Una riflessione di Mons.Giussani sulla Pasqua:
La Risurrezione è il culmine del mistero cristiano. La centralità della Risurrezione di Cristo è direttamente proporzionale alla nostra fuga come da un incognito, alla nostra smemoratezza di essa, alla timidezza con cui pensiamo alla parola e ne siamo come rimbalzati via.
E’ nel mistero della Risurrezione il culmine e il colmo dell’intensità della nostra autocoscienza cristiana, perciò dell’autocoscienza nuova di me stesso, del modo con cui guardo tutte le persone e tutte le cose: è nella Risurrezione la chiave di volta della novità del rapporto tra me e me stesso, tra me e gli uomini, tra me e le cose. Ma questa è la cosa da cui noi rifuggiamo di più. È come la cosa più, se volete, anche rispettosamente, lasciata da parte, rispettosamente lasciata nella sua aridità di parola intellettualmente percepita, percepita come idea, proprio perché è il culmine della sfida del Mistero alla nostra misura. «Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,1-22).
Il cristianesimo è l’esaltazione della realtà concreta, l’affermazione del carnale, tanto che Romano Guardini dice che non c’è nessuna religione più materialista del cristianesimo. E’ l’affermazione delle circostanze concrete e sensibili, per cui uno non ha nostalgia di grandezza quando si vede limitato in quel che deve fare: quel che deve fare, anche se piccolo, è grande, perché dentro lì vibra la Risurrezione di Cristo. «Immersi nel grande Mistero», immersi come l’io è immerso nel «tu» pronunciato con tutto il proprio cuore, come il bambino quando guarda la madre, come il bambino sente la madre. Non mi posso concepire se non immerso nel Tuo grande Mistero. La fede in Cristo risorto è il supremo atto dell’intelligenza umana nel cogliere la realtà con lealtà e con affettività, amorosamente affermandola. Questa affermazione amorosa del reale è condizione per cui l’intelligenza dell’uomo, di fronte alla proposta di Cristo risorto, diventa fede. La proposta di Cristo risorto e il riconoscimento di fede non sono opera dell’uomo, non il prodotto di un’ipotesi di lavoro della mente, non forza dell’intelletto, bensì possibilità della nostra intelligenza, in quanto – come creatura – è una potenza d’obbedienza al Creatore: è per grazia. È per grazia che noi possiamo riconoscerlo risorto e che noi possiamo immergerci nel suo grande Mistero.
Senza la resurrezione di Cristo c’è una sola alternativa: il niente. Noi non pensiamo mai a questo. Perciò passiamo le giornate con quella viltà, con quella meschinità, con quella storditezza, con quell'istintività ottusa, con quella distrazione ripugnante in cui l’io – l’io! – si disperde. Così che, quando diciamo «io», lo diciamo per affermare un nostro pensiero, una nostra misura o un nostro istinto, una nostra voglia di avere, un nostro preteso, illusorio possesso. Al di fuori della resurrezione di Cristo, tutto è illusione. Ci è facile guardare tutto lo sterminato gregge degli uomini nella nostra società: è la grande, sterminata presenza della gente che vive nella nostra città. E noi non possiamo negare di sperimentare questa meschinità, questa grettezza, questa storditezza, questa distrazione, questo smarrirsi totale dell’io, questo ricondursi dell’io ad affermazione accanita e presuntuosa del pensiero che viene (chiamandolo “verità della mia coscienza”) o dell’istinto che pretende afferrare e possedere una cosa che lui decide essergli piacevole, soddisfacente, utile. È che tutto è illusione. Distaccatevi due metri dalla vostra casa, guardate tutta la gente come vive tante volte; normalmente viviamo così. Guardatela, uscite dalla vostra casa e state lì a guardarla, due metri fuori: ditemi se l’ambiente non è così, se l’umanità non è questa!
È per questo che la liturgia ci fa dire: «Sostieni sempre la fragilità della nostra esistenza con la tua grazia, unico fondamento della nostra speranza»: il che vuol dire che senza il Mistero di Cristo risorto, il Mistero supremo del cristiano, sarebbe vana la fede e saremmo ancora nel nostro peccato, vale a dire in una realtà che è destinata a dissolversi e a omologarsi nella cenere ultima, nel nulla – e tutto ciò che vibra nella vita e sembra eccitare i nostri nervi, i nostri desideri e i nostri pensieri sarebbe illusione-. Non c’è altra alternativa che quella tra il Cristo risorto e questa illusione della vita, «il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera, / e l’infinita vanità del tutto», come finisce la breve poesia A se stesso di Leopardi. Non c’è alternativa a Cristo risorto, se non questa frase di Leopardi.
Mai, come di fronte a Cristo risorto, la nostra insistenza sul chiedere, sul pregare, sul domandare (usiamo la parola che è l’essenza della preghiera: domandare), la nostra domanda deve intensificarsi. Per immergerci nel grande Mistero dobbiamo domandare: questa è la ricchezza più grande. Come l’intelligenza più grande è affermarlo, così l’affettività più ricca è domandarlo, il realismo più intenso e più drammatico è domandarlo. Del resto, l’istante prima se n’è andato, l’istante successivo ancora non esiste: la nostra libertà è nella decisione dell’istante. Se la nostra libertà è nella decisione dell’istante, che cosa possiede la nostra libertà, che cosa è capace di creare? Soltanto di svelarsi come domanda. Essa è, infatti, esigenza di pienezza e di felicità, di essere. La nostra libertà è esigenza; il cuore, se vogliamo usare il paragone biblico, è esigenza, cioè desiderio; l’istante è desiderio. Allora la verità del desiderio è solo nel diventar domanda. La libertà è il desiderio originale che diventa domanda. Nella domanda è il riconoscimento del positivo del disegno di Dio; nella domanda è il riconoscimento – imperfetto e timidamente iniziato – del Mistero che è tra noi.
Che cosa accade immergendoci nel grande Mistero di Cristo risorto? Ciò che caratterizza l’io nuovo è la verità delle cose, è la verità della realtà, è una intelligenza della realtà nella sua verità, è un amore alla realtà nella sua verità, è un immergersi nella realtà come verità, è un immergersi nella verità della realtà. Gesù quando è risorto ha fatto un’esperienza nuova della sua umanità, del suo essere davanti alla gente, dell’essere nel tempo e nello spazio, del camminare e del mangiare; è un’esperienza sottratta alla forma naturale dell’esperienza. Non era, il suo mangiare, lo stare davanti a Maria e agli Apostoli, come per noi; era stare davanti a tutto quello dentro il possesso della prospettiva ultima, dentro la verità, nella loro verità. Questo è ciò che rende vera anche la nostra esperienza di rapporto tra di noi, di rapporto con le cose, di rapporto con tutto.
Allora, già fin d’ora, se partecipiamo all'esperienza nuova che l’uomo Cristo, risorto da morte, vive sino alla fine dei secoli, noi partecipiamo inizialmente, incoativamente di questa sua signoria sul tempo e sullo spazio. Non c’è alternativa tra Cristo risorto e la decadenza totale verso il niente. Non c’è niente che possa togliere la differenza tra quella verità e la menzogna nei nostri rapporti: l’adesione a quella verità o la menzogna, nei nostri rapporti. Anche il più intimo e il più amato, fino all'ultimo ci lascerebbe con assoluto disinteresse. Mentre il rapporto più amato diventa eterno, un possesso già eterno perché in esso «traluce» qualcosa che tu riconosci. E perciò abbracci ciò che ami con quel distacco dentro che ti fa dire: «In te traluce il grande Altro, Cristo. Amo te come Cristo, amo Cristo in te, amo te in Cristo». E non esiste più l’estraneo, fosse anche il più lontano uomo che vive in Kamchatka o nell'Australia: non esiste più estraneo, e tutto appartiene a me con quel sollievo e quel riposo che mi dà la percezione del punto di fuga che è in tutto e che raccorda tutto e ogni cosa al Destino ultimo, al Mistero ultimo che si è svelato in tutta la sua potenza e misericordia e giustizia: Cristo risorto.
Ma questo è ciò per cui ci svegliamo oramai tutte le mattine: è un orizzonte e un destino, un’intensità di vibrazione, è un vivere e un possedere, perché si è posseduti. È un essere posseduti, ciò da cui parte il possedere, da cui parte la vibrazione e l’intensità, da cui parte la cattolicità, la totalità dei rapporti, con la croce dentro (possesso con un distacco dentro). Ciò da cui tutto parte è l’essere posseduti da Cristo risorto, «immersi nel grande Mistero».
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..