Da IlSussidiario un articolo di Pigi Colognesi
Francisco poteva ben dirsi soddisfatto della sua vita. A ventotto anni era uno degli uomini di maggior successo della Spagna imperiale di Carlo V. Di nobile casato - tra i suoi avi poteva addirittura vantare un Papa - fin da piccolo era diventato paggio alla corte del sovrano sui cui possedimenti «non calava mai il sole».
Entrato nelle grazie del re e di sua moglie Isabella, che sarebbe morta di lì a poco, ne aveva ricevuto in cambio un marchesato, altisonanti titoli onorifici e potere. Si era anche sposato: un felice matrimonio coronato dalla nascita di ben otto figli.
Non aveva dimenticato i suoi doveri di buon cristiano. Anzi, dopo una brutta malattia, si era ripromesso - seguendo i consigli di questi nuovi e ferventi religiosi che un suo conterraneo aveva raccolto sotto il nome di Compagnia di Gesù - di confessarsi e fare la comunione più frequentemente.
La missione che ora l’imperatore gli affida è per Francisco particolarmente gradita: si tratta di guidare il drappello d’onore che accompagna la traslazione della defunta Isabella in una tomba più sontuosa. Un lavoretto senza difficoltà. Ma, per un disguido, la cassa dove riposa la salma della bellissima imperatrice si apre e agli occhi stralunati di Francisco appare solo della carne in putrefazione.
La macabra visione di decadenza instilla in lui gravi domande: «Se perfino un’imperatrice va a finire così, che ne è dei miei successi e dei miei onori? Sono forse anch’io solo carne e scheletro destinati a corrompersi, un corpo in attesa di diventare cadavere? La religione, che pur professo lealmente, non mi chiede qualcosa di più?».
Sono pensieri che non abbandoneranno più Francisco, nemmeno quando accompagnerà l’imperatore in importanti missioni, nemmeno quando diventerà viceré di Catalogna. Pensieri che ritorneranno con urgenza nel 1546, quando l’amata moglie Leonora morirà. Allora sarà la svolta.
Qualche giorno fa ho dovuto fare una radiografia alla mano destra. Quando il medico mi ha mostrato la lastra sono rimasto impressionato. La mia mano, quel pezzo così importante per lavorare, per stringere un’altra mano, per soffiarsi il naso, per mangiare, per usare il mouse, era uno scheletro.
Guardavo ammirato quell’insieme perfetto di ossa ben congegnate e mi stupivo delle potenzialità della tecnica; tanto più perché il medico, intanto, mi mostrava che non c’era niente di rotto. E mentre un oscuro fremito mi suggeriva che in fondo - così sembrava mostrare l’evidenza scientifica - non sono altro che scheletro e carne che si decomporranno, mi è tornata alla memoria la storia di Francisco.
Che poi è san Francesco Borgia, discendente del vituperato papa Alessandro VI. Quel Francesco Borgia che, dopo la morte della moglie, per rispondere alle domande sorte dalla visione della defunta Isabella diventerà gesuita.
Col permesso pontificio, rimarrà in famiglia fino alla sistemazione dei figli, ma nel 1550 rinuncerà a tutte le cariche pubbliche, agli onori e alla vita familiare e si trasferirà a Roma, dedicandosi completamente alla diffusione della Compagnia di Gesù.
Nel 1565 ne assumerà la guida, diventando il terzo successore di sant’Ignazio di Loyola, fino alla morte, nel 1572. La visione apparentemente mortuaria di un corpo in decomposizione è stata per lui la possibilità di una nuova nascita.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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