “Siamo arrivati persino a chiamare il veterinario con l’ecografo e il radiografo portatile per cavalli”, racconta la mamma, che aggiunge come purtroppo non sia facile trovare queste attrezzature portatili disponibili per gli esseri umani. Prezioso, in particolare, il rapporto con il primario della rianimazione, che “sembra quasi abbia in testa un laboratorio di analisi per come sa individuare ogni volta ad occhio nudo quali siano i suoi valori alterati”.
E’ questa, credo, una delle cose che più fa riflettere di questa storia: l’attenzione ai segnali, anche ai più piccoli. La capacità di decodificare il linguaggio non verbale che, come mi racconta la mamma di Chiara al telefono, è diventata educazione, per lei, a capire di più e più in profondità anche gli altri, osservandone i comportamenti, le sfumature.
Penso ai miei figli quando ancora non sapevano parlare e ricordo bene come mi pareva di essere l’unica in grado di comprenderne i bisogni semplicemente interpretando il “tipo” di pianto, o i movimenti del corpo… Chiara, adesso, è insieme bambina, adulta ed anche anziana, per la fatica quotidianamente compiuta dal suo corpo, dai suoi organi, e quindi l’approccio, con lei, deve necessariamente essere, insieme, amorevole ed esperto.
E allora capisco com’è possibile che Chiara, nella sua condizione di fragilità estrema, sia una presenza così potente, così “sconvolgente” per chiunque, in qualsiasi modo (anche attraverso un articolo!) si accosti a lei: è un richiamo per tutti a stare, con chi ci è accanto, al livello in cui è, accogliendo, semplicemente, la sua presenza. Senza pretese.
Chiara, nell’immobilità e nel silenzio, ci educa a questo.
Libertà di morire o sostegni per vivere?
In quest’epoca in cui si discute di testamento biologico, di eutanasia (o dolce morte, o morte dignitosa… cambiano le parole, ma non la realtà che nascondono), la famiglia Espa, che da 25 anni vive il rapporto quotidiano con la disabilità della figlia, ha le idee chiarissime. “Noi pensiamo che la voglia di vivere e la qualità di vita sia determinata dalle relazioni umane e dai sostegni che si ricevono”, afferma infatti Ada, che cerca di rendere più chiaro ciò che intende servendosi di una metafora. “Se pensiamo che la disabilità sia pesante come una tonnellata, è ovvio che qualsiasi persona, qualsiasi famiglia lasciata sola ne risulterà schiacciata, se invece impariamo a dividerci il peso, se c’è una comunità pronta a condividerlo, sarà più facile da portare”. E aggiunge: “Io penso che, nel dubbio, fra scegliere di vivere o di morire in situazioni che possono avere contorni sfumati, non ci sia la possibilità di prendere decisioni nette e definitive che hanno la conseguenza ineluttabile della morte, cioè il cessare del respiro, del battito cardiaco e di tutte le funzioni di un corpo, ‘solo’ perché il cervello è danneggiato gravemente, come se il cervello perfettamente funzionante fosse il tutto, fosse l’unica e sola sede del valore della persona. Non penso siano questi i parametri per misurare la dignità di una persona: mia figlia mi fa capire ogni giorno il valore della sua corporeità, con la sua pelle che sente, i suoi muscoli, il suo respiro, il battito delle palpebre con il quale a volte riesce a comunicare, l’impercettibile movimento delle sue mani…”.
Quando si è consapevoli del valore della persona “senza se e senza ma”, se si è sostenuti da una rete di relazioni significative e da servizi sociali concreti e a misura delle necessità di ciascuno, secondo i genitori di Chiara è meno difficile scegliere ogni giorno di preferire la vita, anche se ci tengono a precisare che sono molto contrari ad ogni forma di accanimento terapeutico. “Ci mancherebbe!”, dicono convinti.
E’ “dignitosa” la vita di Chiara?
Capita però spesso che chiedano alla famiglia Espa se ha mai pensato che una vita vissuta nella disabilità gravissima non fosse abbastanza dignitosa per Chiara. “Tante volte – risponde Ada - ci abbiamo pensato e tante volte mi sono detta: chi sono io per dire che una persona nelle condizioni di Chiara è meglio che muoia o che viva? Chi sono io, pur madre, per decidere al posto suo che è meglio che se ne vada perché soffre troppo? Mia figlia mi lancia continuamente messaggi di segno opposto: certo lei non parla e sono io che devo decodificarli. Ricordo una notte, nel reparto di rianimazione, lei mi ha lanciato uno sguardo, è riuscita ad aprire gli occhi, a spalancarli, con una tale energia e volontà – e li ha rivolti a me – in quel momento ho sentito come se mi dicesse: mamma guarda che io sono qui e voglio rimanere qui. E tu devi lottare per me”.
“Se qualcuno – conclude Ada – può pensare che questa non sia vita, che sia solo un vegetale, lo dica, abbia il coraggio di parlarne… Sono persone e sono i nostri figli!”
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..