Un articolo di Fabio Cavallari dal giornale Tempi ci fa conoscere una bellisima storia:
Il suo lavoro oggi è riconosciuto dal ministero degli Interni e dalla Unione Europea. Politici e parlamentari, affascinati dalla sua esperienza, si sono recati più volte da lei per scoprire e capire la sua opera. Ultima visita, in ordine di tempo, quella del ministro per le Pari opportunità. Marie Therèse Mukamitsindo è una delle tante donne fuggite, nel 1996, dagli orrori della guerra civile del Ruanda.
Un percorso tortuoso, sofferto, carico di angoscia e dolore quello che l’ha portata in Italia.
«Sono scappata dal mio paese con tre dei miei quattro figli, peregrinando tra nazioni, valichi da oltrepassare e documenti da esporre. Quando siamo arrivati in Italia, non avevamo più nulla. Tutti i risparmi li avevamo spesi per il viaggio, non conoscevo la lingua, le leggi. Dopo una prima sistemazione di fortuna, ho cercato disperatamente per due settimane un posto dove stare. Quei giorni trascorsi senza poter contattare la mia famiglia e senza una rete di accoglienza cui potermi rivolgere mi hanno profondamente segnata. Una donna straniera sola è preda delle peggiori situazioni. Ogni aspetto della quotidianità, dal procurarsi il necessario per il sostentamento a richiedere un documento presso le autorità competenti, rischia di diventare una montagna insormontabile. Di chi fidarsi? A chi dare credito?».
L’indomita Marie Therèse inizialmente ha lavorato come badante, poi si è stabilita a Sezze Romano, un piccolo centro in provincia di Latina, fondando l’Associazione Karibu, che in swahili indica un benvenuto cordiale e sincero, con lo scopo di accogliere altre donne che come lei ricevono lo status di rifugiate, oppure hanno appena intrapreso l’iter legale per poterlo ottenere.
«Nei primi mesi della mia permanenza in Italia continuavo a pensare a tutte quelle madri di famiglia che scappano da situazioni di guerra, da violenze inaudite e orrori. Io sono stata fortunata, ma in assenza di un buon sistema di protezione sociale, i pericoli cui le donne, spesso vittime di violenze e torture particolarmente efferate, e i bambini, testimoni innocenti e silenziosi di queste barbarie, rappresentano un bersaglio particolarmente facile da colpire, e dolorosamente difficile da assistere».
Così nel 2004 il progetto Karibu è diventato una cooperativa sociale pensata per tutelare e favorire l’integrazione sociale di queste donne offrendo loro l’opportunità di sentirsi in famiglia, convivendo e sostenendosi reciprocamente.
Dalle quindici ospiti iniziali, oggi si arriva a contare circa sessanta donne dislocate in sei unità abitative ubicate tra il comune di Sezze e quello di Roccacorga.
Karibu rappresenta un modello di gestione innovativo e unico in Italia, dove per la prima volta le attività di assistenza ai rifugiati sono messe in atto da operatori anch’essi fuggiti da situazioni di guerra e la specificità di genere dell’utenza viene valorizzata da una compagine amministrativa e operativa costituita quasi esclusivamente da donne. Il ministero degli Interni ha riconosciuto la cooperativa come luogo privilegiato per offrire prima accoglienza, sostegno e formazione a donne e bambini che arrivano dal Corno d’Africa. A Karibu vengono accolti ragazze e bambini, ammalati nel fisico e nella mente, che devono superare traumi orribili e cercare di tornare a una vita normale. «A queste madri, sorelle e figlie di tutti noi e di tutte le epoche, e ai loro bambini dedichiamo le nostre cure, il nostro tempo e la nostra attenzione, perché cura, tempo e attenzione sono le uniche medicine che possono portare un po’ di sollievo alle spaventose ferite che le “nostre” donne e i “nostri” bambini portano sul corpo e nell’anima. Ciò che viene loro offerto non è semplicemente un alloggio ma un luogo in cui potersi ricostituire come persone e in cui sostenersi reciprocamente»
L’accoglienza per Marie Therèse non è il punto di arrivo, ma un nuovo inizio. Per questo il percorso della cooperativa prevede che le donne siano assistite nello svolgimento dell’iter burocratico della domanda di asilo, ottengano sostegno legale, supporto psicologico e frequentino un corso di italiano per poter padroneggiare bene la lingua. Un processo, quest’ultimo, messo in campo anche con metodi alternativi, come l’impegno diretto in rappresentazioni teatrali o attraverso la gestione quotidiana del vissuto casalingo. Le assistenti insegnano, infatti, l’italiano proprio a partire dal disbrigo delle faccende domestiche.
Acquistare il cibo e prepararlo diventano pertanto azioni educative.
L’alfabetizzazione è uno dei principali obiettivi del centro, non a caso alcune delle donne ospitate sono anche riuscite a ottenere il diploma di scuola media.
Tornare ad essere madri
Capire, saper leggere e interloquire costituisce per queste donne il primo passo verso l’integrazione.
«Abbiamo avviato corsi di formazione per entrare adeguatamente preparate nel mondo del lavoro, ed essere autonome quando escono da questa condizione protetta. Alcune di loro, vuoi per l’età o per la presenza di bambini troppo piccoli, rimangono all’interno del centro e diventano loro stesse operatrici prestando servizio come segretarie, baby sitter, mediatrici culturali, operatrici addette all’accompagnamento sociale. Alcune svolgono ancora oggi queste mansioni, altre hanno lavorato presso la cooperativa in via provvisoria, mentre erano impegnate a portare a termine il proprio progetto di formazione, finalizzato all’ottenimento di un nuovo lavoro.
L’obiettivo primario è portare sollievo alle donne aiutandole ad essere nuovamente protagoniste della loro vita. Alle madri che arrivano con figli piccoli cerchiamo di far comprendere che anche con un passato di sofferenze e privazioni possono tornare ad appassionarsi alla vita, ad amare pienamente i loro bambini. Spesso i traumi subìti e le violenze le rendono incapaci di essere madri. Il nostro compito, con l’aiuto di psicologi e operatori, è quello di rieducarle a una maternità consapevole. I minori al seguito delle madri vengono regolarmente inseriti nei circuiti scolastici obbligatori.
Accordi informali con le scuole presenti sul territorio consentono l’inserimento dei minori in età scolare in qualsiasi momento dell’anno. La cooperativa ha attivato inoltre un baby parking, finanziato dalla Regione Lazio, per i bambini delle donne ospiti del centro di accoglienza nell’ambito del quale si organizzano anche attività di doposcuola e di sostegno allo studio destinate a bambini e adolescenti in età scolare».
A Sezze Romano l’integrazione è una parola che si coniuga con diritti e doveri. Le donne imparano la lingua, un lavoro, il concetto di responsabilità. L’accoglienza è innanzitutto un percorso di emancipazione che rifugge dal mero assistenzialismo conducendo ogni soggetto a diventare “primo attore” della propria esistenza.
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Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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