Giampaolo Pansa questo lo sa. Lui che non è certo tacciabile di clericalismo, e che nemmeno condivide molte delle cose che il Papa dice, conosce però alla perfezione questo clima da pubblica accusa nei confronti di chi non si allinea al pensiero generale, alla vulgata dominante intorno a certi argomenti. E non esita a ravvisare, nei confronti di Ratzinger, questo stesso atteggiamento.
Pansa, c’è dunque secondo lei il rischio di un generale diffondersi di un “pensiero unico”, soprattutto nei giornali, corredato da un catalogo precostituito di simpatici e antipatici (tra cui questo Papa)?
Questo rischio c’è sempre, non solo nei confronti del Papa. Se poi parliamo in particolare dei giornali italiani è una cosa che avviene normalmente, perché i nostri quotidiani sono animati da una faziosità che è sempre più stupefacente. E non sto parlando dei giornali di partito, bensì dei giornali che dovrebbero essere di informazione, i quali invece prima del dovere di informare sentono un altro dovere, sbagliato e intossicato, che è quello di esprimere sempre opinioni, dicendo chi è buono e chi è cattivo, chi è bello e chi è brutto.
E sul Papa in particolare che atteggiamento c’è secondo lei?
Per quanto riguarda il Papa naturalmente siamo tutti un po’ influenzati dalle ultime polemiche su quanto egli ha detto in Africa, a proposito della diffusione dell’Aids e dell’utilità o meno dell’uso del preservativo. Io, che pure non ho nessuna esperienza in tema di medicina e di Aids, penso che comunque l’uso del preservativo sia utile. Certo non è la soluzione del problema, e prova ne è il fatto che l’Aids non sia stato sconfitto: non ci sarebbe nulla di più facile che diffondere preservativi in quantità enormi in tutto il mondo, e se bastasse quello l’Aids non ci sarebbe più. Invece questo male c’è ancora, non solo in paesi poveri come quelli africani, ma anche in quelli evoluti come quelli occidentali. Quindi di certo il preservativo non basta.
E Ratzinger, in realtà, non ha detto una cosa molto diversa da questa. Ma allora le chiedo: perché tante reazioni così scomposte nei suoi confronti?
Perché è una persona franca, che parla con chiarezza. Ogni Papa, come anche ogni capo di Stato (anche se qui stiamo parlando di un personaggio che ha molto più peso in quanto capo della Chiesa cattolica, che va oltre le nazioni e in più coinvolge la vita delle persone e le tocca nel profondo, negli atteggiamenti e nei comportamenti) il Papa, dicevo, ha una propria personalità, diversa da quella di tutti gli altri Papi. A me, confesso, la franchezza di Ratzinger piace, seppure spesso io non condivida le sue conclusioni. È meglio avere un pontefice che parla chiaro che uno troppo cauto nel manifestare il proprio pensiero. Proprio per questo motivo, non mi stupisco che poi susciti delle reazioni. E mi sembra anche giusto che succeda; in fondo basta aspettare che passi il momento della polemica più aspra. Anche i cattolici devono evitare di scandalizzarsi, dicendo che il Papa è stato offeso: eviterei di parlare della cosa in questo modo.
Quindi è positivo che nascano polemiche…
Diciamo che il fatto di parlare con chiarezza, e quindi di suscitare polemiche per quello che dice, è una cosa che fa sicuramente onore a Benedetto XVI. Io personalmente sono abituato a suscitare polemiche, con i miei libri. Ma è meglio suscitare polemiche che indifferenza. E questo per chi pensa che il Papa sia una personalità utile al mondo (usiamo pure questi termini forse un po’ banali) dovrebbe essere un fatto positivo.
In realtà l’aggettivo “utile” è molto pertinente: significa che vale la pena per tutti ascoltare quello che dice, anche per i laici?
Certo, e guai se non fosse così. Un vero laico non può che guardare con attenzione quello che dice Benedetto XVI; poi può condividere o non condividere. Ma il laico che si infastidisce perché il Papa esprime la sua posizione, diventa un personaggio ridicolo. Anzi, semplicemente non è più un laico.
Torniamo ai giornali: perché è così difficile parlare di quello che accade, e si punta tutto su opinioni e interpretazioni?
Io penso che i giornalisti dovrebbero innanzitutto raccontare ai loro lettori quello che succede. E poi, se i lettori lo desiderano, fornire un commento. Invece in tante testate italiane si è capovolto questo principio: prima si commenta, e poi, se resta spazio, si dice quello che è successo. È una malattia terribile, anche se una malattia vecchia. Io ho scritto due libri su questo: nel ’77 “Comprati e venduti”, e poi nell’86 “Carte false”: ebbene, da allora ad oggi la situazione è enormemente peggiorata. Poi, più i giornali sono grandi e più si sentono obbligati ad essere i portatori di una bandiera politica. Il caso più evidente è quello di Repubblica.
Che non a caso è il giornale che ha condotto e conduce più di ogni altro la polemica sul Papa…
Ha spiegato bene la cosa, in un editoriale sul Riformista, Andrea Romano, il quale ha parlato della «pedagogia autoritaria» che questo giornale cerca di operare. In fondo è l’unico vero giornale di partito che è rimasto in Italia. Ma forse non si rendono conto che, continuando ad esporre questo “pensiero unico”, poi alla fine i lettori si stancano. Non a caso, come ho visto di recente nelle statistiche per altro pubblicate dall’Unità, Repubblica è il giornale che perde di più, anno dopo anno. I lettori, in fondo, si stancano di vedere la vignetta di Elle Kappa che nei giorni pari è contro Berlusconi, e nei giorni dispari contro il Papa.
Alzano il tono della polemica faziosa per avere più lettori, e invece li perdono?
C’è una cosa anche peggiore di questa, che si vede ancora nelle critiche fatte a Benedetto XVI sulla questione dell’Aids, e cioè che c’è una sorta di concetto superbo del proprio mestiere. Non è solo la ricerca del clamore per attrarre lettori – che poi, appunto, non serve – ma è un’idea sbagliata del proprio mestiere per cui ci si concepisce come i “superman” dell’opinione pubblica italiana. Non per nulla, ora che in particolare l’opinione pubblica di sinistra è molto acciaccata e non sa più come riprendersi, si rifugiano allora nel dire che non esiste più un’opinione pubblica in Italia. Invece non è assolutamente così: una delle cose positive di questo Paese, nonostante tutto, è che ci sono molte opinioni pubbliche. Quindi, in conclusione, io sono per un giornalismo diverso: energico, coraggioso, ma che sappia distinguere le proprie opinioni da quello che accade nella realtà.
(Rossano Salini)
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