Il nuovo libro del Card. Scola in un articolo da La Bussola:
Era il risultato più difficile, ma sembra esserci riuscito. Con il suo nuovo libro, Non dimentichiamoci di Dio (Ed. Rizzoli), il cardinale Angelo Scola ha piantato un seme che può riportare il dialogo tra laici e cattolici al livello che merita. Senza sconti e scorciatoie e senza l’illusione di poter risolvere tutto in una sera.
Era la netta impressione che si percepiva ieri uscendo dall'incontro di presentazione che si è tenuto all'Auditorium di Milano. Sul palco c’era la grande stampa, con i direttori Ferruccio De Bortoli (Corriere della Sera), Ezio Mauro (Repubblica), Giuliano Ferrara (Il Foglio) e il giurista Francesco D’Agostino (editorialista di Avvenire). Un buon segno, come le duemila persone presenti, visto che il terreno è arido da tempo.
Il dibattito che ciclicamente si ripropone quando la cronaca al posto di sfidarci ci porta a indossare noiosamente l’elmetto e a rinchiuderci nei nostri fortini («magari mandando avanti nei rispettivi campi i più estremisti», come ha fatto notare De Bortoli) è segnato sempre più spesso dall'incapacità di ascoltarsi. E forse anche dalla scarsa voglia di pensare e di farsi capire.
Sgombrato il campo dagli equivoci e dalle scuse, l’Arcivescovo di Milano ha spronato ciascuno a tornare al proprio posto.
I cattolici, in primo luogo. «La verità ci cerca, ci ha insegnato Agostino e l’assolutezza, incarnata dal figlio di Dio è compatibile e feconda anche nella società plurale europea». Certo, la traduzione di questa assolutezza, senza relativizzarla, ma rendendola comprensibile al mondo è un onere a cui il cristiano non si può sottrarre, ha chiarito Scola nelle conclusioni.
Ma il cristiano non può più tacere in nome di una laicità intesa come spazio pubblico neutrale in cui tutto è tollerato, tranne la domanda di Dio («se rinuncio ad affermare che un nome, come matrimonio, non può valere per più cose diverso tolgo qualcosa alla società» ha spiegato il cardinale).
Ai laici, invece, la grande sfida. Abbandonare la laicité ispirata dalla Rivoluzione francese basata sulla neutralità e su un’aconfessionalità intesa come assenza di Dio e compiere la “rivoluzione mancata” dell’Editto di Milano di cui si festeggia il XVII centenario (anniversario da cui è nato il primo discorso sul tema del porporato e, successivamente, il libro di cui stiamo parlando). Mettere cioè la libertà religiosa a capo della scala dei diritti fondamentali delle nostre società. Non a caso la decisione di Costantino del 313 fu il riconoscimento della libertà dei cristiani e, conseguentemente, di ogni essere umano («initium libertatis dell’uomo moderno», la definì Gabrio Lombardi).
Nonostante lo “slalom dei problemi” dettato dal bon ton, che ha sottolineato ironicamente Ferrara, e l’immensità di un tema che è alla base di mille battaglie (dall'eutanasia all'aborto, dalla rimozione dei simboli religiosi fino ai matrimoni gay…) non sono mancati nel dibattito i segni di una vitalità risvegliata.
«Noi laici siamo davvero certi che, tolti i crocefissi dalle pareti, abbiamo reso le aule delle nostre scuole dei posti migliori?» si è chiesto il direttore del Corriere della Sera, senza risparmiare una critica “sommessa” alla Chiesa, troppo generosa a suo dire nell'accreditare referenti politici discutibili e più secolarizzata della società nell'arroccarsi attorno ai valori “non negoziabili”.
«Voi cristiani volete essere cittadini di serie A, forti delle vostre certezze, o di serie B, perché obbedienti a un comando esterno, a un’“obbligazione di appartenenza” più che a un’“obiezione di coscienza”?» ha chiesto invece Ezio Mauro. «E la Chiesa, dopo aver accettato la minoranza nei numeri è pronta ad andare in minoranza sui valori?».
Parole spigolose come pietre, ma segno di un dibattito riaperto e privo di ipocrisie.
D'altronde Angelo Scola lo spiegava all'inizio del suo volume. L’obiettivo era «sollevare problemi» non «fornire soluzioni preconfezionate». Anche in questo caso, le attese non sono state deluse.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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