Il Pontefice ha proseguito la meditazione sulla prima lettera di Giovanni già iniziata nei giorni scorsi. Il brano proposto dalla liturgia (5, 5-13) — ha spiegato — «ci dice che abbiamo la vita eterna perché crediamo nel nome di Gesù». Ecco le parole dell’apostolo: «Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio».
È «lo sviluppo del versetto» proclamato nella liturgia di venerdì e sul quale il Papa aveva già centrato la sua meditazione: «E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede». Infatti, ha ribadito il Pontefice, «la nostra fede è la vittoria contro lo spirito del mondo. La nostra fede è questa vittoria che ci fa andare avanti nel nome del Figlio di Dio, nel nome di Gesù».
Una riflessione che ha portato il Santo Padre a porsi una domanda decisiva: com’è il nostro rapporto con Gesù? Questione davvero fondamentale, «perché nel nostro rapporto con Gesù si fa forte la nostra vittoria». Una domanda «forte», ha riconosciuto, soprattutto per «noi che siamo sacerdoti: come è il mio rapporto con Gesù Cristo?».
«La forza di un sacerdote — ha ricordato il Pontefice — è in questo rapporto». Infatti quando la sua «popolarità cresceva, Gesù andava dal Padre». Luca, nel passo evangelico della liturgia (5, 12-16), racconta: «Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare». Così «quando si parlava sempre di più» di Gesù «e le folle, numerose, venivano ad ascoltarlo e a farsi guarire, lui dopo andava a trovare il Padre». Un atteggiamento, ha puntualizzato il Papa, che costituisce «la pietra di paragone per noi preti: andiamo o non andiamo a trovare Gesù».
Di qui scaturiscono una serie di domande che il Pontefice ha suggerito per un esame di coscienza: «Qual è il posto di Gesù Cristo nella mia vita sacerdotale? È un rapporto vivo, da discepolo a maestro, da fratello a fratello, da povero uomo a Dio? O è un rapporto un po’ artificiale che non viene dal cuore?».
«Noi siamo unti per lo spirito — è stata la riflessione proposta dal Papa — e quando un sacerdote si allontana da Gesù Cristo invece di essere unto, finisce per essere untuoso». E, ha notato, «quanto male fanno alla Chiesa i preti untuosi! Quelli che mettono la forza nelle cose artificiali, nelle vanità», quelli che hanno «un atteggiamento, un linguaggio lezioso». E quante volte, ha aggiunto, «si sente dire con dolore: ma questo è un prete» che somiglia a una «farfalla», proprio «perché sempre è nella vanità» e «non ha il rapporto con Gesù Cristo: ha perso l’unzione, è un untuoso».
Pur con tutti i limiti, «siamo buoni sacerdoti — ha proseguito il Papa — se andiamo da Gesù Cristo, se cerchiamo il Signore nella preghiera: la preghiera di intercessione, la preghiera di adorazione». Se invece «ci allontaniamo da Gesù Cristo, dobbiamo compensare questo con altri atteggiamenti mondani». E così vengono fuori «tutte queste figure» come «il prete affarista, il prete imprenditore». Ma il sacerdote, ha affermato con forza, «adora Gesù Cristo, il prete parla con Gesù Cristo, il prete cerca Gesù Cristo e si lascia cercare da Gesù Cristo. Questo è il centro della nostra vita. Se non c’è questo perdiamo tutto! E cosa daremo alla gente?».
Quindi il vescovo di Roma ha ripetuto la preghiera proclamata nella orazione colletta. «Abbiamo chiesto — ha detto — che il mistero che noi celebriamo, il Verbo che si fatto carne in Gesù Cristo fra noi, cresca ogni giorno in più. Abbiamo chiesto questa grazia: il nostro rapporto con Gesù Cristo, rapporto di unti per il suo popolo, cresca in noi».
«È bello trovare preti — ha rimarcato il Papa — che hanno dato la vita come sacerdoti». Preti dei quali la gente dice: «Ma sì, ha un caratteraccio, ha quello e ha quello, ma è un prete! E la gente ha il fiuto!». Invece, se si tratta di «preti, a dire una parola, “idolatri”, che invece di avere Gesù hanno i piccoli idoli — alcuni sono devoti del dio Narciso — la gente quando vede questo dice: poveracci!». Dunque è proprio «il rapporto con Gesù Cristo», ha assicurato il Pontefice, a salvarci «dalla mondanità e dall’idolatria che ci fa untuosi» e a conservarci «nell’unzione».
Rivolgendosi infine direttamente ai presenti — tra i quali un gruppo di sacerdoti di Genova con il cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco — Papa Francesco ha così concluso l’omelia: «E oggi a voi, che avete avuto la gentilezza di venire a concelebrare qui con me, auguro questo: perdete tutto nella vita ma non perdete questo rapporto con Gesù Cristo. Questa è la vostra vittoria. E avanti con questo!».
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