Oggi
Cristo è sempre più estraneo anche agli stessi cattolici. Per i vescovi
Camisasca e Santoro è questo lo scopo del Sinodo e dell’Anno della fede.
«Mostrare la bellezza che il cristianesimo introduce nella vita»
Un anno per riporre al
centro la questione di Dio, che secondo Benedetto XVI è il “grande sconosciuto”
del mondo contemporaneo.
L’11
ottobre prossimo inizierà l’Anno della fede indetto dal Papa, verrà inaugurato
mentre è in pieno svolgimento il Sinodo dei vescovi su “La nuova
evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (7-28 ottobre 2012).
L’evidente
preoccupazione di Benedetto XVI è ben espressa dalla domanda evangelica:
«Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?».
Sulla terra vuol dire anche nella Chiesa, e pare questo il cruccio di Papa
Ratzinger, che nel documento in cui spiega perché ha voluto l’Anno della fede,
scrive: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggiore
preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro
impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere
comune. In effetti questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene
perfino negato» (Porta Fidei).
Che
cosa sia la fede Benedetto XVI l’ha detto sin dalla sua prima enciclica:
«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande
idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un
nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est). Ora
convoca un Sinodo per discutere con i vescovi come l’evangelizzazione, il cui
obiettivo è la realizzazione di questo incontro, debba rinnovarsi, possa farsi
“nuova”.
“Nuova
evangelizzazione” è una formula introdotta da Giovanni Paolo II, che di fronte
alla distinzione tra missione ad gentes e missione nei paesi dell’antica
cristianità, spiegava: «I confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova
evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente
definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti
stagni. (…) Le Chiese di antica cristianità, alle prese col drammatico compito
della nuova evangelizzazione, comprendono meglio che non possono essere
missionarie verso i non cristiani di altri paesi e continenti, se non si
preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria: la missionarietà ad
intra è segno credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa»
(Redemptoris missio).
Momenti di energia e stanchezza
Abbiamo
chiesto a due vescovi che hanno esperienza di entrambe le dimensioni del
problema di aiutarci a capire l’indirizzo e l’impulso che Benedetto XVI ha
voluto dare alla Chiesa con questo Sinodo e con l’Anno della fede. Il primo è
monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, a lungo missionario “ad
gentes” in Brasile dove ha guidato la diocesi di Petropolis. Il secondo è
monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia. L’abbiamo interpellato,
prima che fosse pubblicata la sua nomina, in quanto fondatore e superiore
generale della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo che forma sacerdoti
per le missioni ed è presente in più di venti paesi, in Europa, Stati Uniti e
nelle cosiddette “terre di missione”.
Per
monsignor Camisasca non si capisce e non si entra nell’Anno della fede se non
si risponde alla domanda: «Perché la fede è interessante per ogni uomo? La
sfida di questo momento è che la fede sembra ai più qualcosa di non
interessante, oppure interessante soltanto per taluni, o per alcuni aspetti
dell’esistenza, o solo in alcuni momenti».
Richiesto
di spiegare come e quando l’interesse per la fede si è ridotto nei termini da
lui descritti, Camisasca dice che «l’allontanamento di intere generazioni dalla
Chiesa si è manifestato nel ’68, ma ha radici più lontane». Il dilemma è
conosciuto: è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l’umanità? «Io penso –
risponde Camisasca – che la storia della Chiesa è una storia complessa: essa
vive momenti di grande energia e poi momenti di stanchezza, come è nella vita
dell’uomo. I momenti più vivi sono i momenti della sua santità. Sono momenti di
verità segnati da qualcosa di imponderabile, ma anche portatori di una novità
nella storia». Imponderabile? «Tu non puoi fabbricare madre Teresa, non puoi
fabbricare Giovanni Paolo II, non puoi fabbricare padre Pio. Ma di fatto la
possibilità della Chiesa di parlare a tutti gli uomini ha la sua radice nella
santità. E sono proprio i santi coloro che mostrano come il cristianesimo sia
realmente un umanesimo».
Il battesimo e la missione
Monsignor
Santoro, uno dei quattro vescovi italiani chiamati a partecipare al Sinodo
direttamente da Benedetto XVI, ci risponde al telefono di ritorno da una visita
all’Ilva di Taranto, e spiega così “l’umanesimo” evocato da Camisasca: «Ritengo
essenziale questo nuovo annuncio che parte dalla fede, che è dono, come messo
bene in evidenza dal Santo Padre, cioè l’incontro del Mistero con la vita
dell’uomo e la sua condizione. Nei paesi di antica tradizione cristiana è come
se tutto ciò fosse ovvio, un’eredità del passato già conosciuta ma non
sperimentata, di fatto non profondamente conosciuta. È necessario, proprio in
questi paesi, riproporre la fede come risposta alle domande della persona, del
suo cuore. Questo può accadere attraverso la testimonianza della novità che il
Mistero produce a livello umano». Quanto ai paesi di nuova o ancora non
compiuta evangelizzazione, per Santoro «il problema è una proposta di novità in
cui si mostra la bellezza che il cristianesimo introduce nell’esistenza». Sono
due situazioni diverse, sottolinea Santoro, «in una c’è come da smontare una
struttura consolidata di già saputo e quindi di già scartato, nell’altra c’è
una facilitazione, ma anche lì se non si mostra il fascino della fede le
persone saranno vittime del secolarismo, o delle nuove sette che fanno della
fede una proposta di successo immediato nel lavoro e nell’amore. In entrambe le
situazioni è necessario mostrare la fede come pienamente adeguata
all’esperienza umana».
La
fede può essere «interessante per l’uomo – insiste Camisasca – perché è
l’incontro con quell’Uomo che ci rende uomini. Quindi, in un senso reale e
profondo, la fede è qualcosa che riguarda tutti. Non c’è uomo venuto al mondo
che non sia destinato a incontrare Gesù. Ma le modalità di questo incontro sono
decise da Dio: sono personali, sono diverse e talvolta molto strane. Qui si
capisce la fede come dono, perché questo incontro è donato a ciascuno secondo
modalità differenti. A molti di noi, in Occidente, è stato donato attraverso il
battesimo. La scoperta che la fede sia la strada verso la pienezza dell’umano
per ogni persona rende il nostro battesimo un fatto missionario che ci porta a
incontrare gli altri uomini, ad aiutarli a scoprire le vie che portano a Gesù.
Sarà poi il Signore a farsi incontrare da loro».
Testimoniare la carità
La
scelta del battesimo nasce nella famiglia, che oggi sembra un valore del
passato, ma per Camisasca il problema non è «ricostruire il passato, ma la
continuità fra le generazioni senza la quale non c’è vita del popolo, della
famiglia, della persona. La persona vive infatti degli affetti e delle ragioni
che la precedono e che vuole trasmettere».
Come
allora trasmettere la fede, cioè le sue ragioni, in un mondo che vanta i
successi dell’autonomia della ragione in campo culturale e morale vissuta in
contrapposizione alla fede? «Io penso – dice Santoro – che il rapporto tra fede
e ragione sarà una delle questioni notevoli di questo Sinodo, ma non in senso
accademico, quanto piuttosto nel contesto del rapporto tra umanità e Mistero,
tra condizione umana e dono di Dio. Nel nostro mondo secolarizzato è importante
la testimonianza della carità, coniugare la fede e la carità, non appena
gestendo servizi religiosi o sociali, ma mostrando che il Signore risponde alla
condizione umana: la nostra miseria, in tutti i suoi aspetti materiali e
spirituali e in tutte le sue dimensioni, è accolta e abbracciata dall’amore del
Signore. Quindi, una fede amica della ragione che sa condividere il bisogno
dell’uomo nella carità».
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