I tentativi di introdurre l’eutanasia in Italia
di Carlo Casini*
di Carlo Casini*
ROMA, domenica, 1° marzo 2009 (ZENIT.org)
Il dramma di Eluana Englaro si è concluso nel modo peggiore, eppure in qualche misura scontato. E’ una vicenda nella quale tutti (magistratura, politica, istituzioni) hanno dato il peggio di sé in una incredibile serie di errori (alcuni voluti altri casuali). La società civile si è mobilitata ma non è stato sufficiente. La speranza è che quanto è successo valga almeno a far discutere ed approvare una buona legge sul Fine vita. Perché nessun altro abbia a patire le stesse sofferenze
Errori di giudizio
Hanno avuto un peso determinante gli errori dei miei colleghi magistrati. Non si può, naturalmente, fare di ogni erba un fascio. Anzi è bene ricordare che per sei volte i giudici hanno detto che il tutore non poteva essere autorizzato a far morire Eluana prima di arrivare al pronunciamento della Corte di Cassazione, il 16 ottobre 2006, che ha annullato la precedente decisione della Corte d’Appello di Milano. Autorevoli personaggi, che non si intendono di diritto, hanno sentenziato: la sentenza della Cassazione va rispettata perché costituisce “giudicato”.
L’ignoranza ha vinto. La materia delle autorizzazioni al tutore fa parte della giurisdizione volontaria, nella quale – è assolutamente pacifico – non si forma mai il giudicato. Semmai si può parlare di decisioni definitive, nel senso che chiudono un procedimento, ma definitive non significa irrevocabili. Eppure non si è trovato un giudice che di fronte ai numerosi fatti nuovi intervenuti (il “risveglio” pochi mesi fa a Le Molinette di una persona da tempo in stato vegetativo; le dichiarazioni di Pietro Crisafulli circa le dichiarazioni a lui fatte da Giuseppe Englaro; le testimonianze di amiche ed insegnanti, nonché di infermieri e medici che la assisterono al primo ricovero dopo l’incidente) abbia avuto il coraggio, giuridicamente fondato, di compiere la mossa che avrebbe potuto far guadagnare giorni di vita in attesa della decisione parlamentare. Si poteva agevolmente o sospendere o addirittura revocare il potere tutorio di Giuseppe Englaro.
Tra l’altro posso comunicare una notizia che pochissimi sanno. Una istanza in questo senso era stata respinta dal giudice Tutelare di Lecco, presumibilmente prima che i nuovi fatti emergessero in tutta la loro concretezza, ma il provvedimento era stato sottoposto a reclamo su cui il Tribunale avrebbe dovuto decidere proprio il 10 febbraio, il giorno dopo la morte di Eluana.
Ma poi se nel terzo procedimento si fosse raggiunto il “giudicato” (il che non è) o comunque il “definitivo”, perché non considerare “giudicato” o (meglio) “definitivo” l’esito dei due precedenti processi? Nel primo il tutore non fece ricorso in Cassazione, nel secondo lo propose, ma la Suprema Corte lo dichiarò inammissibile per mancanza del contraddittorio. Perché dunque non si è considerato “definitivo” il giudizio che riconosceva indisponibile la vita di Eluana?
Processo senza contraddittorio
Eppure la sentenza della Cassazione da ultimo citata poneva una questione di procedura importante: nel processo deve esservi il contraddittorio. Le due tesi opposte devono duellare tra loro affinché i giudici possano capire bene chi ha ragione. Invece, nel successivo processo (il terzo) il curatore speciale di Eluana ha difeso la tesi della morte. Perché non è stato nominato curatore una persona impegnata a sostenere le ragioni della vita? Invece l’ultimissima sentenza della Cassazione, quella che dichiarato inammissibile il ricorso del Pm che ha impugnato “alla disperata” il decreto della Corte d’Appello che ha applicato la decisione del 2006 della Cassazione, sostiene che nemmeno il Pm poteva ricorrere perché la materia sarebbe di interesse privato e non pubblico! Così la questione della vita e della morte, una questione che ci riguarda tutti, perché tutti dovremmo morire, che incombe già ora su milioni di persone, molte in condizioni simili a quelle di Eluana, che ha riempito e riempie le pagine dei nostri giornali, che ha agitato e agita il Parlamento è divenuto un secondario problema “privato”.
Quale “salute”?
L’affermazione (infondatissima) che la ragazza lecchese aveva manifestato la volontà (la volontà, non l’auspicio, il desiderio) di non essere sottoposta a trattamento di sostentamento vitale, è stata dedotta dal suo “stile di vita”; la dimenticanza del principio di completezza dell’ordinamento giuridico che doveva indurre a tener nel debito e decisivo conto l’art. 579 del Codice Penale, non abrogato e che considera ancora reato l’omicidio del consenziente; l’interpretazione dell’art. 32 della Costituzione in modo da capovolgerne il senso. Ma su questi aspetti il dibattito si è svolto anche sui giornali e non mi pare necessario ripercorrere le tappe. Del resto già nel libro “Eluana è tutti noi” sono stati ampiamente trattati questi aspetti. Mi limito quindi ad una riflessione che mi pare nuova: il senso comune dice che “salute” è il contrario di “morte” e che perciò “terapia” in quanto strumentale alla salute non può essere ciò che determina la morte.
Ulteriore conseguenza: ciò che sperabilmente aiuta a conservare la vita può essere oggetto di scelta del paziente, ma non ciò che sicuramente ne determina la morte. Del resto già nella legge è scritto il principio di indisponibilità della vita umana e per l’art. 32 Cost. la legge può stabilire limiti al principio che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento terapeutico”. In realtà stiamo assistendo ad uno snaturamento del concetto di “salute”, già verificatosi riguardo all’aborto. Nella legge 194 la salute non è più assenza di malattia, ma uno stato di benessere la cui esistenza è lasciata alla libera valutazione della donna. Affinché vinca la sua autodeterminazione anche eliminando la vita del figlio viene cambiato il concetto di salute e mutati i criteri di accertamento della malattia. Non diversamente nel caso Englaro, per estendere l’autodeterminazione fino al diritto alla morte, il concetto di salute cessa di essere l’opposto della morte, ma diviene comprensivo di essa.
Un’informazione falsata
Autorevolissimi personaggi hanno scritto sui giornali falsità che hanno condizionato l’opinione del lettore superficiale. Hanno detto che Eluana era attaccata alle macchine, che il suo corpo era ormai simile a quello di un cadavere, che l’elettroencefalogramma era piatto.
Hanno stabilito certezze che nessuno ha: per esempio la totale perdita di coscienza di Eluana, la assoluta impossibilità di un qualche recupero vitale negli stati vegetativi. Soprattutto hanno dato l’immagine di un padre innamorato della figlia che cerca per amore, di farne rispettare la volontà, contrapposta alla fredda e ideologica (Sic!) concezione che la vita è un valore assoluto e indisponibile. Così le apparenti ragioni del “cuore” hanno svolto una azione persuasiva su molti in danno della ragione. Ma, naturalmente, un tale effetto si ottiene solo dimenticando i mille e mille padri e madri, e mogli e mariti, e figli e parenti che, anche loro, come Englaro, hanno da anni, magari in casa, congiunti che assistono amorevolmente. Magari anche i loro figli sono stati vittime di incidenti stradali.
Allora, forse, non piansero sebbene il cuore si fosse stretto. Forse l’impegno per guadagnare giorni alla vita assorbì tutte le loro energie ed insieme le lacrime. Chi fa parlare di più il cuore? Che cosa hanno pensato guardando lo schermo televisivo delle 20,30 del 9 febbraio le mamme e i papà che sciupano da anni tempo e denaro, sonno e vacanze, professione e potenzialità di vita per un figlio gravemente disabile? O i figli che continuano ad onorare con amore padri e madri ormai vecchi affetti da Alzheimer o comunque incapaci di una vera vita di relazione e totalmente dipendenti dagli altri? Che hanno sbagliato tutto? Che il loro non è stato o non è amore vero? Che dovrebbero essi imitare Beppino Englaro? La censura su questo è una grave e crudele menzogna.
Rapporti fra poteri
Abbiamo per tempo e lungamente lavorato per ottenere un decreto legge, anche quando nessuno voleva ascoltarci. Comprendo le ragioni della mancata tempestività dell’ascolto. Il governo aveva deciso di non prendere iniziative legislative. Appariva logico. Troppo complessa è la materia di Fine-vita, lasciamo che il confronto parlamentare faccia emergere la soluzione migliore. Tuttavia piano piano il governo, attraverso l’azione lodevolissima e sempre più chiara del ministro Sacconi e del sottosegretario Roccella ha preso posizione per salvare la vita di Eluana enucleando dalla complessità dei problemi di fine vita il punto decisivo: l’idratazione e l’alimentazione. Evidentemente si sperava di salvare Eluana senza impegnare il governo sul piano legislativo. Ma poi gli eventi sono precipitati e la nostre tesi che solo un decreto-legge avrebbe salvato Eluana è emersa in tutta la sua forza. E il governo ha avuto determinazione e coraggio.
Il decreto legge è stato predisposto nel Consiglio dei ministri di venerdì 6 febbraio. Sarebbe entrato in vigore il giorno dopo se il Presidente della Repubblica l’avesse firmato. Ed Eluana sarebbe viva. Non sono di un partito di governo, ma in questo caso il governo e il suo Presidente meritano lode. Riserve che si possono avere in altri campi non possono minimamente offuscare il merito dell’esecutivo in questo caso. Ed io credo che l’omessa firma del Capo dello Stato – fermo restando il rispetto per la sua convinzione e la sua coscienza – sia frutto di un ennesimo errore giuridico. Costituzionalisti noti, lo hanno detto. Io mi limito a considerare un aspetto, meno esaminato riportando qui di seguito, una riflessione già pubblicata da Il Foglio.
Nessuno può negare al potere legislativo la facoltà di abrogare o cambiare precedenti norme giuridiche vigenti. Esse sono quelle che risultano dalla giurisprudenza. Se ogni sentenza interpretativa impedisse al Parlamento di intervenire su un punto della legge come interpretato dai giudici, la conseguenza sarebbe la cancellazione dell’intero potere legislativo.
In secondo luogo bisogna sottolineare che il potere eccezionalmente attribuito al governo di emanare decreti-legge va inquadrato, come risulta dalla Costituzione, nell’ambito del potere legislativo. Dunque non si può affatto sostenere che il decreto-legge predisposto in governo sarebbe stato un atto di arrogante prevaricazione e di indebita invasione del campo giudiziario. Al contrario: sarebbe stato il modo più trasparente per esprimere rispetto per le decisioni giudiziarie. Esse ci sono e se ne tiene conto, ma proprio perché se ne tiene conto il potere legislativo può intervenire per correggere la norma oggettiva quale risulta dai provvedimenti giudiziari.
Del resto non è breve nella storia repubblicana la lista dei decreti-legge emanati per correggere o integrare testi normativi il cui significato effettuale era stato esplicitato da decisioni giudiziarie di poco anteriori o addirittura in corso di attuazione. Ulteriore argomento a favore della tesi qui prospettata si ricava dal richiamo della categoria delle leggi di interpretazione autentica: esse manifestano che, nel rapporto tra poteri dello Stato, il primato spetta alla legislazione. Perché, altrimenti, nella dottrina gli altri due poteri, esecutivo in senso stretto e giudiziario, vengono considerati entrambi “esecutivi” con la specifica differenza che il potere giudiziario opera in contraddittorio tra parti e nel caso di violazione della legge per stabilirne l’autorità?
Accanimento radicale
La cosa più drammatica è stata la gara tra la morte di Eluana e la legge per salvarla. Hanno atteso per un decennio una sentenza che desse loro ragione. Finalmente l’hanno ottenuta. Ora si era fatto concreto il rischio che il risultato sia tolto dalle loro mani.
Nelle loro mani c’è già Eluana, dal 3 febbraio trasferita dalle carezze delle suore misericordine di Lecco a Udine, in una camera piantonata, affidata a un gruppo di volontari (Sic!) che considerano farla morire (o se volete “lasciarla morire di fame e di sete” che differenza fa?) un servizio al bene comune altruisticamente orientato. Hanno diffuso l’informazione che Eluana aveva ancora un corpo vigoroso e che sarebbero passati 15-20 giorni prima della morte, che dunque c’era ancora tempo per riflettere. Avevano elaborato un “protocollo” (come l’aborto è divenuto “Ivg”, così il provocare la morte è diventato “protocollo”!) che prevedeva tempi relativamente lunghi e una riduzione graduale della somministrazione di cibo e acqua.
Poi giunge notizia che il “protocollo” è cambiato. L’iter sarà più breve. Idratazione e alimentazione saranno da subito totalmente cessati. Il 6 febbraio il governo, dopo l’omessa controfirma del Capo dello Stato, chiede e ottiene che si discuta subito una legge di contenuto identico al decreto e la si approvi in tre giorni. Il 9 alle 19 comincerà la discussione al Senato, disposto a continuare i lavori per tutta la notte. Il giorno dopo, al mattino, è previsto anche a Lecco la discussione del reclamo: si richiede la sospensione del volere di Giuseppe Englaro.
Ma alle 19,35 Eluana muore. Ed ora dicono, che stava male, che era in condizioni irriconoscibili… Coincidenze casuali! Forse, ma, certo, assai singolari. Quel che è certo è che per oltre 10 anni si è cercato una decisione della Magistratura affinché la morte di Eluana fosse un evento pubblico e cioè una scelta dello Stato. L’introduzione dell’eutanasia, insomma… non dobbiamo essere di memoria corta: anche sull’inizio della plurima vicenda giudiziaria vi sono coincidenze singolari.
Il primo ricorso del sig. Englaro è del 19 gennaio 1999 contemporaneo alla prima proposta di legge elaborata dalla Consulta di bioetica laica, di cui fanno parte tutti gli amici di Englaro e a cominciare dal professor Defanti, medico di Eluana, stampata dalla Camera dei deputati il 10 febbraio 1999, intitolata “Disposizioni in materia di consenso informato e dichiarazione di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Non mi pare una indebita illazione ipotizzare una strategia radicale fatta di consigli e di sostegno. Se proprio papà Beppino considerava già morta la figlia immediatamente dopo l’incidente stradale, perché non impedirne la cura senza clamore, portandosela a casa o in Svizzera? Perché l’accanimento giudiziario?
È evidente lo scopo vero: l’introduzione della eutanasia in Italia, Paese che, in una strategia mondiale, gioca un ruolo esemplare per comprensibili motivi. È inutile giocare sulle parole. Basta leggere i commenti sul caso Eluana di alcuni autorevoli commentatori che, invocano il diritto alla morte come diritto umano fondamentale. L’eutanasia è alle porte. Eluana era il caso atteso e cercato. L’occasione non doveva essere lasciata sfuggire. Forse è bastato stravolgere l’affetto di un padre verso una figlia “puledra di razza” e compensare il suo dolore con l’idea di una morte non inutile.
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* Presidente del Movimento per la Vita italiano.
Il dramma di Eluana Englaro si è concluso nel modo peggiore, eppure in qualche misura scontato. E’ una vicenda nella quale tutti (magistratura, politica, istituzioni) hanno dato il peggio di sé in una incredibile serie di errori (alcuni voluti altri casuali). La società civile si è mobilitata ma non è stato sufficiente. La speranza è che quanto è successo valga almeno a far discutere ed approvare una buona legge sul Fine vita. Perché nessun altro abbia a patire le stesse sofferenze
Errori di giudizio
Hanno avuto un peso determinante gli errori dei miei colleghi magistrati. Non si può, naturalmente, fare di ogni erba un fascio. Anzi è bene ricordare che per sei volte i giudici hanno detto che il tutore non poteva essere autorizzato a far morire Eluana prima di arrivare al pronunciamento della Corte di Cassazione, il 16 ottobre 2006, che ha annullato la precedente decisione della Corte d’Appello di Milano. Autorevoli personaggi, che non si intendono di diritto, hanno sentenziato: la sentenza della Cassazione va rispettata perché costituisce “giudicato”.
L’ignoranza ha vinto. La materia delle autorizzazioni al tutore fa parte della giurisdizione volontaria, nella quale – è assolutamente pacifico – non si forma mai il giudicato. Semmai si può parlare di decisioni definitive, nel senso che chiudono un procedimento, ma definitive non significa irrevocabili. Eppure non si è trovato un giudice che di fronte ai numerosi fatti nuovi intervenuti (il “risveglio” pochi mesi fa a Le Molinette di una persona da tempo in stato vegetativo; le dichiarazioni di Pietro Crisafulli circa le dichiarazioni a lui fatte da Giuseppe Englaro; le testimonianze di amiche ed insegnanti, nonché di infermieri e medici che la assisterono al primo ricovero dopo l’incidente) abbia avuto il coraggio, giuridicamente fondato, di compiere la mossa che avrebbe potuto far guadagnare giorni di vita in attesa della decisione parlamentare. Si poteva agevolmente o sospendere o addirittura revocare il potere tutorio di Giuseppe Englaro.
Tra l’altro posso comunicare una notizia che pochissimi sanno. Una istanza in questo senso era stata respinta dal giudice Tutelare di Lecco, presumibilmente prima che i nuovi fatti emergessero in tutta la loro concretezza, ma il provvedimento era stato sottoposto a reclamo su cui il Tribunale avrebbe dovuto decidere proprio il 10 febbraio, il giorno dopo la morte di Eluana.
Ma poi se nel terzo procedimento si fosse raggiunto il “giudicato” (il che non è) o comunque il “definitivo”, perché non considerare “giudicato” o (meglio) “definitivo” l’esito dei due precedenti processi? Nel primo il tutore non fece ricorso in Cassazione, nel secondo lo propose, ma la Suprema Corte lo dichiarò inammissibile per mancanza del contraddittorio. Perché dunque non si è considerato “definitivo” il giudizio che riconosceva indisponibile la vita di Eluana?
Processo senza contraddittorio
Eppure la sentenza della Cassazione da ultimo citata poneva una questione di procedura importante: nel processo deve esservi il contraddittorio. Le due tesi opposte devono duellare tra loro affinché i giudici possano capire bene chi ha ragione. Invece, nel successivo processo (il terzo) il curatore speciale di Eluana ha difeso la tesi della morte. Perché non è stato nominato curatore una persona impegnata a sostenere le ragioni della vita? Invece l’ultimissima sentenza della Cassazione, quella che dichiarato inammissibile il ricorso del Pm che ha impugnato “alla disperata” il decreto della Corte d’Appello che ha applicato la decisione del 2006 della Cassazione, sostiene che nemmeno il Pm poteva ricorrere perché la materia sarebbe di interesse privato e non pubblico! Così la questione della vita e della morte, una questione che ci riguarda tutti, perché tutti dovremmo morire, che incombe già ora su milioni di persone, molte in condizioni simili a quelle di Eluana, che ha riempito e riempie le pagine dei nostri giornali, che ha agitato e agita il Parlamento è divenuto un secondario problema “privato”.
Quale “salute”?
L’affermazione (infondatissima) che la ragazza lecchese aveva manifestato la volontà (la volontà, non l’auspicio, il desiderio) di non essere sottoposta a trattamento di sostentamento vitale, è stata dedotta dal suo “stile di vita”; la dimenticanza del principio di completezza dell’ordinamento giuridico che doveva indurre a tener nel debito e decisivo conto l’art. 579 del Codice Penale, non abrogato e che considera ancora reato l’omicidio del consenziente; l’interpretazione dell’art. 32 della Costituzione in modo da capovolgerne il senso. Ma su questi aspetti il dibattito si è svolto anche sui giornali e non mi pare necessario ripercorrere le tappe. Del resto già nel libro “Eluana è tutti noi” sono stati ampiamente trattati questi aspetti. Mi limito quindi ad una riflessione che mi pare nuova: il senso comune dice che “salute” è il contrario di “morte” e che perciò “terapia” in quanto strumentale alla salute non può essere ciò che determina la morte.
Ulteriore conseguenza: ciò che sperabilmente aiuta a conservare la vita può essere oggetto di scelta del paziente, ma non ciò che sicuramente ne determina la morte. Del resto già nella legge è scritto il principio di indisponibilità della vita umana e per l’art. 32 Cost. la legge può stabilire limiti al principio che “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento terapeutico”. In realtà stiamo assistendo ad uno snaturamento del concetto di “salute”, già verificatosi riguardo all’aborto. Nella legge 194 la salute non è più assenza di malattia, ma uno stato di benessere la cui esistenza è lasciata alla libera valutazione della donna. Affinché vinca la sua autodeterminazione anche eliminando la vita del figlio viene cambiato il concetto di salute e mutati i criteri di accertamento della malattia. Non diversamente nel caso Englaro, per estendere l’autodeterminazione fino al diritto alla morte, il concetto di salute cessa di essere l’opposto della morte, ma diviene comprensivo di essa.
Un’informazione falsata
Autorevolissimi personaggi hanno scritto sui giornali falsità che hanno condizionato l’opinione del lettore superficiale. Hanno detto che Eluana era attaccata alle macchine, che il suo corpo era ormai simile a quello di un cadavere, che l’elettroencefalogramma era piatto.
Hanno stabilito certezze che nessuno ha: per esempio la totale perdita di coscienza di Eluana, la assoluta impossibilità di un qualche recupero vitale negli stati vegetativi. Soprattutto hanno dato l’immagine di un padre innamorato della figlia che cerca per amore, di farne rispettare la volontà, contrapposta alla fredda e ideologica (Sic!) concezione che la vita è un valore assoluto e indisponibile. Così le apparenti ragioni del “cuore” hanno svolto una azione persuasiva su molti in danno della ragione. Ma, naturalmente, un tale effetto si ottiene solo dimenticando i mille e mille padri e madri, e mogli e mariti, e figli e parenti che, anche loro, come Englaro, hanno da anni, magari in casa, congiunti che assistono amorevolmente. Magari anche i loro figli sono stati vittime di incidenti stradali.
Allora, forse, non piansero sebbene il cuore si fosse stretto. Forse l’impegno per guadagnare giorni alla vita assorbì tutte le loro energie ed insieme le lacrime. Chi fa parlare di più il cuore? Che cosa hanno pensato guardando lo schermo televisivo delle 20,30 del 9 febbraio le mamme e i papà che sciupano da anni tempo e denaro, sonno e vacanze, professione e potenzialità di vita per un figlio gravemente disabile? O i figli che continuano ad onorare con amore padri e madri ormai vecchi affetti da Alzheimer o comunque incapaci di una vera vita di relazione e totalmente dipendenti dagli altri? Che hanno sbagliato tutto? Che il loro non è stato o non è amore vero? Che dovrebbero essi imitare Beppino Englaro? La censura su questo è una grave e crudele menzogna.
Rapporti fra poteri
Abbiamo per tempo e lungamente lavorato per ottenere un decreto legge, anche quando nessuno voleva ascoltarci. Comprendo le ragioni della mancata tempestività dell’ascolto. Il governo aveva deciso di non prendere iniziative legislative. Appariva logico. Troppo complessa è la materia di Fine-vita, lasciamo che il confronto parlamentare faccia emergere la soluzione migliore. Tuttavia piano piano il governo, attraverso l’azione lodevolissima e sempre più chiara del ministro Sacconi e del sottosegretario Roccella ha preso posizione per salvare la vita di Eluana enucleando dalla complessità dei problemi di fine vita il punto decisivo: l’idratazione e l’alimentazione. Evidentemente si sperava di salvare Eluana senza impegnare il governo sul piano legislativo. Ma poi gli eventi sono precipitati e la nostre tesi che solo un decreto-legge avrebbe salvato Eluana è emersa in tutta la sua forza. E il governo ha avuto determinazione e coraggio.
Il decreto legge è stato predisposto nel Consiglio dei ministri di venerdì 6 febbraio. Sarebbe entrato in vigore il giorno dopo se il Presidente della Repubblica l’avesse firmato. Ed Eluana sarebbe viva. Non sono di un partito di governo, ma in questo caso il governo e il suo Presidente meritano lode. Riserve che si possono avere in altri campi non possono minimamente offuscare il merito dell’esecutivo in questo caso. Ed io credo che l’omessa firma del Capo dello Stato – fermo restando il rispetto per la sua convinzione e la sua coscienza – sia frutto di un ennesimo errore giuridico. Costituzionalisti noti, lo hanno detto. Io mi limito a considerare un aspetto, meno esaminato riportando qui di seguito, una riflessione già pubblicata da Il Foglio.
Nessuno può negare al potere legislativo la facoltà di abrogare o cambiare precedenti norme giuridiche vigenti. Esse sono quelle che risultano dalla giurisprudenza. Se ogni sentenza interpretativa impedisse al Parlamento di intervenire su un punto della legge come interpretato dai giudici, la conseguenza sarebbe la cancellazione dell’intero potere legislativo.
In secondo luogo bisogna sottolineare che il potere eccezionalmente attribuito al governo di emanare decreti-legge va inquadrato, come risulta dalla Costituzione, nell’ambito del potere legislativo. Dunque non si può affatto sostenere che il decreto-legge predisposto in governo sarebbe stato un atto di arrogante prevaricazione e di indebita invasione del campo giudiziario. Al contrario: sarebbe stato il modo più trasparente per esprimere rispetto per le decisioni giudiziarie. Esse ci sono e se ne tiene conto, ma proprio perché se ne tiene conto il potere legislativo può intervenire per correggere la norma oggettiva quale risulta dai provvedimenti giudiziari.
Del resto non è breve nella storia repubblicana la lista dei decreti-legge emanati per correggere o integrare testi normativi il cui significato effettuale era stato esplicitato da decisioni giudiziarie di poco anteriori o addirittura in corso di attuazione. Ulteriore argomento a favore della tesi qui prospettata si ricava dal richiamo della categoria delle leggi di interpretazione autentica: esse manifestano che, nel rapporto tra poteri dello Stato, il primato spetta alla legislazione. Perché, altrimenti, nella dottrina gli altri due poteri, esecutivo in senso stretto e giudiziario, vengono considerati entrambi “esecutivi” con la specifica differenza che il potere giudiziario opera in contraddittorio tra parti e nel caso di violazione della legge per stabilirne l’autorità?
Accanimento radicale
La cosa più drammatica è stata la gara tra la morte di Eluana e la legge per salvarla. Hanno atteso per un decennio una sentenza che desse loro ragione. Finalmente l’hanno ottenuta. Ora si era fatto concreto il rischio che il risultato sia tolto dalle loro mani.
Nelle loro mani c’è già Eluana, dal 3 febbraio trasferita dalle carezze delle suore misericordine di Lecco a Udine, in una camera piantonata, affidata a un gruppo di volontari (Sic!) che considerano farla morire (o se volete “lasciarla morire di fame e di sete” che differenza fa?) un servizio al bene comune altruisticamente orientato. Hanno diffuso l’informazione che Eluana aveva ancora un corpo vigoroso e che sarebbero passati 15-20 giorni prima della morte, che dunque c’era ancora tempo per riflettere. Avevano elaborato un “protocollo” (come l’aborto è divenuto “Ivg”, così il provocare la morte è diventato “protocollo”!) che prevedeva tempi relativamente lunghi e una riduzione graduale della somministrazione di cibo e acqua.
Poi giunge notizia che il “protocollo” è cambiato. L’iter sarà più breve. Idratazione e alimentazione saranno da subito totalmente cessati. Il 6 febbraio il governo, dopo l’omessa controfirma del Capo dello Stato, chiede e ottiene che si discuta subito una legge di contenuto identico al decreto e la si approvi in tre giorni. Il 9 alle 19 comincerà la discussione al Senato, disposto a continuare i lavori per tutta la notte. Il giorno dopo, al mattino, è previsto anche a Lecco la discussione del reclamo: si richiede la sospensione del volere di Giuseppe Englaro.
Ma alle 19,35 Eluana muore. Ed ora dicono, che stava male, che era in condizioni irriconoscibili… Coincidenze casuali! Forse, ma, certo, assai singolari. Quel che è certo è che per oltre 10 anni si è cercato una decisione della Magistratura affinché la morte di Eluana fosse un evento pubblico e cioè una scelta dello Stato. L’introduzione dell’eutanasia, insomma… non dobbiamo essere di memoria corta: anche sull’inizio della plurima vicenda giudiziaria vi sono coincidenze singolari.
Il primo ricorso del sig. Englaro è del 19 gennaio 1999 contemporaneo alla prima proposta di legge elaborata dalla Consulta di bioetica laica, di cui fanno parte tutti gli amici di Englaro e a cominciare dal professor Defanti, medico di Eluana, stampata dalla Camera dei deputati il 10 febbraio 1999, intitolata “Disposizioni in materia di consenso informato e dichiarazione di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Non mi pare una indebita illazione ipotizzare una strategia radicale fatta di consigli e di sostegno. Se proprio papà Beppino considerava già morta la figlia immediatamente dopo l’incidente stradale, perché non impedirne la cura senza clamore, portandosela a casa o in Svizzera? Perché l’accanimento giudiziario?
È evidente lo scopo vero: l’introduzione della eutanasia in Italia, Paese che, in una strategia mondiale, gioca un ruolo esemplare per comprensibili motivi. È inutile giocare sulle parole. Basta leggere i commenti sul caso Eluana di alcuni autorevoli commentatori che, invocano il diritto alla morte come diritto umano fondamentale. L’eutanasia è alle porte. Eluana era il caso atteso e cercato. L’occasione non doveva essere lasciata sfuggire. Forse è bastato stravolgere l’affetto di un padre verso una figlia “puledra di razza” e compensare il suo dolore con l’idea di una morte non inutile.
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* Presidente del Movimento per la Vita italiano.
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..