L'editoriale odierno di SamizdatOnLine (a firma Gianluca Zappa) ci fa considerare il vero senso delle celebrazioni di inizio novembre..
Per molti, moltissimi, ormai, inizia la settimana del lungo ponte di Halloween. In realtà sarà la settimana della festa dei Santi e della commemorazione dei defunti, ma la festa neo pagana e consumistica del carnevale della morte e l’opportunità di un lungo week end di vacanza è in cima al pensiero di tutti, ben oltre la tradizione cattolica del nostro paese. C’è da giurare che il primo di novembre saranno in pochi a recarsi in chiesa per onorare i Santi, mentre moltissimi staranno a letto a smaltire la sbronza di una notte passata con streghe e demoni.
Se riusciremo ad estraniarci da questo mix di sabba neo pagano e consumismo, forse ci sarà spazio per una timida riflessione su due argomenti che invece dovrebbero essere sempre in cima ai nostri pensieri: la morte e la vita eterna. Alla prima si pensa il meno possibile, in un goffo e patetico tentativo di esorcizzarla. Alla seconda non si crede più: è stata relegata nella soffitta delle pie consolazioni, di quelle “inventate dagli uomini”, come sostiene la critica razionalista, per consolarsi del lutto della vita. La morte e la vita eterna (le due realtà cui la tradizione cattolica del nostro paese dedica i giorni dell’1 e del 2 novembre) sono un tabù da cui stare alla larga, semplicemente perché non si hanno più ragioni valide di fronte ad esse.
Se scaviamo a fondo, e facciamo un po’ di sana autocritica, scopriamo che la nostra situazione non è poi così diversa da quella del mondo pagano, specie quello della decadenza, ad esempio quello messo in scena da Petronio nel suo Satyricon. In quel romanzo (la cui trama procede a ritmo di disordini sessuali, di rapporti etero-omo, addirittura pedofili, di allusioni e riti osceni, di volgarità, di dissolutezze, di cattivo gusto, di carpe diem di bassa lega, di mangiate colossali e colossali vomiti, di discorsi frivoli e superficiali), in quel romanzo, dicevo, aleggia continuo un senso di disfacimento, di putrefazione, un freddo e lugubre presagio di morte.
Come nella famosa scena in cui, durante il banchetto, viene portato a tavola del “Falerno Opimiamo di anni cento” e Trimalcione, il celebre padrone di casa, commenta: “Ahimè, dunque il vino ha vita più lunga dell’omuncolo!”, per poi aggiungere, immediatamente, “E allora facciamo le spugne: Il vino è vita!”. Dove, appunto, la vita è ridotta a dipendere dal vino, e la menzogna prende il sopravvento immediato su una sensata riflessione della ragione. La scena successiva ribadisce il concetto: Trimalcione si fa portare da uno schiavo uno scheletro d’argento, poi lo butta un paio di volte sulla tavola, ci gioca, gli fa assumere posizioni diverse, poi canta: “Ahinoi miseri, com’è nulla l’intero omuncolo! Così saremo tutti, dopo che l’Orco ci avrà rapiti. Dunque viviamo, finchè possiamo ancora spassarcela”. E’ una scena che in qualche modo ricorda il macabro scherzare con la morte che ci riproporrà il prossimo Halloween. Si scherza, ma, a scavare, la morte è l’unica presenza che domina il mondo.
Vorrei contrapporre a tutto questo, una delle immagini che più mi ha colpito, in assoluto. Ricordo ancora lo stupore che mi invase nell’entrare nella Sala del Consiglio del palazzo pubblico di Siena, di fronte all’imponente affresco trecentesco di Simone Martini, quello della Maestà della Madonna in mezzo ai santi. Ma non era un’età buia il Medioevo? Andate e guardate quell’affresco: sarete travolti dalla luce, dallo splendore, dall’oro delle aureole. Nel cuore stesso della vita cittadina, nel luogo in cui si faceva politica, in cui si decidevano gli affari più importanti (dalle tasse alle guerre, dalla costruzione di mercati ai trattati commerciali), c’era questo solenne richiamo alla vita eterna, al Paradiso. Non le “congreghe di streghe” immaginate da Carducci (che come tanti altri aveva una visione del tutto parziale e infondata del Medioevo), ma una famiglia di Santi che ti guardano in faccia, con gli occhi bene aperti, con dignità e vigore: quell’affresco (andate a vederlo durante il lungo ponte) dal suo mistico silenzio proclama in modo assordante: la morte è stata vinta, la morte non è l’ultima parola. Noi abbiamo vinto la morte! Noi, un’umanità nuova, non la triviale, degenerata e disperata umanità dello stanco mondo pagano.
Adesso noi, uomini d’oggi, siamo come di fronte ad un bivio: o tornare indietro (e lo stiamo facendo sempre di più), ricadendo in braccio ad una cultura che non sa come vivere perché non sa dare un senso alla morte; o progredire appoggiandoci a dei giganti che ci hanno testimoniato (spesso con sacrificio, spesso con il supremo sacrificio della vita) un destino di luce, di eterna felicità.
Se riusciremo ad estraniarci dall’allegro e gaio sabba infernale, non ci sarà di certo difficile scegliere la strada giusta.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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