Riprendo da da 'Evangelizzare' n 6 febbraio 2002 questo articolo di Giuseppe Savagnone, (ex docente di storia e filosofia a Palermo, classe 1944, direttore diocesano del Centro per la Cultura di Palermo e dell’Ufficio per la Cultura, l’Educazione, la Scuola e l’Università della Conferenza vescovile della Sicilia) in quanto non hanno perso nulla della lora drammatica attualità, anzi se cambiamento c'è stato, è avvenuto in peggio:
Una volta esistevano ancora i bambini. La loro vita era diversa da quella degli adulti. Andavano a letto presto. Non vedevano tutto quello che i "grandi" vedevano. Non sapevano tutte le cose che quelli sapevano. In loro presenza certi discorsi non si facevano. Non dicevano parolacce e, se le dicevano, venivano rimproverati. Non rispondevano ai genitori o ai nonni con lo stesso tono che questi usavano per sgridarli. Non avevano tanti giocattoli, e quelli che avevano erano abbastanza semplici. Da tutti questi no, derivava un grande "si'": quello di una stagione della vita - l' infanzia - che aveva la propria inconfondibile identita' e che consentiva un a pproccio graduale alla realta', in rapporto allo sviluppo complessivo della personalita'.
Bambini simili agli adulti
Oggi molti bambini vanno a letto tardi, vedono gli stessi spettacoli televisivi e cinematografici a cui assistono i "grandi", sanno tutto sul sesso e su tantissime altre cose, assistono alle liti dei loro genitori (da cui, anzi, talvolta vengono chiamati a fare da arbitri), dicono tranquillamente parolacce, rispondono per le rime a chi li riprende, hanno tutto quello che desiderano e giocano disinvoltamente con apparecchiature elettroniche che i loro genitori stentano ad azionare.
Insomma, sono molto piu' precoci e disinibiti dei loro coetanei di trent'anni fa. Tanto precoci da sembrare, a volte, fin troppo simili agli adulti.
Proprio per questo, pero', non sono piu' bambini. E, in conseguenza di cio', non riescono nemmeno a crescere. La loro stessa frenesia di avere "tutto e subito" esclude la storicita', che implica necessariamente una progressivita'.
E progresso significa attesa di un futuro a cui pazientemente si lavora; significa consapevolezza di trovarsi in uno stato iniziale, e di dover tendere a una maturita' che ancora non si possiede; significa, per un bambino, un contesto adeguato alla sua realta' di bambino, come condizione del suo diventare adulto. Il corto-circuito fra il punto di partenza e il punto d'arrivo blocca lo sviluppo.
Gli eterni "figli di famiglia"
Il risultato e' quello che sta sotto i nostri occhi: bambini che si comportano da adulti e adulti che si comportano da bambini. Alla precocita' estrema dei piu' piccoli fa riscontro, via via che crescono, una fragilita', una incapacita' di scegliere, una ripugnanza nei confronti di qualunque responsabilita', che impediscono loro di raggiungere un reale equilibrio.
Percio', quando diventano adolescenti, da un lato sono troppo aggressivi, dall'altro rimangono fragili, esposti a crollare per un nonnulla. E a trent' anni ci sono ancora "giovani" che non se la sentono di affrontare l' esperienza del matrimonio o qualunque altra situazione che sia veramente impegnativa. Molti non riescono addirittura a trovare la forza per staccarsi da casa e restano eterni "figli di famiglia".
Alla radice non c'e' una mancanza, bensi' l'eccesso di stimoli, di esperienze, di proposte, che li ha frastornati e ne ha soffocato la graduale maturazione da bambini. A uccidere l'infanzia, nei paesi del terzo mondo, e' la fame; da noi e' la sazietà. Una vita buona ha bisogno, sempre, ma soprattutto oggi, di un certo "impoverimento". Voler possedere, voler essere tutto impedisce, alla fine, di avere una forma. Una statua emerge dal marmo solo se si ha il coraggio di togliere qualcosa, con lo scalpello, all'amorfo blocco iniziale.
Quello che puo' sembrare un sacrificio - e che in qualche modo lo e' (del prezioso materiale viene asportato, sbriciolato, perduto) - costituisce pero' la condizione inderogabile per il delinearsi di un volto.
Potrebbe essere una metafora della nostro problema. Senza qualche rinunzia non emerge mai la persona.
L'identita' e la Differenziazione
La massificazione, di cui tutti oggi ci lamentiamo, dipende in larga misura da questo. Sono le nostre scelte - vale a dire i nostri sacrifici, perché ogni vera scelta ne implica qualcuno - a determinare la nostra identita' e a differenziarci dagli altri. Nella nostra cultura, che esclude per principio il sacrificio e demonizza la poverta', l'individuo e' come il blocco di marmo prima dell'azione dello scultore: uguale, piu' o meno, a tutti gli altri blocchi di marmo. Il consumismo ci omologa.
Da qui anche la difficolta' nell'instaurare relazioni personali profonde. Per comunicare bisogna essere diversi. Per costruire qualcosa insieme bisogna integrarsi, e l'integrazione suppone le differenze. Un corpo dove tutte le parti fossero identiche non sarebbe un organismo.
Una volta la differenza la si scopriva da bambini, in famiglia. C'erano i nonni, anziani. C'era il papa'. C'era la mamma. C'erano fratelli e sorelle. Ognuno aveva la propria inconfondibile fisionomia e il suo ruolo specifico. Oggi capita che i nonni siano in una casa di riposo, il papa' e la mamma facciano vite molto simili, ispirate a un vorticoso attivismo, e non ci siano in casa né fratelli né sorelle. Cosicché e' molto difficile per un bambino confrontarsi con quella dimensione fondamentale della diversita' che e' il passato (i racconti della nonna i ricordi del nonno), ma anche specchiarsi in quel modello che dovrebbe essere costituito dalla figura paterna e da quella materna.
Per non parlare del caso, purtroppo sempre piu' frequente, in cui l'una o l'altra di queste figure sia venuta meno, per lo sfasciarsi del matrimonio, e sia stata sostituita da quella - indifferente oppure ostile - di un "compagno" o di una "compagna" del genitore rimasto. Altrettanto problematica e' diventata, infine, per il figlio unico, la percezione di che cosa possa essere la "fraternita'". Non c'e' da stupirsi, a questo punto, che la nostra si avvii ad essere una societa' di single. Da bambini soli non puo' che nascere solitudine. Da bambini che non fanno un'adeguata esperienza dell' "altro" non possono che venire degli adulti egocentrici che, anche quando "stanno" con qualcuno non riescono a uscire da una logica autoreferenziale. "Buchi neri", che assorbono con insaziabile voracita' tutto quello che puo' servire ai loro bisogni, ma non sanno andare oltre se stessi, e tanto meno donarsi. Non si puo' dare quello che non si ha. Ed e' molto difficile che si abbia quello che non si e' ricevuto da piccoli.
Adulti senza spessore umano
In verita', di regali i nostri bambini ne ricevono tanti, fin troppi, ma raramente trovano chi si doni a loro. La tendenza dei genitori, oggi, e' piu' spesso quella di proiettare sul figlio le proprie esigenze, che non di porsi al servizio delle sue. Mai come nella nostra societa', forse, l'atto di generare e' stato concepito in funzione di chi lo compie, piuttosto che di chi ne e' il destinatario. Essere padre e madre non e' piu' una missione, ma una gratificazione, la soddisfazione di un bisogno soggettivo.
Risulta evidente da questo quadro che lo smarrimento dell'infanzia, come eta' specificamente diversa da tutte le altre, e' un frutto diretto della perdita di spessore umano degli adulti. La condizione dei bambini e' la cartina di tornasole che ci rivela lo stato di salute dell'intera societa'. Percio' gli sforzi, che oggi si fanno, per riscoprirne i diritti e rispettarne la dignita', vanno salutati come un segnale estremamente positivo.
A patto che ci si impegni davvero a restituire ad essi la loro infanzia.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
Sante verità..! Bellissimo articolo, grazie!
RispondiEliminaGrazie a te, amico !
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