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Un caro saluto a tutti e un sentito ringraziamento a chi vorrà contribuire in qualunque modo a questa piccola opera.

S. Giovanni Paolo II

Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata... Ci alzeremo ogni volta che la sacralità della vita viene attaccata prima della nascita. Ci alzeremo e proclameremo che nessuno ha l'autorità di distruggere la vita non nata...Ci alzeremo quando un bambino viene visto come un peso o solo come un mezzo per soddisfare un'emozione e grideremo che ogni bambino è un dono unico e irripetibile di Dio... Ci alzeremo quando l'istituzione del matrimonio viene abbandonata all'egoismo umano... e affermeremo l'indissolubilità del vincolo coniugale... Ci alzeremo quando il valore della famiglia è minacciato dalle pressioni sociali ed economiche...e riaffermeremo che la famiglia è necessaria non solo per il bene dell'individuo ma anche per quello della società... Ci alzeremo quando la libertà viene usata per dominare i deboli, per dissipare le risorse naturali e l'energia e per negare i bisogni fondamentali alle persone e reclameremo giustizia... Ci alzeremo quando i deboli, gli anziani e i morenti vengono abbandonati in solitudine e proclameremo che essi sono degni di amore, di cura e di rispetto.

domenica 15 maggio 2011

Ben due volte Gesù moltiplicò i pani e i pesci (Articoli 53)

Ecco per voi un nuovo articolo di Ruggero Sangalli (tratto sempre da La Bussola) che continua il suo lavoro sulla storicità dei Vangeli:

Stimolati da uno dei Vangeli letti nelle sante Messe feriali dell’ultima settimana, possiamo osservare il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci, che è un rarissimo caso di episodio presente in tutti e quattro i testi evangelici. L’esercizio è interessante, perché permette di constatare una volta ancora la storicità del racconto.
I miracoli fatti da Gesù, propedeutici al suo farsi pane eucaristico, sono in realtà due, ben distinti e simili: la prerogativa di essere narrato da tutti e quattro i Vangeli vale solo per il primo.
Furono tuttavia proprio due: che non ci sia confusione lo attesta Gesù stesso (Mt 16,8 e Mc 8,14), facendo il riassunto dei fatti e rimbrottando un po’ il comprendonio dei suoi discepoli.

I due episodi possono essere distinti tramite i particolari che troviamo descritti.
Nel primo (Mt 14,13-21; Mc 6,30-44; Lc 9, 10-17 e Gv 6,1-15) i mezzi a disposizione constano di 5 pani e 2 pesci, gli uomini sfamati (donne e bambini esclusi) sono 5mila e alla fine avanzano 12 ceste di cibo non mangiato. Luca scrive che il fatto è accaduto in un luogo deserto (che non significa brullo) del territorio di Betsaida (Lc 9,10) «dall’altra parte del mare» rispetto a Cafarnao (Gv 6,17). Le due località distano “via mare” poco più di tre chilometri.
Nel secondo caso (solo in Mt 15,29-39 e Mc 8,1-10), sempre sulle sponde settentrionali del mare di Galilea (dopo il miracolo Gesù andrà verso Magadan/Dalmanuta), inizialmente c’erano 7 pani e dei pesciolini, gli uomini erano 4mila e alla fine rimangono 7 ceste di “avanzi”.
Superata l’irresistibile tentazione di inseguire tutti i possibili simbolismi presenti in questi numeri, perfettamente uguali in tutti i Vangeli che ne scrivono, la dovizia di particolari e la sinossi rende interessante lo studio delle peculiarità storiche e geografiche dei due episodi, potendoli così collocare con precisione negli anni della vicenda terrena di Gesù, Dio tra gli uomini, qui in uno dei segni che provocarono maggior scalpore tra la gente.
Cafarnao era la città capoluogo della zona, sede di una importante sinagoga e anche di una guarnigione romana. Divenne la residenza di Pietro e dall'anno 31 vi abitò anche Gesù.
Betsaida (il cui nome significa “casa di pesca”, rinominata Giulia dopo l’ingrandimento voluto dal tetrarca Filippo) era la città di Pietro, Andrea e Filippo apostolo. Si trovava al confine tra la Galilea e la Gaulanitide, proprio all’altezza del principale guado sul Giordano, incrocio delle vie per Cafarnao, per la costiera orientale verso Gerasa (nella Decapoli) o in direzione di Cesarea di Filippo (l’ex Panion, presso le sorgenti del Giordano: l’abbellire e ribattezzare città con nomi stranieri fotografa bene il periodo storico: lo faceva anche il tetrarca Antipa, con Tiberiade e Sefforis). Le rovine dell’antica Betsaida sono a breve distanza dal punto dove oggi il fiume si immette nel “mare di Galilea”, uno specchio d’acqua pescosissimo, dal clima tropicale e soggetto a frequenti tempeste. La costa odierna è avanzata di un centinaio di metri verso sud a motivo dell’arretramento delle acque del lago e dell’apporto di detriti del fiume, ma anche ai tempi di Gesù gli archeologi attestano la presenza di un villaggio di pescatori e sono state trovate le rovine di un imbarcadero.
Lungi dall’essere episodi “mitici”, i due miracoli mostrano un’estrema logica cronologica e geografica: nel primo caso troviamo in Giovanni un riferimento alla Pasqua (Gv 6,4) e la presenza di molta erba (Mt 14,19; Mc 6,39; Gv 6,10). Stiamo quindi parlando dell’inizio della primavera.
Per la datazione proposta per la Pasqua di crocifissione e di risurrezione siamo nell'anno 32: quell’anno la Pasqua cadeva “alta”, a metà aprile, giustificando ulteriormente un ambiente dichiarato verdeggiante (Mc 6,39), tanto più che si è vicini a un fiume, in una stagione anche piovosa e mentre proseguiva lo scioglimento della neve sui vicini monti alti oltre 2mila metri.
Che l’anno sia proprio quello lo conferma anche il fatto che in tutti i Vangeli il primo miracolo di moltiplicazione sia posto immediatamente dopo il diffondersi della notizia della morte di Giovanni Battista, qualche mese dopo il suo arresto, che era avvenuto nel 31. Gli apostoli tornano proprio in quei giorni dalla missione. Gesù in lutto si ritira in barca in disparte (Mc 6,32), invitando con sé i dodici, anche per riposarsi dalle fatiche. Vengono visti e la gente si affolla portando i malati: la morte del Battista aveva sicuramente spento alcune aspettative messianiche, ma ne alimentava altre.
Dopo il miracolo, era ormai tarda sera, Gesù, prima di ritirarsi in preghiera su un’altura nei pressi, quasi obbliga i discepoli a precederlo in barca (Mt 14,22) “di là”, a Betsaida (Mc 6,45); quando questi, lontani da riva (Mc 6,47) si troveranno minacciati dal vento contrario, Egli che li osservava dall’alto, li raggiungerà in piena notte, cioè nella quarta vigilia (Mt 14,25), tra le 3 e le 6 del mattino, camminando sulle acque. Al mattino attraccheranno a Gennezaret (Mc 6,53).
Giovanni è geograficamente ineccepibile (i sinottici mancano di tanto dettaglio e Giovanni si mostra sempre più cronista che teologo): Gesù (Gv 6,1) andò al di là della riva galilea del lago (oltre il Giordano). Dopo il miracolo gli apostoli, costretti da Gesù, traghettano con una barca (di due che avevano) sull’altra riva, verso Cafarnao; avevano vogato per circa 30 stadi (5 chilometri), controvento, quando Gesù li avvicina camminando sull’acqua: lo fa anche Pietro per pochi passi; infine approdarono (a Gennezaret, Mt 14,34).
Si noti che Giovanni è un galileo, nativo proprio della costiera settentrionale del lago. Questo “di qua e di là” e molto significativo di come fosse vissuto dalla gente lo stato giuridico dell’area, al confine tra Galilea, Iturea e Traconitide (Lc 3,1) con i due fratelli tetrarchi Antipa e Filippo a farsi dispetti, rivaleggiando in opere urbanistiche e contendendosi le grazie di Erodiade…
In effetti Giuseppe Flavio ci informa che Betsaida Giulia, abbellita da Filippo che ne farà il luogo della propria tomba (morirà nemmeno due anni dopo l’epoca del primo miracolo), era sul Giordano, presso la foce nel lago. Giovanni fa appartenere questa località alla Galilea. Una possibile spiegazione è che il corso del fiume, o un suo canale anche a scopi difensivi, abbia portato la città ora ad est, ora ad ovest del suo letto, nel contesto delle diatribe tra i due tetrarchi.
Ma torniamo alla primavera del 32.
La folla rimasta dalle parti di Betsaida, che aveva visto Gesù salire sul monte, scopre che è rimasta solo una barca (Gv 6,22). Frattanto nel luogo del miracolo arriva gente da Tiberiade (Gv 6,23), dove si era sparsa la voce di quanto accaduto il giorno prima. Non trovando nessuno, vanno a Cafarnao, in cerca di Gesù. E ce lo trovano, ascoltandone un indimenticabile discorso nella locale sinagoga, sul pane di vita, Lui stesso (Gv 6,26-58). Un discorso duro, che disorientò molti (Gv 6,61).
L’estrema storicità del Vangelo di Giovanni traspare anche dal suo nominare non genericamente i discepoli quali anonimi interlocutori di Gesù (come accade nei racconti sinottici), bensì precisamente Filippo e Andrea (non certo i più importanti tra i dodici, ma nativi ed esperti della zona). Gesù stesso li interroga per provocarne l’intelligenza (Gv 6,5) a proposito della disponibilità di alimenti per sfamare la gente. Da vero testimone oculare che non scrive troppi anni dopo i fatti, definisce con precisione che i pani erano d’orzo (Gv 6,9) ed addirittura fa trapelare un rapido conto economico (Gv 6,7) della spesa (“duecento denari”, il salario di duecento giorni di lavoro) che sarebbe stata necessaria per dar da mangiare un boccone a tutti quanti.
Dopo il primo miracolo, Gesù si spinge verso il Libano, a Tiro e Sidone (Mc 7,24 e Mt 15,21), prima di ritornare verso il mare di Galilea, nella zona della Decapoli (Mc 7,32). Il secondo miracolo di moltiplicazione di pani e pesci avviene forse nei pressi dello stesso monte (Mt 15,29) ove ci fu il primo. Congedata la folla Gesù va verso Magadan (Mt 15,39)/Dalmanuta (Mc 8,10) e poi torna di nuovo verso Betsaida (Mc 8,22) e di là giunge nel territorio di Cesarea di Filippo (Mt 16,13 Mc 8,27).
Sembra quasi di seguire Gesù nei suoi spostamenti, tanto sono stupefacenti il dettaglio e la coerenza dei Vangeli integrati tra loro! Quel che accade a Cesarea, con la confessione di Pietro, è a ridosso della festa delle capanne e della Trasfigurazione, perciò all’inizio di ottobre del 32.
Prima di demitizzare i Vangeli bisognerebbe demitizzarne la storia e la geografia.
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