Terry ha pubblicato sul suo blog un bellissimo post che riporto integralmente:
Il desiderio dell’uomo odierno è di essere padrone della propria vita. Di spingere al massimo ogni situazione e di goderne tutto senza limiti. Poi però ci si accorge che la propria vita è vuota e che la libertà era lì a portata di mano su ben altri valori.
L’uomo soffre per invalidità fisica, psichica, a causa della povertà, del non avere un tetto, di un matrimonio fallito, del non poter soddisfare i propri bisogni primari. Ma la più grande sofferenza è quella di sentirsi rifiutati, ignorati, disprezzati e lasciati soli. Sì perché la sofferenza più grande per persone che hanno handicap, o malattie invalidanti o terminali è la sensazione di essere inutili, incompresi e non amati.
E’ più facile accettare l’incapacità di camminare, di parlare, di nutrirsi da soli, che accettare l’incapacità, di valere qualcosa per qualcun altro.
Davanti alle privazioni di qualsiasi genere l’uomo è capace di tirare fuori immense risorse con grande forza, ma quando sente di non poter più dare qualcosa agli altri, o sente di non essere amato, abbandona presto la propria presa sulla vita.
Cosa facciamo quando scopriamo le nostre fragilità, quando ci scontriamo con la sofferenza? Il primo istinto è quella di tenerla a distanza, aggirarla, negarla, rifiutarla. Qualsiasi tipo di sofferenza la vediamo come un’intrusione nella nostra vita, qualcosa che non dovrebbe esserci.
E molto spesso la soluzione nella società odierna diventa il suicidio.
Ci sono vere e proprie cliniche adibite a questo mal di vivere. Basta mettersi in lista ed è pronta la pozione magica che ti toglie ogni sofferenza, ma anche la vita. Ultimamente ho parlato molto di una di esse in particolare(*), e di quanto si giochi sulla pelle della povera gente per arricchirsi, senza nessuno scrupolo, velando il tutto sotto un falso manto di pietà. La nostra società – e questa clinica in particolare - trova più facile manipolare le persone fragili che rifiutano se stesse e la loro malattia, che quelle che si accettano.
A questi miei fratelli vorrei dire: il suicidio non è la soluzione.
Il primo passo verso la salute, verso la guarigione, verso la pace, non è un passo lontano dal dolore ma un passo verso il dolore. Dobbiamo trovare il coraggio di abbracciare le nostre paure e familiarizzare con esse.
Ma non da soli.
Abbiamo bisogno di una guida, persone che ci portino più vicino al nostro dolore, che ci incoraggino, che ci aiutino a portarlo. Che ci assicurino che oltre l’angoscia c’è la pace, oltre la morte la vita, oltre il dolore l’amore. Il credente sa che ogni situazione che lui vive, di gioia, di tristezza, di salute, di malattia, sono parte dell’itinerario per la piena realizzazione della sua umanità.
Il cristiano sa di poter portare quel dolore, perché sa di non portarlo da solo. Già Cristo prima di lui ha vissuto quello che lo fa stare male oggi, o lo farà morire domani. Il dolore messo nelle Sue mani acquista una valenza diversa. E quel fardello impossibile da portare, diventa più leggero. E quella malattia, quella sofferenza che mi hanno gettato nel baratro, nell’oscurità, diventano il luogo in cui imparo a lasciarmi amare e portare.
Diventano il luogo dell’amore più grande, quello dell’offerta di me per tutti i miei fratelli. Soprattutto per quelli sofferenti e sulla difensiva, che non si lasciano avvicinare o parlare. Rifiutando ogni gesto di amore.
Per tutti coloro che non hanno la luce di Cristo e sono in agonia, o nella disperazione e scelgono il suicidio.
Per loro sarà la mia offerta e la mia preghiera.
Testimonierò come la vera gioia, la vera serenità, la vera pace può essere sperimentata anche in mezzo a tante sofferenze. La gioia di essere amati, di essere purificati. E allora quella sorgente di sofferenza diventa la sorgente della mia speranza.
Solo imparando a non avere paura, ma a confidare nell’amore di Dio, impariamo ad essere sereni e a godere della vita fino al suo ultimo istante.
(*) la cinica in questione è la svizzera Dignitas di cui ho parlato anch'io in un precedente post (vedi Post26-Vale la pena vivere?)
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Credo inoltre che qui ci sia ulteriore spunto di riflessione anche per Calliope che mi ha fatto dono di un suo bellissimo commento al contributo precedente. La vita è il dono di Dio per permettere a noi creature di camminare verso il nostro Creatore.
Tra le braccia di Molly Malone
1 mese fa
Nella trasmissione alla quale partecipo domani parleremo proprio di testimonianza nella fede...
RispondiEliminaP.s. Quando la società moderna smetterà di parlare sempre e solo di morte? o di "come" morire?
Ciao gianandrea,
RispondiEliminasono tornata ieri sera.
Ti ringrazio per aver pubblicato il mio post.
Volevo dirti che fai un ottimo lavoro con il tuo blog, continua così.
L'uomo ha bisogno continuamente di testimonianze autentiche di chi è alla sequela di Cristo, come t, e soprattutto ha bisogno di speranza:-)
un abbraccio