Claudio Sabelli, è uno dei circa 6.000 ammalati di Sla (sclerosi laterale amiotrofica) del nostro paese. È completamente paralizzato e dipende in tutto dalle macchine. Vive a Roma, dove lavorava presso Trenitalia come quadro dirigente. Ora ha cinquantasette anni e dal 2004 lotta con forza e tenacia contro questa malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso. Da uno e mezzo è tracheotomizzato e si nutre attraverso la Peg. Claudio comunica mediante un’apparecchiatura che gli consente di impartire, con gli occhi, i comandi ad un computer, capace di “interpretare”, e conseguentemente utilizzare, lo sguardo senza che questi necessiti di una tastiera o di un mouse. Il dispositivo traduce, poi, in voce il comando impartito con i movimenti oculari sullo schermo del computer. Questo strumento gli permette di comunicare con i familiari, navigare in internet, utilizzare la posta elettronica, leggere la rassegna stampa dei quotidiani e altro. «La mia prospettiva esalta la vita e la speranza» così si legge in una pagina a lui dedicata all’interno del sito web, che fa capo a “Viva la Vita” un’associazione di familiari e malati di Sclerosi laterale amiotrofica.
Quando si parla di malati affetti da Sla o comunque da patologie così invalidanti i media tendono a sottolineare che quella non è vita. Con tutta probabilità nessuno avrebbe il coraggio di riproporre la stessa frase direttamente a lei, ma se così fosse cosa risponderebbe?
La Sla, non mi stancherò di ripeterlo, uccide lentamente il fisico ma non la mente che diventa il nostro alleato più affidabile. La mia vita è diversa da quella di un sano ma indubbiamente più intensa. Vivo ogni momento in forma piena assaporando le gioie e i dolori che la vita continua a riservarmi. La cultura maggioritaria esclude dal concetto di felicità la sofferenza introducendo un’illusione perversa. Nessuno può evitare di ammalarsi, di invecchiare e morire. Una vita felice senza dolore è un’illusione che rende debole la mente. Io muovo solo gli occhi con i quali scrivo ma sono padrone della mie facoltà mentali con cui continuo ad amare, ad indignarmi. Certo il mio corpo inanimato continua a far paura specialmente oggi che il corpo ha valore assoluto. Io, come tutti noi, coltiviamo la speranza nella ricerca scientifica anche se nel nostro paese appare mortificata. La speranza di lasciare la nostra prigionia del corpo non deve abbandonare nessuno e dobbiamo alimentarla attivamente.
La vita di un malato di Sla è complicata anche nella gestione quotidiana, quanto conta il luogo in cui si vive?
La casa è tutto. Noi siamo malati a gestione complessa che può essere organizzata a domicilio. La casa per noi per noi equivale a vivere, mantenere una continuità affettiva è fondamentale. Il sorriso di una moglie, sentire il vociare dei bambini, la mano degli anziani sulla tua, la visita di un amico significano sentirsi vivo. Per malati come noi essere internati in cliniche significherebbe una graduale fine. Cosa diversa sono i centri di sollievo ai quali rivolgersi in casi contingenti e per brevi periodi. Noi siamo persone ancora ricche di bisogni che dovrebbe far riflettere la nostra società che tende a nascondere, a dimenticare i meno fortunati. Stare a casa non ha il valore di delega, cioè di affidare ai soli familiari l’assistenza al malato come di fatto avviene nella quasi totalità delle regioni italiane.
Per il pensiero della società moderna è quasi impossibile pensare ad un ammalato di Sla con delle passioni. La sua esperienza, tuttavia, conferma l’esatto contrario. È vero che lei non ha perso l’interesse per i libri e la poesia?
Coltivare interessi per un malato di Sla è un po’ difficile. La metà di noi non dispone di un comunicatore che, voglio ricordarlo, è l’unico strumento per chi è privo di linguaggio per comunicare necessità sanitarie e garantire un minimo legame con il mondo. Il mio nonostante sia molto avanzato non mi permette di ascoltare una radio o musica, accedere alle molte offerte disponibili. Io non posso leggere un libro ma ascolto audiolibri che è una magnifica idea che permette di fruire opere altrimenti inaccessibili. Con l’aiuto di chi mi assiste ascolto lezioni di storia, qualche poesia (un genere abbastanza introvabile in realtà), la musica. Scrivo molto con grave disappunto dei miei occhi. Sento forte in me la forza delle passioni che mi fanno avere una disciplina interiore che mi aiuta a combattere quella pigrizia che l’assoluta immobilità genera. Cerco di curare lo spirito con ogni mezzo possibile. Devo ringraziare la nostra associazione “Viva la vita”, amici come Erminia Manfredi che mi incoraggiano e sento molto vicini ma soprattutto mia moglie Stefania che oltre a condividere la mia prigionia mi riempie di stimoli. Approfitto della sua cortesia per esortare le case editrici a pensare a coloro che non possono leggere ma sono pronti ad ascoltare.
Le capita di vivere momenti di arrabbiatura oppure di ironia e umorismo?
Io per natura non mi prendo sul serio. Rido spesso e assisto divertito alle allegre dispute delle persone che mi assistono e che vengono dalle più disparate parti del mondo. Mi hanno arricchito. Loro, messi a disposizione dalla Asl di Roma, si occupano del mio corpo. Quando usciamo per brevi passeggiate formiamo un allegro gruppetto con i colori del mondo. Mi piace chiamarmi un androide ancora felice.
Il malato di Sla si ritrova spesso solo e con lui, a farne le spese, anche l’intera famiglia. Qual è il provvedimento più urgente che si sente di chiedere alle istituzioni?
Per rispondere alla sua domanda occorre una premessa. La malattia ha vari stadi di progressione non prevedibili. Finché non giungono problemi respiratori la Sla sebbene invalidante permette una vita familiare accettabile. I veri problemi sorgono quando il malato ha problemi respiratori e di alimentazione. Si ricorre alla tracheotomia, come nel mio caso, e alla Peg, un sondino gastrico direttamente nello stomaco che permette di alimentarci con preparati liquidi e di bere. A parole sembra terribile ma non lo è. Occorre un’assistenza domiciliare con personale formato. Oggi gran parte delle regioni di fatto delega alle famiglie l’assistenza dei malati di Sla gettandole spesso in una cupa disperazione. Non nascondo di aver ricevuto mail di malati e di familiari stremati da questa solitudine. Questo lo trovo crudele, incivile e in contraddizione con i richiami alla vita e alla sua sacralità. Concetti questi che esigono interventi concreti al posto di dichiarazioni che suonano false. La nostra associazione ha presentato alla Regione Lazio, che già fa molto, un modello formativo che coniuga sostenibilità e qualità assistenziale. Io chiedo che questo modello venga esaminato e arricchito in modo da garantire un’assistenza degna a tutti i malati di Sla in Italia.
da http://www.tempi.it/cultura/006152-l-album-di-claudio
Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
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Che lo Spirito Santo illumini la tua mente e che Dio ti ricolmi di ogni grazia, spirituale e materiale, e la speciale benedizione materna di Maria scenda su di te..